INT-23
10.03.2023
La Berlinale si è conclusa due settimane fa, e uno dei grandi vincitori di quest’edizione è stato João Canijo con Mal Viver. La vittoria dell’Orso d’Argento del regista portoghese ci ha estasiato, ma d’altronde era giunta l’ora che un influente festival europeo riconoscesse il talento di questo incredibile cineasta. Tramite il suo stile viscerale, caratterizzato per lo più dall’utilizzo di lunghi piani sequenza, un’impostazione teatrale e una particolare enfasi sulle interpretazioni del cast, Canijo è riuscito ad esplorare i cambiamenti sociali ed economici della moderna società portoghese. A Berlino, il regista non ha presentato solo Mal Viver in Competizione, ma anche Viver Mal, nella sezione Encounters, un dittico affascinante che esplora le diverse dinamiche socio-famigliari di due gruppi di persone all’interno di un hotel nel nord del Portogallo. Il primo film vede protagonista la famiglia che gestisce il residence e ruota attorno al senso di malessere, e disconnessione, tra i vari membri del nucleo familiare, mentre il secondo film mostra il punto di vista degli ospiti attraverso una struttura a tre episodi. Lo stile di Canijo si riconosce in entrambe le opere, nonostante queste siano completamente differenti; Mal Viver è costruito attorno alle attrici del cast, mentre Viver Mal è un adattamento di tre opere del drammaturgo August Strindberg (Playing With Fire, The Pelican e Motherly Love).
Abbiamo incontrato João Canijo al Festival di Berlino e la conversazione avuta con il regista è stata stimolante e piacevole, soprattutto perché davanti a noi si è presentata una persona solare e disponibile a raccontare i dettagli sulla lavorazione dei film.
Prima di tutto, congratulazioni per i due film che hai presentato qui a Berlino. Sono un tuo grande ammiratore e, come sempre, la composizione di ogni scena, l’impostazione narrativa e i movimenti fluidi di camera mi hanno lasciato senza parole. Ma prima di approfondire questi aspetti volevo parlare delle brillanti attrici del tuo film. Cleia Almeida, Rita Blanco e Anabela Moreiea hanno partecipato alla maggior parte dei tuoi film, volevo chiederti come si fosse evoluta la vostra collaborazione nel corso degli anni.
Non dimenticarti di Vera Barreto mi raccomando, avevo già collaborato anche con lei in passato. Comunque, il rapporto si è evoluto in un modo “demoniaco” (il regista ride, n.d.r.). Conosco Rita da quarant’anni, Anabela da venticinque, Cleia da quando ne ha diciotto, e ora ne ha quaranta, mentre Vera da quando ne ha quindici. Scelgo sempre loro nei miei film e, all’inizio della lavorazione di ogni mio lavoro, mi chiedo sempre quali personaggi potrebbero interpretare. Costruisco le scene attorno a loro. Ovviamente, quando c’è un personaggio più giovane, non posso scegliere loro. In questo caso c’è Madalena Almeida e posso dirti che è entrata ufficialmente nella nostra “famiglia”, e certamente sarà coinvolta nel mio prossimo progetto.
Quindi costruisci le scene con loro, puoi approfondire questo processo?
Non credo sia possibile imporre la propria interpretazione e visione artistica ad un’altra persona. Le chiavi di lettura di un film sono individuali, non c’è una verità assoluta. Esiste questa dimensione dove la verità appartiene a ognuno di noi, e in ogni mio film cerco sempre di trovare la loro “verità”, la loro sincerità, e per far ciò devo collaborare con loro! Non posso imporre qualcosa. Abbiamo lavorato a lungo insieme nella fase di produzione, abbiamo avuto queste lunghe conversazioni che ho registrato e trascritto. In seguito, ho progettato delle scene più concrete fino a che non ho terminato la sceneggiatura. Ma anche dopo questa fase, lo script era per lo più improvvisato. Scena dopo scena, e come nella fase precedente, ho registrato e trascritto il tutto. E solo dopo questo processo sono arrivato alla sceneggiatura definitiva. I dialoghi appartengono a loro. Ovviamente apporto sempre qualche cambiamento, ma i dialoghi che sentì sono la loro “verità”. E se posso aggiungere, conoscono la storia e la sceneggiatura meglio di me! (il regista scoppia a ridere, n.d.r.)
Loro sono le protagoniste di Mal Viver e mi chiedevo se fossero a conoscenza di quello che accade in Viver Mal, ovvero «l’immagine speculare» del primo film, citando le tue parole.
Loro sanno che la loro storia è connessa a quella dei personaggi di Viver Mal nello stesso modo in cui noi siamo connessi alle persone nell’altra stanza. Ed è questa la vita! Stesso posto e stessa collocazione temporale, ma diverse realtà.
A tal proposito, il sound design assume un ruolo chiave, e come se connettesse i due film. Volevo chiederti se potevi approfondire anche questo aspetto.
La gestione del suono è sempre un grande problema, è qualcosa che mi crea sempre angoscia. Negli ultimi vent’anni, il sound design nei film ha avuto una grossa evoluzione, passando dal surround 5.1 al 7.1, un formato che non è mai stato sfruttato appieno nelle produzioni hollywoodiane. Credo si possano fare delle cose davvero interessanti con questo sistema audio. Per esempio, mi piace molto inserire conversazioni al di fuori del frame, puoi “giocare” su questo aspetto e inserire conversazioni o altro in diverse posizioni. La mia angoscia nasce dal fatto che sempre meno persone vanno al cinema e credo che, per apprezzare appieno certi aspetti del sound design moderno, bisognerebbe vedere, ed ascoltare, i film tramite il grande schermo. Ma oggi le circostanze stanno giocando a nostro sfavore. Tutto il lavoro che si fa con il sonoro al giorno d’oggi risulta quindi “inutile”, ma non demordo e continuerò a sperimentare! Il punto è che, tramite questo approccio sonoro, tu sei in grado di seguire la conversazione che ti interessa di più.
E quali sono state le maggiori ispirazioni cinematografiche per questo film, ma anche nel corso della tua carriera, se posso chiedere. Hai lavorato a lungo con Manoel de Oliveira, è lui una delle tue principali fonti d’ispirazione?
Come disse Henri Matisse: «Se rimani fissato con una certa formula o stile e inizi a imitare te stesso, allora sei già morto». Cerco sempre di reinventarmi ed essere me stesso ad ogni film, ma ci sono dei grandi maestri che mi hanno ispirato. John Cassavetes è uno di questi, ma vorrei citare anche due grandi cineasti asiatici come Wong Kar-wai e Hou Hsiao-hsien. E ovviamente Tarkovskij, amo il suo cinema.
Mike Leigh invece?
Anche, forse perché lavoriamo in maniera simile con gli attori, ma non l’ho mai “copiato”, e lo stesso con Cassavetes. Citerei anche William Shakespeare però. Per quanto riguarda Manoel de Oliveira, lui è stato il mio grande maestro ed è stata una fonte d’ispirazione, non nella forma o per i contenuti, ma dal punto di vista personale. L’ho conosciuto quando era abbastanza giovane, aveva “solo” settantadue anni (il regista scoppia a ridere, n.d.r.). L’insegnamento più importante che mi ha impartito è l’essere onesti con se stessi.
Immagino anche che tu ti sia ispirato a qualche pittore, soprattutto per la composizione di alcune scene.
È vero, però devo ammettere che non so disegnare e quindi utilizzo delle planimetrie del set per capire dove posizionare la camera o i miei attori. Ma in questo caso la responsabilità ricade soprattutto sulla mia direttrice della fotografia, Leonor Teles.
Per quanto riguarda l’uso dei colori invece? In Mal Viver c’è una particolare attenzione sulla palette di colori utilizzata.
Possiamo conversare su questo aspetto, ma la scelta della palette è per lo più merito di Leonor. Era la prima volta che collaboravo con lei e mi ritengo più che soddisfatto. Siamo diventati ottimi amici, potrebbe essere mia figlia ora che ci penso (il regista ride, n.d.r.), ma nonostante ciò, siamo riusciti a trovare una connessione. Ma, come dicevo prima a proposito delle attrici, io non posso imporre la mia visione su di lei. Se Leonor vuole “distruggere” l’impostazione del frame da me scelta, va benissimo, mi fido del suo lavoro. Purché il suo lavoro sia coeso con il resto ovviamente. C’è una citazione di Woody Allen di un po’ di tempo fa che mi è rimasto a lungo in mente; un giorno gli chiesero come si sentisse quando un attore “cambia” i suoi dialoghi, e lui rispose che visto che i personaggi “appartengono” agli attori qualsiasi cambiamento apportassero sarebbe risultato migliore della sua visione, almeno fino a quando non “distruggono” completamente il suo modo di vedere.
Ora entrerò più nel dettaglio su Mal Viver. Riguardando il film più volte ho notato che il personaggio di Piedade ha una particolare fissazione nei confronti del suo corpo. Sistema sempre i suoi capelli dettagliatamente, prima di andare in piscina, o prima della sequenza finale ad esempio, possiamo vedere una cura quasi maniacale della donna nel radersi. Mi sono fatto una possibile idea su cosa questo possa significare, ma volevo chiederti se c’era qualche significato particolare dietro a queste sequenze.
Certamente. C’è un significato e tra poco ti risponderò, ma voglio che lo spettatore abbia la propria opinione e “verità”. Io ho il mio punto di vista, ma è solo una mia interpretazione. Comunque, il corpo e il proprio aspetto fisico sono le uniche cose che Piedade riesce a controllare nella sua vita. Ed è l’unica via per superare quella costante angoscia ed ansia che prova. Ma questa è solo la mia opinione e può differire dalla tua che può essere vera quanto la mia.
Ad essere sincero è la stessa interpretazione che pensavo io, soprattutto perché non ha il “controllo” su nessuna delle relazioni con gli altri personaggi.
Esatto, con il passare dei giorni continua sempre più a perdere il controllo della situazione attorno a lei. La sua routine quotidiana diventa in qualche modo “disturbante”, lei vive in questo continuo stato d’ansia. All’inizio non sappiamo perché, ma come scopriamo in seguito questo comportamento è dovuto alla madre (il regista ride, n.d.r.). Ma ora che ci penso, hai notato che c’è una relazione “normale” nella sua vita? É quella con il cane, è probabilmente la relazione più affettuosa che il personaggio ha nel corso del film. Perché? C’è una spiegazione, ma come dicevo prima ogni possibile risposta è giusta. Lei non ha molta responsabilità nei confronti dell’animale e non ha problemi nel formare una relazione sana con esso.
Parlando della routine quotidiana di Piedade, un altro momento “tranquillo” nella vita della donna si può trovare quando guarda la televisione.
Esatto, fa parte della sua routine ed in questi momenti vediamo Piedade avere il controllo della situazione, un modo per evitare il continuo stato di ansia attorno a sé.
E a proposito di questo, in entrambi i film vediamo i personaggi vedere alla televisione un grande classico del cinema portoghese, ovvero A Comédia de Deus (1995) di João César Monteiro. La scelta di questo film non è casuale, vero?
Ero amico di João, era una persona così divertente ed interessante e il tempo passato assieme è stato fantastico. Per me, A Comédia de Deus (1995), è il suo film migliore. Non c’è un significato profondo dietro a questa scelta, avevo bisogno di trovare qualcosa da mettere sulla televisione e ho pensato, perché non mettere qualcosa che amo?
La mancanza di empatia e di connessione tra i personaggi è una delle tematiche principali dei tuoi film, volevo chiederti se credi esista un modo per connettersi al prossimo al giorno d’oggi?
Mi piace che tua abbia utilizzato la parola “connessione”.
Più che altro perché si può sentire questa distanza emotiva tra i personaggi, e purtroppo questa mancanza di empatia verso il prossimo caratterizza molto la nostra società.
In Mal Viver la disconnessione tra i personaggi è dovuta a quel sentimento di ansia tramandato nel corso delle generazioni. In Viver Mal, invece, ci sono ragioni completamente diverse, come la mancanza di rispetto, l’egoismo e l’ossessione.
E come possiamo trovare questa “connessione” verso il prossimo?
Loro non riusciranno mai a creare quella “connessione” (il regista ride, n.d.r.). Per quanto riguarda noi, dobbiamo imparare a creare quella “connessione” tramite la “disconnessione” con il prossimo.
Viver Mal è un libero adattamento di tre opere teatrali di August Strindberg, hai sempre avuto in mente quelle tre o avresti voluto adattarne anche altre?
Il punto di partenza di questo progetto è proprio una pièce teatrale di Strindberg: The Creditors. Poi Mal Viver ha preso una direzione completamente diversa. Comunque, ho letto tutte le opere di Strindberg, sia per interesse personale ma anche come ricerca per i film. Ho scelto di reinterpretare le tre che vedi in Viver Mal perché si adattavano di più alla mia visione.
La maternità è uno dei temi principali, se non quello più prevalente. Volevo sapere che contributo hanno portato le attrici in questo film, e soprattutto l’impatto che ha avuto su di loro questa maternità “brutale”, se posso definirla così.
Loro hanno saputo portare sullo schermo la propria “verità” su questa tematica. Anche se hanno trasmesso una visione che si discosta, naturalmente, dalla mia. Loro ti sapranno dire certe cose che sono l’opposto di quello che avevo ideato, ma non devi credere alle loro parole! (Il regista ride, n.d.r.) Rita, ad esempio, se le chiedi cosa ne pensa del suo ruolo ti risponderà in tono piuttosto arrabbiato «io non sono per niente così» (il regista usa un buffo tono per imitare la voce dell’attrice, n.d.r.).
Davvero interessante quello che mi stai dicendo. Volevo anche farti qualche domanda sulla location che hai scelto, c’è qualche storia particolare dietro la scelta di questo hotel?
È una storia divertente, questo era l’hotel in cui i miei genitori mi portavano durante il weekend, soprattutto perché all’epoca, gli anni ‘60, non c’erano molte piscine nel nord del Portogallo dove si poteva nuotare. La piscina di questo hotel è enorme e per un bambino sembra ancora più grande! Ho questo ricordo con me, non abbiamo mai soggiornato nell’hotel, andavamo solo per la piscina. Quando cercavo un albergo per il film l'idea di usare questa location è stata presente sin dall’inizio, abbiamo cercato molti hotel in Portogallo, e questo l’ho tenuto come ultima scelta. Più che altro perché pensavo che fosse chiuso, o addirittura distrutto. E la cosa simpatica è che il proprietario dell’hotel è un architetto ed è il figlio dell’architetto che ha progettato questo edificio. È una bellissima storia, e lui ha comprato l’hotel per omaggiare il padre.
Ed è ancora aperto?
Si, certo.
E c’è una particolare connessione personale con questi film che hai diretto?
È stato bello girare in questa location perché ho potuto fare un viaggio nel passato. Inoltre, credo che l’hotel sia davvero bellissimo e l’architetto ha vinto anche un premio importante per questo progetto, se non sbaglio.
Da quello che dici l’hotel ti fa venire in mente dei bei ricordi, mentre non descriverei mai i tuoi due film come “felici”.
Magari, non ho avuto ricordi così felici in quell’hotel (il regista ride, n.d.r.).
In qualche modo c’è anche un particolare lato comico nei tuoi film.
Se ti riferisci a Viver Mal sicuramente.
A dire il vero intendevo Mal Viver.
Ah si, forse nella ricerca del cane.
Anche, però c’è una scena davvero simpatica dove uno dei personaggio inizia a fare delle strane pose vicino alla piscina. Non è una scena esilarante ovviamente, ma mi ha fatto sorridere.
È tutto merito dell’attrice allora. Di solito la fase di preparazione dura molto. Abbiamo conversazioni che durano per mesi e quando dobbiamo girare gli attori sono diventati il personaggio che devono interpretare, quindi certi gesti e manierismi sono naturali. Anche la scelta dei costumi dipende dal cast, ad esempio.
Per concludere, vorrei ritornare un attimo sul discorso di ciò che ti ha ispirato per questo film. In Mal Viver c’è una struggente sequenza con protagoniste Piedade e sua madre, mi ha ricordato molto una delle scene fondamentali di Sinfonia d’Autunno (1978) di Ingmar Bergman.
E ricordi bene! Sinfonia d’Autunno è stato uno dei punti di partenza del film, ma non solo quello. Sono tre le opere di Bergman che mi hanno ispirato; Sinfonia d’Autunno (1978), Sussurri e Grida (1972) e Il silenzio (1963), e ho mostrato il primo a tutte le attrici… più volte (il regista ride, n.d.r.).
INT-23
10.03.2023
La Berlinale si è conclusa due settimane fa, e uno dei grandi vincitori di quest’edizione è stato João Canijo con Mal Viver. La vittoria dell’Orso d’Argento del regista portoghese ci ha estasiato, ma d’altronde era giunta l’ora che un influente festival europeo riconoscesse il talento di questo incredibile cineasta. Tramite il suo stile viscerale, caratterizzato per lo più dall’utilizzo di lunghi piani sequenza, un’impostazione teatrale e una particolare enfasi sulle interpretazioni del cast, Canijo è riuscito ad esplorare i cambiamenti sociali ed economici della moderna società portoghese. A Berlino, il regista non ha presentato solo Mal Viver in Competizione, ma anche Viver Mal, nella sezione Encounters, un dittico affascinante che esplora le diverse dinamiche socio-famigliari di due gruppi di persone all’interno di un hotel nel nord del Portogallo. Il primo film vede protagonista la famiglia che gestisce il residence e ruota attorno al senso di malessere, e disconnessione, tra i vari membri del nucleo familiare, mentre il secondo film mostra il punto di vista degli ospiti attraverso una struttura a tre episodi. Lo stile di Canijo si riconosce in entrambe le opere, nonostante queste siano completamente differenti; Mal Viver è costruito attorno alle attrici del cast, mentre Viver Mal è un adattamento di tre opere del drammaturgo August Strindberg (Playing With Fire, The Pelican e Motherly Love).
Abbiamo incontrato João Canijo al Festival di Berlino e la conversazione avuta con il regista è stata stimolante e piacevole, soprattutto perché davanti a noi si è presentata una persona solare e disponibile a raccontare i dettagli sulla lavorazione dei film.
Prima di tutto, congratulazioni per i due film che hai presentato qui a Berlino. Sono un tuo grande ammiratore e, come sempre, la composizione di ogni scena, l’impostazione narrativa e i movimenti fluidi di camera mi hanno lasciato senza parole. Ma prima di approfondire questi aspetti volevo parlare delle brillanti attrici del tuo film. Cleia Almeida, Rita Blanco e Anabela Moreiea hanno partecipato alla maggior parte dei tuoi film, volevo chiederti come si fosse evoluta la vostra collaborazione nel corso degli anni.
Non dimenticarti di Vera Barreto mi raccomando, avevo già collaborato anche con lei in passato. Comunque, il rapporto si è evoluto in un modo “demoniaco” (il regista ride, n.d.r.). Conosco Rita da quarant’anni, Anabela da venticinque, Cleia da quando ne ha diciotto, e ora ne ha quaranta, mentre Vera da quando ne ha quindici. Scelgo sempre loro nei miei film e, all’inizio della lavorazione di ogni mio lavoro, mi chiedo sempre quali personaggi potrebbero interpretare. Costruisco le scene attorno a loro. Ovviamente, quando c’è un personaggio più giovane, non posso scegliere loro. In questo caso c’è Madalena Almeida e posso dirti che è entrata ufficialmente nella nostra “famiglia”, e certamente sarà coinvolta nel mio prossimo progetto.
Quindi costruisci le scene con loro, puoi approfondire questo processo?
Non credo sia possibile imporre la propria interpretazione e visione artistica ad un’altra persona. Le chiavi di lettura di un film sono individuali, non c’è una verità assoluta. Esiste questa dimensione dove la verità appartiene a ognuno di noi, e in ogni mio film cerco sempre di trovare la loro “verità”, la loro sincerità, e per far ciò devo collaborare con loro! Non posso imporre qualcosa. Abbiamo lavorato a lungo insieme nella fase di produzione, abbiamo avuto queste lunghe conversazioni che ho registrato e trascritto. In seguito, ho progettato delle scene più concrete fino a che non ho terminato la sceneggiatura. Ma anche dopo questa fase, lo script era per lo più improvvisato. Scena dopo scena, e come nella fase precedente, ho registrato e trascritto il tutto. E solo dopo questo processo sono arrivato alla sceneggiatura definitiva. I dialoghi appartengono a loro. Ovviamente apporto sempre qualche cambiamento, ma i dialoghi che sentì sono la loro “verità”. E se posso aggiungere, conoscono la storia e la sceneggiatura meglio di me! (il regista scoppia a ridere, n.d.r.)
Loro sono le protagoniste di Mal Viver e mi chiedevo se fossero a conoscenza di quello che accade in Viver Mal, ovvero «l’immagine speculare» del primo film, citando le tue parole.
Loro sanno che la loro storia è connessa a quella dei personaggi di Viver Mal nello stesso modo in cui noi siamo connessi alle persone nell’altra stanza. Ed è questa la vita! Stesso posto e stessa collocazione temporale, ma diverse realtà.
A tal proposito, il sound design assume un ruolo chiave, e come se connettesse i due film. Volevo chiederti se potevi approfondire anche questo aspetto.
La gestione del suono è sempre un grande problema, è qualcosa che mi crea sempre angoscia. Negli ultimi vent’anni, il sound design nei film ha avuto una grossa evoluzione, passando dal surround 5.1 al 7.1, un formato che non è mai stato sfruttato appieno nelle produzioni hollywoodiane. Credo si possano fare delle cose davvero interessanti con questo sistema audio. Per esempio, mi piace molto inserire conversazioni al di fuori del frame, puoi “giocare” su questo aspetto e inserire conversazioni o altro in diverse posizioni. La mia angoscia nasce dal fatto che sempre meno persone vanno al cinema e credo che, per apprezzare appieno certi aspetti del sound design moderno, bisognerebbe vedere, ed ascoltare, i film tramite il grande schermo. Ma oggi le circostanze stanno giocando a nostro sfavore. Tutto il lavoro che si fa con il sonoro al giorno d’oggi risulta quindi “inutile”, ma non demordo e continuerò a sperimentare! Il punto è che, tramite questo approccio sonoro, tu sei in grado di seguire la conversazione che ti interessa di più.
E quali sono state le maggiori ispirazioni cinematografiche per questo film, ma anche nel corso della tua carriera, se posso chiedere. Hai lavorato a lungo con Manoel de Oliveira, è lui una delle tue principali fonti d’ispirazione?
Come disse Henri Matisse: «Se rimani fissato con una certa formula o stile e inizi a imitare te stesso, allora sei già morto». Cerco sempre di reinventarmi ed essere me stesso ad ogni film, ma ci sono dei grandi maestri che mi hanno ispirato. John Cassavetes è uno di questi, ma vorrei citare anche due grandi cineasti asiatici come Wong Kar-wai e Hou Hsiao-hsien. E ovviamente Tarkovskij, amo il suo cinema.
Mike Leigh invece?
Anche, forse perché lavoriamo in maniera simile con gli attori, ma non l’ho mai “copiato”, e lo stesso con Cassavetes. Citerei anche William Shakespeare però. Per quanto riguarda Manoel de Oliveira, lui è stato il mio grande maestro ed è stata una fonte d’ispirazione, non nella forma o per i contenuti, ma dal punto di vista personale. L’ho conosciuto quando era abbastanza giovane, aveva “solo” settantadue anni (il regista scoppia a ridere, n.d.r.). L’insegnamento più importante che mi ha impartito è l’essere onesti con se stessi.
Immagino anche che tu ti sia ispirato a qualche pittore, soprattutto per la composizione di alcune scene.
È vero, però devo ammettere che non so disegnare e quindi utilizzo delle planimetrie del set per capire dove posizionare la camera o i miei attori. Ma in questo caso la responsabilità ricade soprattutto sulla mia direttrice della fotografia, Leonor Teles.
Per quanto riguarda l’uso dei colori invece? In Mal Viver c’è una particolare attenzione sulla palette di colori utilizzata.
Possiamo conversare su questo aspetto, ma la scelta della palette è per lo più merito di Leonor. Era la prima volta che collaboravo con lei e mi ritengo più che soddisfatto. Siamo diventati ottimi amici, potrebbe essere mia figlia ora che ci penso (il regista ride, n.d.r.), ma nonostante ciò, siamo riusciti a trovare una connessione. Ma, come dicevo prima a proposito delle attrici, io non posso imporre la mia visione su di lei. Se Leonor vuole “distruggere” l’impostazione del frame da me scelta, va benissimo, mi fido del suo lavoro. Purché il suo lavoro sia coeso con il resto ovviamente. C’è una citazione di Woody Allen di un po’ di tempo fa che mi è rimasto a lungo in mente; un giorno gli chiesero come si sentisse quando un attore “cambia” i suoi dialoghi, e lui rispose che visto che i personaggi “appartengono” agli attori qualsiasi cambiamento apportassero sarebbe risultato migliore della sua visione, almeno fino a quando non “distruggono” completamente il suo modo di vedere.
Ora entrerò più nel dettaglio su Mal Viver. Riguardando il film più volte ho notato che il personaggio di Piedade ha una particolare fissazione nei confronti del suo corpo. Sistema sempre i suoi capelli dettagliatamente, prima di andare in piscina, o prima della sequenza finale ad esempio, possiamo vedere una cura quasi maniacale della donna nel radersi. Mi sono fatto una possibile idea su cosa questo possa significare, ma volevo chiederti se c’era qualche significato particolare dietro a queste sequenze.
Certamente. C’è un significato e tra poco ti risponderò, ma voglio che lo spettatore abbia la propria opinione e “verità”. Io ho il mio punto di vista, ma è solo una mia interpretazione. Comunque, il corpo e il proprio aspetto fisico sono le uniche cose che Piedade riesce a controllare nella sua vita. Ed è l’unica via per superare quella costante angoscia ed ansia che prova. Ma questa è solo la mia opinione e può differire dalla tua che può essere vera quanto la mia.
Ad essere sincero è la stessa interpretazione che pensavo io, soprattutto perché non ha il “controllo” su nessuna delle relazioni con gli altri personaggi.
Esatto, con il passare dei giorni continua sempre più a perdere il controllo della situazione attorno a lei. La sua routine quotidiana diventa in qualche modo “disturbante”, lei vive in questo continuo stato d’ansia. All’inizio non sappiamo perché, ma come scopriamo in seguito questo comportamento è dovuto alla madre (il regista ride, n.d.r.). Ma ora che ci penso, hai notato che c’è una relazione “normale” nella sua vita? É quella con il cane, è probabilmente la relazione più affettuosa che il personaggio ha nel corso del film. Perché? C’è una spiegazione, ma come dicevo prima ogni possibile risposta è giusta. Lei non ha molta responsabilità nei confronti dell’animale e non ha problemi nel formare una relazione sana con esso.
Parlando della routine quotidiana di Piedade, un altro momento “tranquillo” nella vita della donna si può trovare quando guarda la televisione.
Esatto, fa parte della sua routine ed in questi momenti vediamo Piedade avere il controllo della situazione, un modo per evitare il continuo stato di ansia attorno a sé.
E a proposito di questo, in entrambi i film vediamo i personaggi vedere alla televisione un grande classico del cinema portoghese, ovvero A Comédia de Deus (1995) di João César Monteiro. La scelta di questo film non è casuale, vero?
Ero amico di João, era una persona così divertente ed interessante e il tempo passato assieme è stato fantastico. Per me, A Comédia de Deus (1995), è il suo film migliore. Non c’è un significato profondo dietro a questa scelta, avevo bisogno di trovare qualcosa da mettere sulla televisione e ho pensato, perché non mettere qualcosa che amo?
La mancanza di empatia e di connessione tra i personaggi è una delle tematiche principali dei tuoi film, volevo chiederti se credi esista un modo per connettersi al prossimo al giorno d’oggi?
Mi piace che tua abbia utilizzato la parola “connessione”.
Più che altro perché si può sentire questa distanza emotiva tra i personaggi, e purtroppo questa mancanza di empatia verso il prossimo caratterizza molto la nostra società.
In Mal Viver la disconnessione tra i personaggi è dovuta a quel sentimento di ansia tramandato nel corso delle generazioni. In Viver Mal, invece, ci sono ragioni completamente diverse, come la mancanza di rispetto, l’egoismo e l’ossessione.
E come possiamo trovare questa “connessione” verso il prossimo?
Loro non riusciranno mai a creare quella “connessione” (il regista ride, n.d.r.). Per quanto riguarda noi, dobbiamo imparare a creare quella “connessione” tramite la “disconnessione” con il prossimo.
Viver Mal è un libero adattamento di tre opere teatrali di August Strindberg, hai sempre avuto in mente quelle tre o avresti voluto adattarne anche altre?
Il punto di partenza di questo progetto è proprio una pièce teatrale di Strindberg: The Creditors. Poi Mal Viver ha preso una direzione completamente diversa. Comunque, ho letto tutte le opere di Strindberg, sia per interesse personale ma anche come ricerca per i film. Ho scelto di reinterpretare le tre che vedi in Viver Mal perché si adattavano di più alla mia visione.
La maternità è uno dei temi principali, se non quello più prevalente. Volevo sapere che contributo hanno portato le attrici in questo film, e soprattutto l’impatto che ha avuto su di loro questa maternità “brutale”, se posso definirla così.
Loro hanno saputo portare sullo schermo la propria “verità” su questa tematica. Anche se hanno trasmesso una visione che si discosta, naturalmente, dalla mia. Loro ti sapranno dire certe cose che sono l’opposto di quello che avevo ideato, ma non devi credere alle loro parole! (Il regista ride, n.d.r.) Rita, ad esempio, se le chiedi cosa ne pensa del suo ruolo ti risponderà in tono piuttosto arrabbiato «io non sono per niente così» (il regista usa un buffo tono per imitare la voce dell’attrice, n.d.r.).
Davvero interessante quello che mi stai dicendo. Volevo anche farti qualche domanda sulla location che hai scelto, c’è qualche storia particolare dietro la scelta di questo hotel?
È una storia divertente, questo era l’hotel in cui i miei genitori mi portavano durante il weekend, soprattutto perché all’epoca, gli anni ‘60, non c’erano molte piscine nel nord del Portogallo dove si poteva nuotare. La piscina di questo hotel è enorme e per un bambino sembra ancora più grande! Ho questo ricordo con me, non abbiamo mai soggiornato nell’hotel, andavamo solo per la piscina. Quando cercavo un albergo per il film l'idea di usare questa location è stata presente sin dall’inizio, abbiamo cercato molti hotel in Portogallo, e questo l’ho tenuto come ultima scelta. Più che altro perché pensavo che fosse chiuso, o addirittura distrutto. E la cosa simpatica è che il proprietario dell’hotel è un architetto ed è il figlio dell’architetto che ha progettato questo edificio. È una bellissima storia, e lui ha comprato l’hotel per omaggiare il padre.
Ed è ancora aperto?
Si, certo.
E c’è una particolare connessione personale con questi film che hai diretto?
È stato bello girare in questa location perché ho potuto fare un viaggio nel passato. Inoltre, credo che l’hotel sia davvero bellissimo e l’architetto ha vinto anche un premio importante per questo progetto, se non sbaglio.
Da quello che dici l’hotel ti fa venire in mente dei bei ricordi, mentre non descriverei mai i tuoi due film come “felici”.
Magari, non ho avuto ricordi così felici in quell’hotel (il regista ride, n.d.r.).
In qualche modo c’è anche un particolare lato comico nei tuoi film.
Se ti riferisci a Viver Mal sicuramente.
A dire il vero intendevo Mal Viver.
Ah si, forse nella ricerca del cane.
Anche, però c’è una scena davvero simpatica dove uno dei personaggio inizia a fare delle strane pose vicino alla piscina. Non è una scena esilarante ovviamente, ma mi ha fatto sorridere.
È tutto merito dell’attrice allora. Di solito la fase di preparazione dura molto. Abbiamo conversazioni che durano per mesi e quando dobbiamo girare gli attori sono diventati il personaggio che devono interpretare, quindi certi gesti e manierismi sono naturali. Anche la scelta dei costumi dipende dal cast, ad esempio.
Per concludere, vorrei ritornare un attimo sul discorso di ciò che ti ha ispirato per questo film. In Mal Viver c’è una struggente sequenza con protagoniste Piedade e sua madre, mi ha ricordato molto una delle scene fondamentali di Sinfonia d’Autunno (1978) di Ingmar Bergman.
E ricordi bene! Sinfonia d’Autunno è stato uno dei punti di partenza del film, ma non solo quello. Sono tre le opere di Bergman che mi hanno ispirato; Sinfonia d’Autunno (1978), Sussurri e Grida (1972) e Il silenzio (1963), e ho mostrato il primo a tutte le attrici… più volte (il regista ride, n.d.r.).