L’esplorazione delle diverse forme e fasi della crescita
dei suoi personaggi femminili,
di Martina Barone
TR-15
04.12.2020
Quando si pensa al cinema del femminile, il nome di Sofia Coppola è uno dei primi che saltano alla mente. Non cinema al femminile, ma del femminile. Un’importanza fondamentale da cui dipende l’intero significato di una filmografia che ha reso la cineasta americana un’artista riconosciuta e acclamata a livello internazionale, e la cui natura di regista e sceneggiatrice è andata via via esprimendosi attraverso l’esplorazione delle diverse forme e fasi della crescita dei suoi personaggi femminili. Un’estetica della raffinatezza che la Coppola ha saputo applicare ogni volta ai contesti umorali e sociali d’appartenenza dei suoi protagonisti, un’indagine di quell’essere donna non, semplicemente, come fatto assoluto, ma nello specifico delle situazioni in cui sono state coinvolte le sue - a volte anche tragiche - eroine.
La Maria Antonietta di Kirsten Dunst, nel gioiellino d’eleganza pop di Marie Antoinette, non solo manifestava la possibilità di riportare in vita personaggi storici al ritmo di rock, in una delle cornici scenografiche più lussureggianti mai concepite, ma indagava il peso di una corona che gravava sulle esperienze e sull’immaturità di un’adolescente fattasi regina. Ne Il giardino delle vergini suicide è l’impreparata terra del Michigan a non capire la sensibilità delle protagoniste-sorelle legate insieme da questo filo comune.
Sofia Coppola ha poi proseguito la sua ricerca inserendo la solitaria Scarlett Johansson nella frenetica Tokyo di Lost in Translation, isolandola in una torre d’avorio fatta di rimpianti e di un’incomunicabilità che porta all’esclusione di qualsiasi tipo di relazione. Una femminilità delicata, ma sostanzialmente inespressa, che se in Bling Ring cerca di esplicarsi attraverso il furto e l’emulazione del mito hollywoodiano, ne L’inganno si traspone in ribellione sopita. Una forma di sovversione che è solo uno dei mille spettri dell’essere donna che Sofia Coppola ha rappresentato cinematograficamente, segnando le tappe di un percorso esistenziale e artistico che l’ha condotta ai suoi quasi cinquant’anni a otto film scritti, prodotti e diretti.
On the Rocks, l’ultima fatica della Coppola, disponibile sulla piattaforma AppleTv, è un ulteriore passo avanti nella filmografia di una cineasta che non smette di ricercare una sincerità che da sempre contraddistingue la sua poetica.
Laura, il personaggio interpretato da Rashida Jones, è una scrittrice dalla vena intellettuale con un matrimonio felice alle spalle e due meravigliose bambine da accudire. Una donna arrivata a più di quarant’anni che, nella quotidianità di una relazione consolidata e di una routine derivata dalle proprie scelte, vede sfiorire una parte di sé che crede riflessa nel possibile tradimento da parte del proprio marito, sempre in viaggio e impegnato con il lavoro. Un rapporto di fiducia che comincia a sfaldarsi lì dove è la fiducia stessa che viene a mancare, sostituita dai primi cedimenti e da quelle insignificanti rughe che, però, possono rappresentare un segnale di cambiamento.
Senza perdersi in derive psicanalitiche sulla condizione della femminilità al picco dei quarant’anni, senza giustificare o alleviare la trasformazione che attraversano anima e corpo, Sofia Coppola normalizza quello che, solitamente, viene descritto come il rituale tragico della donna dalla generosità del proprio aspetto all’apparente - ma ormai sdoganato - decadimento fisico. On the Rocks pone semplicemente le domande con cui è lecito confrontarsi in quello specifico momento della vita.. Si può essere ancora attraenti dopo i quarant’anni? Si perde realmente una parte di sé con l’arrivo dei figli? E l’uomo che si ha accanto deve necessariamente trovare in un’amante più giovane la fuga dal matrimonio?
E se il primo uomo a cui ogni donna si rifà è il proprio padre, anche la Rashida Jones di On the Rocks dovrà confrontarsi con le teorie e i consigli del genitore Bill Murray. Figura ricorrente nella cinematografia della Coppola, padre che vede in Francis Ford Coppola un pezzo del rapporto figlia-regista e padre-mito nella filmografia dell’artista, quello tra la Jones e Murray non è solo il binomio familiare concretizzatosi nell’intercorrere di gioie e dolori dei personaggi, bensì lo scontro di due identità ben più grandi e universali: le trasformazioni delle relazioni tra uomini e donne oramai radicate nella contemporaneità.
Il genitore della protagonista sarà la spinta che convincerà il personaggio di Rashida Jones a dubitare radicalmente di sé e di quel marito all’improvviso assente e distratto. L’uomo sempre in ufficio, sempre al telefono, impegnato in cene e serate da passare con colleghi e clienti che rientra a tarda notte e sembra molto legato alla sua bellissima collega. Un uomo che, dopo uno dei suoi continui viaggi, tiene il beauty-case della collega proprio nella sua valigia perché la donna non aveva abbastanza spazio nella sua, portando la moglie ai primi concreti dubbi sulla possibile situazione di tradimento, avvalorata dalle parole e riflessioni del padre.
“È la natura di ogni uomo” afferma Bill Murray soffermandosi sulle rotondità posteriori di una graziosissima cameriera. Un’attrazione per il genere femminile che ha, nelle osservazioni del personaggio, radicato in sé il seme di quel machismo da leggere, in questo caso, non nella variante della violenza e della sopraffazione sull’altro sesso, ma nell’impossibilità e inconciliabilità di un comportamento maschile che escluda il tradimento. Un modo di vivere che trova le proprie conferme tanto nella delineazione del personaggio di Bill Murray, quanto nelle libertà passate di una figura maschile a cui veniva concessa la libertà di potersi comportare come un predatore legittimato a prendere ogni cosa desiderasse e a poterne usufruire senza pensare alle conseguenze.
Uomini come il padre di Bill Murray continuano a scivolare indisturbati su questa via, privandosi della minima riflessione sulla per troppo tempo invariata posizione dell’uomo nella società, dove gli era ed è stato permesso di espiare ogni colpa. Opportunità data solamente per legittimare un comportamento e un modo di fare i quali, per essere conformi alle regole e norme dell’uomo-normale, dovevano comprendere la mancanza di pudore nei confronti dell’altro sesso e l’occasione codificata e imprescindibile di poterne sfruttare e sminuire qualsiasi posizione, da madre a figlia, da lavoratrice a moglie. Atteggiamento di uno stato delle cose patriarcale da cui il genitore di On the Rocks arriva senza neanche accorgersi, troppo cristallizzato per sorbirsi i mutamenti generazionali e sociali di un mondo che ha saputo evolversi e andare avanti, superando quello step dell’uomo di casa fedifrago e manchevole, troppo ligio alla sua spinta animale piuttosto che conscio della possibilità di avere un rapporto paritario con l’altro sesso..
Un progresso che si unisce alla visione della figlia e allo scontro che scaturisce tra i due. Nella comunità di oggi, in cui il canone dell’età e dell’appetibilità della donna comincia finalmente ad essere privato di ogni stigmatizzazione, On the Rocks non si limita a inquadrare l’incertezza dei quarant’anni, tra l’accettazione di se stesse e il superamento dei paradigmi del deperimento e dello sconforto dell’esistenza femminile. On the Rocks è anche, se non soprattutto, il travalicamento dei paradigmi maschili, che non devono più rifarsi alla ricerca smodata di attenzioni, all’idea di doversi porre su un piedistallo su cui per troppo tempo gli uomini sono rimasti incollati.
Dialogando con la propria figlia, ormai moglie e madre e appartenente a un modello di vita e famigliare che si addice alla corrente progressista e evoluta dei tempi d’oggi, il padre vedrà sgretolarsi le sue convinzioni, figlie di una mascolinità ormai stantia e anacronistica: dovrà accettare la sconfitta non certo in quanto padre, bensì come membro di un modello maschile così retrogrado e irresponsabile da non poter più conciliarsi con le dinamiche di una società moderna. Una visione che rovescia lo spettro di attenzione di Sofia Coppola, che nell’apparente quadro di una donna e del suo cambiamento osserva con intelligenza la trasformazione di un’intera sovrastruttura individuale e relazionale che riguarda tanto i nuovi modelli maschili quanto quelli femminili.
Nella scena finale di On the Rocks si conclude magistralmente la staffetta che determina il passaggio definitivo dal maschio di ieri a quello di oggi. Così come, nel giorno del suo compleanno, la protagonista aveva ricevuto in dono dal padre il suo vecchio orologio, memorabilia di un tempo andato, in quella finale si vedrà offrire dal marito il medesimo dono, un pezzo di rara bellezza con la firma del prestigioso marchio Cartier. Portando al polso il regalo del padre la sera che riceverà l’orologio dal marito, quello scambio di oggetti, la sostituzione del cimelio paterno con quello appena ricevuto, segna il transito definitivo da un passato patriarcale sotto cui tante donne sono cresciute, sottostando alle convinzioni di padri e mariti, a un futuro diverso.
Accettando l’orologio dal marito, in un’inquadratura che lascia in campo solamente quel correlativo oggettivo che incarna la specificità del momento, la protagonista abbandona i timori e la figura maschile passata accogliendo questo “uomo nuovo”, non obbligato a tradire o a lasciarsi trasportare dall’immediatezza dei propri istinti. L’immagine di un uomo e una donna contemporanei, solidi, rispettosi l’uno nei confronti dell’altra con cui va chiudendosi On the Rocks, è quella di una società che si dirige verso una condizione paritaria, amando e sapendo amare.
L’esplorazione delle diverse
forme e fasi della crescita dei suoi
personaggi femminili,
di Martina Barone
TR-15
04.12.2020
Quando si pensa al cinema del femminile, il nome di Sofia Coppola è uno dei primi che saltano alla mente. Non cinema al femminile, ma del femminile. Un’importanza fondamentale da cui dipende l’intero significato di una filmografia che ha reso la cineasta americana un’artista riconosciuta e acclamata a livello internazionale, e la cui natura di regista e sceneggiatrice è andata via via esprimendosi attraverso l’esplorazione delle diverse forme e fasi della crescita dei suoi personaggi femminili. Un’estetica della raffinatezza che la Coppola ha saputo applicare ogni volta ai contesti umorali e sociali d’appartenenza dei suoi protagonisti, un’indagine di quell’essere donna non, semplicemente, come fatto assoluto, ma nello specifico delle situazioni in cui sono state coinvolte le sue - a volte anche tragiche - eroine.
La Maria Antonietta di Kirsten Dunst, nel gioiellino d’eleganza pop di Marie Antoinette, non solo manifestava la possibilità di riportare in vita personaggi storici al ritmo di rock, in una delle cornici scenografiche più lussureggianti mai concepite, ma indagava il peso di una corona che gravava sulle esperienze e sull’immaturità di un’adolescente fattasi regina. Ne Il giardino delle vergini suicide è l’impreparata terra del Michigan a non capire la sensibilità delle protagoniste-sorelle legate insieme da questo filo comune.
Sofia Coppola ha poi proseguito la sua ricerca inserendo la solitaria Scarlett Johansson nella frenetica Tokyo di Lost in Translation, isolandola in una torre d’avorio fatta di rimpianti e di un’incomunicabilità che porta all’esclusione di qualsiasi tipo di relazione. Una femminilità delicata, ma sostanzialmente inespressa, che se in Bling Ring cerca di esplicarsi attraverso il furto e l’emulazione del mito hollywoodiano, ne L’inganno si traspone in ribellione sopita. Una forma di sovversione che è solo uno dei mille spettri dell’essere donna che Sofia Coppola ha rappresentato cinematograficamente, segnando le tappe di un percorso esistenziale e artistico che l’ha condotta ai suoi quasi cinquant’anni a otto film scritti, prodotti e diretti.
On the Rocks, l’ultima fatica della Coppola, disponibile sulla piattaforma AppleTv, è un ulteriore passo avanti nella filmografia di una cineasta che non smette di ricercare una sincerità che da sempre contraddistingue la sua poetica.
Laura, il personaggio interpretato da Rashida Jones, è una scrittrice dalla vena intellettuale con un matrimonio felice alle spalle e due meravigliose bambine da accudire. Una donna arrivata a più di quarant’anni che, nella quotidianità di una relazione consolidata e di una routine derivata dalle proprie scelte, vede sfiorire una parte di sé che crede riflessa nel possibile tradimento da parte del proprio marito, sempre in viaggio e impegnato con il lavoro. Un rapporto di fiducia che comincia a sfaldarsi lì dove è la fiducia stessa che viene a mancare, sostituita dai primi cedimenti e da quelle insignificanti rughe che, però, possono rappresentare un segnale di cambiamento.
Senza perdersi in derive psicanalitiche sulla condizione della femminilità al picco dei quarant’anni, senza giustificare o alleviare la trasformazione che attraversano anima e corpo, Sofia Coppola normalizza quello che, solitamente, viene descritto come il rituale tragico della donna dalla generosità del proprio aspetto all’apparente - ma ormai sdoganato - decadimento fisico. On the Rocks pone semplicemente le domande con cui è lecito confrontarsi in quello specifico momento della vita.. Si può essere ancora attraenti dopo i quarant’anni? Si perde realmente una parte di sé con l’arrivo dei figli? E l’uomo che si ha accanto deve necessariamente trovare in un’amante più giovane la fuga dal matrimonio?
E se il primo uomo a cui ogni donna si rifà è il proprio padre, anche la Rashida Jones di On the Rocks dovrà confrontarsi con le teorie e i consigli del genitore Bill Murray. Figura ricorrente nella cinematografia della Coppola, padre che vede in Francis Ford Coppola un pezzo del rapporto figlia-regista e padre-mito nella filmografia dell’artista, quello tra la Jones e Murray non è solo il binomio familiare concretizzatosi nell’intercorrere di gioie e dolori dei personaggi, bensì lo scontro di due identità ben più grandi e universali: le trasformazioni delle relazioni tra uomini e donne oramai radicate nella contemporaneità.
Il genitore della protagonista sarà la spinta che convincerà il personaggio di Rashida Jones a dubitare radicalmente di sé e di quel marito all’improvviso assente e distratto. L’uomo sempre in ufficio, sempre al telefono, impegnato in cene e serate da passare con colleghi e clienti che rientra a tarda notte e sembra molto legato alla sua bellissima collega. Un uomo che, dopo uno dei suoi continui viaggi, tiene il beauty-case della collega proprio nella sua valigia perché la donna non aveva abbastanza spazio nella sua, portando la moglie ai primi concreti dubbi sulla possibile situazione di tradimento, avvalorata dalle parole e riflessioni del padre.
“È la natura di ogni uomo” afferma Bill Murray soffermandosi sulle rotondità posteriori di una graziosissima cameriera. Un’attrazione per il genere femminile che ha, nelle osservazioni del personaggio, radicato in sé il seme di quel machismo da leggere, in questo caso, non nella variante della violenza e della sopraffazione sull’altro sesso, ma nell’impossibilità e inconciliabilità di un comportamento maschile che escluda il tradimento. Un modo di vivere che trova le proprie conferme tanto nella delineazione del personaggio di Bill Murray, quanto nelle libertà passate di una figura maschile a cui veniva concessa la libertà di potersi comportare come un predatore legittimato a prendere ogni cosa desiderasse e a poterne usufruire senza pensare alle conseguenze.
Uomini come il padre di Bill Murray continuano a scivolare indisturbati su questa via, privandosi della minima riflessione sulla per troppo tempo invariata posizione dell’uomo nella società, dove gli era ed è stato permesso di espiare ogni colpa. Opportunità data solamente per legittimare un comportamento e un modo di fare i quali, per essere conformi alle regole e norme dell’uomo-normale, dovevano comprendere la mancanza di pudore nei confronti dell’altro sesso e l’occasione codificata e imprescindibile di poterne sfruttare e sminuire qualsiasi posizione, da madre a figlia, da lavoratrice a moglie. Atteggiamento di uno stato delle cose patriarcale da cui il genitore di On the Rocks arriva senza neanche accorgersi, troppo cristallizzato per sorbirsi i mutamenti generazionali e sociali di un mondo che ha saputo evolversi e andare avanti, superando quello step dell’uomo di casa fedifrago e manchevole, troppo ligio alla sua spinta animale piuttosto che conscio della possibilità di avere un rapporto paritario con l’altro sesso..
Un progresso che si unisce alla visione della figlia e allo scontro che scaturisce tra i due. Nella comunità di oggi, in cui il canone dell’età e dell’appetibilità della donna comincia finalmente ad essere privato di ogni stigmatizzazione, On the Rocks non si limita a inquadrare l’incertezza dei quarant’anni, tra l’accettazione di se stesse e il superamento dei paradigmi del deperimento e dello sconforto dell’esistenza femminile. On the Rocks è anche, se non soprattutto, il travalicamento dei paradigmi maschili, che non devono più rifarsi alla ricerca smodata di attenzioni, all’idea di doversi porre su un piedistallo su cui per troppo tempo gli uomini sono rimasti incollati.
Dialogando con la propria figlia, ormai moglie e madre e appartenente a un modello di vita e famigliare che si addice alla corrente progressista e evoluta dei tempi d’oggi, il padre vedrà sgretolarsi le sue convinzioni, figlie di una mascolinità ormai stantia e anacronistica: dovrà accettare la sconfitta non certo in quanto padre, bensì come membro di un modello maschile così retrogrado e irresponsabile da non poter più conciliarsi con le dinamiche di una società moderna. Una visione che rovescia lo spettro di attenzione di Sofia Coppola, che nell’apparente quadro di una donna e del suo cambiamento osserva con intelligenza la trasformazione di un’intera sovrastruttura individuale e relazionale che riguarda tanto i nuovi modelli maschili quanto quelli femminili.
Nella scena finale di On the Rocks si conclude magistralmente la staffetta che determina il passaggio definitivo dal maschio di ieri a quello di oggi. Così come, nel giorno del suo compleanno, la protagonista aveva ricevuto in dono dal padre il suo vecchio orologio, memorabilia di un tempo andato, in quella finale si vedrà offrire dal marito il medesimo dono, un pezzo di rara bellezza con la firma del prestigioso marchio Cartier. Portando al polso il regalo del padre la sera che riceverà l’orologio dal marito, quello scambio di oggetti, la sostituzione del cimelio paterno con quello appena ricevuto, segna il transito definitivo da un passato patriarcale sotto cui tante donne sono cresciute, sottostando alle convinzioni di padri e mariti, a un futuro diverso.
Accettando l’orologio dal marito, in un’inquadratura che lascia in campo solamente quel correlativo oggettivo che incarna la specificità del momento, la protagonista abbandona i timori e la figura maschile passata accogliendo questo “uomo nuovo”, non obbligato a tradire o a lasciarsi trasportare dall’immediatezza dei propri istinti. L’immagine di un uomo e una donna contemporanei, solidi, rispettosi l’uno nei confronti dell’altra con cui va chiudendosi On the Rocks, è quella di una società che si dirige verso una condizione paritaria, amando e sapendo amare.