INT-82
22.12.2024
Uno dei successi più inaspettati di questa annata cinematografica è stato quello di Kneecap, il primo lungometraggio del regista Rich Peppiatt che mostra le origini, e le stravaganti vicende, che riguardano l'omonimo trio che ha spopolato sulla scena rap e hip hop irlandese degli ultimi anni. I tre membri sono Liam Óg Ó hAnnaidh, Naoise Ó Cairealláin e J.J. Ó Dochartaigh, meglio conosciuti con i nomi di Mo Chara, Móglaí Bap e DJ Próvaí, tre giovani ragazzi provenienti dalla periferia nord irlandese che hanno cominciato dal nulla, da un semplice garage, senza nemmeno rendersi conto che la loro musica ben presto sarebbe diventata una parte importante del movimento nato per preservare la lingua dell'Irlanda del Nord, ovvero il gaelico. I loro testi sono inoltre diventati un simbolo della battaglia per i diritti civili e hanno ricevuto il consenso popolare per la loro presa di posizione contro le forze di polizia, i paramilitari e i politici.
Dopo il trionfo iniziale al Sundance Film Festival dello scorso gennaio, Kneecap ha saputo replicare lo stesso tripudio in vari festival internazionali ricevendo riconoscimenti importanti, l’ultimo di questi è arrivato lo scorso martedì, quando il lungometraggio è stato inserito nella shortlist dei quindici titoli che si contenderanno un posto nella cinquina della categoria di Miglior film internazionale agli Oscar.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Rich Peppiatt, con il quale abbiamo avuto una lunga conversazione su diverse tematiche del film, tra cui l’impatto che i Kneecap hanno avuto nella comunità nordirlandese, il suo rapporto con il gruppo e il modo in cui ha gestito il tono comico, e allo stesso tempo provocatorio, dell’opera.
Come è nata l’idea di realizzare un film sui Kneecap?
Tutto è partito da una riflessione sul biopic musicale e come spesso sia un genere piuttosto monotono, che segue sempre la solita struttura narrativa. Ho iniziato a chiedermi se potevo fare un film dove evitavo di analizzare la fine della carriera di un cantante che rimpiange i tempi di gloria, e da lì è partita l’idea di fare l’esatto opposto e analizzare un gruppo musicale che è ancora in piena ascesa. Il problema principale era il capire come strutturare questa narrativa, ma una volta che ho incontrato i Kneecap ho capito che loro erano la perfetta cavia per questo esperimento. Ho avuto questa sensazione e ho scommesso su di loro perché credevo avessero tutte le potenzialità per sfondare. A questo punto, toccava a me. Inoltre, cinque anni fa, quando abbiamo iniziato a lavorare assieme non potevamo nemmeno immaginare tutto questo successo, e la scorsa estate è uscito anche un loro album a cui stavano lavorando da tempo.
Come hai convinto i Kneecap a partecipare al film? C’è qualche aneddoto particolare sulle vostre prime conversazioni?
Beh si, c’è una storia divertente a riguardo. Hai presente la sequenza nel garage dove i due ragazzi incontrano per la prima volta JJ? Ecco, il mio primo incontro, o meglio serata, con i Kneecap è stato identico. Dovevo dimostrare due cose importanti; la prima era che sapevo reggere i loro “ritmi”, la seconda che non ero uno sbirro. Avevano bisogno di queste rassicurazioni e ammetto che devo ancora riprendermi da quel battesimo di fuoco (il regista ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, ho visto i Kneecap per la prima volta ad un loro show e sono rimasto sbalordito dalla loro forte presenza scenica. Tiravano dei piccoli sacchetti con della polvere bianca al pubblico. All’inizio tutti eravamo sorpresi, ma alla fine si trattava solo di farina. Comunque, mi sono subito reso conto quanto il loro modo di fare e la loro musica avessero una forte connotazione provocatoria. Al giorno d’oggi, l’industria musicale è per lo più gestita da campagne pubblicitarie e social, e quando li ho incontrati per la prima volta, mi ha colpito la loro natura grezza. Hanno sempre fatto di testa loro e sono sempre rimasti loro stessi, anche se spesso hanno dovuto affrontare le conseguenze dei loro comportamenti. Quei ragazzi rappresentano una ventata di aria fresca nel panorama musicale contemporaneo. Inoltre, sono un appassionato di hip hop e la loro musica mi trasmette qualcosa. Sarò sempre grato di aver avuto l’opportunità di fare un film su uno dei miei gruppi musicali preferiti.
Due settimane fa, i Kneecap hanno fatto parlare di se, non per via del film, ma perché hanno vinto una causa in tribunale. Cosa mi puoi dire a riguardo?
In poche parole, i Kneecap avevano vinto una cospicua somma di denaro, circa quindicimila sterline, e il governo conservatore inglese ha bloccato il tutto perché non era d'accordo con le credenze del gruppo sul Regno Unito. Sono repubblicani, credono fortemente che l’Irlanda del Nord debba essere unita al resto della nazione. Comunque, le azioni del governo sono risultate piuttosto insensate perché non puoi discriminare legalmente delle persone sulla base delle loro credenze politiche. Se credi che il Regno Unito e l’Irlanda debbano essere due nazioni distinte, hai pienamente il diritto di pensarlo. I Kneecap hanno denunciato il governo ed hanno vinto ovviamente. I soldi che hanno ricevuto sono stati poi donati a due organizzazioni che aiutano i giovani, una protestante e una cattolica. Questo è solo uno dei tanti episodi dove i Kneecap si sono battuti per i loro ideali, infischiandosene delle conseguenze, arrivando perfino a superare in astuzia organizzazioni importanti o istituzioni politiche. Loro amano creare controversie.
Quello che ho trovato affascinante in Kneecap è il fatto che questi ragazzi, all’inizio, non erano così interessati, e avevano un po’ di timore ad unirsi alla causa della lotta irlandese per la libertà, ma poi le cose sono cambiate. Cosa mi puoi dire su questo argomento?
Credo che questo aspetto sia ciò che rende Kneecap a tratti una commedia nera, tu stai guardando questi tre individui che diventano il simbolo di un movimento senza che provino nemmeno ad esserlo. Loro non volevano, ma è stato qualcosa di inevitabile e alla fine hanno dovuto accogliere questa posizione. Dal canto mio, era importante saper trovare un certo equilibrio tra i vari elementi della storia e non volevo fare una sviolinata di un’ora e mezza verso il gruppo. Quando gli ho presentato il progetto del film, gli ho anche spiegato che in diverse sequenze li avrei rappresentati come degli zimbelli ed erano d’accordo, soprattutto perché ritrarre i Kneecap come degli eroi e basta non avrebbe funzionato minimamente.
Come definiresti, o meglio, posizioneresti Kneecap in questa lunga tradizione di film sul “conflitto” Irlanda/Regno Unito?
Devi sapere che il gaelico è antecedente alla lingua inglese di qualche migliaio di anni. È stata per lo più una lingua parlata e non scritta, quindi tramandata in generazioni grazie alla musica, alla poesia e ai racconti folkloristici. Tutte queste storie orali erano accomunate da quel sentimento di disprezzo verso gli inglesi. Perché sai, tutti gli inglesi sono dei bastardi, o almeno, questo è quello che raccontavano quelle storie. A volte, si sono potute trovare delle storie d’amore o altro… ma alla fine si ritorna sempre al solito mantra, ovvero “fuck the English” (il regista ride, n.d.r.). I Kneecap fanno parte di quel canone e quello che fanno aiuta anche la preservazione del gaelico, poiché sempre meno giovani lo parlano. Questo ha causato qualche controversia anche nella comunità linguistica irlandese perché sai, sono tradizionalisti e legati alla Chiesa Cattolica. E quindi, vedere queste persone che utilizzano la lingua per creare slang di strada o legati allo spaccio di droga, fa sorgere dei dubbi su cosa rappresenti il gaelico o quale sia la sua utilità al giorno d’oggi. Chi dovrebbe essere il custode di questa lingua? Chi può parlare questa lingua? Tutte queste riflessioni mi hanno aiutato a concepire il soggetto del film. Inoltre, non ho dei dati alla mano, ma con la loro musica, i Kneecap sono riusciti a coinvolgere ed appassionare il pubblico più giovane alla lingua. Ho iniziato a studiare il gaelico nel 2019, mi sono iscritto ad un corso e nella classe c’erano altre dieci persone, di cui la metà di queste era lì proprio grazie ai Kneecap. Tutto ciò è pazzesco e spero davvero che il successo del film possa rendere più consapevoli le persone e le ispiri a riscoprire l’eredità culturale del gaelico.
Se non sbaglio, solo il 2% della popolazione irlandese parla la lingua, credi ci possa essere davvero un cambiamento nel futuro?
Bisogna solo aspettare e vedere. Però come dicevo, sempre più gente si sta interessando e sai, quando si cerca di imparare una nuova lingua, non è che sei costretto a parlarla tutti i giorni per contribuire alla diffusione di essa. A volte bastano delle semplici parole usate in contesti che sono presenti nella nostra routine quotidiana, come un semplice saluto o un ringraziamento. È qualcosa di davvero utile per la comunità. I miei figli stanno imparando il gaelico a scuola e lo considero un qualcosa di positivo, come se la popolazione irlandese stesse riscoprendo un certo orgoglio verso le proprie radici. I Kneecap hanno avuto un forte impatto nella diffusione della lingua, ma non sono l’unica ragione della sua riscoperta ovviamente. Però sono stati fondamentali nel galvanizzare le nuove generazioni, la cui unica esposizione alla lingua era stata all’interno di un noioso istituto scolastico.
Negli ultimi anni c’è stato un aumento di produzioni in lingua irlandese, basti pensare a The Quiet Girl (An Cailín Ciúin, 2022) di Colm Bairéad, che si è rivelato un enorme successo sia al box office che nelle varie premiazioni, arrivando a ricevere una nomination all’Oscar nella categoria di Miglior film internazionale. A cosa è dovuto questo incremento di film? È legato a dei fondi pubblici?
Esatto. Il governo irlandese ha iniziato a investire di più sui contenuti in lingua irlandese e il primo progetto ad essere prodotto è stato proprio The Quiet Girl, il che è davvero buffo perché eravamo in competizione con loro per avere i fondi. Abbiamo perso. A quel punto abbiamo pensato “un film su una ragazza tranquilla!? Il nostro film è migliore, pensa solo al titolo, Kneecap, è qualcosa che richiama l’attenzione. Mentre The Quiet Girl? Sembra il titolo di un film terribile” (il regista ride, n.d.r.). Beh, alla fine mi sono dovuto ricredere perché il lungometraggio di Bairéad è davvero brillante, molto diverso rispetto a Kneecap, ma pur sempre interessante e perspicace. Ora che abbiamo presentato il film la gente inizia a parlare di Kneecap come se fosse il primo film in lingua irlandese nella storia del cinema, dimenticandosi completamente dell’opera di Bailréad… ed è stato davvero una fonte di ispirazione mentre stavamo lavorando a Kneecap, soprattutto per via delle premiazioni e della nomination agli Academy Awards. Il nostro obiettivo era quello di realizzare un lavoro che potesse avere un impatto sulla popolazione irlandese, ma adesso c’è una remota possibilità di ricevere una nomination agli Oscar.
Direi che questa possibilità non è poi così remota.
Vedremo. Se mi guardo in giro e vedo gli altri film che potrebbero ricevere una nomination, noto che c’è molta competizione. Se poi prendi in considerazione il fatto che gli Oscar tendono ad essere dei premi piuttosto conservatori, Kneecap non sembra essere pane per i loro denti. È controverso per i loro standard e questo può giovare a nostro sfavore. Oppure no, magari gli Oscar stanno cercando di essere più giovanili. Comunque, il film non ci deve nulla, sono pienamente soddisfatto delle varie presentazioni dai festival e dei premi che abbiamo vinto. Però ovviamente arrivi ad un punto dove la possibilità di calcare il red carpet degli Oscar può diventare concreta, chi non lo vorrebbe? Al tempo stesso, una mancata nomination non avrà per nulla impatto su quello che abbiamo fatto.
Uno degli aspetti che più ha richiamato l’attenzione mediatica sul film è stato il ruolo secondario di Michael Fassbender. Come è nata questa collaborazione?
Beh, sai, Michael è una leggenda nell’Irlanda del Nord. Ha interpretato Bobby Sands in Hunger (2008, diretto da Steve McQueen, n.d.r.). Il ruolo di Arlo mi ha sempre dato l’impressione di quello di una persona che sarebbe potuta essere tranquillamente nella cella accanto a quella di Bobby Sands, ma che non avrebbe fatto lo sciopero della fame e quindi, il suo stesso sacrificio. Inoltre, bisogna anche considerare il fatto che ci sono davvero pochi attori irlandesi di prima categoria in grado di parlare il gaelico. La lista era piuttosto breve e Michael Fassbender era al primo posto. Tutto ciò è successo casualmente quando ho trovato un articolo in cui era stata citata la sua conoscenza della lingua. Non è qualcosa che pubblicizza di solito, ma allo stesso tempo è un linguista, conosce bene diversi idiomi. Credo che l’abbia interessato il soggetto atipico del film, e lui non è avverso a certe sfide dal momento che ha lavorato a lungometraggi come Frank (2014, di Lenny Abrahamson, n.d.r.). Ero piuttosto speranzoso per questa collaborazione. Non conosceva i Kneecap, gli ho inviato la sceneggiatura e ha iniziato a fare ricerche vedendo i loro video musicali. Si è appassionato al gruppo e così ha accettato il ruolo di Arlo. Di sicuro non è stato per i soldi, ma perché voleva essere davvero coinvolto in questo progetto. È stato molto divertente lavorare con Michael sul set perché alla fine era diventato un fanboy dei Kneecap più accanito di me. Hanno legato sin da subito ed ero felice di questo, ma ciò ha portato comunque dei problemi… (il regista sospira ironicamente, n.d.r.): i Kneecap non hanno certo bisogno di un incoraggiamento per bere e lo stesso è per Michael. Quindi mi sono trovato più volte nella situazione dove ho ricevuto chiamate alle cinque del mattino in cui mi dicevano che erano ancora nel bar. Ogni volta ero del tipo “dai ragazzi, sapete, fra quattro ore dobbiamo girare”, e loro replicavano con un “we’re method actors” (il regista ride, n.d.r).
Siccome stiamo parlando del personaggio di Arlo, vorrei approfondire meglio il discorso su come le diverse generazioni si sono approcciate a questo tipo di patriottismo, se così posso definirlo. Ed è interessante vedere nel film come i più giovani stiano cercando di capire il loro ruolo nella lotta per la libertà. Qual è il tuo pensiero riguardo a questa crescita della consapevolezza delle nuove generazioni?
Analizzando la questione su una scala più ampia ti rendi conto che le nuove generazioni stanno diventando sempre più disilluse su ciò che la vita gli riserva. Questa sensazione è dovuta soprattutto al fatto che le generazioni precedenti hanno avuto tutto a portata di mano. Hanno i soldi, una propria casa, una pensione,… e i giovani hanno capito quanto sia grigio il loro futuro perché tutti quei confort non sono più facili da ottenere, nonostante un lavoro fisso o altro. Ed è qui che nasce la discrepanza tra il sistema capitalista e i giovani. Questo fenomeno sta accadendo molto in Irlanda, i ragazzi stanno cercando una connessione con qualcosa che va al di fuori del “sistema”, come la musica, la lingua o la cultura in generale, per costruirsi una vita. I Kneecap rappresentano appieno questo spirito, sono ragazzi della classe operaia che hanno sfondato e sono caratterizzati da questo magnetismo, non hanno mai dato retta alla gente che gli diceva “don’t do this, don’t do that”. Tutto ciò mi ha ispirato; il fatto che puoi vivere la tua vita con il dito medio in alto e fare quello che vuoi. E questo va bene, perché a volte questo atteggiamento funziona. La gente in Irlanda ama lo spirito ribelle dei Kneecap, è il loro marchio. Ovviamente c’è anche l’altro lato della medaglia, dove hai persone che li odiano proprio per questo, il che è davvero un dispiacere perché già la comunità nel Nord d’Irlanda è piuttosto divisiva e le generazioni più vecchie li criticano aspramente, paragonandoli al diavolo o comunque a un male assoluto. È anche un peccato perché è pur sempre la storia di tre giovani della classe operaia che adesso sono diventati un fenomeno mondiale grazie ad un film, e vedere certe discriminazioni, per lo più religiose, è davvero triste.
Quindi la ragione di questa divisione è la religione?
Si, certo. È una questione religiosa e politica, ed entrambe vanno a braccetto. Da una parte si ha la comunità cattolica, per lo più repubblicana, che vorrebbe vedere l’Irlanda unita, mentre dall’altra c’è la comunità protestante, formata in maggioranza dagli unionisti che vogliono rimanere annessi al Regno Unito.
La parte più politica all’inizio mi aveva sorpreso, forse perché il tono del film è per lo più comico, ma allo stesso tempo è stato interessante vedere questo spaccato della vita in Nord d’Irlanda e ho avuto la sensazione che qualunque cosa una persona faccia, questa diventa una questione politica. È davvero così attualmente o hai cercato di esagerare in alcune scene per rispecchiare di più il tono del film?
No, è davvero così, ogni cosa che fai nel Nord d’Irlanda è politica. È interessante che dici che è una commedia, perché non era il mio intento a dire il vero. Quel dark humor che puoi percepire è probabilmente legato al Nord d’Irlanda, è qualcosa di naturale. Quindi il film rispecchia solamente come sono queste persone e come vivono. Ma ripeto, non c’è mai stata l’intenzione di fare una commedia. Alcune persone dicono che Kneecap è un musical, il che è strano perché odio i musical (il regista ride, n.d.r.). Poi mi hanno spiegato il perché di questo paragone e la mia reazione era del tipo “ma che cazzo, ho fatto davvero un musical?! Ma come è successo?” Dopo lo shock iniziale, ho capito di avere diretto accidentalmente un musical. Ritornando alla domanda, ogni cosa che fai è una scelta politica, dove vivi, chi frequenti, che lavoro fai,… tutto in poche parole. Questo però è dovuto ancora una volta alla mentalità delle generazioni passate, che non riescono a dimenticare ciò che è accaduto. I giovani la pensano diversamente, hanno un’apertura mentale più ampia e mostrano un vero progresso nella società. Purtroppo non è così per tutti e spesso vieni categorizzato per via della religione, per farti un esempio, sei cattolico e ti piace una determinata cosa? Bene, io mi oppongo perché sono protestante. È un clima politico negativo, perché c’è sempre il blocco dalla parte opposta e non importa se se hai ragione o torto. È un no a prescindere.
Come è stato accolto in film nel Regno Unito?
Molto bene a dire il vero. Nonostante sia una produzione indipendente, Kneecap ha avuto un grande successo al botteghino, forse è anche dovuto alla diaspora irlandese in quel paese. I giovani inglesi sembrano essere interessati a questo tipo di racconti, forse perché sono consapevoli che nelle scuole non è che insegnano molto la storia dell’Irlanda. Ciò riguarda quel momento in cui dicono “oh, magari siamo noi i bad guys”. C’è molto nazionalismo in Regno Unito e quella mentalità dove si pensa che il proprio paese è ancora “grande” e ad essere sincero, tutto questo sentimentalismo è un concetto piuttosto ridicolo ai giorni nostri. La gente crede ancora nell’eccellenza inglese e che sono i migliori in tutto. Appena questa mentalità scomparirà, ci si renderà conto che questo modo di pensare è basato su modelli governativi tirannici che hanno oppresso per secoli le altre nazioni, proprio come il Regno Unito.
Tornando sull’argomento dei generi cinematografici, recentemente James Mangold, durante il tour promozionale di A Complete Unknown, ha rimarcato il fatto che il biopic musicale è forse il genere più sottovalutato nel mondo del cinema. Sei d’accordo con lui?
Non saprei. Fatico a ricordare dei biopic che mi siano davvero rimasti impressi. Credo che l’industria cinematografica abbia il desiderio di monopolizzare questo genere e imporre un certo formato per esso. Quindi si ha un personaggio piuttosto conosciuto che ha già una nota fanbase. Bisogna anche ammettere che le persone sono più invogliate a vedere un film dove sanno già chi è il soggetto del biopic, mentre si hanno più difficoltà se il pubblico non sa nemmeno dell’esistenza dei protagonisti. Questo secondo tipo di film è più una scommessa e mi piace pensare che Kneecap rappresenti un’alternativa per questo genere in un’industria cinematografica che è poco avvezza a prendere rischi.
Come hai sviluppato l’estetica del film? Te lo chiedo perché continuo a pensare alla scena dell’inseguimento sulle note di Smack My Bitch Up dei Prodigy. Inoltre, anche se non era il tuo intento fare una commedia, il modo in cui hai diretto quella sequenza si presta alla risata, basta pensare alla corsa a rallentatore o il salto in auto.
Ok, in questo caso lo ammetto, sapevo sarebbe stata una scena esilarante e ti dirò di più, quel ponte connette la mia casa con quella dei Kneecap. Ogni volta che li dovevo incontrare attraversavo quel ponte e un giorno stavo ascoltando proprio il brano dei Prodigy e ho pensato alla scena in questione. Poi quel posto aveva una sorta di… la chiamo la “curvatura alla Lawrence d’Arabia”, era tutto perfetto per la scena. Per quanto riguarda l’estetica più in generale, prima di tutto dovevo capire il tono del film e poi modellare le varie sequenze di conseguenza. Non è stato per nulla facile, forse anche più difficile rispetto alla scrittura della sceneggiatura. Ma siccome avevo il gruppo e la loro musica come punto di partenza, più o meno sapevo come agire. L’estetica doveva essere punk, anarchica, con stacchi veloci che rispecchiano la follia del loro mondo. Lo stile è venuto da sé, come anche la satira, l’ironia, le controversie e le imprecazioni. Questi erano gli ingredienti del primo draft del film. Avevo scritto tante scene, aveva una struttura anarchica e caotica, quindi ho dovuto creare degli storyboard per aiutare gli altri nella comprensione. Quando dico termini tipo “caotico”, questi sono legati alla narrativa del film, non al fatto che erano idee buttate a caso su fogli di carta. Lo script era piuttosto organizzato e alla fine ho girato tutto ciò che era presente negli storyboard. È stata una sfida perché il budget non era alto e avevamo poco tempo per le riprese. Sono soddisfatto del prodotto finale perché rispecchia la mia visione originale e devo ringraziare il mio montatore perché è stata una situazione dove gli ho consegnato gli storyboard e detto “dammi quel film” (il regista ride, n.d.r.). E lui l’ha fatto, non ha cambiato quasi nulla.
Ogni volta che si dirige un biopic c’è sempre un po’ di aspettativa nel vedere come il film gestirà il mito dell’artista e la sua persona di tutti giorni. Come hai sviluppato questo concetto all’interno di Kneecap?
Penso sia stato piuttosto facile perché nessuno conosceva i Kneecap e poi sono ancora agli inizi in un certo senso. Facendo ciò, il film non diventa un “biopic” nel vero senso della parola. Per questo era importante avere i tre membri del gruppo per interpretare loro stessi, non abbiamo mai discusso la possibilità di cercare attori professionisti. La gente avrebbe iniziato a chiedersi se l’attore è simile alla persona che interpreta o robe simili. Probabilmente la risposta sarebbe stata un “non lo so” perché i Kneecap non sono così conosciuti. Sarebbe stato strano secondo me, non so se mi sono spiegato. La maggior parte delle scene che vedi nel film, pure i momenti più strani, sono realmente accadute perché la loro vita è stata davvero così movimentata. Prendi come esempio JJ e tutta la sottotrama con lui che era un insegnante, è tutto vero. O il battesimo all’inizio con l’elicottero, che tu ci creda o no, anche quella storia è vera, la notizia era stata pure pubblicata sui giornali locali. Ho passato i primi sei mesi della pre-produzione a fare ricerche su di loro, mi sentivo come un giornalista e passavo giornate intere all’interno dei pub a sentire i loro racconti. Sai, è come quando incontri delle persone nuove e all’inizio gli racconti degli aneddoti semplici, ma dopo dieci pinte, fidati, le storie diventano più interessanti. Con tutto il materiale che avevo racimolato, avevo l’imbarazzo della scelta.
Hai dovuto togliere qualche scena per via delle azioni “illegali” dei Kneecap?
No, però a volte c’era una certa pressione per smorzare il tono di certe sequenze.
In che senso sotto pressione?
Perché stavamo usando fondi del governo, la BFI ha investito sul film per farti un esempio. Avevamo mostrato titubanza davanti a certe battute tipo “ti farò saltare in aria come il Brighton Hotel”, pensavano fosse un po’ troppo poiché durante quel bombardamento erano morte diverse persone. Ma belligetamente mi sono rifiutato, ho seguito lo spirito di Kneecap, e se ci fosse stato qualche problema legato a quella frase una volta che il film avrebbe raggiunto il grande pubblico, mi sarei preso ogni responsabilità. Ci sono state alcune perplessità sul fatto che i personaggi usano stupefacenti di vario tipo e su come non vengano rappresentati in maniera negativa. Ho spiegato loro che non per forza ogni film deve finire con qualcuno che muore di overdose. Puoi drogarti e continuare tranquillamente con la tua vita. Non sto dicendo che è una cosa positiva certamente, ma quello che volevo fargli capire è che non volevo rendere l’utilizzo di sostanze illegali un cliché. Conosco questi ragazzi da sei anni, li ho visti drogarsi a destra e a manca e direi che stanno bene… più o meno (il regista scoppia a ridere, n.d.r.). Ho detto ai produttori che forse avevano ragione e che un giorno ci potrebbero essere conseguenze negative sui Kneecap per il loro stile di vita e che forse si potrebbe fare un film a riguardo, ma non era quello che volevo fare in quel momento. I Kneecap sono nel pieno delle loro vite, sono giovani, si stanno divertendo e stanno trovando il successo.
Il genere punk ha riscosso tanto successo alcuni decenni fa proprio per il suo stile provocatorio e ribelle, credi che al giorno d’oggi sia possibile uno scenario simile con la musica dei Kneecap o di altri gruppi?
Molto è cambiato, non ci sono più gli stessi stage o performance tipo quelle dei Sex Pistols. L’industria discografica è cambiata come dicevo prima, tutto quello che si fa ora è una questione di marketing. È anche cambiato il modello economico del musicista e per via di tutti i costi vari, questo stile di vita diventa difficile. Anche solo fare dei piccoli concerti può essere difficile e non ricavare un guadagno da essi. Per dirti, l’anno scorso i Kneecap suonavano di fronte a cento persone, mentre qualche mese fa hanno venduto duemila biglietti in meno di mezz’ora. E non hanno cambiato il loro modo di essere o smorzato lo stile provocatorio. Forse il film ha aiutato un pochino (il regista ride, n.d.r.).
Stai già lavorando a qualche progetto futuro? Ti concentrerai ancora su storie irlandesi o legate al tuo paese d’origine?
In questo momento sto lavorando a due progetti. Il primo ha un po’ di Irlanda in sè perché è un adattamento del romanzo Bad Bridget che segue le vicende di un gruppo di donne immigrate a New York nel 1850. Il secondo progetto invece mi è stato proposto da uno studio americano, sarà una satira sul mondo del turismo ambientata ai Caraibi. Spero di girarlo l’anno prossimo e di avere la libertà creativa per farlo come voglio io.
Una satira sul turismo? Avrà per caso elementi horror?
Si, ci saranno, soprattutto perché viviamo in un’era dove certe città stanno iniziando a respingere il mondo del turismo, come Barcellona o Venezia. La popolazione locale si sta ribellando perché ci sono più difetti che pregi e ho trovato un modo divertente per affrontare questa problematica sui Caraibi. Ma bisogna solo aspettare e vedere.
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22.12.2024
Uno dei successi più inaspettati di questa annata cinematografica è stato quello di Kneecap, il primo lungometraggio del regista Rich Peppiatt che mostra le origini, e le stravaganti vicende, che riguardano l'omonimo trio che ha spopolato sulla scena rap e hip hop irlandese degli ultimi anni. I tre membri sono Liam Óg Ó hAnnaidh, Naoise Ó Cairealláin e J.J. Ó Dochartaigh, meglio conosciuti con i nomi di Mo Chara, Móglaí Bap e DJ Próvaí, tre giovani ragazzi provenienti dalla periferia nord irlandese che hanno cominciato dal nulla, da un semplice garage, senza nemmeno rendersi conto che la loro musica ben presto sarebbe diventata una parte importante del movimento nato per preservare la lingua dell'Irlanda del Nord, ovvero il gaelico. I loro testi sono inoltre diventati un simbolo della battaglia per i diritti civili e hanno ricevuto il consenso popolare per la loro presa di posizione contro le forze di polizia, i paramilitari e i politici.
Dopo il trionfo iniziale al Sundance Film Festival dello scorso gennaio, Kneecap ha saputo replicare lo stesso tripudio in vari festival internazionali ricevendo riconoscimenti importanti, l’ultimo di questi è arrivato lo scorso martedì, quando il lungometraggio è stato inserito nella shortlist dei quindici titoli che si contenderanno un posto nella cinquina della categoria di Miglior film internazionale agli Oscar.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Rich Peppiatt, con il quale abbiamo avuto una lunga conversazione su diverse tematiche del film, tra cui l’impatto che i Kneecap hanno avuto nella comunità nordirlandese, il suo rapporto con il gruppo e il modo in cui ha gestito il tono comico, e allo stesso tempo provocatorio, dell’opera.
Come è nata l’idea di realizzare un film sui Kneecap?
Tutto è partito da una riflessione sul biopic musicale e come spesso sia un genere piuttosto monotono, che segue sempre la solita struttura narrativa. Ho iniziato a chiedermi se potevo fare un film dove evitavo di analizzare la fine della carriera di un cantante che rimpiange i tempi di gloria, e da lì è partita l’idea di fare l’esatto opposto e analizzare un gruppo musicale che è ancora in piena ascesa. Il problema principale era il capire come strutturare questa narrativa, ma una volta che ho incontrato i Kneecap ho capito che loro erano la perfetta cavia per questo esperimento. Ho avuto questa sensazione e ho scommesso su di loro perché credevo avessero tutte le potenzialità per sfondare. A questo punto, toccava a me. Inoltre, cinque anni fa, quando abbiamo iniziato a lavorare assieme non potevamo nemmeno immaginare tutto questo successo, e la scorsa estate è uscito anche un loro album a cui stavano lavorando da tempo.
Come hai convinto i Kneecap a partecipare al film? C’è qualche aneddoto particolare sulle vostre prime conversazioni?
Beh si, c’è una storia divertente a riguardo. Hai presente la sequenza nel garage dove i due ragazzi incontrano per la prima volta JJ? Ecco, il mio primo incontro, o meglio serata, con i Kneecap è stato identico. Dovevo dimostrare due cose importanti; la prima era che sapevo reggere i loro “ritmi”, la seconda che non ero uno sbirro. Avevano bisogno di queste rassicurazioni e ammetto che devo ancora riprendermi da quel battesimo di fuoco (il regista ride, n.d.r.). A parte gli scherzi, ho visto i Kneecap per la prima volta ad un loro show e sono rimasto sbalordito dalla loro forte presenza scenica. Tiravano dei piccoli sacchetti con della polvere bianca al pubblico. All’inizio tutti eravamo sorpresi, ma alla fine si trattava solo di farina. Comunque, mi sono subito reso conto quanto il loro modo di fare e la loro musica avessero una forte connotazione provocatoria. Al giorno d’oggi, l’industria musicale è per lo più gestita da campagne pubblicitarie e social, e quando li ho incontrati per la prima volta, mi ha colpito la loro natura grezza. Hanno sempre fatto di testa loro e sono sempre rimasti loro stessi, anche se spesso hanno dovuto affrontare le conseguenze dei loro comportamenti. Quei ragazzi rappresentano una ventata di aria fresca nel panorama musicale contemporaneo. Inoltre, sono un appassionato di hip hop e la loro musica mi trasmette qualcosa. Sarò sempre grato di aver avuto l’opportunità di fare un film su uno dei miei gruppi musicali preferiti.
Due settimane fa, i Kneecap hanno fatto parlare di se, non per via del film, ma perché hanno vinto una causa in tribunale. Cosa mi puoi dire a riguardo?
In poche parole, i Kneecap avevano vinto una cospicua somma di denaro, circa quindicimila sterline, e il governo conservatore inglese ha bloccato il tutto perché non era d'accordo con le credenze del gruppo sul Regno Unito. Sono repubblicani, credono fortemente che l’Irlanda del Nord debba essere unita al resto della nazione. Comunque, le azioni del governo sono risultate piuttosto insensate perché non puoi discriminare legalmente delle persone sulla base delle loro credenze politiche. Se credi che il Regno Unito e l’Irlanda debbano essere due nazioni distinte, hai pienamente il diritto di pensarlo. I Kneecap hanno denunciato il governo ed hanno vinto ovviamente. I soldi che hanno ricevuto sono stati poi donati a due organizzazioni che aiutano i giovani, una protestante e una cattolica. Questo è solo uno dei tanti episodi dove i Kneecap si sono battuti per i loro ideali, infischiandosene delle conseguenze, arrivando perfino a superare in astuzia organizzazioni importanti o istituzioni politiche. Loro amano creare controversie.
Quello che ho trovato affascinante in Kneecap è il fatto che questi ragazzi, all’inizio, non erano così interessati, e avevano un po’ di timore ad unirsi alla causa della lotta irlandese per la libertà, ma poi le cose sono cambiate. Cosa mi puoi dire su questo argomento?
Credo che questo aspetto sia ciò che rende Kneecap a tratti una commedia nera, tu stai guardando questi tre individui che diventano il simbolo di un movimento senza che provino nemmeno ad esserlo. Loro non volevano, ma è stato qualcosa di inevitabile e alla fine hanno dovuto accogliere questa posizione. Dal canto mio, era importante saper trovare un certo equilibrio tra i vari elementi della storia e non volevo fare una sviolinata di un’ora e mezza verso il gruppo. Quando gli ho presentato il progetto del film, gli ho anche spiegato che in diverse sequenze li avrei rappresentati come degli zimbelli ed erano d’accordo, soprattutto perché ritrarre i Kneecap come degli eroi e basta, non avrebbe funzionato minimamente.
Come definiresti, o meglio, posizioneresti Kneecap in questa lunga tradizione di film sul “conflitto” Irlanda/Regno Unito?
Devi sapere che il gaelico è antecedente alla lingua inglese di qualche migliaio di anni. È stata per lo più una lingua parlata e non scritta, quindi tramandata in generazioni grazie alla musica, alla poesia e ai racconti folkloristici. Tutte queste storie orali erano accomunate da quel sentimento di disprezzo verso gli inglesi. Perché sai, tutti gli inglesi sono dei bastardi, o almeno, questo è quello che raccontavano quelle storie. A volte, si sono potute trovare delle storie d’amore o altro… ma alla fine si ritorna sempre al solito mantra, ovvero “fuck the English” (il regista ride, n.d.r.). I Kneecap fanno parte di quel canone e quello che fanno aiuta anche la preservazione del gaelico, poiché sempre meno giovani lo parlano. Questo ha causato qualche controversia anche nella comunità linguistica irlandese perché sai, sono piuttosto conservatori e legati alla Chiesa Cattolica. E quindi, vedere queste persone che utilizzano la lingua per creare slang di strada o legati allo spaccio di droga, fa sorgere dei dubbi su cosa rappresenti il gaelico o quale sia la sua utilità al giorno d’oggi. Chi dovrebbe essere il custode di questa lingua? Chi può parlare questa lingua? Tutte queste riflessioni mi hanno aiutato a concepire il soggetto del film. Inoltre, non ho dei dati alla mano, ma con la loro musica, i Kneecap sono riusciti a coinvolgere ed appassionare il pubblico più giovane alla lingua. Ho iniziato a studiare il gaelico nel 2019, mi sono iscritto ad un corso e nella classe c’erano altre dieci persone, di cui la metà di queste era lì proprio grazie ai Kneecap. Tutto ciò è pazzesco e spero davvero che il successo del film possa rendere più consapevoli le persone e le ispiri a riscoprire l’eredità culturale del gaelico.
Se non sbaglio, solo il 2% della popolazione irlandese parla la lingua, credi ci possa essere davvero un cambiamento nel futuro?
Bisogna solo aspettare e vedere. Però come dicevo, sempre più gente si sta interessando e sai, quando si cerca di imparare una nuova lingua, non è che sei costretto a parlarla tutti i giorni per contribuire alla diffusione di essa. A volte bastano delle semplici parole usate in contesti che sono presenti nella nostra routine quotidiana, come un semplice saluto o un ringraziamento. È qualcosa di davvero utile per la comunità. I miei figli stanno imparando il gaelico a scuola e lo considero un qualcosa di positivo, come se la popolazione irlandese stesse riscoprendo un certo orgoglio verso le proprie radici. I Kneecap hanno avuto un forte impatto nella diffusione della lingua, ma non sono l’unica ragione della sua riscoperta ovviamente. Però sono stati fondamentali nel galvanizzare le nuove generazioni, la cui unica esposizione alla lingua era stata all’interno di un noioso istituto scolastico.
Negli ultimi anni c’è stato un aumento di produzioni in lingua irlandese, basti pensare a The Quiet Girl (An Cailín Ciúin, 2022) di Colm Bairéad, che si è rivelato un enorme successo sia al box office che nelle varie premiazioni, arrivando a ricevere una nomination all’Oscar nella categoria di miglior film internazionale. A cosa è dovuto questo incremento di film? È legato a dei fondi pubblici?
Esatto. Il governo irlandese ha iniziato a investire di più sui contenuti in lingua irlandese e il primo progetto ad essere prodotto è stato proprio The Quiet Girl, il che è davvero buffo perché eravamo in competizione con loro per avere i fondi. Abbiamo perso. A quel punto abbiamo pensato “un film su una ragazza tranquilla!? Il nostro film è migliore, pensa solo al titolo, Kneecap, è qualcosa che richiama l’attenzione. Mentre The Quiet Girl? Sembra il titolo di un film terribile” (il regista ride, n.d.r.).Beh, alla fine mi sono dovuto ricredere perché il lungometraggio di Bairéad è davvero brillante, molto diverso rispetto a Kneecap, ma pur sempre interessante e perspicace. Ora che abbiamo presentato il film la gente inizia a parlare di Kneecap come se fosse il primo film in lingua irlandese nella storia del cinema, dimenticandosi completamente dell’opera di Bailréad… ed è stato davvero una fonte di ispirazione mentre stavamo lavorando a Kneecap, soprattutto per via delle premiazioni e della nomination agli Academy Awards. Il nostro obiettivo era quello di realizzare un lavoro che potesse avere un impatto sulla popolazione irlandese, ma adesso c’è una remota possibilità di ricevere una nomination agli Oscar.
Direi che questa possibilità non è poi così remota.
Vedremo. Se mi guardo in giro e vedo gli altri film che potrebbero ricevere una nomination, noto che c’è molta competizione. Se poi prendi in considerazione il fatto che gli Oscar tendono ad essere dei premi piuttosto conservatori, Kneecap non sembra essere pane per i loro denti. È controverso per i loro standard e questo può giovare a nostro sfavore. Oppure no, magari gli Oscar stanno cercando di essere più giovanili. Comunque, il film non ci deve nulla, sono pienamente soddisfatto delle varie presentazioni dai festival e dei premi che abbiamo vinto. Però ovviamente arrivi ad un punto dove la possibilità di calcare il red carpet degli Oscar può diventare concreta, chi non lo vorrebbe? Al tempo stesso, una mancata nomination non avrà per nulla impatto su quello che abbiamo fatto.
Uno degli aspetti che ha richiamato l’attenzione mediatica è stato il ruolo secondario di Michael Fassbender. Come è nata questa collaborazione?
Beh, sai, Michael è una leggenda nell’Irlanda del Nord. Ha interpretato Bobby Sands in Hunger (2008, diretto da Steve McQueen, n.d.r.). Il ruolo di Arlo mi ha sempre dato l’impressione di quello di una persona che sarebbe potuta essere tranquillamente nella cella accanto a quella di Bobby Sands, ma che non avrebbe fatto lo sciopero della fame e quindi, il suo stesso sacrificio. Inoltre, bisogna anche considerare il fatto che ci sono davvero pochi attori irlandesi di prima categoria in grado di parlare il gaelico. La lista era piuttosto breve e Michael Fassbender era al primo posto. Tutto ciò è successo casualmente quando ho trovato un articolo in cui era stata citata la sua conoscenza della lingua. Non è qualcosa che pubblicizza di solito, ma allo stesso tempo è un linguista, conosce bene diversi idiomi. Credo che l’abbia interessato il soggetto atipico del film, e lui non è avverso a certe sfide dal momento che ha lavorato a lungometraggi come Frank (2014, di Lenny Abrahamson, n.d.r.). Ero piuttosto speranzoso per questa collaborazione. Non conosceva i Kneecap, gli ho inviato la sceneggiatura e ha iniziato a fare ricerche vedendo i loro video musicali. Si è appassionato al gruppo e così ha accettato il ruolo di Arlo. Di sicuro non è stato per i soldi, ma perché voleva essere davvero coinvolto in questo progetto. È stato molto divertente lavorare con Michael sul set perché alla fine era diventato un fanboy dei Kneecap più accanito di me. Hanno legato sin da subito ed ero felice di questo, ma ciò ha portato comunque dei problemi… (il regista sospira ironicamente, n.d.r.): i Kneecap non hanno certo bisogno di un incoraggiamento per bere e lo stesso è per Michael. Quindi mi sono trovato più volte nella situazione dove ho ricevuto chiamate alle cinque del mattino in cui mi dicevano che erano ancora nel bar. Ogni volta ero del tipo “dai ragazzi, sapete, fra quattro ore dobbiamo girare”, e loro replicavano con un “we’re method actors” (il regista ride, n.d.r).
Siccome stiamo parlando del personaggio di Arlo, vorrei approfondire meglio il discorso su come le diverse generazioni si sono approcciate a questo tipo di patriottismo, se così posso definirlo. Ed è interessante vedere nel film come i più giovani stiano cercando di capire il loro ruolo in questa lotta per la libertà. Qual è il tuo pensiero riguardo a questa nuova crescita della consapevolezza delle nuove generazioni?
Analizzando la questione su una scala più ampia ti rendi conto che le nuove generazioni stanno diventando sempre più disilluse su ciò che la vita gli riserva. Questa sensazione è dovuta soprattutto al fatto che le generazioni precedenti hanno avuto tutto a portata di mano. Hanno i soldi, una propria casa, una pensione,… e i giovani hanno capito quanto sia grigio il loro futuro perché tutti quei confort non sono più facili da ottenere, nonostante un lavoro fisso o altro. Ed è qui che nasce la discrepanza tra il sistema capitalista e i giovani. Questo fenomeno sta accadendo molto in Irlanda, i ragazzi stanno cercando una connessione con qualcosa che va al di fuori del “sistema”, come la musica, la lingua o la cultura in generale, per costruirsi una vita. I Kneecap rappresentano appieno questo spirito, sono ragazzi della classe operaia che hanno sfondato e sono caratterizzati da questo magnetismo, non hanno mai dato retta alla gente che gli diceva “don’t do this, don’t do that”. Tutto ciò mi ha ispirato; il fatto che puoi vivere la tua vita con il dito medio in alto e fare quello che vuoi. E questo va bene, perché a volte questo atteggiamento funziona. La gente in Irlanda ama lo spirito ribelle dei Kneecap, è il loro marchio. Ovviamente c’è anche l’altro lato della medaglia, dove hai persone che li odiano proprio per questo, il che è davvero un dispiacere perché già la comunità nel Nord d’Irlanda è piuttosto divisiva e le generazioni più vecchie li criticano aspramente, paragonandoli al diavolo o comunque a un male assoluto. È anche un peccato perché è pur sempre la storia di tre giovani della classe operaia che adesso sono diventati un fenomeno mondiale grazie ad un film, e vedere certe discriminazioni, per lo più religiose, è davvero triste.
Quindi la ragione di questa divisione è la religione?
Si, certo. È una questione religiosa e politica, ed entrambe vanno a braccetto. Da una parte si ha la comunità cattolica, per lo più repubblicana, che vorrebbe vedere l’Irlanda unita, mentre dall’altra c’è la comunità protestante, formata in maggioranza dagli unionisti che vogliono rimanere annessi al Regno Unito.
La parte più politica all’inizio mi aveva sorpreso, forse perché il tono del film è per lo più comico, ma allo stesso tempo è stato interessante vedere questo spaccato della vita in Nord d’Irlanda e ho avuto la sensazione che qualunque cosa una persona faccia, questa diventa una questione politica. È davvero così attualmente o hai cercato di esagerare in alcune scene per rispecchiare di più il tono del film?
No, è davvero così, ogni cosa che fai nel Nord d’Irlanda è politica. È interessante che dici che è una commedia, perché non era il mio intento a dire il vero. Quel dark humor che puoi percepire è probabilmente legato al Nord d’Irlanda, è qualcosa di naturale. Quindi il film rispecchia solamente come sono queste persone e come vivono. Ma ripeto, non c’è mai stata l’intenzione di fare una commedia. Alcune persone dicono che Kneecap è un musical, il che è strano perché odio i musical (il regista ride, n.d.r.). Poi mi hanno spiegato il perché di questo paragone e la mia reazione era del tipo “ma che cazzo, ho fatto davvero un musical?! Ma come è successo?” Dopo lo shock iniziale, ho capito di avere diretto accidentalmente un musical. Ritornando alla domanda, ogni cosa che fai è una scelta politica, dove vivi, chi frequenti, che lavoro fai,… tutto in poche parole. Questo però è dovuto ancora una volta alla mentalità delle generazioni passate, che non riescono a dimenticare ciò che è accaduto. I giovani la pensano diversamente, hanno un’apertura mentale più ampia e mostrano un vero progresso nella società. Purtroppo non è così per tutti e spesso vieni categorizzato per via della religione, per farti un esempio, sei cattolico e ti piace una determinata cosa? Bene, io mi oppongo perché sono protestante. È un clima politico negativo, perché c’è sempre il blocco dalla parte opposta e non importa se se hai ragione o torto. È un no a prescindere.
Come è stato accolto in film nel Regno Unito?
Molto bene a dire il vero. Nonostante sia una produzione indipendente, Kneecap ha avuto un grande successo al botteghino, forse è anche dovuto alla diaspora irlandese in quel paese. I giovani inglesi sembrano essere interessati a questo tipo di racconti, forse perché sono consapevoli che nelle scuole non è che insegnano molto la storia dell’Irlanda. Ciò riguarda quel momento in cui dicono “oh, magari siamo noi i bad guys”. C’è molto nazionalismo in Regno Unito e quella mentalità dove si pensa che il proprio paese è ancora “grande” e ad essere sincero, tutto questo sentimentalismo è un concetto piuttosto ridicolo ai giorni nostri. La gente crede ancora nell’eccellenza inglese e che sono i migliori in tutto. Appena questa mentalità scomparirà, ci si renderà conto che questo modo di pensare è basato su modelli governativi tirannici che hanno oppresso per secoli le altre nazioni, proprio come il Regno Unito.
Tornando sull’argomento dei generi cinematografici, recentemente James Mangold, durante il tour promozionale di A Complete Unknown, ha rimarcato il fatto che il biopic musicale è forse il genere più sottovalutato nel mondo del cinema. Sei d’accordo con lui?
Non saprei. Fatico a ricordare dei biopic che mi siano davvero rimasti impressi. Credo che l’industria cinematografica abbia il desiderio di monopolizzare questo genere e imporre un certo formato per esso. Quindi si ha un personaggio piuttosto conosciuto che ha già una nota fanbase. Bisogna anche ammettere che le persone sono più invogliate a vedere un film dove sanno già chi è il soggetto del biopic, mentre si hanno più difficoltà se il pubblico non sa nemmeno dell’esistenza dei protagonisti. Questo secondo tipo di film è più una scommessa e mi piace pensare che Kneecap rappresenti un’alternativa per questo genere in un’industria cinematografica che è poco avvezza a prendere rischi.
Come hai sviluppato l’estetica del film? Te lo chiedo perché continuo a pensare alla scena dell’inseguimento sulle note di Smack My Bitch Up dei Prodigy. Inoltre, anche se non era il tuo intento fare una commedia, il modo in cui hai diretto quella sequenza si presta alla risata, basta pensare alla corsa a rallentatore o il salto in auto.
Ok, in questo caso lo ammetto, sapevo sarebbe stata una scena esilarante e ti dirò di più, quel ponte connette la mia casa con quella dei Kneecap. Ogni volta che li dovevo incontrare attraversavo quel ponte e un giorno stavo ascoltando proprio il brano dei Prodigy e ho pensato alla scena in questione. Poi quel posto aveva una sorta di… la chiamo la “curvatura alla Lawrence d’Arabia”, era tutto perfetto per la scena. Per quanto riguarda l’estetica più in generale, prima di tutto dovevo capire il tono del film e poi modellare le varie sequenze di conseguenza. Non è stato per nulla facile, forse anche più difficile rispetto alla scrittura della sceneggiatura. Ma siccome avevo il gruppo e la loro musica come punto di partenza, più o meno sapevo come agire. L’estetica doveva essere punk, anarchica, con stacchi veloci che rispecchiano la follia del loro mondo. Lo stile è venuto da sé, come anche la satira, l’ironia, le controversie e le imprecazioni. Questi erano gli ingredienti del primo draft del film. Avevo scritto tante scene, aveva una struttura anarchica e caotica, quindi ho dovuto creare degli storyboard per aiutare gli altri nella comprensione. Quando dico termini tipo “caotico”, questi sono legati alla narrativa del film, non al fatto che erano idee buttate a caso su fogli di carta. Lo script era piuttosto organizzato e alla fine ho girato tutto ciò che era presente negli storyboard. È stata una sfida perché il budget non era alto e avevamo poco tempo per le riprese. Sono soddisfatto del prodotto finale perché rispecchia la mia visione originale e devo ringraziare il mio montatore perché è stata una situazione dove gli ho consegnato gli storyboard e detto “dammi quel film” (il regista ride, n.d.r.). E lui l’ha fatto, non ha cambiato quasi nulla.
Ogni volta che si dirige un biopic c’è sempre un po’ di aspettativa nel vedere come il film gestirà il mito dell’artista e la sua persona di tutti giorni. Come hai sviluppato questo concetto all’interno di Kneecap?
Penso sia stato piuttosto facile perché nessuno conosceva i Kneecap e poi sono ancora agli inizi in un certo senso. Facendo ciò, il film non diventa un “biopic” nel vero senso della parola. Per questo era importante avere i tre membri del gruppo per interpretare loro stessi, non abbiamo mai discusso la possibilità di cercare attori professionisti. La gente avrebbe iniziato a chiedersi se l’attore è simile alla persona che interpreta o robe simili. Probabilmente la risposta sarebbe stata un “non lo so” perché i Kneecap non sono così conosciuti. Sarebbe stato strano secondo me, non so se mi sono spiegato. La maggior parte delle scene che vedi nel film, pure i momenti più strani, sono realmente accadute perché la loro vita è stata davvero così movimentata. Prendi come esempio JJ e tutta la sottotrama con lui che era un insegnante, è tutto vero. O il battesimo all’inizio con l’elicottero, che tu ci creda o no, anche quella storia è vera, la notizia era stata pure pubblicata sui giornali locali. Ho passato i primi sei mesi della pre-produzione a fare ricerche su di loro, mi sentivo come un giornalista e passavo giornate intere all’interno dei pub a sentire i loro racconti. Sai, è come quando incontri delle persone nuove e all’inizio gli racconti degli aneddoti semplici, ma dopo dieci pinte, fidati, le storie diventano più interessanti. Con tutto il materiale che avevo racimolato, avevo l’imbarazzo della scelta.
Hai dovuto togliere qualche scena per via delle azioni “illegali” dei Kneecap?
No, però a volte c’era una certa pressione per smorzare il tono di certe sequenze.
In che senso sotto pressione?
Perché stavamo usando fondi del governo, la BFI ha investito sul film per farti un esempio. Avevamo mostrato titubanza davanti a certe battute tipo “ti farò saltare in aria come il Brighton Hotel”, pensavano fosse un po’ troppo poiché durante quel bombardamento erano morte diverse persone. Ma belligetamente mi sono rifiutato, ho seguito lo spirito di Kneecap, e se ci fosse stato qualche problema legato a quella frase una volta che il film avrebbe raggiunto il grande pubblico, mi sarei preso ogni responsabilità. Ci sono state alcune perplessità sul fatto che i personaggi usano stupefacenti di vario tipo e su come non vengano rappresentati in maniera negativa. Ho spiegato loro che non per forza ogni film deve finire con qualcuno che muore di overdose. Puoi drogarti e continuare tranquillamente con la tua vita. Non sto dicendo che è una cosa positiva certamente, ma quello che volevo fargli capire è che non volevo rendere l’utilizzo di sostanze illegali un cliché. Conosco questi ragazzi da sei anni, li ho visti drogarsi a destra e a manca e direi che stanno bene… più o meno (il regista scoppia a ridere, n.d.r.). Ho detto ai produttori che forse avevano ragione e che un giorno ci potrebbero essere conseguenze negative sui Kneecap per il loro stile di vita e che forse si potrebbe fare un film a riguardo, ma non era quello che volevo fare in quel momento. I Kneecap sono nel pieno delle loro vite, sono giovani, si stanno divertendo e stanno trovando il successo.
Il genere punk ha riscosso tanto successo alcuni decenni fa proprio per il suo stile provocatorio e ribelle, credi che al giorno d’oggi sia possibile uno scenario simile con la musica dei Kneecap o di altri gruppi?
Molto è cambiato, non ci sono più gli stessi stage o performance tipo quelle dei Sex Pistols. L’industria discografica è cambiata come dicevo prima, tutto quello che si fa ora è una questione di marketing. È anche cambiato il modello economico del musicista e per via di tutti i costi vari, questo stile di vita diventa difficile. Anche solo fare dei piccoli concerti può essere difficile e non ricavare un guadagno da essi. Per dirti, l’anno scorso i Kneecap suonavano di fronte a cento persone, mentre qualche mese fa hanno venduto duemila biglietti in meno di mezz’ora. E non hanno cambiato il loro modo di essere o smorzato lo stile provocatorio. Forse il film ha aiutato un pochino (il regista ride, n.d.r.).
Stai già lavorando a qualche progetto futuro? Ti concentrerai ancora su storie irlandesi o legate al tuo paese d’origine?
In questo momento sto lavorando a due progetti. Il primo ha un po’ di Irlanda in sè perché è un adattamento del romanzo Bad Bridget che segue le vicende di un gruppo di donne immigrate a New York nel 1850. Il secondo progetto invece mi è stato proposto da uno studio americano, sarà una satira sul mondo del turismo ambientata ai Caraibi. Spero di girarlo l’anno prossimo e di avere la libertà creativa per farlo come voglio io.
Una satira sul turismo? Avrà per caso elementi horror?
Si, ci saranno, soprattutto perché viviamo in un’era dove certe città stanno iniziando a respingere il mondo del turismo, come Barcellona o Venezia. La popolazione locale si sta ribellando perché ci sono più difetti che pregi e ho trovato un modo divertente per affrontare questa problematica sui Caraibi. Ma bisogna solo aspettare e vedere.