INT-62
22.03.2024
Durante la 74a edizione del Festival del cinema di Berlino, abbiamo avuto il grande onore di incontrare il regista Philippe Lesage, che con il suo ultimo film, Comme Le Feu (Who By Fire), si è aggiudicato il premio della categoria Generation 14plus. Il nuovo lungometraggio di Lesage è un lavoro che si pone lo scopo di parlare direttamente alle nuove generazioni. Non a caso la trama ruota attorno a Jeff, un ragazzo di 17 anni che viene invitato dal suo amico Max ad unirsi a lui e alla sua famiglia in un viaggio verso l’isolata residenza tra i boschi del celebre regista Blake Cadieux. Nel corso del suo film il cineasta candese non ci fa solo esplorare la natura selvaggia e incontaminata che circonda la casa, ma ci immerge nei rapporti umani, e conflittuali, tra i personaggi.
Philippe Lesage si è presentato al nostro incontro sorridente, tenendo tra le mani del tè caldo, perfetto sia per una lunga mattinata di interviste che per combattere il freddo berlinese. Dopo i saluti iniziali, diamo inizio alla conversazione con la più classica delle domande.
Com’è nata l’idea del film?
Ho un fratello maggiore a cui sono molto legato, anche lui è un film-maker, fa documentari, eravamo ad una festa e ci stavamo annoiando (il regista sorride nel ricordarlo ndr.) così abbiamo iniziato a chiacchierare, eravamo come in una bolla. Gli ho chiesto di raccontarmi alcune sue esperienze, volevo creare un memoir perché, quando era adolescente, fu invitato a vivere per una settimana in una baita nel bosco in compagnia di un celebre regista.
Interessante.
Fu questo il punto di partenza. Mi piaceva l’idea, e nella mia immaginazione trovavo che i boschi fossero un luogo davvero affascinate dove ambientare una storia. Poi, ovviamente, quello che succede nel film è completamente diverso da quello che è successo a mio fratello, ma ci sono alcuni elementi che ho ripreso dalla sua storia. Per me è stata anche un’opportunità perché, come ben sai, nei miei precedenti film affronto la disillusione giovanile e l’assenza degli adulti che, in questo caso, ho reputato interessanti da mettere in primo piano.
A proposito di questo aspetto, come ha appena ricordato nei suoi precedenti lavori lei si concentra molto sulla descrizione dell’universo giovanile, mentre in questo caso, parlando di relazioni, mostra maggiormente l’amicizia tra Albert e Blake, che sono due adulti, mentre non si sofferma affatto sul rapporto tra i giovani Max e Jeff, che quasi non vengono percepiti come amici. Mentre guardando Albert e Blake, notiamo il loro forte legame, soprattutto all’inizio, quando si rivedono dopo tanto e scherzano, salvo poi far emergere, nel corso del film, qualcosa di non detto.
Ci sono problemi irrisolti
Esatto, problemi irrisolti! Infatti è questo che volevo chiederle, se può dirci di più sull’amicizia tra Blake e Albert.
Si certo! (sorride ndr.) Beh, prima di tutto va ricordato che il loro rapporto è osservato attraverso gli occhi degli altri, quindi si, la loro relazione si presenta come conflittuale, ma c’è molto di più. Lo sai, spesso gli adulti possono perdere la lucidità a causa del proprio orgoglio, inoltre, molto spesso, l’ego si mette di mezzo e diventa difficile comprendersi a vicenda. Inoltre, la baita mi sembrava un ottimo set per mettere in scena questa mascolinità, che sfocia spesso nel bullismo. In fondo all’interno del bosco li vediamo che cacciano, pescano, come se cercassero una preda. Ecco, possiamo dire che c’è proprio una sorta di caccia alla preda tra loro, i due personaggi mostrano il lato oscuro dell’umanità.
Infatti trovo davvero interessante il loro rapporto. All’inizio sembrano quasi una vecchia coppia sposata, per il loro modo di scherzare.
Sì, esattamente.
Ma dopo vediamo che c’è qualcosa tra di loro, diventano molto competitivi.
Assolutamente!
Fanno continuamente a gara, è davvero affascinante vedere il cambiamento all’interno della loro relazione nel corso della vacanza. Inoltre, ho trovato molto interessanti le scene ambientate durante le cene, perché lei mette la camera all’altezza del tavolo, creando la sensazione di essere lì con i personaggi.
Si, è come se lo spettatore fosse uno dei commensali, esatto.
Viviamo a pieno le discussioni e i sentimenti che queste scaturiscono. Per tanto volevo chiederle: è stato difficile girare queste sequenze?
Beh, queste scene sono davvero importanti per la prima parte del film, sono come dei tasselli essenziali per la storia. E si, sono state abbastanza difficili, erano due giorni di ripresa per una cena, quindi, sostanzialmente, due giorni per girare una sola scena. E c’era una sorta di mix tra quello che volevo e la spontaneità e autenticità che la scena richiedeva, quindi ho lasciato molta libertà agli attori. Era tutto controllato, c’era una struttura della scena da seguire, ma allo stesso tempo ho dato spazio alla creatività degli interpreti nell’agire come volevano, non sono particolarmente geloso della sceneggiatura, ci sono cose che vanno fatte in un modo mentre altre si possono improvvisare. È stato fantastico girare queste scene e meraviglioso vedere come gli attori si comportavano ricreando le sensazioni che si provano a una qualsiasi cena tra amici. Sai, spesso nei film le cene sono molto costruite: nessun personaggio interrompe mai l’altro, le persone non si parlano sopra, c’è una sola conversazione alla volta e bla, bla, bla (il regista ride ndr.). Nella realtà, a una cena, se vuoi parlare lo fai anche in contemporanea ad altre persone, e spesso ci si interrompe a vicenda.
Esatto! Come si vede nella seconda cena.
Sì
È stato come vedere un documentario, non sembrava di assistere a una scena di finzione, ma a una reale cena tra amici, inoltre vorrei dire che effettivamente ho degli amici come Albert e Blake.
Quindi puoi immedesimarti.
Sì, in quei momenti ho pensato “ è praticamente come una mia qualsiasi cena con gli amici”, ed è stato incredibile (il regista sorride a questo commento ndr.). Volevo farle una domanda su Jeff, che è praticamente il protagonista del film.
Si
Non so se è la domanda giusta, ma quando Jeff si perde nel bosco, possiamo considerare quella scena come una metafora della sua confusione interiore, soprattutto in quel momento specifico? Pensandoci lui è da solo con degli sconosciuti in mezzo al nulla.
Beh, sì, la natura è fondamentale. Non volevo fare qualcosa di chiuso, come se il film fosse una pièce teatrale, quindi tutto il set (parlando del bosco circostante ndr.) è importante. Quando Jeff lascia la casa è totalmente perso nel nulla, in un posto che non conosce. Viene sopraffatto da emozioni che non comprende, anche se noi sappiamo ché si vergogna di sé per quello che ha fatto. Essendo un giovane uomo è immaturo, ma lì capisce che non si è solo perso fisicamente, ma anche esistenzialmente. Per me era importante mostrare come gli argomenti trattati nei molti dialoghi non avessero più nessuna importanza davanti all’assoluta bellezza della natura. Nei miei lavori mi piace mostrare le persone quando non parlano e sono sole a confrontarsi con qualcosa. Perché uno degli aspetti che apprezzo maggiormente nei film è quando viene mostrata l’interiorità dei personaggi, essi non possono solamente reagire a qualcosa che avviene, ma nel silenzio devono scoprire qualcosa di se stessi.
Infatti volevo proprio chiederle qualcosa a proposito dei silenzi. Ho trovato molto suggestivo quando i protagonisti sono fuori nella foresta e Jeff ha come una sorta di impulso a voler uccidere Blake, che è lontano da lui, miradolo col fucile da caccia, ma alla fine non spara. Blake se ne accorge, ma i due non litigano a parole, rimangono in silenzio, (il regista annuisce e sorride ndr.) ma percepiamo perfettamente la rabbia di Blake e la vergogna di Jeff, anche senza un dialogo o un confronto verbale.
Si, Blake è furioso perché si accorge di essere stato “puntato” dal ragazzo.
E questo è un momento incredibile se lo mettiamo a confronto con le scene in casa dove ci sono molti dialoghi… (mi confondo sulla parola dialogs e mi scuso di parlare un pessimo inglese la mattina presto ndr.).
Tranquilla ti capisco, anche per me l’inglese non è la mia prima lingua (ridiamo entrambi per il disguido linguistico ndr.).
Tornando al film, i personaggi parlano molto in casa, mentre fuori si percepisce completamente la natura e il silenzio
Il silenzio! Esatto!
Si capisce molto di più dei personaggi quando sono fuori casa, perché le persone possono mentire quando parlano, ma nella natura, in mezzo al silenzio, vediamo le loro vere emozioni attraverso l’espressività e il linguaggio del corpo.
Esatto.
Credo che siamo giunti alla fine e lei ha praticamente risposto a tutte le domande che avevo in mente, anche anticipandole a volte.
(ridendo ndr.) Ottimo, ma penso che abbiamo ancora tempo per un'ultima domanda se vuoi.
L’ultima cosa che volevo chiederle, riguarda il finale: perché ha deciso di non terminare Comme Le Feu quando Blake e Jeff sono alla clinica veterinaria, ma ha scelto di chiudere la storia con loro in macchina che vanno via mentre Aliocha (la protagonista femminile ndr.) recita una poesia?
Questa è una buona domanda perché in una delle prime versioni della sceneggiatura il film finiva quando Blake crolla perché perde il suo cane. Il fatto è che più guardavo quello che accadeva negli ultimi venti minuti del film, più mi rendevo conto che c’era uno switch su chi fosse il protagonista della storia. Ed è tutto in quell’ultima ripresa. Aliocha diventa la protagonista del film. Si libera dallo sguardo degli uomini che l’avevano resa oggetto, soprattutto Blake e Jeff. Prima trova rifugio nella natura, e poi nella lettura e nella scrittura, prende in mano la situazione e capisce di essere viva. Aliocha è un personaggio che mi ha ispirato: è speranzosa, commovente e rappresenta il meglio del futuro, alla fine riesce a rimanere intatta. Quindi sì, inizialmente volevo finire con Blake e Jeff, ma Aliocha mi ha coinvolto ed emozionato di più. E quindi per me è stato importante che lei diventasse il vero soggetto del film, mutando dal ruolo di oggetto, e diventando una persona. La poesia finale di Emily Dickinson spiega proprio questo: il rifiuto di essere rinchiusi dagli altri in una categoria. È una bellissima poesia, con diversi significati, ma quello che io ci ho visto è “non puoi zittirmi” “non puoi mettermi in una categoria e chiudermi in un cassetto”. Quindi sì, negli ultimi venti minuti c’è un presa di coscienza sia da parte di Aliocha, che da parte di me stesso, perché la struttura è un po’ vaga, e alcuni potrebbero pensare che sia come una sorta di sogno, ma lei rappresenta la speranza per me.
INT-62
22.03.2024
Durante la 74a edizione del Festival del cinema di Berlino, abbiamo avuto il grande onore di incontrare il regista Philippe Lesage, che con il suo ultimo film, Comme Le Feu (Who By Fire), si è aggiudicato il premio della categoria Generation 14plus. Il nuovo lungometraggio di Lesage è un lavoro che si pone lo scopo di parlare direttamente alle nuove generazioni. Non a caso la trama ruota attorno a Jeff, un ragazzo di 17 anni che viene invitato dal suo amico Max ad unirsi a lui e alla sua famiglia in un viaggio verso l’isolata residenza tra i boschi del celebre regista Blake Cadieux. Nel corso del suo film il cineasta candese non ci fa solo esplorare la natura selvaggia e incontaminata che circonda la casa, ma ci immerge nei rapporti umani, e conflittuali, tra i personaggi.
Philippe Lesage si è presentato al nostro incontro sorridente, tenendo tra le mani del tè caldo, perfetto sia per una lunga mattinata di interviste che per combattere il freddo berlinese. Dopo i saluti iniziali, diamo inizio alla conversazione con la più classica delle domande.
Com’è nata l’idea del film?
Ho un fratello maggiore a cui sono molto legato, anche lui è un film-maker, fa documentari, eravamo ad una festa e ci stavamo annoiando (il regista sorride nel ricordarlo ndr.) così abbiamo iniziato a chiacchierare, eravamo come in una bolla. Gli ho chiesto di raccontarmi alcune sue esperienze, volevo creare un memoir perché, quando era adolescente, fu invitato a vivere per una settimana in una baita nel bosco in compagnia di un celebre regista.
Interessante.
Fu questo il punto di partenza. Mi piaceva l’idea, e nella mia immaginazione trovavo che i boschi fossero un luogo davvero affascinate dove ambientare una storia. Poi, ovviamente, quello che succede nel film è completamente diverso da quello che è successo a mio fratello, ma ci sono alcuni elementi che ho ripreso dalla sua storia. Per me è stata anche un’opportunità perché, come ben sai, nei miei precedenti film affronto la disillusione giovanile e l’assenza degli adulti che, in questo caso, ho reputato interessanti da mettere in primo piano.
A proposito di questo aspetto, come ha appena ricordato nei suoi precedenti lavori lei si concentra molto sulla descrizione dell’universo giovanile, mentre in questo caso, parlando di relazioni, mostra maggiormente l’amicizia tra Albert e Blake, che sono due adulti, mentre non si sofferma affatto sul rapporto tra i giovani Max e Jeff, che quasi non vengono percepiti come amici. Mentre guardando Albert e Blake, notiamo il loro forte legame, soprattutto all’inizio, quando si rivedono dopo tanto e scherzano, salvo poi far emergere, nel corso del film, qualcosa di non detto.
Ci sono problemi irrisolti
Esatto, problemi irrisolti! Infatti è questo che volevo chiederle, se può dirci di più sull’amicizia tra Blake e Albert.
Si certo! (sorride ndr.) Beh, prima di tutto va ricordato che il loro rapporto è osservato attraverso gli occhi degli altri, quindi si, la loro relazione si presenta come conflittuale, ma c’è molto di più. Lo sai, spesso gli adulti possono perdere la lucidità a causa del proprio orgoglio, inoltre, molto spesso, l’ego si mette di mezzo e diventa difficile comprendersi a vicenda. Inoltre, la baita mi sembrava un ottimo set per mettere in scena questa mascolinità, che sfocia spesso nel bullismo. In fondo all’interno del bosco li vediamo che cacciano, pescano, come se cercassero una preda. Ecco, possiamo dire che c’è proprio una sorta di caccia alla preda tra loro, i due personaggi mostrano il lato oscuro dell’umanità.
Infatti trovo davvero interessante il loro rapporto. All’inizio sembrano quasi una vecchia coppia sposata, per il loro modo di scherzare.
Sì, esattamente.
Ma dopo vediamo che c’è qualcosa tra di loro, diventano molto competitivi.
Assolutamente!
Fanno continuamente a gara, è davvero affascinante vedere il cambiamento all’interno della loro relazione nel corso della vacanza. Inoltre, ho trovato molto interessanti le scene ambientate durante le cene, perché lei mette la camera all’altezza del tavolo, creando la sensazione di essere lì con i personaggi.
Si, è come se lo spettatore fosse uno dei commensali, esatto.
Viviamo a pieno le discussioni e i sentimenti che queste scaturiscono. Per tanto volevo chiederle: è stato difficile girare queste sequenze?
Beh, queste scene sono davvero importanti per la prima parte del film, sono come dei tasselli essenziali per la storia. E si, sono state abbastanza difficili, erano due giorni di ripresa per una cena, quindi, sostanzialmente, due giorni per girare una sola scena. E c’era una sorta di mix tra quello che volevo e la spontaneità e autenticità che la scena richiedeva, quindi ho lasciato molta libertà agli attori. Era tutto controllato, c’era una struttura della scena da seguire, ma allo stesso tempo ho dato spazio alla creatività degli interpreti nell’agire come volevano, non sono particolarmente geloso della sceneggiatura, ci sono cose che vanno fatte in un modo mentre altre si possono improvvisare. È stato fantastico girare queste scene e meraviglioso vedere come gli attori si comportavano ricreando le sensazioni che si provano a una qualsiasi cena tra amici. Sai, spesso nei film le cene sono molto costruite: nessun personaggio interrompe mai l’altro, le persone non si parlano sopra, c’è una sola conversazione alla volta e bla, bla, bla (il regista ride ndr.). Nella realtà, a una cena, se vuoi parlare lo fai anche in contemporanea ad altre persone, e spesso ci si interrompe a vicenda.
Esatto! Come si vede nella seconda cena.
Sì
È stato come vedere un documentario, non sembrava di assistere a una scena di finzione, ma a una reale cena tra amici, inoltre vorrei dire che effettivamente ho degli amici come Albert e Blake.
Quindi puoi immedesimarti.
Sì, in quei momenti ho pensato “ è praticamente come una mia qualsiasi cena con gli amici”, ed è stato incredibile (il regista sorride a questo commento ndr.). Volevo farle una domanda su Jeff, che è praticamente il protagonista del film.
Si
Non so se è la domanda giusta, ma quando Jeff si perde nel bosco, possiamo considerare quella scena come una metafora della sua confusione interiore, soprattutto in quel momento specifico? Pensandoci lui è da solo con degli sconosciuti in mezzo al nulla.
Beh, sì, la natura è fondamentale. Non volevo fare qualcosa di chiuso, come se il film fosse una pièce teatrale, quindi tutto il set (parlando del bosco circostante ndr.) è importante. Quando Jeff lascia la casa è totalmente perso nel nulla, in un posto che non conosce. Viene sopraffatto da emozioni che non comprende, anche se noi sappiamo ché si vergogna di sé per quello che ha fatto. Essendo un giovane uomo è immaturo, ma lì capisce che non si è solo perso fisicamente, ma anche esistenzialmente. Per me era importante mostrare come gli argomenti trattati nei molti dialoghi non avessero più nessuna importanza davanti all’assoluta bellezza della natura. Nei miei lavori mi piace mostrare le persone quando non parlano e sono sole a confrontarsi con qualcosa. Perché uno degli aspetti che apprezzo maggiormente nei film è quando viene mostrata l’interiorità dei personaggi, essi non possono solamente reagire a qualcosa che avviene, ma nel silenzio devono scoprire qualcosa di se stessi.
Infatti volevo proprio chiederle qualcosa a proposito dei silenzi. Ho trovato molto suggestivo quando i protagonisti sono fuori nella foresta e Jeff ha come una sorta di impulso a voler uccidere Blake, che è lontano da lui, miradolo col fucile da caccia, ma alla fine non spara. Blake se ne accorge, ma i due non litigano a parole, rimangono in silenzio, (il regista annuisce e sorride ndr.) ma percepiamo perfettamente la rabbia di Blake e la vergogna di Jeff, anche senza un dialogo o un confronto verbale.
Si, Blake è furioso perché si accorge di essere stato “puntato” dal ragazzo.
E questo è un momento incredibile se lo mettiamo a confronto con le scene in casa dove ci sono molti dialoghi… (mi confondo sulla parola dialogs e mi scuso di parlare un pessimo inglese la mattina presto ndr.).
Tranquilla ti capisco, anche per me l’inglese non è la mia prima lingua (ridiamo entrambi per il disguido linguistico ndr.).
Tornando al film, i personaggi parlano molto in casa, mentre fuori si percepisce completamente la natura e il silenzio
Il silenzio! Esatto!
Si capisce molto di più dei personaggi quando sono fuori casa, perché le persone possono mentire quando parlano, ma nella natura, in mezzo al silenzio, vediamo le loro vere emozioni attraverso l’espressività e il linguaggio del corpo.
Esatto.
Credo che siamo giunti alla fine e lei ha praticamente risposto a tutte le domande che avevo in mente, anche anticipandole a volte.
(ridendo ndr.) Ottimo, ma penso che abbiamo ancora tempo per un'ultima domanda se vuoi.
L’ultima cosa che volevo chiederle, riguarda il finale: perché ha deciso di non terminare Comme Le Feu quando Blake e Jeff sono alla clinica veterinaria, ma ha scelto di chiudere la storia con loro in macchina che vanno via mentre Aliocha (la protagonista femminile ndr.) recita una poesia?
Questa è una buona domanda perché in una delle prime versioni della sceneggiatura il film finiva quando Blake crolla perché perde il suo cane. Il fatto è che più guardavo quello che accadeva negli ultimi venti minuti del film, più mi rendevo conto che c’era uno switch su chi fosse il protagonista della storia. Ed è tutto in quell’ultima ripresa. Aliocha diventa la protagonista del film. Si libera dallo sguardo degli uomini che l’avevano resa oggetto, soprattutto Blake e Jeff. Prima trova rifugio nella natura, e poi nella lettura e nella scrittura, prende in mano la situazione e capisce di essere viva. Aliocha è un personaggio che mi ha ispirato: è speranzosa, commovente e rappresenta il meglio del futuro, alla fine riesce a rimanere intatta. Quindi sì, inizialmente volevo finire con Blake e Jeff, ma Aliocha mi ha coinvolto ed emozionato di più. E quindi per me è stato importante che lei diventasse il vero soggetto del film, mutando dal ruolo di oggetto, e diventando una persona. La poesia finale di Emily Dickinson spiega proprio questo: il rifiuto di essere rinchiusi dagli altri in una categoria. È una bellissima poesia, con diversi significati, ma quello che io ci ho visto è “non puoi zittirmi” “non puoi mettermi in una categoria e chiudermi in un cassetto”. Quindi sì, negli ultimi venti minuti c’è un presa di coscienza sia da parte di Aliocha, che da parte di me stesso, perché la struttura è un po’ vaga, e alcuni potrebbero pensare che sia come una sorta di sogno, ma lei rappresenta la speranza per me.