La nostra selezione dei migliori film
usciti in questo annus horribilis,
scritto da redazione ODG
TR-17
24.12.2020
Siamo giunti alla fine di un anno davvero complicato. Il Time lo ha definito the worst year ever, facendo storcere il naso ad alcuni storici che hanno ribadito che ci sono stati anni peggiori. Ma, per la maggior parte della gente, la pandemia ha stravolto lo stile di vita, impedendoci, tra le varie cose, di frequentare i cinema per la maggior parte dell’anno. Nonostante ciò il cinema, inteso come linguaggio espressivo, ha continuato a occupare le nostre vite, e proprio grazie alle piattaforme di streaming, da molti considerate l’homicidam donari del modello cinematografico “classico”, non ha smesso di vivere.
Questa è la nostra selezione dei migliori film di quest'anno, presentati ai festival, in streaming o usciti nelle sale italiane a partire da febbraio scorso. Dall’Asia al Sudamerica, passando per Hollywood e il Vecchio Continente, ecco i titoli che hanno segnato questa stagione cinematografica.
Ema
di Pablo Larrain
Ema è la storia di una ballerina di Valparaíso e della sua vita interrotta da un violento incidente commesso dal figlio adottivo, Polo. È una storia che scava nel senso di colpa, nell’amore-odio che sviluppa nei confronti del ballo della sua città, dell’uomo che le è accanto. Ema è una donna che si pone degli obiettivi e, pian piano, da guerriera piromane, li raggiunge uno a uno fino a centrare il suo fine ultimo. Ema è una storia complessa, straziante, vivida. Ema è ballare a ritmo di un raggaeton selezionato da Nicolas Jaar, è vedersi crollare davanti tutto, incendiare i semafori e godere della tragedia. Ema è vita, distruzione, rinascita.
Bravo Larraín, molto brava Mariana Di Girolamo, bravissimo Gael García Bernal. Ma soprattutto ad essere incredibile è la creazione di una Dea, contemporanea e imparziale. Ema è donna e uomo e bambina. Un’Antieroina di un tempo presente, passato e futuro.
Scritto da Maria Clara Taglienti
Les Misérables
di Ladj Ly
Dal circo di una banlieue parigina scompare un cucciolo di leone. Tre brigadieri di diverse estrazioni, Stéphane, Chris e Gwada, sono incaricati di trovare l’animale scomparso.
La folgorante opera prima di Ladj Ly, tratta da un suo omonimo cortometraggio, ha tutto ciò che un film d'esordio dovrebbe avere. Les Misérables provoca lo spettatore offrendogli un punto di vista diverso e lo porta a compiere una riflessione profonda sulle vite di chi vive ai confini delle grandi città, sulle difficoltà di crescere e lavorare in questi contesti dove non ci sono vincitori né vinti, ma solo vittime di un modello urbanistico fallimentare che non include ma mette ai margini, dove l'unico modo per sopravvivere è lottare per non farsi sopraffare da chi ti circonda.
I Carry You with Me
di Heidi Ewing
Una coppia di messicani irregolari che vive a New York sta vivendo un momento di crisi, il dubbio se tornare nella propria terra di origine li attanaglia.
L’ennesima conferma del momento di grazia che sta vivendo il cinema d’autore sudamericano? Niente di tutto ciò, I Carry You With Me è la prima opera narrativa della documentarista statunitense Heidi Ewing. Il film ripercorre la vita di un giovane cuoco messicano, la sua traversata illegale nel deserto per giungere negli Stati Uniti e la sua ascesa a chef e proprietario di un locale nella Grande mela. La cosa sorprendente è come la Ewing ibrida i linguaggi. Il prologo e la fine del film sono raccontati attraverso immagini documentaristiche, mentre tutta la parte centrale è una sorta di prequel realizzato attraverso il linguaggio della finzione filmica. Lo stacco è quasi impercettibile e la resa narrativa è eccezionale. I Carry You With Me è un’opera struggente sul valore dell’amore e sul senso di stare vicino a chi si ama anche nei momenti di difficoltà.
Scritto da Eric Scabar
I'm Thinking of Ending Things
di Charlie Kaufman
Jake porta la giovane fidanzata, anonima per l'intera pellicola, a conoscere i suoi genitori. In una scuola lontana un bidello dell'identità sconosciuta medita di farla finita, proprio come potrebbe finire la relazione dei ragazzi. Tra crisi di identità e paradossi temporali, la giovane protagonista inizia a dubitare della propria persona e della realtà intorno a lei.
Il ritorno di Charlie Kaufman in qualità di regista e sceneggiatore avvolge lo spettatore in una tempesta di neve emotiva, fisica, reale e immaginata. Si inizia con un thriller-mistery intrigante, poi a tratti vediamo apparire un road movie, sprazzi di horror, una struggente storia d'amore, ed infine il classico ma geniale bilico tra realtà e finzione che Kaufman tanto ama e che dona un epilogo memorabile al tutto.
Scritto da Federico Squillaciotti
Favolacce
Fabio e Damiano D'Innocenzo
Nella periferia a sud di Roma, vive una comunità di famiglie che conduce uno stile di vita borghese, tra feste di compleanno e giornate in piscina. Sotto la superficie della vita benestante vibrano i sentimenti più bassi e gretti, con genitori nevrotici e bambini spaesati.
I fratelli D’Innocenzo firmano una delle opere cinematografiche più interessanti dell’ultimo decennio di cinema italiano. La storia di tre nuclei famigliari della periferia di Roma travalica il realismo del contesto sociale per diventare un’inquietante favola dalle tinte dark fantasy. La sinergica convivenza tra genere e autorialità conferisce al film una dimensione universale nel mettere in scena la tossicità dei rapporti genitori-figli, e in generale delle relazioni umane. La regia mai convenzionale racconta gli uomini, gli adulti in particolare, come animali famelici, ingordi, nevrotici, incapaci di fare i genitori senza raggiungere l’esaurimento nervoso. Grazie al suo fascino inquietante, è uno dei film più penetranti usciti quest’anno in Italia.
Scritto da Cosimo Maj
Nomadland
di Chloé Zhao
Fern non ha un lavoro fisso, una volta faceva l’insegnante. Non può permettersi una casa, vive in un camper. Fern inizierà ad accogliere un nuovo stile di vita che, per la prima volta, la farà sentire libera, spezzando i legami e gli schemi che ci dicono continuamente di costruire, fino a legarsi più di quanto abbia mai fatto con gli altri e prendendosi tutto il tempo del mondo.
Chloé Zhao è tutt’uno con gli ambienti naturali dell’America lontana. Quella dei confini illimitati, dei passaggi immensi, distesi, amati. Illuminati da una luce che è la regista stessa a sprigionare, come traspare dal tocco espressivo della sua camera da presa. Innamorata della sua Fern, della sua interprete Frances McDormand, un’attrice che conferma che la grandezza può derivare dai personaggi più semplici, dalle parti meno sensazionali. McDormand che non è mai stata così dolce, così delicata. Così vulnerabile, lei che ha sempre dimostrato la sua forza. Ma il mondo dei nomadi, di quelle foto scattate a dinosauri giganti, non può che abbracciare la semplicità della vita e Nomadland non può che restituirla attraverso l’affetto che lega queste due donne. Miglior film alla Mostra di Venezia e Premio del pubblico a Toronto. Un film che col suo camper farà un viaggio lunghissimo. Ci vediamo sulla strada.
Mank
di David Fincher
Herman J. Mankiewicz scrive il suo capolavoro. Sceneggiatore della Hollywood classica, alcolista e idealista, lo scribacchino dell’industria cinematografica si trova immerso negli strascichi della Grande Depressione, tra le bugie della MGM e le bizze di un cinema che stava scoprendo il proprio potere. Ed è quello della stampa che Mankiewicz - il Mank del film - riporta nell’imprescindibile Quarto Potere, dove il talento del prodigioso Orson Welles si affianca al cinismo del suo sceneggiatore, per la messa a punto di un biopic romanzato sulla vita del magnate William Randolph Hearst.
Mank è un film che il cinefilo non può contestare e il sovversivo può decidere invece di delegittimare. Ed è proprio su queste contraddizioni che si costruisce il mito di un film che è già storia. Il mito su un mito intramontabile, che con la regia di David Fincher e la sceneggiatura di papà Jack raggiunge e scomoda gli dei dell’Olimpo. Tutto merito di un David Fincher che segna l’inizio e la fine di un decennio, che da The Social Network del 2010 arriva a Mank del 2020, due film biografici su epoche che sembrano ormai distanti anni luce.
Scritto da Martina Barone
Monos
di Alejandro Landes
Sulla cima di una remota montagna colombiana e all’ombra di strutture monolitiche dal look post-sovietico, otto ragazzi-soldato sorvegliano una donna presa in ostaggio.
Il terzo film del regista colombiano Alejandro Landes ci fa immergere in un mondo senza tempo fatto di adolescenza, guerra e sensazioni ancestrali. Questi ragazzi, che vivono secondo una disciplina militare, sono lasciati da soli e senza contatti con il mondo esterno a crearsi una loro realtà, contendendosi il potere attraverso danze e combattimenti. Nonostante la pellicola sia ispirata alla delicata situazione colombiana attuale, è sorprendente l’assenza di qualunque punto di riferimento geografico-politico e di qualsiasi confine tra età, sesso e ambientazione, rendendo questa storia di brutale realtà un racconto poetico ed universale, accompagnato da una mistica e ipnotizzante colonna sonora di Mica Levi.
Scritto da Vittoria Colangelo
In Between Dying
di Hilal Baydarov
Nel corso di una singola giornata, Davud, un giovane in cerca di se stesso, compie un viaggio fisico e metaforico che lo porta ad attraversare l’Azerbaigian e a scontrarsi con i tre elementi dominanti della vita umana: nascita, amore e morte.
Opera seconda del giovanissimo regista azerbaigiano Hilal Baydarov, prodotta dal messicano Carlos Reygadas, il film, attraverso ipnotici quadri fissi, esplora la ricerca umana dell’amore e della famiglia attraverso l’incontro inevitabile con la morte, rappresentata qui attraverso una serie di incidenti con cui il protagonista deve fare i conti lungo il suo viaggio. Un film che potremmo definire simile, negli intenti, a Yi Yi (2001), e nella forma all’ampia produzione di Angelopoulos per la contemplazione del mondo e della sua natura. Questa pellicola è un’esperienza mistica da vivere più che da interpretare, grazie soprattutto alle meravigliose musiche di Kanan Rustamli che accompagnano i momenti della vita di un uomo e la ricerca dell’Amore, che nella sua universalità determina tutti gli esseri umani.
Dick Johnson Is Dead
di Kirsten Johnson
La regista Kristen Johnson immagina la morte del proprio padre per prepararsi a un evento che sarà inevitabile e che fa parte della vita di ogni essere umano.
La genialità, l’unicità, la drammaticità e l’umorismo rendono questa pellicola una delle più singolari e belle del genere documentario. Si tratta di una lettera d’addio al proprio padre, che porta con sé un insegnamento importante: ridere di fronte alla morte per celebrare la vita di chi si è amato. Sfruttando le capacità intrinseche dell’arte cinematografica di intrappolare nel tempo ciò che è perduto o che presto si perderà, la regista compie l’esperimento unico di competere con la morte mettendola in scena ancora prima che essa stessa avvenga, creando così un film che riesce a raccontare una tematica commovente strappandoci però dei profondi sorrisi amari.
Scritto da Aurealiana Bontempo
Kitoboy
di Philipp Yuryev
Kitoboy è la storia di Leshka, un giovane 15enne di un villaggio eschimese, e del suo amore impossibile per una camgirl di una chat erotica trovata sul web, apparsa al ragazzo - per niente abituato ad usare Internet - in una di quelle finestre web pop-up che si aprono automaticamente su siti poco sicuri. La sola premessa basta ad incuriosire e coinvolgere lo spettatore nella vicenda di un ragazzo avvolto dall'ingenuità tipica dell'adolescenza, che si affaccia alla sessualità per la prima volta. Un "coming of age" che è molto di più, un ribaltamento del sogno americano, la storia di un ragazzino di un paesino di cacciatori di balene che tenterà di raggiungere l'America con un barchino, nella speranza di trovarvi l'amore. Ma quel sogno, ormai posticcio, ridotto a pornografia di bassa qualità, cattura solo gli ingenui.
Scritto da Lorenzo Vitrone
Undine
di Christian Petzold
Undine è una giovane storica che lavora come guida a Berlino. Una mattina, in un caffè proprio di fronte alla sala dei plastici dove lavora, incontra il fidanzato Johannes. Lui le dice che vuole lasciarla. “Se tu mi lasci per un’altra, non potrai che morire, ricordatelo” gli sussurra lei con uno sguardo perso nel vuoto. Quando poi Undine torna al caffè, Johannes è sparito, ma appare Christoph, un palombaro venuto in visita al museo.
Christian Petzold racconta una storia d’amore talmente intensa da sfociare nel soprannaturale. Undine è una fiaba in tutto e per tutto, come testimonia il nome della protagonista, personaggio centrale nel tessuto culturale germanico. Tra Undine e Cristoph tutto accade in maniera assoluta, talmente decisa e straziante da oltrepassare confini di spazio e tempo. Undine è un film sull’acqua, lo stesso elemento che diventa spazio di amore e morte. Petzold ricostruisce un mito: ogni evento del film rievoca modelli ancestrali, a partire dall’acquario che si rompe. E proprio nell’inondazione la protagonista si confronta con la sua vera natura, quella marina. Petzold ricrea da zero un suo mondo narrativo emotivamente sorprendente, non dimenticando mai il peso ed il senso più intimo dell’immagine.
Nuevo Orden
di Michel Franco
Città del Messico, 2021. Un lussuoso matrimonio aristocratico degenera in una rivolta di classe totalmente inaspettata.
Vernice verde, violenza inaudita, l’ultimo film di Michel Franco gioca sin dai titoli di testa sul ribaltamento a specchio. L’apocalisse parte dal basso per porre fine alla disuguaglianza sociale, ma finisce con l’aprire le porte ad un regime militarizzato e corrotto. Il ritmo è serratissimo, violento e angosciante, lascia letteralmente senza fiato. La vicenda si sviluppa attraverso gli occhi della giovane sposa e quelli dei domestici della sua famiglia. Esponenti di diverse classi sociali, tutte vittime sacrificali del nuovo sistema politico. Nero e senza speranza, Nuevo Orden ha infastidito molti. Divisioni sociali, povertà e disuguaglianza sono però solo il punto di partenza di questa distopia nerissima, in cui riecheggiano gli oscuri periodi delle dittature sudamericane fatte di soldati e colonnelli, senza più poveri o ricchi. Apprezzabilissima la regia di Franco, attenta a non dipingere mostri ma personaggi verosimili, sia ricchi che poveri, tanto alla fine nessuno potrà dirsi al riparo.
Scritto da Diana Incorvaia
Waiting for the Barbarians
di Ciro Guerra
In un avamposto in mezzo al deserto, ultima linea di difesa contro i barbari, un magistrato dell’Impero si trova davanti a una scelta: rispettare gli ordini dei suoi superiori o dare ascolto alla propria umanità.
Il film del regista colombiano Ciro Guerra potrebbe essere riassunto come una parabola simbolica del rapporto tra l’uomo e l’ignoto, tra il senso di appartenenza e la paura dell’estraneo, tra il potere e la morale individuale. Ma sarebbe riduttivo, perché è un film che vive soprattutto delle attese, del ritmo lento di una regia classica ma impeccabile, dell’interpretazione di Mark Rylance, dei rimandi a Il deserto dei Tartari di Buzzati e all’adattamento di Zurlini, degli echi western nelle sequenze a cavallo. La frontiera, dai contorni geografici indefiniti, è una linea al contempo concreta e immaginaria che scandisce le distanze tra due mondi destinati a collidere.
Scritto da Luigi Muneratto
The Assistant
di Kitty Green
Ventiquattr'ore nella vita di una giovane assistente in una casa di produzione a New York mettono in mostra le problematiche realtà di questo mondo.
A circa tre anni dalle accuse di molestie e aggressioni sessuali commesse da Harvey Weinstein, The Assistant si presenta come il primo vero manifesto cinematografico del movimento ‘Me Too’. Il film fa luce sui gesti invisibili e le parole non dette che circondano la vita di un’assistente di produzione, e che finiscono per tessere la tela omertosa in cui è avvolto il suo ufficio. Impreziosito dall'interpretazione di Julia Garner, The Assistant è un film di rara intelligenza registica che fa leva su ciò che accade al di fuori dell’inquadratura, e che ci ricorda che certe battaglie non finiscono con gli hashtag.
Scritto da Rodrigo Mella
Another Round
di Thomas Vinterberg
Quattro amici insegnanti di uno stesso liceo, insoddisfatti delle loro vite, decidono di testare su se stessi una teoria secondo cui un costante stato di ebbrezza porterebbe enormi benefici alla vita di tutti i giorni.
Vinterberg ci porta a ragionare sulla natura di un eccesso comune come quello dell’alcolismo, senza però prendere una posizione netta: da una parte rappresenta un momento di massima convivialità, di libertà creativa e di euforia, dall’altra non si può scappare dai postumi di una sbornia, postumi che per i nostri quattro amici si riverseranno nel loro equilibrio quotidiano al lavoro e in famiglia. Il film si distacca completamente dall’eccessivo naturalismo del Dogma 95, e con un movimento fluido della macchina da presa seguiamo il personaggio di Martin (Mads Mikkelsen), empatizzando per lui nel suo continuo passare dalla sobrietà all’ubriachezza. La sceneggiatura porta avanti una storia decisamente sopra le righe attraverso un costante stato di imprevedibilità, il tipico stato di chi vive di eccessi.
Scritto da Bianca Susi
The Wild Goose Lake
di Diao Yinan
Uno dei migliori film del 2020 non poteva non essere ambientato a Wuhan. Un film crime stilizzato e colorato da un lato, ma paradossalmente anche realistico nella sua rappresentazione di una geografia e di una fauna popolare che difficilmente vediamo sugli schermi occidentali. Un mix tra Drive e La paranza dei bambini. Il regista è lo stesso dell’Orso d’oro 2014 Fuochi d'artificio in pieno giorno, un altro neo-noir considerato tra i migliori del genere.
Roubaix
di Arnaud Desplechin
Una città alla periferia francese, al confine con il Belgio. Il protagonista, in realtà perso all’interno di un folto gruppo di personaggi molto realistici, è tale solo perché si identifica con lo spettatore in quanto estraneo al luogo: è una recluta di polizia. Cerca di comprendere la geografia della città affidandosi a razionalità, fede e sicurezza di sé, contrapponendosi idealmente all’esperto commissario che invece preferisce l’intuito e la comprensione. A metà film, un fatto che era perso all’interno di mille vicende emerge come qualcosa di più significativo. Segue un’indagine puramente psicologica delle due ragazze coinvolte. Raggiungere la verità diventa difficile e le personalità dei due poliziotti sono messe a confronto, senza scontrarsi.
The Gentlemen
di Guy Ritchie
Guy Ritchie torna al mood di Lock & Stock con una commedia crime piena di grandi nomi. Una storia criminale di intrighi e controintrighi. L'intreccio e il modo in cui la vicenda viene raccontata da Hugh Grant sembrano un aggiornamento della New New Hollywood (i film degli anni Novanta di Tarantino e dei Coen, ad esempio). Al di là della storia complicata, resa ancora più frenetica dal montaggio che contraddistingue i film di Ritchie, ogni scena vale la pena per il suo essere esagerata: tute sgargianti, recitazione sopra le righe, musica grime, accenti british.
Scritto da Virgil Darelli
Padrenostro
di Claudio Noce
1976: Valerio, sconvolto dalla violenza dell’intervento dei Nuclei Armati Proletari sul corpo del padre, si rifugia nella fantasia. Ma anche questa, come la sua vita reale, viene invasa dalla paura.
Padrenostro è un affresco sull’infanzia, fugace momento in cui i genitori sono eletti al ruolo di eroi e, in quanto tali, mai si concedono al pianto, alla fragilità o alla sofferenza davanti agli occhi dei figli perché sanno che se crollano questi cadranno con loro. Celando il mondo politico degli adulti dietro porte socchiuse, voci alla radio e servizi del telegiornale e rincorrendo il mondo spensierato dei bambini in bilico tra traversate in bicicletta e avventure con personaggi Calviniani, Claudio Noce racconta una famiglia che si abbraccia forte per evitare di cadere a pezzi come un vecchio presepio.
Wendy
di Benh Zeitlin
Wendy vive accanto alla ferrovia ma la sua immaginazione ha bisogno di paesaggi incontaminati e lontani. Così, una notte decide di seguire Peter Pan. Anche nelle favole, però, scegliere la libertà comporta sempre dei rischi.
L’isola che non c’è di Benh Zeitlin non è una metafora ma un luogo reale dove crescere: non è un miraggio, ma un rischio concreto. Le vite dei bambini perduti non sono mai state ritratte da occhi così complici e capaci di ricordare che per rincorrere le fate ci si sporca, per sfidare i mostri del mare si annega e per non diventare adulti si combatte. Wendy però non dimentica neanche la difficoltà di riconoscere ed amare le proprie madri dalle quali, a volte, è giusto tornare poiché anche tra le loro braccia si può ritrovare l’eterna condizione di bambini.
Scritto da Alice De Luca
La nostra selezione dei migliori film
usciti in questo annus horribilis,
scritto da redazione ODG
TR-17
24.12.2020
Siamo giunti alla fine di un anno davvero complicato. Il Time lo ha definito the worst year ever, facendo storcere il naso ad alcuni storici che hanno ribadito che ci sono stati anni peggiori. Ma, per la maggior parte della gente, la pandemia ha stravolto lo stile di vita, impedendoci, tra le varie cose, di frequentare i cinema per la maggior parte dell’anno. Nonostante ciò il cinema, inteso come linguaggio espressivo, ha continuato a occupare le nostre vite, e proprio grazie alle piattaforme di streaming, da molti considerate l’homicidam donari del modello cinematografico “classico”, non ha smesso di vivere.
Questa è la nostra selezione dei migliori film di quest'anno, presentati ai festival, in streaming o usciti nelle sale italiane a partire da febbraio scorso. Dall’Asia al Sudamerica, passando per Hollywood e il Vecchio Continente, ecco i titoli che hanno segnato questa stagione cinematografica.
Ema
di Pablo Larrain
Ema è la storia di una ballerina di Valparaíso e della sua vita interrotta da un violento incidente commesso dal figlio adottivo, Polo. È una storia che scava nel senso di colpa, nell’amore-odio che sviluppa nei confronti del ballo della sua città, dell’uomo che le è accanto. Ema è una donna che si pone degli obiettivi e, pian piano, da guerriera piromane, li raggiunge uno a uno fino a centrare il suo fine ultimo. Ema è una storia complessa, straziante, vivida. Ema è ballare a ritmo di un raggaeton selezionato da Nicolas Jaar, è vedersi crollare davanti tutto, incendiare i semafori e godere della tragedia. Ema è vita, distruzione, rinascita.
Bravo Larraín, molto brava Mariana Di Girolamo, bravissimo Gael García Bernal. Ma soprattutto ad essere incredibile è la creazione di una Dea, contemporanea e imparziale. Ema è donna e uomo e bambina. Un’Antieroina di un tempo presente, passato e futuro.
Scritto da Maria Clara Taglienti
Les Misérables
di Ladj Ly
Dal circo di una banlieue parigina scompare un cucciolo di leone. Tre brigadieri di diverse estrazioni, Stéphane, Chris e Gwada, sono incaricati di trovare l’animale scomparso.
La folgorante opera prima di Ladj Ly, tratta da un suo omonimo cortometraggio, ha tutto ciò che un film d'esordio dovrebbe avere. Les Misérables provoca lo spettatore offrendogli un punto di vista diverso e lo porta a compiere una riflessione profonda sulle vite di chi vive ai confini delle grandi città, sulle difficoltà di crescere e lavorare in questi contesti dove non ci sono vincitori né vinti, ma solo vittime di un modello urbanistico fallimentare che non include ma mette ai margini, dove l'unico modo per sopravvivere è lottare per non farsi sopraffare da chi ti circonda.
I Carry You with Me
di Heidi Ewing
Una coppia di messicani irregolari che vive a New York sta vivendo un momento di crisi, il dubbio se tornare nella propria terra di origine li attanaglia.
L’ennesima conferma del momento di grazia che sta vivendo il cinema d’autore sudamericano? Niente di tutto ciò, I Carry You With Me è la prima opera narrativa della documentarista statunitense Heidi Ewing. Il film ripercorre la vita di un giovane cuoco messicano, la sua traversata illegale nel deserto per giungere negli Stati Uniti e la sua ascesa a chef e proprietario di un locale nella Grande mela. La cosa sorprendente è come la Ewing ibrida i linguaggi. Il prologo e la fine del film sono raccontati attraverso immagini documentaristiche, mentre tutta la parte centrale è una sorta di prequel realizzato attraverso il linguaggio della finzione filmica. Lo stacco è quasi impercettibile e la resa narrativa è eccezionale. I Carry You With Me è un’opera struggente sul valore dell’amore e sul senso di stare vicino a chi si ama anche nei momenti di difficoltà.
Scritto da Eric Scabar
I'm Thinking of Ending Things
di Charlie Kaufman
Jake porta la giovane fidanzata, anonima per l'intera pellicola, a conoscere i suoi genitori. In una scuola lontana un bidello dell'identità sconosciuta medita di farla finita, proprio come potrebbe finire la relazione dei ragazzi. Tra crisi di identità e paradossi temporali, la giovane protagonista inizia a dubitare della propria persona e della realtà intorno a lei.
Il ritorno di Charlie Kaufman in qualità di regista e sceneggiatore avvolge lo spettatore in una tempesta di neve emotiva, fisica, reale e immaginata. Si inizia con un thriller-mistery intrigante, poi a tratti vediamo apparire un road movie, sprazzi di horror, una struggente storia d'amore, ed infine il classico ma geniale bilico tra realtà e finzione che Kaufman tanto ama e che dona un epilogo memorabile al tutto.
Scritto da Federico Squillaciotti
Favolacce
Fabio e Damiano D'Innocenzo
Nella periferia a sud di Roma, vive una comunità di famiglie che conduce uno stile di vita borghese, tra feste di compleanno e giornate in piscina. Sotto la superficie della vita benestante vibrano i sentimenti più bassi e gretti, con genitori nevrotici e bambini spaesati.
I fratelli D’Innocenzo firmano una delle opere cinematografiche più interessanti dell’ultimo decennio di cinema italiano. La storia di tre nuclei famigliari della periferia di Roma travalica il realismo del contesto sociale per diventare un’inquietante favola dalle tinte dark fantasy. La sinergica convivenza tra genere e autorialità conferisce al film una dimensione universale nel mettere in scena la tossicità dei rapporti genitori-figli, e in generale delle relazioni umane. La regia mai convenzionale racconta gli uomini, gli adulti in particolare, come animali famelici, ingordi, nevrotici, incapaci di fare i genitori senza raggiungere l’esaurimento nervoso. Grazie al suo fascino inquietante, è uno dei film più penetranti usciti quest’anno in Italia.
Scritto da Cosimo Maj
Nomadland
di Chloé Zhao
Fern non ha un lavoro fisso, una volta faceva l’insegnante. Non può permettersi una casa, vive in un camper. Fern inizierà ad accogliere un nuovo stile di vita che, per la prima volta, la farà sentire libera, spezzando i legami e gli schemi che ci dicono continuamente di costruire, fino a legarsi più di quanto abbia mai fatto con gli altri e prendendosi tutto il tempo del mondo.
Chloé Zhao è tutt’uno con gli ambienti naturali dell’America lontana. Quella dei confini illimitati, dei passaggi immensi, distesi, amati. Illuminati da una luce che è la regista stessa a sprigionare, come traspare dal tocco espressivo della sua camera da presa. Innamorata della sua Fern, della sua interprete Frances McDormand, un’attrice che conferma che la grandezza può derivare dai personaggi più semplici, dalle parti meno sensazionali. McDormand che non è mai stata così dolce, così delicata. Così vulnerabile, lei che ha sempre dimostrato la sua forza. Ma il mondo dei nomadi, di quelle foto scattate a dinosauri giganti, non può che abbracciare la semplicità della vita e Nomadland non può che restituirla attraverso l’affetto che lega queste due donne. Miglior film alla Mostra di Venezia e Premio del pubblico a Toronto. Un film che col suo camper farà un viaggio lunghissimo. Ci vediamo sulla strada.
Mank
di David Fincher
Herman J. Mankiewicz scrive il suo capolavoro. Sceneggiatore della Hollywood classica, alcolista e idealista, lo scribacchino dell’industria cinematografica si trova immerso negli strascichi della Grande Depressione, tra le bugie della MGM e le bizze di un cinema che stava scoprendo il proprio potere. Ed è quello della stampa che Mankiewicz - il Mank del film - riporta nell’imprescindibile Quarto Potere, dove il talento del prodigioso Orson Welles si affianca al cinismo del suo sceneggiatore, per la messa a punto di un biopic romanzato sulla vita del magnate William Randolph Hearst.
Mank è un film che il cinefilo non può contestare e il sovversivo può decidere invece di delegittimare. Ed è proprio su queste contraddizioni che si costruisce il mito di un film che è già storia. Il mito su un mito intramontabile, che con la regia di David Fincher e la sceneggiatura di papà Jack raggiunge e scomoda gli dei dell’Olimpo. Tutto merito di un David Fincher che segna l’inizio e la fine di un decennio, che da The Social Network del 2010 arriva a Mank del 2020, due film biografici su epoche che sembrano ormai distanti anni luce.
Scritto da Martina Barone
Monos
di Alejandro Landes
Sulla cima di una remota montagna colombiana e all’ombra di strutture monolitiche dal look post-sovietico, otto ragazzi-soldato sorvegliano una donna presa in ostaggio.
Il terzo film del regista colombiano Alejandro Landes ci fa immergere in un mondo senza tempo fatto di adolescenza, guerra e sensazioni ancestrali. Questi ragazzi, che vivono secondo una disciplina militare, sono lasciati da soli e senza contatti con il mondo esterno a crearsi una loro realtà, contendendosi il potere attraverso danze e combattimenti. Nonostante la pellicola sia ispirata alla delicata situazione colombiana attuale, è sorprendente l’assenza di qualunque punto di riferimento geografico-politico e di qualsiasi confine tra età, sesso e ambientazione, rendendo questa storia di brutale realtà un racconto poetico ed universale, accompagnato da una mistica e ipnotizzante colonna sonora di Mica Levi.
Scritto da Vittoria Colangelo
In Between Dying
di Hilal Baydarov
Nel corso di una singola giornata, Davud, un giovane in cerca di se stesso, compie un viaggio fisico e metaforico che lo porta ad attraversare l’Azerbaigian e a scontrarsi con i tre elementi dominanti della vita umana: nascita, amore e morte.
Opera seconda del giovanissimo regista azerbaigiano Hilal Baydarov, prodotta dal messicano Carlos Reygadas, il film, attraverso ipnotici quadri fissi, esplora la ricerca umana dell’amore e della famiglia attraverso l’incontro inevitabile con la morte, rappresentata qui attraverso una serie di incidenti con cui il protagonista deve fare i conti lungo il suo viaggio. Un film che potremmo definire simile, negli intenti, a Yi Yi (2001), e nella forma all’ampia produzione di Angelopoulos per la contemplazione del mondo e della sua natura. Questa pellicola è un’esperienza mistica da vivere più che da interpretare, grazie soprattutto alle meravigliose musiche di Kanan Rustamli che accompagnano i momenti della vita di un uomo e la ricerca dell’Amore, che nella sua universalità determina tutti gli esseri umani.
Dick Johnson Is Dead
di Kirsten Johnson
La regista Kristen Johnson immagina la morte del proprio padre per prepararsi a un evento che sarà inevitabile e che fa parte della vita di ogni essere umano.
La genialità, l’unicità, la drammaticità e l’umorismo rendono questa pellicola una delle più singolari e belle del genere documentario. Si tratta di una lettera d’addio al proprio padre, che porta con sé un insegnamento importante: ridere di fronte alla morte per celebrare la vita di chi si è amato. Sfruttando le capacità intrinseche dell’arte cinematografica di intrappolare nel tempo ciò che è perduto o che presto si perderà, la regista compie l’esperimento unico di competere con la morte mettendola in scena ancora prima che essa stessa avvenga, creando così un film che riesce a raccontare una tematica commovente strappandoci però dei profondi sorrisi amari.
Scritto da Aurealiana Bontempo
Kitoboy
di Philipp Yuryev
Kitoboy è la storia di Leshka, un giovane 15enne di un villaggio eschimese, e del suo amore impossibile per una camgirl di una chat erotica trovata sul web, apparsa al ragazzo - per niente abituato ad usare Internet - in una di quelle finestre web pop-up che si aprono automaticamente su siti poco sicuri. La sola premessa basta ad incuriosire e coinvolgere lo spettatore nella vicenda di un ragazzo avvolto dall'ingenuità tipica dell'adolescenza, che si affaccia alla sessualità per la prima volta. Un "coming of age" che è molto di più, un ribaltamento del sogno americano, la storia di un ragazzino di un paesino di cacciatori di balene che tenterà di raggiungere l'America con un barchino, nella speranza di trovarvi l'amore. Ma quel sogno, ormai posticcio, ridotto a pornografia di bassa qualità, cattura solo gli ingenui.
Scritto da Lorenzo Vitrone
Undine
di Christian Petzold
Undine è una giovane storica che lavora come guida a Berlino. Una mattina, in un caffè proprio di fronte alla sala dei plastici dove lavora, incontra il fidanzato Johannes. Lui le dice che vuole lasciarla. “Se tu mi lasci per un’altra, non potrai che morire, ricordatelo” gli sussurra lei con uno sguardo perso nel vuoto. Quando poi Undine torna al caffè, Johannes è sparito, ma appare Christoph, un palombaro venuto in visita al museo.
Christian Petzold racconta una storia d’amore talmente intensa da sfociare nel soprannaturale. Undine è una fiaba in tutto e per tutto, come testimonia il nome della protagonista, personaggio centrale nel tessuto culturale germanico. Tra Undine e Cristoph tutto accade in maniera assoluta, talmente decisa e straziante da oltrepassare confini di spazio e tempo. Undine è un film sull’acqua, lo stesso elemento che diventa spazio di amore e morte. Petzold ricostruisce un mito: ogni evento del film rievoca modelli ancestrali, a partire dall’acquario che si rompe. E proprio nell’inondazione la protagonista si confronta con la sua vera natura, quella marina. Petzold ricrea da zero un suo mondo narrativo emotivamente sorprendente, non dimenticando mai il peso ed il senso più intimo dell’immagine.
Nuevo Orden
di Michel Franco
Città del Messico, 2021. Un lussuoso matrimonio aristocratico degenera in una rivolta di classe totalmente inaspettata.
Vernice verde, violenza inaudita, l’ultimo film di Michel Franco gioca sin dai titoli di testa sul ribaltamento a specchio. L’apocalisse parte dal basso per porre fine alla disuguaglianza sociale, ma finisce con l’aprire le porte ad un regime militarizzato e corrotto. Il ritmo è serratissimo, violento e angosciante, lascia letteralmente senza fiato. La vicenda si sviluppa attraverso gli occhi della giovane sposa e quelli dei domestici della sua famiglia. Esponenti di diverse classi sociali, tutte vittime sacrificali del nuovo sistema politico. Nero e senza speranza, Nuevo Orden ha infastidito molti. Divisioni sociali, povertà e disuguaglianza sono però solo il punto di partenza di questa distopia nerissima, in cui riecheggiano gli oscuri periodi delle dittature sudamericane fatte di soldati e colonnelli, senza più poveri o ricchi. Apprezzabilissima la regia di Franco, attenta a non dipingere mostri ma personaggi verosimili, sia ricchi che poveri, tanto alla fine nessuno potrà dirsi al riparo.
Scritto da Diana Incorvaia
Waiting for the Barbarians
di Ciro Guerra
In un avamposto in mezzo al deserto, ultima linea di difesa contro i barbari, un magistrato dell’Impero si trova davanti a una scelta: rispettare gli ordini dei suoi superiori o dare ascolto alla propria umanità.
Il film del regista colombiano Ciro Guerra potrebbe essere riassunto come una parabola simbolica del rapporto tra l’uomo e l’ignoto, tra il senso di appartenenza e la paura dell’estraneo, tra il potere e la morale individuale. Ma sarebbe riduttivo, perché è un film che vive soprattutto delle attese, del ritmo lento di una regia classica ma impeccabile, dell’interpretazione di Mark Rylance, dei rimandi a Il deserto dei Tartari di Buzzati e all’adattamento di Zurlini, degli echi western nelle sequenze a cavallo. La frontiera, dai contorni geografici indefiniti, è una linea al contempo concreta e immaginaria che scandisce le distanze tra due mondi destinati a collidere.
Scritto da Luigi Muneratto
The Assistant
di Kitty Green
Ventiquattr'ore nella vita di una giovane assistente in una casa di produzione a New York mettono in mostra le problematiche realtà di questo mondo.
A circa tre anni dalle accuse di molestie e aggressioni sessuali commesse da Harvey Weinstein, The Assistant si presenta come il primo vero manifesto cinematografico del movimento ‘Me Too’. Il film fa luce sui gesti invisibili e le parole non dette che circondano la vita di un’assistente di produzione, e che finiscono per tessere la tela omertosa in cui è avvolto il suo ufficio. Impreziosito dall'interpretazione di Julia Garner, The Assistant è un film di rara intelligenza registica che fa leva su ciò che accade al di fuori dell’inquadratura, e che ci ricorda che certe battaglie non finiscono con gli hashtag.
Scritto da Rodrigo Mella
Another Round
di Thomas Vinterberg
Quattro amici insegnanti di uno stesso liceo, insoddisfatti delle loro vite, decidono di testare su se stessi una teoria secondo cui un costante stato di ebbrezza porterebbe enormi benefici alla vita di tutti i giorni.
Vinterberg ci porta a ragionare sulla natura di un eccesso comune come quello dell’alcolismo, senza però prendere una posizione netta: da una parte rappresenta un momento di massima convivialità, di libertà creativa e di euforia, dall’altra non si può scappare dai postumi di una sbornia, postumi che per i nostri quattro amici si riverseranno nel loro equilibrio quotidiano al lavoro e in famiglia. Il film si distacca completamente dall’eccessivo naturalismo del Dogma 95, e con un movimento fluido della macchina da presa seguiamo il personaggio di Martin (Mads Mikkelsen), empatizzando per lui nel suo continuo passare dalla sobrietà all’ubriachezza. La sceneggiatura porta avanti una storia decisamente sopra le righe attraverso un costante stato di imprevedibilità, il tipico stato di chi vive di eccessi.
Scritto da Bianca Susi
The Wild Goose Lake
di Diao Yinan
Uno dei migliori film del 2020 non poteva non essere ambientato a Wuhan. Un film crime stilizzato e colorato da un lato, ma paradossalmente anche realistico nella sua rappresentazione di una geografia e di una fauna popolare che difficilmente vediamo sugli schermi occidentali. Un mix tra Drive e La paranza dei bambini. Il regista è lo stesso dell’Orso d’oro 2014 Fuochi d'artificio in pieno giorno, un altro neo-noir considerato tra i migliori del genere.
Roubaix
di Arnaud Desplechin
Una città alla periferia francese, al confine con il Belgio. Il protagonista, in realtà perso all’interno di un folto gruppo di personaggi molto realistici, è tale solo perché si identifica con lo spettatore in quanto estraneo al luogo: è una recluta di polizia. Cerca di comprendere la geografia della città affidandosi a razionalità, fede e sicurezza di sé, contrapponendosi idealmente all’esperto commissario che invece preferisce l’intuito e la comprensione. A metà film, un fatto che era perso all’interno di mille vicende emerge come qualcosa di più significativo. Segue un’indagine puramente psicologica delle due ragazze coinvolte. Raggiungere la verità diventa difficile e le personalità dei due poliziotti sono messe a confronto, senza scontrarsi.
The Gentlemen
di Guy Ritchie
Guy Ritchie torna al mood di Lock & Stock con una commedia crime piena di grandi nomi. Una storia criminale di intrighi e controintrighi. L'intreccio e il modo in cui la vicenda viene raccontata da Hugh Grant sembrano un aggiornamento della New New Hollywood (i film degli anni Novanta di Tarantino e dei Coen, ad esempio). Al di là della storia complicata, resa ancora più frenetica dal montaggio che contraddistingue i film di Ritchie, ogni scena vale la pena per il suo essere esagerata: tute sgargianti, recitazione sopra le righe, musica grime, accenti british.
Scritto da Virgil Darelli
Padrenostro
di Claudio Noce
1976: Valerio, sconvolto dalla violenza dell’intervento dei Nuclei Armati Proletari sul corpo del padre, si rifugia nella fantasia. Ma anche questa, come la sua vita reale, viene invasa dalla paura.
Padrenostro è un affresco sull’infanzia, fugace momento in cui i genitori sono eletti al ruolo di eroi e, in quanto tali, mai si concedono al pianto, alla fragilità o alla sofferenza davanti agli occhi dei figli perché sanno che se crollano questi cadranno con loro. Celando il mondo politico degli adulti dietro porte socchiuse, voci alla radio e servizi del telegiornale e rincorrendo il mondo spensierato dei bambini in bilico tra traversate in bicicletta e avventure con personaggi Calviniani, Claudio Noce racconta una famiglia che si abbraccia forte per evitare di cadere a pezzi come un vecchio presepio.
Wendy
di Benh Zeitlin
Wendy vive accanto alla ferrovia ma la sua immaginazione ha bisogno di paesaggi incontaminati e lontani. Così, una notte decide di seguire Peter Pan. Anche nelle favole, però, scegliere la libertà comporta sempre dei rischi.
L’isola che non c’è di Benh Zeitlin non è una metafora ma un luogo reale dove crescere: non è un miraggio, ma un rischio concreto. Le vite dei bambini perduti non sono mai state ritratte da occhi così complici e capaci di ricordare che per rincorrere le fate ci si sporca, per sfidare i mostri del mare si annega e per non diventare adulti si combatte. Wendy però non dimentica neanche la difficoltà di riconoscere ed amare le proprie madri dalle quali, a volte, è giusto tornare poiché anche tra le loro braccia si può ritrovare l’eterna condizione di bambini.
Scritto da Alice De Luca