NC-115
26.05.2022
Nel 1935 una ventenne svedese scriveva sul suo diario: «Ho lasciato la scuola di teatro per entrare nel mondo del cinema. Dovrei essere grata di aver calcato le scene così giovane, ma amo la libertà che sento davanti alla macchina da presa. Mi auguro di aver fatto la scelta giusta e di diventare una grande interprete un giorno. Dicono che qui io sia l’attrice con maggiore talento, i miei compagni di corso non lavorano mentre io sono contesa dagli studi cinematografici. Il pensiero mi spaventa, spero di non deludere nessuno». Quando Ingrid Bergman appuntò questi pensieri era appena agli inizi di quella che può essere definita come una carriera fuori da ogni schema. Bergman fa parte infatti di quella rarissima categoria di interpreti che riuscirono a lavorare nei contesti cinematografici più diversificati. In un periodo in cui gli attori europei partivano, scelti dai grandi produttori d’oltreoceano, alla volta dell’America, ella seppe anteporre i suoi bisogni d’artista a quelli di star. Ma facciamo un passo indietro; nata il 29 agosto del 1915 a Stoccolma e rimasta quasi da subito orfana di entrambi i genitori, Ingrid sviluppò fin da bambina una vera e propria passione per il mestiere d’attrice.
Dopo una prima esperienza come comparsa non accreditata in Landskamp (La gara, 1932), un ruolo di secondo piano nella cervellotica commedia Munkbrogreven (Il conte della città vecchia, 1935), e uno da protagonista in Bränningar (Risacche, 1935), venne presa sotto l’ala del regista di origini finlandesi Gustaf Molander. Assegnandole una serie di parti estremamente diverse tra loro, Molander contribuì a sviluppare in lei il gusto e la parsimonia nella scelta dei ruoli. Questa propensione verso personaggi profondi e sfaccettati avrebbe poi contraddistinto tutta la sua carriera. Nei successivi cinque anni Bergman realizzò con Molander Swedenhielms (Gli Swedenhielms, 1935), Intermezzo (1936), På solsidan (Verso il sole, 1936), Dollar (Inquietudine, 1938), En Kvinnas ansikte (Senza volto, 1938) ed En enda natt (Solo una notte, 1939) imponendosi in breve tempo come una delle stelle più luminose dell’industria cinematografica scandinava. Già dal suo «periodo svedese» la Bergman si votò quindi ai grandi maestri del cinema, dimostrando un’attenzione a risultati che non avrebbero portato esclusivamente vantaggi personali, bensì alla creazione di opere artisticamente valide o, comunque le si giudichi, innegabilmente rilevanti. Fu diretta da geni della settima arte – come Alfred Hitchcock, Roberto Rossellini, George Cukor, Jean Renoir, Sidney Lumet, Leo McCarey, Ingmar Bergman e il già citato Molander – o da brillanti artigiani – come Michael Curtiz, Sam Wood, Anatole Litvak, Bernhard Wicki, Stanley Donen, Vincent Minnelli, Victor Fleming – giocando così un ruolo di primo piano nell’evoluzione della settima arte.
Il 1938 rappresentò una data fatidica nella sua carriera: Dollar ed En Kvinnas ansikte – lungometraggio fortemente voluto da Bergman – vennero lodati dalla stampa, facendo così echeggiare il suo nome al di fuori dei confini svedesi. Nel frattempo Jenia Reissar, agente londinese del potente produttore hollywoodiano David O. Selznick, segnalò Intermezzo – il film che l’attrice aveva girato con Molander due anni prima – a Key Brown, direttrice dell’ufficio newyorkese della Selznick International Pictures che, non completamente convinta, inviò a Los Angeles una copia della pellicola. Fu in questo modo che Selznick, geniale scopritore di talenti, ebbe una folgorazione. Ingrid, che intanto aveva messo al mondo la figlia Pia Friedal con Petter Aron Lindstrom, un neurochirurgo sposato l’anno precedente a Stöde, e si era recata in Germania per recitare in Die vier Gesellen (Quattro ragazze coraggiose, 1938), prodotto dall’UFA, accettò la proposta di Selznick di recarsi negli Stati Uniti per girare il remake americano di Intermezzo. Questa decisione decretò il passaggio di Bergman da celebre attrice nazionale a diva internazionale.
Il 20 Aprile del 1939 si imbarcò sul Queen Mary a Southampton e, giunta nella mecca del cinema, scrisse sul suo diario: «L’America, finalmente! Mi hanno portata a casa di Selznick, dove mi ha accolto sua moglie Irene. Lui è arrivato, si è seduto, mi ha guardata, si è complimentato per il mio inglese e poi se ne è andato. I Selznick hanno organizzato una festa e io ero l’ospite d’onore. Me ne stavo lì seduta con il mio vestito rosa con le maniche a sbuffo – è molto vecchio ma elegante – a guardare gli invitati che arrivavano: Clark Gable, Joan Bennett, Cary Grant, Gary Cooper. Ero così felice che non riuscivo a parlare. E pensare che io, una ragazza di Stoccolma, ero lì circondata dalle star del cinema». In un promemoria, il produttore la descriveva così: «Miss Bergman è un’attrice coscienziosa, non pensa ad altro che al proprio lavoro, prima e durante le riprese, e non prende impegni o fa progetti di alcun genere che possano distogliere la sua attenzione anche per un solo minuto. Praticamente non abbandona mai lo studio e ha persino suggerito che il suo camerino sia attrezzato in modo da poterci vivere». Appena terminata la lavorazione del nuovo film tornò in patria per girare Juninatten (Notte di Giugno, 1940), un ultimo addio al cinema svedese.
Lo scoppio della guerra e un contratto con la Selznick, la portarono a declinare l’offerta lavorativa dell’UFA e a stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti con il marito e la figlia. Durante la traversata atlantica conobbe il leader sionista Chaim Weizmann e la giornalista Martha Gellhorn, compagna e futura moglie di Ernst Hemingway, incontro che è possibile abbia influenzato la successiva scelta di Ingrid nel recitare il ruolo di protagonista della versione cinematografica di For Whom the Bell Tolls (Chi suona la campana, 1943). Si aprì così un periodo di grande successo lavorativo che trasformò Bergman in una delle attrici più celebrate degli anni Quaranta. Con la sua destabilizzante naturalezza entrò nel panorama delle star americane, rappresentando un modello divistico del tutto nuovo. Il suo rifiuto di accettare a scatola chiusa un contratto capestro di sette anni, di sottrarsi a grandi cambiamenti estetici – praticamente obbligatori per gli studios dell’epoca – e la presa di posizione nel vivere una vita semplice, lontana dai rituali dello star system, fecero intuire a Selznick gli elementi su cui basare la campagna promozionale per lanciare la sua carriera. «La star che non vive da star», con questo slogan Bergman traccia un moderno modello di celebrità femminile, basato sulla completa dedizione al proprio mestiere e alla ricerca di un’indipendenza totale. “Prestata” dal suo produttore alle più grandi major del periodo – MGM, Columbia, Warner Bros, Paramount – fu protagonista di solidi melodrammi – Rage in Heaven (Follia, 1941), Adam Had Four Sons (La famiglia Stoddard, 1941) – trasposizione letterarie – Dr. Jekyll and Mr. Hyde (Il Dottor Jekyll e Mister Hyde, 1941) – e grandi classici – Casablanca (1942) – arrivando, nel 1944, alla vittoria dell’Oscar come miglior attrice protagonista per Gaslight (Angoscia).
Nel 1945 avvenne con Spellbound (Io ti salverò) la prima, grande, collaborazione tra Ingrid e Alfred Hitchcock, cineasta dalla personalissima visione, che giocherà un ruolo fondamentale nella sua carriera. Il film inaugura uno dei più importanti sodalizi della storia del cinema, regista e interprete gireranno insieme altri due capolavori: Notorious (Notorious - L’amante perduta, 1946) e Under Capricorn (Il peccato di Lady Considine, 1949). Notorious si contraddistingue come uno dei risultati più alti del periodo hollywoodiano di Bergman e a oggi va annoverato tra quei ruoli che l’hanno scolpita nella memoria collettiva. Condividendo una eguale abnegazione al lavoro, tra musa e cineasta nacque un profondo legame di amicizia – nel tempo libero l’attrice frequentava assiduamente casa del regista – tanto che Hitchcock, in un’intervista a Gian Luigi Rondi, affermerà: «Ingrid quando arriva sul set, sa già tutto sul suo personaggio, se l’è già scritto, recitato, messo in scena. Come se a dirigersi fosse lei stessa!».
L’accordo di sette anni con Selznick giunse al termine e l’attrice, decisa a non rinnovare il contratto, divenne, fatto rarissimo per il periodo, un’indipendente. Padrona di se stessa si recò in tournée teatrale per interpretare la protagonista di Joan of Lorraine (Giovanna di Lorena), dramma che riscontrò un enorme successo e le regalò svariati premi da parte della critica. Tornata a Hollywood, durante la lavorazione dei film Arch of Triumph (Arco di trionfo, 1948) e Joan of Arc (Giovanna d’Arco, 1948) assistette alla proiezione di Roma città aperta (1945), lungometraggio diretto da Roberto Rossellini. Rimasta profondamente colpita dalla visione della pellicola, e dopo aver ammirato anche il successivo Paisà (1946), decise di scrivere al cineasta proponendogli di collaborare. «Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho amati. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla l’inglese molto bene, non ha dimenticato il tedesco, si fa capire in francese e in italiano sa dire solo ti amo, sono pronta a venire a lavorare con lei». Queste parole giunsero tramite lettera in Europa, dove Rossellini si disse entusiasta di lavorare insieme alla diva. Così la Bergman, con la scusa di trovarsi in Inghilterra per le riprese di Under Capricorn, ultima opera girata con Hitchcock negli Elstree Studios di Londra, raggiunse Rossellini a Parigi dove insieme gettarono le basi di Stromboli - Terra di Dio (1950).
«Hollywood cominciava ad annoiarmi, più lavoravo lì e più sentivo il bisogno di fare qualcosa di diverso, qualcosa di sorprendente. Sentivo che c’era un altro modo di fare cinema». Fedele alle sue parole, l’attrice arrivò a Roma il 20 marzo 1949 sotto gli occhi di una folla definita dalle cronache dell’epoca come “immensa e adorante”. La lavorazione di Stromboli fu dura ma tremendamente emozionante. L’attrice, abituata a produzioni che potevano disporre di enormi capitali, in cui tutto era organizzato fino al più piccolo dettaglio, si trovò a lavorare in condizioni completamente diverse. A proposito della sua prima, destabilizzante esperienza sui set neorealisti, raccontò: «Mentre andavamo a Stromboli, Roberto si fermò in spiaggia a Salerno esclamando: “rimani seduta in macchina, vado a prenderti un co-protagonista”. Così scese dall’auto, si mise a osservare i pescatori e non riuscendo a scegliere tra due giovani li prese entrambi. Tornò dicendomi che avremmo dovuto studiarli e decidere chi sarebbe stato il mio partner maschile nel film». Così, nella calma dell’isola, lontano dai reporter e accompagnati solo da una piccola troupe, Bergman e Rossellini divennero amanti e concepirono il loro primogenito. Kay Brown, che dopo Selznick era divenuta addetta al controllo produzione della RKO – major che avrebbe distribuito la pellicola negli Stati Uniti – venne spedita a Stromboli per tentare di mantenere il controllo della situazione. Gli sforzi di Brown risultarono però vani e lo scandalo che li travolse fu senza precedenti, tanto da rappresentare uno dei più grandi accanimenti mediatici del dopoguerra. L’attrice fu immediatamente allontanata da Hollywood e il primo Novembre del 1950 venne sancito il suo divorzio da Lindstrom, appena pochi mesi dopo la nascita del figlio Roberto.
Lontana dall’America e dalla sua vecchia vita mise al mondo, nel 1952, le gemelle Isabella e Ingrid. Per Roberto Rossellini, che nel frattempo era diventato suo marito, reciterà in altri cinque film. Queste autentiche gemme del cinema italiano anticiparono, con le loro tematiche, quella crisi esistenziale di cui, poco dopo, Michelangelo Antonioni si farà narratore. Stromboli (1950), Europa 51 (1952), l’episodio in Siamo donne (1953), Viaggio in Italia (1954), Giovanna d’Arco al rogo (1954) e La paura (1954) vanno a comporre un’indagine sul femminile in cui l’espressione psicologica delle protagoniste – tutte interpretate da Bergman – abbandona la parola per trovare, nei gesti e nei volti, la sua dimensione più comunicativa. Per le caratterizzazioni di queste eroine tormentate Ingrid sembrò ricordarsi della famosa regola, suggeritagli da Hitchcock, secondo cui «l’emozione passa dagli occhi per arrivare alla bocca».
Col tempo il rapporto con il coniuge cominciò a deteriorarsi. Leggenda vuole che l’attrice rifiutò, a causa della gelosia di Rossellini che pretendeva una totale fiducia lavorativa, il ruolo della contessa Serpieri in Senso (1954), di Luchino Visconti. Stanca dell’Italia e ormai separata in casa, partì per la Francia, dove realizzò Eléna et les hommes (Eliana e gli uomini, 1956), una brillante satira in costume pensata appositamente per lei dal grande Jean Renoir. L’esperienza francese le fece tornare la voglia di rilanciarsi su binari internazionali. Grazie ai buoni uffici di Kay Brown, in un certo senso sua protettrice, accettò la proposta, da parte di un grande studio americano, di girare Anastasia (1956), imponente produzione che si sarebbe realizzata in Inghilterra. Il lungometraggio sancì il ritorno di Ingrid Bergman nel cinema a stelle e strisce e le regalò, mentre si trovava a teatro a Parigi per recitare nella commedia Tè e simpatia, il suo secondo Oscar. Dopo l’annullamento del matrimonio con Rossellini e la successiva unione con l’impresario teatrale Lars Schmidt – avvenuta nel 1958 – decise di aumentare l’attività sul palcoscenico, recitando per la televisione e continuando a prediligere produzioni cinematografiche americane girate all’estero. Le successive partecipazioni in Indiscreet (Indiscreto, 1958), The Inn of the Sixth Happines (La locanda della sesta felicità, 1958), Goodbye Again (Le piace Brahms?, 1961), The Visit (La vendetta della signora, 1964) e Cactus Flower (Fiore di cactus, 1969), culminarono con la vittoria del suo terzo Oscar – questa volta come miglior attrice non protagonista – per Murder on the Orient Express (Assassinio sull’Orient Express, 1974).
Nell’ultima fase della sua carriera Ingrid tornerà nella natia Svezia per altre due volte. La prima, un episodio del film corale Stimulantia (1967) , fu un ritorno alla memoria, un’occasione per farsi nuovamente dirigere dal suo “scopritore” Gustav Molander, mentre la seconda – avvenuta con Höstsonaten (Sinfonia d’autunno, 1978) per la regia di Ingmar Bergman – le permise di regalare una delle sue migliori e più complesse performance. Malata di tumore, diede un’intensa prova finale nel biopic televisivo A Woman Called Golda (Una donna di nome Golda, 1982) prima di spirare a Londra il 29 agosto del 1982, giorno del suo compleanno. In un’intervista a Oriana Fallaci disse: «Niente vale la libertà, neppure la gioventù». Musa, peccatrice, angelo nordico dagli occhi malinconici, Ingrid Bergman lasciò in punta di piedi una vita vissuta senza compromessi.
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26.05.2022
Nel 1935 una ventenne svedese scriveva sul suo diario: «Ho lasciato la scuola di teatro per entrare nel mondo del cinema. Dovrei essere grata di aver calcato le scene così giovane, ma amo la libertà che sento davanti alla macchina da presa. Mi auguro di aver fatto la scelta giusta e di diventare una grande interprete un giorno. Dicono che qui io sia l’attrice con maggiore talento, i miei compagni di corso non lavorano mentre io sono contesa dagli studi cinematografici. Il pensiero mi spaventa, spero di non deludere nessuno». Quando Ingrid Bergman appuntò questi pensieri era appena agli inizi di quella che può essere definita come una carriera fuori da ogni schema. Bergman fa parte infatti di quella rarissima categoria di interpreti che riuscirono a lavorare nei contesti cinematografici più diversificati. In un periodo in cui gli attori europei partivano, scelti dai grandi produttori d’oltreoceano, alla volta dell’America, ella seppe anteporre i suoi bisogni d’artista a quelli di star. Ma facciamo un passo indietro; nata il 29 agosto del 1915 a Stoccolma e rimasta quasi da subito orfana di entrambi i genitori, Ingrid sviluppò fin da bambina una vera e propria passione per il mestiere d’attrice.
Dopo una prima esperienza come comparsa non accreditata in Landskamp (La gara, 1932), un ruolo di secondo piano nella cervellotica commedia Munkbrogreven (Il conte della città vecchia, 1935), e uno da protagonista in Bränningar (Risacche, 1935), venne presa sotto l’ala del regista di origini finlandesi Gustaf Molander. Assegnandole una serie di parti estremamente diverse tra loro, Molander contribuì a sviluppare in lei il gusto e la parsimonia nella scelta dei ruoli. Questa propensione verso personaggi profondi e sfaccettati avrebbe poi contraddistinto tutta la sua carriera. Nei successivi cinque anni Bergman realizzò con Molander Swedenhielms (Gli Swedenhielms, 1935), Intermezzo (1936), På solsidan (Verso il sole, 1936), Dollar (Inquietudine, 1938), En Kvinnas ansikte (Senza volto, 1938) ed En enda natt (Solo una notte, 1939) imponendosi in breve tempo come una delle stelle più luminose dell’industria cinematografica scandinava. Già dal suo «periodo svedese» la Bergman si votò quindi ai grandi maestri del cinema, dimostrando un’attenzione a risultati che non avrebbero portato esclusivamente vantaggi personali, bensì alla creazione di opere artisticamente valide o, comunque le si giudichi, innegabilmente rilevanti. Fu diretta da geni della settima arte – come Alfred Hitchcock, Roberto Rossellini, George Cukor, Jean Renoir, Sidney Lumet, Leo McCarey, Ingmar Bergman e il già citato Molander – o da brillanti artigiani – come Michael Curtiz, Sam Wood, Anatole Litvak, Bernhard Wicki, Stanley Donen, Vincent Minnelli, Victor Fleming – giocando così un ruolo di primo piano nell’evoluzione della settima arte.
Il 1938 rappresentò una data fatidica nella sua carriera: Dollar ed En Kvinnas ansikte – lungometraggio fortemente voluto da Bergman – vennero lodati dalla stampa, facendo così echeggiare il suo nome al di fuori dei confini svedesi. Nel frattempo Jenia Reissar, agente londinese del potente produttore hollywoodiano David O. Selznick, segnalò Intermezzo – il film che l’attrice aveva girato con Molander due anni prima – a Key Brown, direttrice dell’ufficio newyorkese della Selznick International Pictures che, non completamente convinta, inviò a Los Angeles una copia della pellicola. Fu in questo modo che Selznick, geniale scopritore di talenti, ebbe una folgorazione. Ingrid, che intanto aveva messo al mondo la figlia Pia Friedal con Petter Aron Lindstrom, un neurochirurgo sposato l’anno precedente a Stöde, e si era recata in Germania per recitare in Die vier Gesellen (Quattro ragazze coraggiose, 1938), prodotto dall’UFA, accettò la proposta di Selznick di recarsi negli Stati Uniti per girare il remake americano di Intermezzo. Questa decisione decretò il passaggio di Bergman da celebre attrice nazionale a diva internazionale.
Il 20 Aprile del 1939 si imbarcò sul Queen Mary a Southampton e, giunta nella mecca del cinema, scrisse sul suo diario: «L’America, finalmente! Mi hanno portata a casa di Selznick, dove mi ha accolto sua moglie Irene. Lui è arrivato, si è seduto, mi ha guardata, si è complimentato per il mio inglese e poi se ne è andato. I Selznick hanno organizzato una festa e io ero l’ospite d’onore. Me ne stavo lì seduta con il mio vestito rosa con le maniche a sbuffo – è molto vecchio ma elegante – a guardare gli invitati che arrivavano: Clark Gable, Joan Bennett, Cary Grant, Gary Cooper. Ero così felice che non riuscivo a parlare. E pensare che io, una ragazza di Stoccolma, ero lì circondata dalle star del cinema». In un promemoria, il produttore la descriveva così: «Miss Bergman è un’attrice coscienziosa, non pensa ad altro che al proprio lavoro, prima e durante le riprese, e non prende impegni o fa progetti di alcun genere che possano distogliere la sua attenzione anche per un solo minuto. Praticamente non abbandona mai lo studio e ha persino suggerito che il suo camerino sia attrezzato in modo da poterci vivere». Appena terminata la lavorazione del nuovo film tornò in patria per girare Juninatten (Notte di Giugno, 1940), un ultimo addio al cinema svedese.
Lo scoppio della guerra e un contratto con la Selznick, la portarono a declinare l’offerta lavorativa dell’UFA e a stabilirsi definitivamente negli Stati Uniti con il marito e la figlia. Durante la traversata atlantica conobbe il leader sionista Chaim Weizmann e la giornalista Martha Gellhorn, compagna e futura moglie di Ernst Hemingway, incontro che è possibile abbia influenzato la successiva scelta di Ingrid nel recitare il ruolo di protagonista della versione cinematografica di For Whom the Bell Tolls (Chi suona la campana, 1943). Si aprì così un periodo di grande successo lavorativo che trasformò Bergman in una delle attrici più celebrate degli anni Quaranta. Con la sua destabilizzante naturalezza entrò nel panorama delle star americane, rappresentando un modello divistico del tutto nuovo. Il suo rifiuto di accettare a scatola chiusa un contratto capestro di sette anni, di sottrarsi a grandi cambiamenti estetici – praticamente obbligatori per gli studios dell’epoca – e la presa di posizione nel vivere una vita semplice, lontana dai rituali dello star system, fecero intuire a Selznick gli elementi su cui basare la campagna promozionale per lanciare la sua carriera. «La star che non vive da star», con questo slogan Bergman traccia un moderno modello di celebrità femminile, basato sulla completa dedizione al proprio mestiere e alla ricerca di un’indipendenza totale. “Prestata” dal suo produttore alle più grandi major del periodo – MGM, Columbia, Warner Bros, Paramount – fu protagonista di solidi melodrammi – Rage in Heaven (Follia, 1941), Adam Had Four Sons (La famiglia Stoddard, 1941) – trasposizione letterarie – Dr. Jekyll and Mr. Hyde (Il Dottor Jekyll e Mister Hyde, 1941) – e grandi classici – Casablanca (1942) – arrivando, nel 1944, alla vittoria dell’Oscar come miglior attrice protagonista per Gaslight (Angoscia).
Nel 1945 avvenne con Spellbound (Io ti salverò) la prima, grande, collaborazione tra Ingrid e Alfred Hitchcock, cineasta dalla personalissima visione, che giocherà un ruolo fondamentale nella sua carriera. Il film inaugura uno dei più importanti sodalizi della storia del cinema, regista e interprete gireranno insieme altri due capolavori: Notorious (Notorious - L’amante perduta, 1946) e Under Capricorn (Il peccato di Lady Considine, 1949). Notorious si contraddistingue come uno dei risultati più alti del periodo hollywoodiano di Bergman e a oggi va annoverato tra quei ruoli che l’hanno scolpita nella memoria collettiva. Condividendo una eguale abnegazione al lavoro, tra musa e cineasta nacque un profondo legame di amicizia – nel tempo libero l’attrice frequentava assiduamente casa del regista – tanto che Hitchcock, in un’intervista a Gian Luigi Rondi, affermerà: «Ingrid quando arriva sul set, sa già tutto sul suo personaggio, se l’è già scritto, recitato, messo in scena. Come se a dirigersi fosse lei stessa!».
L’accordo di sette anni con Selznick giunse al termine e l’attrice, decisa a non rinnovare il contratto, divenne, fatto rarissimo per il periodo, un’indipendente. Padrona di se stessa si recò in tournée teatrale per interpretare la protagonista di Joan of Lorraine (Giovanna di Lorena), dramma che riscontrò un enorme successo e le regalò svariati premi da parte della critica. Tornata a Hollywood, durante la lavorazione dei film Arch of Triumph (Arco di trionfo, 1948) e Joan of Arc (Giovanna d’Arco, 1948) assistette alla proiezione di Roma città aperta (1945), lungometraggio diretto da Roberto Rossellini. Rimasta profondamente colpita dalla visione della pellicola, e dopo aver ammirato anche il successivo Paisà (1946), decise di scrivere al cineasta proponendogli di collaborare. «Caro Signor Rossellini, ho visto i suoi film Roma città aperta e Paisà e li ho amati. Se ha bisogno di un’attrice svedese che parla l’inglese molto bene, non ha dimenticato il tedesco, si fa capire in francese e in italiano sa dire solo ti amo, sono pronta a venire a lavorare con lei». Queste parole giunsero tramite lettera in Europa, dove Rossellini si disse entusiasta di lavorare insieme alla diva. Così la Bergman, con la scusa di trovarsi in Inghilterra per le riprese di Under Capricorn, ultima opera girata con Hitchcock negli Elstree Studios di Londra, raggiunse Rossellini a Parigi dove insieme gettarono le basi di Stromboli - Terra di Dio (1950).
«Hollywood cominciava ad annoiarmi, più lavoravo lì e più sentivo il bisogno di fare qualcosa di diverso, qualcosa di sorprendente. Sentivo che c’era un altro modo di fare cinema». Fedele alle sue parole, l’attrice arrivò a Roma il 20 marzo 1949 sotto gli occhi di una folla definita dalle cronache dell’epoca come “immensa e adorante”. La lavorazione di Stromboli fu dura ma tremendamente emozionante. L’attrice, abituata a produzioni che potevano disporre di enormi capitali, in cui tutto era organizzato fino al più piccolo dettaglio, si trovò a lavorare in condizioni completamente diverse. A proposito della sua prima, destabilizzante esperienza sui set neorealisti, raccontò: «Mentre andavamo a Stromboli, Roberto si fermò in spiaggia a Salerno esclamando: “rimani seduta in macchina, vado a prenderti un co-protagonista”. Così scese dall’auto, si mise a osservare i pescatori e non riuscendo a scegliere tra due giovani li prese entrambi. Tornò dicendomi che avremmo dovuto studiarli e decidere chi sarebbe stato il mio partner maschile nel film». Così, nella calma dell’isola, lontano dai reporter e accompagnati solo da una piccola troupe, Bergman e Rossellini divennero amanti e concepirono il loro primogenito. Kay Brown, che dopo Selznick era divenuta addetta al controllo produzione della RKO – major che avrebbe distribuito la pellicola negli Stati Uniti – venne spedita a Stromboli per tentare di mantenere il controllo della situazione. Gli sforzi di Brown risultarono però vani e lo scandalo che li travolse fu senza precedenti, tanto da rappresentare uno dei più grandi accanimenti mediatici del dopoguerra. L’attrice fu immediatamente allontanata da Hollywood e il primo Novembre del 1950 venne sancito il suo divorzio da Lindstrom, appena pochi mesi dopo la nascita del figlio Roberto.
Lontana dall’America e dalla sua vecchia vita mise al mondo, nel 1952, le gemelle Isabella e Ingrid. Per Roberto Rossellini, che nel frattempo era diventato suo marito, reciterà in altri cinque film. Queste autentiche gemme del cinema italiano anticiparono, con le loro tematiche, quella crisi esistenziale di cui, poco dopo, Michelangelo Antonioni si farà narratore. Stromboli (1950), Europa 51 (1952), l’episodio in Siamo donne (1953), Viaggio in Italia (1954), Giovanna d’Arco al rogo (1954) e La paura (1954) vanno a comporre un’indagine sul femminile in cui l’espressione psicologica delle protagoniste – tutte interpretate da Bergman – abbandona la parola per trovare, nei gesti e nei volti, la sua dimensione più comunicativa. Per le caratterizzazioni di queste eroine tormentate Ingrid sembrò ricordarsi della famosa regola, suggeritagli da Hitchcock, secondo cui «l’emozione passa dagli occhi per arrivare alla bocca».
Col tempo il rapporto con il coniuge cominciò a deteriorarsi. Leggenda vuole che l’attrice rifiutò, a causa della gelosia di Rossellini che pretendeva una totale fiducia lavorativa, il ruolo della contessa Serpieri in Senso (1954), di Luchino Visconti. Stanca dell’Italia e ormai separata in casa, partì per la Francia, dove realizzò Eléna et les hommes (Eliana e gli uomini, 1956), una brillante satira in costume pensata appositamente per lei dal grande Jean Renoir. L’esperienza francese le fece tornare la voglia di rilanciarsi su binari internazionali. Grazie ai buoni uffici di Kay Brown, in un certo senso sua protettrice, accettò la proposta, da parte di un grande studio americano, di girare Anastasia (1956), imponente produzione che si sarebbe realizzata in Inghilterra. Il lungometraggio sancì il ritorno di Ingrid Bergman nel cinema a stelle e strisce e le regalò, mentre si trovava a teatro a Parigi per recitare nella commedia Tè e simpatia, il suo secondo Oscar. Dopo l’annullamento del matrimonio con Rossellini e la successiva unione con l’impresario teatrale Lars Schmidt – avvenuta nel 1958 – decise di aumentare l’attività sul palcoscenico, recitando per la televisione e continuando a prediligere produzioni cinematografiche americane girate all’estero. Le successive partecipazioni in Indiscreet (Indiscreto, 1958), The Inn of the Sixth Happines (La locanda della sesta felicità, 1958), Goodbye Again (Le piace Brahms?, 1961), The Visit (La vendetta della signora, 1964) e Cactus Flower (Fiore di cactus, 1969), culminarono con la vittoria del suo terzo Oscar – questa volta come miglior attrice non protagonista – per Murder on the Orient Express (Assassinio sull’Orient Express, 1974).
Nell’ultima fase della sua carriera Ingrid tornerà nella natia Svezia per altre due volte. La prima, un episodio del film corale Stimulantia (1967) , fu un ritorno alla memoria, un’occasione per farsi nuovamente dirigere dal suo “scopritore” Gustav Molander, mentre la seconda – avvenuta con Höstsonaten (Sinfonia d’autunno, 1978) per la regia di Ingmar Bergman – le permise di regalare una delle sue migliori e più complesse performance. Malata di tumore, diede un’intensa prova finale nel biopic televisivo A Woman Called Golda (Una donna di nome Golda, 1982) prima di spirare a Londra il 29 agosto del 1982, giorno del suo compleanno. In un’intervista a Oriana Fallaci disse: «Niente vale la libertà, neppure la gioventù». Musa, peccatrice, angelo nordico dagli occhi malinconici, Ingrid Bergman lasciò in punta di piedi una vita vissuta senza compromessi.