NC-27
14.07.2020
Nel maggio del 2000, il regista Edward Yang viene premiato con la miglior regia alla 53ª edizione del Festival di Cannes per un film che diverrà, di lì a 20 anni, una delle pietre miliari del cinema Taiwanese ed internazionale: Yi Yi.
Il film, rilasciato a Taiwan non prima del 28 luglio 2017, per il decimo anniversario della morte del regista, è stato riconosciuto come uno dei migliori film del ventunesimo secolo da alcune delle più importanti classifiche: BCC, The New York Times e IndieWire.
Edward Yang è stato uno dei maggiori esponenti del New Taiwan Cinema insieme a Hou Hsiao-hsien, entrambi trasferitisi, ad appena tre anni, nel nuovo stato, dopo la guerra civile tra comunisti e nazionalisti. Questo nuovo cinema Taiwanese è stato un fenomeno prevalentemente urbano, con alcune eccezioni in ambienti rurali. Sarà infatti proprio la capitale Taipei la protagonista implicita dei film di questi autori: metaforicamente, un “niu rou mian” contenente le varie vicende dei personaggi. Yi Yi è sicuramente la più ricercata e raffinata fra queste pellicole: da That Day on the Beach, fino a Mahjong, il film si proclama non solo come l’apice della carriera di Yang, ma come un'epopea familiare al cui interno è possibile riscontrare le tematiche e i motivi presenti nei suoi film precedenti.
L’espressione Yi Yi, che dà il titolo al film, esprime una duplicità: letteralmente significa “uno a uno”, ma può significare anche “uno e due”. I personaggi, infatti, non solo ci vengono presentati nella loro quotidianità, ma anche nel loro stato emotivo e psicologico: hanno spesso nomi doppi, come i due figli del protagonista, Yang Yang e Ting Ting, o come la moglie, Min Min. L’individuo, in questo film e più in generale nelle opere di Yang, non viene mostrato da solo ma sempre in un contesto, circondato da una realtà che il regista non cerca di nascondere, ma di cui tende a cogliere anche i più piccoli anfratti e le più sottili sfumature. L'individuo e il gruppo: questa è la dualità del film, in cui si presenta una perfetta trasposizione del vivere umano tra vita e morte, tra velleità e rimpianti, tra attese e lento scorrere di eventi; Yi Yi è, infatti, un evidente omaggio al dramma familiare giapponese di Yasujirō Ozu, in cui non è da meno l’influenza da parte di Michelangelo Antonioni, che qui si esprime nella puntuale analisi del rapporto uomo-paesaggio.
I veri cambiamenti, quindi, hanno bisogno di un loro tempo e Yang lo sa bene, dal momento che non ha paura della lunghezza delle proprie pellicole (tra le tre e le quattro ore): non evita i momenti “morti” della vita, ma anzi ne fa assaporare completamente ogni aspetto.
Yi Yi, quindi, rappresenta il testamento artistico di Yang. Il regista non solo dichiara la propria idea di cinema, attraverso le parole dei due giovani protagonisti, ma ne evidenzia l’importanza per la vita umana, nel suo tentativo, esplicitato dalle foto e dalle parole del bambino Yang Yang, di mostrare ciò che che il campo visivo di ognuno di noi non riesce a cogliere, e che il cinema, prontamente, ci svela.
Infine, Yang, rimuginando sulle proprie scelte passate attraverso il personaggio del padre, Nj Jian (ingegnere elettronico come il regista e suo alter ego), si interroga sul senso della vita, sentendo su di sé la pressione dello scorrere del tempo, presagendo così la propria morte, che avverrà realmente 6 anni dopo, e consacrando Yi Yi come la propria opera conclusiva, non riuscendo ad ultimare l’ultimo progetto: un’animazione insieme all’attore Jackie Chan (di cui si possono trovare qui le bozze).
Di Yang ci rimane così questa articolata ricerca di storie apparentemente comuni, ma che racchiudono, al proprio interno, l’intera gamma di sofferenze e passioni che accomunano tutti gli esseri umani.
NC-27
14.07.2020
Nel maggio del 2000, il regista Edward Yang viene premiato con la miglior regia alla 53ª edizione del Festival di Cannes per un film che diverrà, di lì a 20 anni, una delle pietre miliari del cinema Taiwanese ed internazionale: Yi Yi.
Il film, rilasciato a Taiwan non prima del 28 luglio 2017, per il decimo anniversario della morte del regista, è stato riconosciuto come uno dei migliori film del ventunesimo secolo da alcune delle più importanti classifiche: BCC, The New York Times e IndieWire.
Edward Yang è stato uno dei maggiori esponenti del New Taiwan Cinema insieme a Hou Hsiao-hsien, entrambi trasferitisi, ad appena tre anni, nel nuovo stato, dopo la guerra civile tra comunisti e nazionalisti. Questo nuovo cinema Taiwanese è stato un fenomeno prevalentemente urbano, con alcune eccezioni in ambienti rurali. Sarà infatti proprio la capitale Taipei la protagonista implicita dei film di questi autori: metaforicamente, un “niu rou mian” contenente le varie vicende dei personaggi. Yi Yi è sicuramente la più ricercata e raffinata fra queste pellicole: da That Day on the Beach, fino a Mahjong, il film si proclama non solo come l’apice della carriera di Yang, ma come un'epopea familiare al cui interno è possibile riscontrare le tematiche e i motivi presenti nei suoi film precedenti.
L’espressione Yi Yi, che dà il titolo al film, esprime una duplicità: letteralmente significa “uno a uno”, ma può significare anche “uno e due”. I personaggi, infatti, non solo ci vengono presentati nella loro quotidianità, ma anche nel loro stato emotivo e psicologico: hanno spesso nomi doppi, come i due figli del protagonista, Yang Yang e Ting Ting, o come la moglie, Min Min. L’individuo, in questo film e più in generale nelle opere di Yang, non viene mostrato da solo ma sempre in un contesto, circondato da una realtà che il regista non cerca di nascondere, ma di cui tende a cogliere anche i più piccoli anfratti e le più sottili sfumature. L'individuo e il gruppo: questa è la dualità del film, in cui si presenta una perfetta trasposizione del vivere umano tra vita e morte, tra velleità e rimpianti, tra attese e lento scorrere di eventi; Yi Yi è, infatti, un evidente omaggio al dramma familiare giapponese di Yasujirō Ozu, in cui non è da meno l’influenza da parte di Michelangelo Antonioni, che qui si esprime nella puntuale analisi del rapporto uomo-paesaggio.
I veri cambiamenti, quindi, hanno bisogno di un loro tempo e Yang lo sa bene, dal momento che non ha paura della lunghezza delle proprie pellicole (tra le tre e le quattro ore): non evita i momenti “morti” della vita, ma anzi ne fa assaporare completamente ogni aspetto.
Yi Yi, quindi, rappresenta il testamento artistico di Yang. Il regista non solo dichiara la propria idea di cinema, attraverso le parole dei due giovani protagonisti, ma ne evidenzia l’importanza per la vita umana, nel suo tentativo, esplicitato dalle foto e dalle parole del bambino Yang Yang, di mostrare ciò che che il campo visivo di ognuno di noi non riesce a cogliere, e che il cinema, prontamente, ci svela.
Infine, Yang, rimuginando sulle proprie scelte passate attraverso il personaggio del padre, Nj Jian (ingegnere elettronico come il regista e suo alter ego), si interroga sul senso della vita, sentendo su di sé la pressione dello scorrere del tempo, presagendo così la propria morte, che avverrà realmente 6 anni dopo, e consacrando Yi Yi come la propria opera conclusiva, non riuscendo ad ultimare l’ultimo progetto: un’animazione insieme all’attore Jackie Chan (di cui si possono trovare qui le bozze).
Di Yang ci rimane così questa articolata ricerca di storie apparentemente comuni, ma che racchiudono, al proprio interno, l’intera gamma di sofferenze e passioni che accomunano tutti gli esseri umani.