INT-36
15.06.2023
Retratos Fantasmas è il nuovo lavoro di Kleber Mendonça Filho, un documentario autobiografico dove il cineasta brasiliano ripercorre i luoghi più significativi della sua carriera. Tra questi spiccano la casa in cui ha vissuto per la maggior parte della sua vita e le sale cinematografiche che lo hanno formato. Inoltre, con questa operazione Mendonça Filho esplora anche la relazione con due delle persone più care a lui, che lo hanno cresciuto e che non sono più presenti: sua madre e Mr. Alexandre. Quest’ultimo è stato il gestore di uno dei cinema arthouse più importanti di Recife, per il quale il cineasta ha lavorato quando era più giovane. Retratos Fantasmas è un documentario fondamentale per capire al meglio il cinema di uno dei registi brasiliani più rinomati del momento. La visione di questa nuova opera invoglierà lo spettatore a riscoprire opere precedenti del regista come Neighbouring Sounds (2012) e Aquarius (2016). Adoperando uno stile “giocoso”, simile agli ultimi documentari di Agnes Varda, Kebler Mendonça Filho confeziona un’opera originale, divertente, ma al tempo stesso toccante.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Kleber Mendonça Filho, che, oltre a parlare del suo nuovo documentario e dello stato attuale del cinema arthouse, ci ha svelato qualche dettaglio del suo prossimo film.
Come mai hai deciso di girare questo documentario? Era un progetto pianificato da tempo?
È stata una lavorazione lunga e piuttosto lenta, non avevo pianificato nel dettaglio il film che hai visto, ma sapevo che il soggetto sarebbe stato sulla città di Recife e i cinema della zona. Avevo iniziato a girare alcune sequenze, ma poi mi sono messo a rivedere le vhs che possedevo risalenti a trent’anni fà. Le immagini si erano conservate bene, come quando metti da parte qualcosa e più passa il tempo, più questa acquisisce un certo valore. Come ad esempio, sono sicuro che avrai una fotografia che ti è cara con un amico e, più passa il tempo, più l’immagine acquisice importanza, magari per il ricordo che hai di quella persona, o magari anche per lo stile della fotografia o come era stata scattata. Durante la fase di montaggio c’era qualcosa che non andava, il mix tra immagini di repertorio e quelle attuali non funzionava, aveva un aspetto troppo “burocratico”, come un documentario del National Geographic. All’epoca, mi stavo trasferendo dalla casa in cui ho sempre vissuto e lasciare quell’abitazione mi ha emozionato, mi sono venuti in mente dei bei ricordi. Poi, mentre stavo facendo le ricerche sui cinema di Recife, ho trovato anche i miei primi cortometraggi che erano stati girati proprio in quella casa. Mi sono reso conto che avevo diversi “punti di vista” di quell’appartamento, e ho pensato che sarebbe stato interessante inserirlo nel film. Inoltre, ho anche girato delle scene del mio primo lungometraggio, Neighbouring Sounds (2012), in quel luogo. Quello che sto cercando di dire è che Retratos Fantasmas non era qualcosa di “programmato” nel dettaglio, è un progetto che è evoluto con il tempo.
Quanto tempo hai lavorato sul documentario?
Sette anni, è stata una lavorazione lenta come dicevo. Ho dovuto abbandonare tutto per un paio d’anni perché avevo deciso di concentrarmi su Bacurau (2019). Poi, durante la pandemia, ho ripreso in mano il progetto e negli ultimi sei mesi ho lavorato ogni singolo giorno per completarlo.
Anche se è un documentario autobiografico, e possiamo vedere degli spezzoni dei tuoi primi cortometraggi, non analizzi nel dettaglio l’inizio della tua carriera cinematografica, quindi volevo chiederti cosa ti avesse spinto a diventare un regista.
Non era qualcosa di pianificato, ma avevo in mente solo quello. Ho fatto diversi lavori nella mia vita, ho insegnato inglese quando avevo vent’anni, ho fatto anche il giornalista e il critico cinematografico. Ma avevo sempre quest’idea in testa che volevo fare dei film. È come quella frase che viene detta all’inizio di Goodfellas: “As far back as I can remember, I always wanted to be a gangster.” (il regista ride, n.d.r.).
Nel documentario vediamo Sonia Braga (attrice protagonista di Aquarius e Bacurau, n.d.r.) e c’è questa sequenza che mi ha fatto sorridere, ovvero quando nel 1977 mostravano tutti i film di King Kong e Dona Flor e Seus Dois Maridos (1976), il film che ha reso la Braga celebre. Volevo chiederti un po’ del tuo rapporto con lei, quale è stato il primo film in cui l’hai vista?
La prima volta che l’ho “vista” è stata in televisione, avevo otto/nove anni e Sonia aveva fatto Gabriela (1975), telenovela che ha avuto successo anche a livello internazionale. Anche se è televisione, è davvero ben fatta e merita di essere vista. In quello stesso periodo aveva girato anche Dancing Days (1978), Sonia aveva una tale presenza scenica, in grado di catturare l’attenzione in un istante. Non potevo vedere i suoi film all’epoca perché erano vietati ai minori, erano per lo più a sfondo erotico, proprio come Dona Flor e Seus Dois Maridos (1976) o Eu Te Amo (1981). Il primo film in cui l’ho vista recitare è stato Kiss of the Spider Woman (1985), e poi, qualche anno dopo, è arrivato il momento di Dona Flor.
Volevo chiederti del finale del documentario, l’ho trovato geniale e divertente, soprattutto per la presenza dell’ Uber driver “fantasma”. Come ti è venuta in mente questa idea?
Il finale era già stato deciso tre/quattro anni fa. Mi ricordo che un giorno, dopo una sessione in sala di montaggio davvero pesante, avevo preso un taxi e, nel tornare a casa, avevo visto la città con un’altra prospettiva. Ho girato la sequenza a Marzo e avevo ingaggiato un attore per interpretare l’autista, ma non sapevo cosa fargli dire nella scena, non avevo scritto un dialogo e improvvisare sul momento sarebbe stato difficile per l’attore. Mi sono messo a scrivere e mi è venuto in mente di inserire l’elemento soprannaturale. Ho pensato “questo potrebbe essere interessante”. L’ho mostrato prima ad Emilie (Lesclaux, produttrice del film, n.d.r.), che ha detto “questo potrebbe essere interessante”, e poi all’attore, che ha risposto nello stesso modo (il regista ride, n.d.r.). Tutti erano d’accordo e quindi abbiamo girato la scena.
Mi è piaciuta molto quella scena, soprattutto perché è qualcosa di inaspettato.
Ti capisco, tipo “ora siamo entrati nella Twilight Zone” (il regista ride, n.d.r.).
Parlando di “fantasmi”, nel film ci sono altre “apparizioni”, ma più in senso metafisico, come se tu volessi cercare di stabilire un contatto con le persone che sono state a te care.
Le fotografie hanno avuto un ruolo importante per questo concetto. Ho questa immagine, in bianco e nero di uno dei cinema di Recife e se si guarda con attenzione si noterà una persona con il viso sfocato, non riconoscibile, come quello di un fantasma.
Approfondendo questo aspetto, volevo chiederti se potevi dire qualcosa su Mr. Alexandre, la sezione del documentario a lui dedicata mi ha commosso, soprattutto quando c’è l’ultimo spettacolo del cinema in cui lavorava.
Mr. Alexandre è una delle persone che mi manca di più. È morto nel 2003, era un uomo gentile, disponibile, cordiale e aveva una grande personalità. L’ho incontrato quando aveva 66 anni, io ne avevo 22, avevamo creato un buon rapporto d’amicizia. Spesso dopo il lavoro lo riportavo a casa, ed è anche stato mio ospite diverse volte. Nel 1991, avevo scoperto tramite un amico, il passato del cinema per cui lavoravamo, come mostrato nel documentario, e non riuscivo a capire perché fosse stato gestito da un manager tedesco. Poi, guardando le planimetrie del cinema, mi sono reso conto che era nato per essere un cinema della UFA (casa di produzione tedesca attiva dal 1917 al 1945, n.d.r.). È una storia affascinante.
Come è la situazione per i cinema arthouse in Brasile?
Difficile, come in tutti i paesi credo. La pandemia ha fatto crescere il consumo di prodotti audiovisivi tramite piattaforme streaming e questo ha “rotto” il sistema. Siamo sempre stati abituati a vedere i nuovi film al cinema e poi, aspettando un po’ di tempo, a rivederli a casa. Ma ora non è più così, solo film come I Guardiani della Galassia riescono ad avere un guadagno netto al box office, mentre i film più piccoli non riescono. La situazione sembra tragica al momento, ma vedo i segni di una rinascita, sono speranzoso. C’è un po’ di entusiasmo per Retratos Fantasmas in Brasile, soprattutto per via dei miei film precedenti. Uscirà ad agosto e dovrò stare attento a scegliere i cinema in cui proiettarlo, per una questione di atmosfera più che altro. Tornando al discorso di prima, ci troviamo in una fase di transizione e non è una cosa nuova nella storia del cinema. Pensa agli anni ‘50 quando è arrivata la televisione, o all’arrivo del multiplex negli anni ‘90, e ora c’è lo streaming.
In futuro ci potrebbe essere anche l’avvento di tecnologie AI che potrebbero creare film dal nulla in poco tempo.
Vero, scherzando ti dico che molti film di Hollywood non sembrano fatti da una persona, sembrano scritti da una macchina. Quando voglio vedere un film, voglio intravedere un certo tipo di stile o di personalità da parte del regista. Ad esempio: avendo dei figli devo guardare certi programmi che vogliono loro e tra questi c’è The Mandolorian, sembra sia stato fatto da un robot. Non solo nei dialoghi, ma anche nel montaggio, suono e musica. È tutto così meccanico e credo che nel cinema bisogna cercare qualcosa di più “organico”, fatto da vere persone.
Per concludere, volevo chiederti se stessi già lavorando ad un nuovo lungometraggio.
Ho finito lo script per il mio prossimo film e si intitolerà Secret Agent. Retratos Fantasmas ha aiutato la lavorazione della sceneggiatura e viceversa. Questo nuovo progetto è ambientato nel 1977 e per dirti, mentre stavo facendo qualche ricerca sul periodo storico, ho trovato le immagini della “King Kong mania” che hai visto in Retratos Fantasmas. Comunque, sono davvero soddisfatto di questa nuova sceneggiatura, è un thriller alla Hitchcock molto teso.
Sonia Braga avrà qualche ruolo nel film?
Probabilmente, ma non lo so ancora, non le ho ancora parlato di questo progetto. Però posso dirti che il protagonista sarà Wagner Moura, un attore brasiliano davvero bravo.
INT-36
15.06.2023
Retratos Fantasmas è il nuovo lavoro di Kleber Mendonça Filho, un documentario autobiografico dove il cineasta brasiliano ripercorre i luoghi più significativi della sua carriera. Tra questi spiccano la casa in cui ha vissuto per la maggior parte della sua vita e le sale cinematografiche che lo hanno formato. Inoltre, con questa operazione Mendonça Filho esplora anche la relazione con due delle persone più care a lui, che lo hanno cresciuto e che non sono più presenti: sua madre e Mr. Alexandre. Quest’ultimo è stato il gestore di uno dei cinema arthouse più importanti di Recife, per il quale il cineasta ha lavorato quando era più giovane. Retratos Fantasmas è un documentario fondamentale per capire al meglio il cinema di uno dei registi brasiliani più rinomati del momento. La visione di questa nuova opera invoglierà lo spettatore a riscoprire opere precedenti del regista come Neighbouring Sounds (2012) e Aquarius (2016). Adoperando uno stile “giocoso”, simile agli ultimi documentari di Agnes Varda, Kebler Mendonça Filho confeziona un’opera originale, divertente, ma al tempo stesso toccante.
Abbiamo avuto il piacere di intervistare Kleber Mendonça Filho, che, oltre a parlare del suo nuovo documentario e dello stato attuale del cinema arthouse, ci ha svelato qualche dettaglio del suo prossimo film.
Come mai hai deciso di girare questo documentario? Era un progetto pianificato da tempo?
È stata una lavorazione lunga e piuttosto lenta, non avevo pianificato nel dettaglio il film che hai visto, ma sapevo che il soggetto sarebbe stato sulla città di Recife e i cinema della zona. Avevo iniziato a girare alcune sequenze, ma poi mi sono messo a rivedere le vhs che possedevo risalenti a trent’anni fà. Le immagini si erano conservate bene, come quando metti da parte qualcosa e più passa il tempo, più questa acquisisce un certo valore. Come ad esempio, sono sicuro che avrai una fotografia che ti è cara con un amico e, più passa il tempo, più l’immagine acquisice importanza, magari per il ricordo che hai di quella persona, o magari anche per lo stile della fotografia o come era stata scattata. Durante la fase di montaggio c’era qualcosa che non andava, il mix tra immagini di repertorio e quelle attuali non funzionava, aveva un aspetto troppo “burocratico”, come un documentario del National Geographic. All’epoca, mi stavo trasferendo dalla casa in cui ho sempre vissuto e lasciare quell’abitazione mi ha emozionato, mi sono venuti in mente dei bei ricordi. Poi, mentre stavo facendo le ricerche sui cinema di Recife, ho trovato anche i miei primi cortometraggi che erano stati girati proprio in quella casa. Mi sono reso conto che avevo diversi “punti di vista” di quell’appartamento, e ho pensato che sarebbe stato interessante inserirlo nel film. Inoltre, ho anche girato delle scene del mio primo lungometraggio, Neighbouring Sounds (2012), in quel luogo. Quello che sto cercando di dire è che Retratos Fantasmas non era qualcosa di “programmato” nel dettaglio, è un progetto che è evoluto con il tempo.
Quanto tempo hai lavorato sul documentario?
Sette anni, è stata una lavorazione lenta come dicevo. Ho dovuto abbandonare tutto per un paio d’anni perché avevo deciso di concentrarmi su Bacurau (2019). Poi, durante la pandemia, ho ripreso in mano il progetto e negli ultimi sei mesi ho lavorato ogni singolo giorno per completarlo.
Anche se è un documentario autobiografico, e possiamo vedere degli spezzoni dei tuoi primi cortometraggi, non analizzi nel dettaglio l’inizio della tua carriera cinematografica, quindi volevo chiederti cosa ti avesse spinto a diventare un regista.
Non era qualcosa di pianificato, ma avevo in mente solo quello. Ho fatto diversi lavori nella mia vita, ho insegnato inglese quando avevo vent’anni, ho fatto anche il giornalista e il critico cinematografico. Ma avevo sempre quest’idea in testa che volevo fare dei film. È come quella frase che viene detta all’inizio di Goodfellas: “As far back as I can remember, I always wanted to be a gangster.” (il regista ride, n.d.r.).
Nel documentario vediamo Sonia Braga (attrice protagonista di Aquarius e Bacurau, n.d.r.) e c’è questa sequenza che mi ha fatto sorridere, ovvero quando nel 1977 mostravano tutti i film di King Kong e Dona Flor e Seus Dois Maridos (1976), il film che ha reso la Braga celebre. Volevo chiederti un po’ del tuo rapporto con lei, quale è stato il primo film in cui l’hai vista?
La prima volta che l’ho “vista” è stata in televisione, avevo otto/nove anni e Sonia aveva fatto Gabriela (1975), telenovela che ha avuto successo anche a livello internazionale. Anche se è televisione, è davvero ben fatta e merita di essere vista. In quello stesso periodo aveva girato anche Dancing Days (1978), Sonia aveva una tale presenza scenica, in grado di catturare l’attenzione in un istante. Non potevo vedere i suoi film all’epoca perché erano vietati ai minori, erano per lo più a sfondo erotico, proprio come Dona Flor e Seus Dois Maridos (1976) o Eu Te Amo (1981). Il primo film in cui l’ho vista recitare è stato Kiss of the Spider Woman (1985), e poi, qualche anno dopo, è arrivato il momento di Dona Flor.
Volevo chiederti del finale del documentario, l’ho trovato geniale e divertente, soprattutto per la presenza dell’ Uber driver “fantasma”. Come ti è venuta in mente questa idea?
Il finale era già stato deciso tre/quattro anni fa. Mi ricordo che un giorno, dopo una sessione in sala di montaggio davvero pesante, avevo preso un taxi e, nel tornare a casa, avevo visto la città con un’altra prospettiva. Ho girato la sequenza a Marzo e avevo ingaggiato un attore per interpretare l’autista, ma non sapevo cosa fargli dire nella scena, non avevo scritto un dialogo e improvvisare sul momento sarebbe stato difficile per l’attore. Mi sono messo a scrivere e mi è venuto in mente di inserire l’elemento soprannaturale. Ho pensato “questo potrebbe essere interessante”. L’ho mostrato prima ad Emilie (Lesclaux, produttrice del film, n.d.r.), che ha detto “questo potrebbe essere interessante”, e poi all’attore, che ha risposto nello stesso modo (il regista ride, n.d.r.). Tutti erano d’accordo e quindi abbiamo girato la scena.
Mi è piaciuta molto quella scena, soprattutto perché è qualcosa di inaspettato.
Ti capisco, tipo “ora siamo entrati nella Twilight Zone” (il regista ride, n.d.r.).
Parlando di “fantasmi”, nel film ci sono altre “apparizioni”, ma più in senso metafisico, come se tu volessi cercare di stabilire un contatto con le persone che sono state a te care.
Le fotografie hanno avuto un ruolo importante per questo concetto. Ho questa immagine, in bianco e nero di uno dei cinema di Recife e se si guarda con attenzione si noterà una persona con il viso sfocato, non riconoscibile, come quello di un fantasma.
Approfondendo questo aspetto, volevo chiederti se potevi dire qualcosa su Mr. Alexandre, la sezione del documentario a lui dedicata mi ha commosso, soprattutto quando c’è l’ultimo spettacolo del cinema in cui lavorava.
Mr. Alexandre è una delle persone che mi manca di più. È morto nel 2003, era un uomo gentile, disponibile, cordiale e aveva una grande personalità. L’ho incontrato quando aveva 66 anni, io ne avevo 22, avevamo creato un buon rapporto d’amicizia. Spesso dopo il lavoro lo riportavo a casa, ed è anche stato mio ospite diverse volte. Nel 1991, avevo scoperto tramite un amico, il passato del cinema per cui lavoravamo, come mostrato nel documentario, e non riuscivo a capire perché fosse stato gestito da un manager tedesco. Poi, guardando le planimetrie del cinema, mi sono reso conto che era nato per essere un cinema della UFA (casa di produzione tedesca attiva dal 1917 al 1945, n.d.r.). È una storia affascinante.
Come è la situazione per i cinema arthouse in Brasile?
Difficile, come in tutti i paesi credo. La pandemia ha fatto crescere il consumo di prodotti audiovisivi tramite piattaforme streaming e questo ha “rotto” il sistema. Siamo sempre stati abituati a vedere i nuovi film al cinema e poi, aspettando un po’ di tempo, a rivederli a casa. Ma ora non è più così, solo film come I Guardiani della Galassia riescono ad avere un guadagno netto al box office, mentre i film più piccoli non riescono. La situazione sembra tragica al momento, ma vedo i segni di una rinascita, sono speranzoso. C’è un po’ di entusiasmo per Retratos Fantasmas in Brasile, soprattutto per via dei miei film precedenti. Uscirà ad agosto e dovrò stare attento a scegliere i cinema in cui proiettarlo, per una questione di atmosfera più che altro. Tornando al discorso di prima, ci troviamo in una fase di transizione e non è una cosa nuova nella storia del cinema. Pensa agli anni ‘50 quando è arrivata la televisione, o all’arrivo del multiplex negli anni ‘90, e ora c’è lo streaming.
In futuro ci potrebbe essere anche l’avvento di tecnologie AI che potrebbero creare film dal nulla in poco tempo.
Vero, scherzando ti dico che molti film di Hollywood non sembrano fatti da una persona, sembrano scritti da una macchina. Quando voglio vedere un film, voglio intravedere un certo tipo di stile o di personalità da parte del regista. Ad esempio: avendo dei figli devo guardare certi programmi che vogliono loro e tra questi c’è The Mandolorian, sembra sia stato fatto da un robot. Non solo nei dialoghi, ma anche nel montaggio, suono e musica. È tutto così meccanico e credo che nel cinema bisogna cercare qualcosa di più “organico”, fatto da vere persone.
Per concludere, volevo chiederti se stessi già lavorando ad un nuovo lungometraggio.
Ho finito lo script per il mio prossimo film e si intitolerà Secret Agent. Retratos Fantasmas ha aiutato la lavorazione della sceneggiatura e viceversa. Questo nuovo progetto è ambientato nel 1977 e per dirti, mentre stavo facendo qualche ricerca sul periodo storico, ho trovato le immagini della “King Kong mania” che hai visto in Retratos Fantasmas. Comunque, sono davvero soddisfatto di questa nuova sceneggiatura, è un thriller alla Hitchcock molto teso.
Sonia Braga avrà qualche ruolo nel film?
Probabilmente, ma non lo so ancora, non le ho ancora parlato di questo progetto. Però posso dirti che il protagonista sarà Wagner Moura, un attore brasiliano davvero bravo.