A cura di Omar Franini
INT-03
15.06.2022
Il Don Giovanni è forse uno dei personaggi più celebri della letteratura europea e nel corso dei secoli molti autori, sia in campo teatrale che in quello musicale, si sono cimentati nell’adattare il personaggio creato dal drammaturgo spagnolo Tirso de Molina nel 1632. Nonostante il poderoso successo dell’opera originale, Don Giovanni è diventato conosciuto prima grazie alla tragicommedia di Molière Don Giovanni o Il convitato di pietra e in seguito con l’opera lirica Il dissoluto punito ossia Don Giovanni di Mozart. In campo cinematografico, ci sono state diverse trasposizioni, alcune più fedeli al testo originale, come quelle di Carmelo Bene (1970) e Joseph Losey (1979) e altre interpretazioni in chiave moderna, come Shame (2011) di Steve McQueen e Don Jon (2013) di Joseph Gordon-Levitt.
Al Festival di Cannes abbiamo avuto l’opportunità di vedere Don Juan, un adattamento originale dove il regista Serge Bozon (Madame Hyde, Tip Top) rivoluziona il celebre personaggio, analizzandolo con uno sguardo melanconico tramite Laurent, interpretato da Tahar Rahim (Il Profeta, The Mauritanian), un attore teatrale che sta attraversando una profonda crisi dopo che la fidanzata Julie, interpretata da Virginie Efira (Benedetta, La Doppia Vita di Madeleine Collins), lo ha lasciato la mattina del loro matrimonio. Da quel momento, Laurent inizierà a rivedere il viso della propria ex in ogni donna che incontra. Inoltre, il protagonista si troverà alle prese con le innumerevoli complicazioni che stanno mettendo a rischio la produzione teatrale a cui sta lavorando, un adattamento de Il Don Giovanni, e l’unica persona che potrebbe sistemare tutto è proprio la ex fidanzata Julie. Don Juan non è solo una visione piacevole, ma anche una brillante decostruzione del “mito” di questo personaggio. Per far ciò, Serge Bozon ha utilizzato diversi generi cinematografici, tra cui musical e melodramma, bilanciando ogni aspetto efficacemente e permettendo ai due attori di esplorare le diverse sfaccettature dei propri ruoli.
Abbiamo avuto l’occasione di intervistare prima l’attore Tahar Rahim e in seguito il regista Serge Bozon, due persone molto carismatiche, ma diverse tra loro. A primo impatto, Tahar si presenta come una persona energica, solare, con un grosso sorriso stampato in faccia e con una battuta sempre pronta. Soprattutto, sembrava molto interessato a condividere il proprio processo artistico e creativo per la preparazione della sua parte. Serge Bozon invece ha un certo charme che ci ha subito affascinato; si è presentato seduto su un divanetto sorseggiando un calice di vino bianco e condividendo con noi alcuni dettagli sulla lavorazione del film e la collaborazione con i due attori.
Tahar, sei mai stato definito un “Don Giovanni” nella tua vita?
No, mai successo (l’attore scoppia a ridere, n.d.r.). So che è un’espressione popolare, ma non mi è mai capitato.
Cosa conoscevi del personaggio di Don Giovanni prima di fare questo film?
Quando si sente l’espressione “Don Giovanni”, la prima cosa che viene in mente è la figura di un donnaiolo, visto in un modo “cool”, ma conoscendo meglio il personaggio, si noterà che è un meschino, una persona che non si comporta bene. Ho letto l’opera di Molière ancora quando andavo a scuola, quindi conosco bene questo personaggio. È pazzesco come questa espressione sia diventata “trendy” nel corso del tempo, ma non mi sembra più il caso di utilizzarla ai giorni nostri. È per questo che il progetto di Serge mi ha attratto, il film è la rivisitazione di questo mito, interpretare il Don Juan donnaiolo sarebbe stato troppo datato e probabilmente non avrei accettato il ruolo.
In questo adattamento de Il Don Giovanni i personaggi femminili sono più caratterizzati e indipendenti rispetto alla versione di Moliére, dando un sottotesto femminista alla celebre opera. Eri interessato a questo aspetto quando hai scelto di fare questo film?
No, quando scelgo un ruolo non penso a tutto questo. Per prima cosa, voglio essere sorpreso dal personaggio e dal film stesso, cerco sempre di interpretare ruoli che non ho mai fatto e che mi permettano di esplorare diverse capacità artistiche. E nel caso di Don Juan, la scelta è stata facile, c’erano delle sfide che mi hanno spinto ad accettare il ruolo, tipo cantare o anche fare un po’ di teatro, ma soprattutto cantare!
Hai preso qualche lezione di canto per prepararti meglio al ruolo?
Ho dovuto e fidati, tu non vuoi sentirmi cantare! Ho preso molte lezioni a essere sincero e la parte divertente è che quando ho ricevuto la sceneggiatura, ho pensato dentro di me “che figo, potrò cantare e mettermi davvero alla prova”, quindi chiamo la mia agenzia e ho chiesto se potevano preparare un open bar vicino all’ADR (postazione dove gli attori registrano la propria voce dopo la scena girata, n.d.r.), loro mi hanno risposto che non era possibile perché Serge voleva che io e Virgine cantassimo direttamente sul set, “in diretta”. Quindi ho dovuto lavorare molto per raggiungere le giuste note ed esprimere al meglio le emozioni che Laurent sta provando in certi momenti. E per prepararmi al ruolo, ho anche ascoltato e visto varie performance musicali, soprattutto quelle di Charles Aznavour e Jacques Brel, due cantautori che sono stati in grado di trasmettere efficacemente le loro emozioni ogni volta che erano sul palcoscenico. Per questo, la preparazione per il ruolo di Laurent è stata complicata, dovevo imparare a cantare bene, altrimenti avrei rovinato il mio lavoro e quello altrui. Un altro aspetto che mi ha attratto del film è stato il fatto che al centro della storia ci sia un personaggio maschile che sta vivendo con il cuore spezzato, e questo lo trovo interessante perché anche noi uomini proviamo queste sensazioni di tristezza e spaesamento per colpa dell’amore, anche se le donne sono più forti in questo campo.
Credi che le donne siano più forti?
Si, soprattutto a gestire il cuore spezzato. Mia madre è la donna più forte che conosca. Anche mia moglie (l’attrice Leïla Bekhti) lo è ed è anche una delle mie più care amiche. Credo nella qualità, sono cresciuto in questo modo ed è così che si dovrebbe fare.
Che cosa deve avere una sceneggiatura per essere accettata da te?
Di solito è un mix tra il ruolo, la storia e il regista ovviamente, ci sono certi autori a cui non puoi dire di no.
Qualche regista italiano magari?
Sorrentino (detto con un buffissimo accento meridionale, n.d.r.).
Come è stato lavorare con Virginie, o dovrei dire, diverse versioni di Virginie Efira?
Ci siamo divertiti molto e vederla ogni giorno con una faccia e una parrucca diversa è stato esilarante. Il suo ruolo è bellissimo, è una donna forte e indipendente. Mi piace come il film raffigura questo, o meglio, questi personaggi femminili. Virginie è così, intelligente, premurosa, talentuosa e non ha paura di prendere rischi e farsi avanti con il “pazzoide” (l’attore indica scherzosamente il regista Serge Bozon, seduto a qualche metro di distanza, n.d.r.).
Credi che i ruoli in produzioni americane o inglesi siano diversi rispetto a quelle francesi? Mi ricordo di aver letto qualche anno fa una tua intervista dove dicevi che Hollywood tende a prendere attori francesi facendogli fare solo ruoli stereotipati, è cambiato qualcosa ora?
Sì, c’è stato un miglioramento. Prima non c’era immaginazione. Dopo Il profeta (2009) volevano che io interpretassi ruoli simili a quello, per questo ho rifiutato offerte per diversi film. Quindi ho deciso di intraprendere un cammino diverso per la mia carriera, andare di paese in paese, scegliendo autori e ruoli diversi ogni volta. Questo sono io. Sono cresciuto in un quartiere multietnico, dove c’erano ragazzini asiatici, nordafricani, gipsy e francesi. Eravamo bambini, ci vedevamo spesso e senza volerlo, ogni volta che andavamo in casa di un amico, scoprivamo un mondo e una cultura diversa (l’attore fa un sorriso, si emoziona e sussurra “che bei ricordi”, n.d.r.). Per questo credo che nel corso della mia carriera abbia scelto registi di diverse nazionalità.
Come è stato lavorare con Serge Bozon? Ti ha concesso qualche libertà con il personaggio?
Non avevo mai incontrato Serge prima del film e la prima volta che ho parlato con lui, ho capito che volevo dare il mio meglio. Credo che Serge abbia voluto cambiare approccio con questo film e, a differenza di Madame Hyde (2016), aprirsi di più emotivamente con il proprio pubblico così da creare una certa empatia verso i suoi personaggi. E per far ciò, ha dovuto cambiare l’approccio con il proprio cast, ci ha detto che voleva dare più libertà agli attori. Ricordo che durante la prima settimana di lavorazione Serge non si era ancora adattato, ma dopo un paio di giorni si è lasciato un po’ andare e l’ho visto felice, quindi gli ho fatto una proposta, “ogni volta che sei felice, dammi un giorno libero” e lui ha accettato subito. Ci siamo molto divertiti a lavorare insieme con questa specie di freestyle (metodo che verrà spiegato in seguito dal regista, n.d.r.).
Serge, la mia prima domanda riguarda il casting di Tahar Rahim e Virginie Efira, erano loro le prime scelte per i ruoli di Laurent e Julie?
Si, di solito quando scrivo un personaggio ho già in mente l’attore che lo interpreterà, ad esempio, ho scritto Madame Hyde con in mente Isabelle Huppert e senza di lei il film non si sarebbe fatto. E con Don Juan è stato lo stesso; il personaggio di Laurent ha qualcosa di monolitico, è ossessionato da una ragazza ed è sempre in cerca della sua amata nelle altre donne, e Tahar è riuscito a portare sullo schermo qualcosa che va contro a questo personaggio, il lato innocente e sensibile. Quando ho scritto la sceneggiatura, Laurent era un personaggio più repulsivo e Tahar è riuscito a trasmettere una certa tenerezza attraverso la sua tristezza.
Virginie è un’attrice che ammiro molto e pian piano sta diventando una delle attrici francesi più richieste in circolazione. La cosa divertente è che Virginie ha quasi sempre lo stesso aspetto in ogni film, soprattutto ha sempre questi lunghi capelli biondi, allora ho pensato che volessi essere il primo a cambiare radicalmente il suo look. Inoltre, se hai visto Benedetta di Paul Verhoeven o Sibyl di Justine Triet, avrai notato che di solito lei interpreta personaggi che fanno azioni un po’ “estreme”, come urlare, piangere o fare l’amore, ma con una violenza impetuosa. Con il personaggio di Julie, ho voluto che Virginie provasse a interpretare un ruolo più ristretto, interrogativo, senza quegli aspetti “estremi” appena citati, come ad esempio in una delle scene finali, dove Virginie ha saputo rappresentare al meglio il lato interrogativo di Julie.
Nella seconda parte del film c’è una spettacolare coreografia dove Laurent viene rifiutato da ogni donna durante una festa, avevi già in mente i movimenti degli attori in questa scena quando stavi scrivendo il film?
No, o almeno, avevo il desiderio di fare una coreografia speciale per quella scena, ma non sono un coreografo, mi sono affidato al talentuoso Christian Rizzo. Gli ho dato qualche direttiva e poi lui ha fatto il resto. L’idea di base era proprio il rigetto di queste donne per Laurent e questi movimenti sono diventati una danza.
C’è un altro aspetto che ci ha affascinato del Don Giovanni che porti sullo schermo; nell’opera originale questo personaggio finisce sempre a litigare o a combattere con altri uomini, mentre nel tuo film, l’unico uomo che Laurent affronta è se stesso. Vorrei sapere il perché di questa scelta.
Mi sono detto che non volevo dirigere scene di “bravado”, fare cose provocative o comunque, mettere il personaggio di Laurent su un piedistallo, ho preferito concentrarmi sulla solitudine di quest’uomo e le piccole battaglie personali che sta affrontando per superare la rottura con Julie. Perché? Perché è più toccante, inoltre ho pensato avrebbe dato a questo personaggio iconico una specie di fragilità, quella sensazione di smarrimento, come se fosse un orfano di sé stesso, nel senso che non riesce più ad avere un attaccamento emotivo con nessuno.
Come dirigi i tuoi attori? Sei un regista rigoroso o lasci un po’ di libertà agli attori con i propri personaggi?
No, non sono uno Stanley Kubrick in miniatura (il regista inizia a ridere, n.d.r.). Ad essere sincero non do molte indicazioni, una o due al massimo. Con Isabelle Huppert, in Madame Hyde, quasi non ce ne era il bisogno. Con Tahar invece sono riuscito a formare una relazione speciale e avevamo questo approccio freestyle: facevamo una o due riprese come volevo io e una dove Tahar aveva più libertà di interpretare il personaggio come preferiva, e alcune di queste sono state usate nel montaggio finale. Con Virginie invece non c’è freestyle, lei ha un approccio più classico e cerca di recitare al meglio le sue battute senza apportare grosse modifiche. L’unica volta che ho dovuto rigirare una scena con lei è stata quella della sequenza tra Julie e lo chauffeur: all’inizio lei l’aveva interpretata in maniera troppo generica, mentre io volevo vedere una Julie più timida e impacciata, ma la seconda volta ha capito perfettamente quello che volevo e la scena è uscita bene. A parte le sequenze dove i protagonisti cantano e quelle di danza, di solito non faccio molte riprese, spero sempre che la prima vada bene! Inoltre, giro sempre sul set e con pellicola in 35mm, quindi non posso permettermi di sbagliare molto.
La nostra ultima domanda riguarda la musica del film; abbiamo notato la presenza di brani originali, cantati dai due protagonisti, ma anche l’utilizzo di musica classica e anche electro dance. Ci puoi dire qualcosa su queste scelte?
Tutta la musica che senti nel film è originale, beh tranne il brano di Mozart utilizzato nel finale, ed è stata composta dal talentuoso Benjamin Esdraffo. La parte più difficile per me è stata cercare il genere musicale adatto per questo film, il nostro compositore ha avuto un passato nella musica pop, ma non volevo questo genere e nemmeno il rap. Quindi abbiamo iniziato ad avere queste lunghe conversazioni e alla fine abbiamo optato per un misto tra musica classica, pop ed elettro dance.
A cura di Omar Franini
INT-03
15.06.2022
Il Don Giovanni è forse uno dei personaggi più celebri della letteratura europea e nel corso dei secoli molti autori, sia in campo teatrale che in quello musicale, si sono cimentati nell’adattare il personaggio creato dal drammaturgo spagnolo Tirso de Molina nel 1632. Nonostante il poderoso successo dell’opera originale, Don Giovanni è diventato conosciuto prima grazie alla tragicommedia di Molière Don Giovanni o Il convitato di pietra e in seguito con l’opera lirica Il dissoluto punito ossia Don Giovanni di Mozart. In campo cinematografico, ci sono state diverse trasposizioni, alcune più fedeli al testo originale, come quelle di Carmelo Bene (1970) e Joseph Losey (1979) e altre interpretazioni in chiave moderna, come Shame (2011) di Steve McQueen e Don Jon (2013) di Joseph Gordon-Levitt.
Al Festival di Cannes abbiamo avuto l’opportunità di vedere Don Juan, un adattamento originale dove il regista Serge Bozon (Madame Hyde, Tip Top) rivoluziona il celebre personaggio, analizzandolo con uno sguardo melanconico tramite Laurent, interpretato da Tahar Rahim (Il Profeta, The Mauritanian), un attore teatrale che sta attraversando una profonda crisi dopo che la fidanzata Julie, interpretata da Virginie Efira (Benedetta, La Doppia Vita di Madeleine Collins), lo ha lasciato la mattina del loro matrimonio. Da quel momento, Laurent inizierà a rivedere il viso della propria ex in ogni donna che incontra. Inoltre, il protagonista si troverà alle prese con le innumerevoli complicazioni che stanno mettendo a rischio la produzione teatrale a cui sta lavorando, un adattamento de Il Don Giovanni, e l’unica persona che potrebbe sistemare tutto è proprio la ex fidanzata Julie. Don Juan non è solo una visione piacevole, ma anche una brillante decostruzione del “mito” di questo personaggio. Per far ciò, Serge Bozon ha utilizzato diversi generi cinematografici, tra cui musical e melodramma, bilanciando ogni aspetto efficacemente e permettendo ai due attori di esplorare le diverse sfaccettature dei propri ruoli.
Abbiamo avuto l’occasione di intervistare prima l’attore Tahar Rahim e in seguito il regista Serge Bozon, due persone molto carismatiche, ma diverse tra loro. A primo impatto, Tahar si presenta come una persona energica, solare, con un grosso sorriso stampato in faccia e con una battuta sempre pronta. Soprattutto, sembrava molto interessato a condividere il proprio processo artistico e creativo per la preparazione della sua parte. Serge Bozon invece ha un certo charme che ci ha subito affascinato; si è presentato seduto su un divanetto sorseggiando un calice di vino bianco e condividendo con noi alcuni dettagli sulla lavorazione del film e la collaborazione con i due attori.
Tahar, sei mai stato definito un “Don Giovanni” nella tua vita?
No, mai successo (l’attore scoppia a ridere, n.d.r.). So che è un’espressione popolare, ma non mi è mai capitato.
Cosa conoscevi del personaggio di Don Giovanni prima di fare questo film?
Quando si sente l’espressione “Don Giovanni”, la prima cosa che viene in mente è la figura di un donnaiolo, visto in un modo “cool”, ma conoscendo meglio il personaggio, si noterà che è un meschino, una persona che non si comporta bene. Ho letto l’opera di Molière ancora quando andavo a scuola, quindi conosco bene questo personaggio. È pazzesco come questa espressione sia diventata “trendy” nel corso del tempo, ma non mi sembra più il caso di utilizzarla ai giorni nostri. È per questo che il progetto di Serge mi ha attratto, il film è la rivisitazione di questo mito, interpretare il Don Juan donnaiolo sarebbe stato troppo datato e probabilmente non avrei accettato il ruolo.
In questo adattamento de Il Don Giovanni i personaggi femminili sono più caratterizzati e indipendenti rispetto alla versione di Moliére, dando un sottotesto femminista alla celebre opera. Eri interessato a questo aspetto quando hai scelto di fare questo film?
No, quando scelgo un ruolo non penso a tutto questo. Per prima cosa, voglio essere sorpreso dal personaggio e dal film stesso, cerco sempre di interpretare ruoli che non ho mai fatto e che mi permettano di esplorare diverse capacità artistiche. E nel caso di Don Juan, la scelta è stata facile, c’erano delle sfide che mi hanno spinto ad accettare il ruolo, tipo cantare o anche fare un po’ di teatro, ma soprattutto cantare!
Hai preso qualche lezione di canto per prepararti meglio al ruolo?
Ho dovuto e fidati, tu non vuoi sentirmi cantare! Ho preso molte lezioni a essere sincero e la parte divertente è che quando ho ricevuto la sceneggiatura, ho pensato dentro di me “che figo, potrò cantare e mettermi davvero alla prova”, quindi chiamo la mia agenzia e ho chiesto se potevano preparare un open bar vicino all’ADR (postazione dove gli attori registrano la propria voce dopo la scena girata, n.d.r.), loro mi hanno risposto che non era possibile perché Serge voleva che io e Virgine cantassimo direttamente sul set, “in diretta”. Quindi ho dovuto lavorare molto per raggiungere le giuste note ed esprimere al meglio le emozioni che Laurent sta provando in certi momenti. E per prepararmi al ruolo, ho anche ascoltato e visto varie performance musicali, soprattutto quelle di Charles Aznavour e Jacques Brel, due cantautori che sono stati in grado di trasmettere efficacemente le loro emozioni ogni volta che erano sul palcoscenico. Per questo, la preparazione per il ruolo di Laurent è stata complicata, dovevo imparare a cantare bene, altrimenti avrei rovinato il mio lavoro e quello altrui. Un altro aspetto che mi ha attratto del film è stato il fatto che al centro della storia ci sia un personaggio maschile che sta vivendo con il cuore spezzato, e questo lo trovo interessante perché anche noi uomini proviamo queste sensazioni di tristezza e spaesamento per colpa dell’amore, anche se le donne sono più forti in questo campo.
Credi che le donne siano più forti?
Si, soprattutto a gestire il cuore spezzato. Mia madre è la donna più forte che conosca. Anche mia moglie (l’attrice Leïla Bekhti) lo è ed è anche una delle mie più care amiche. Credo nella qualità, sono cresciuto in questo modo ed è così che si dovrebbe fare.
Che cosa deve avere una sceneggiatura per essere accettata da te?
Di solito è un mix tra il ruolo, la storia e il regista ovviamente, ci sono certi autori a cui non puoi dire di no.
Qualche regista italiano magari?
Sorrentino (detto con un buffissimo accento meridionale, n.d.r.).
Come è stato lavorare con Virginie, o dovrei dire, diverse versioni di Virginie Efira?
Ci siamo divertiti molto e vederla ogni giorno con una faccia e una parrucca diversa è stato esilarante. Il suo ruolo è bellissimo, è una donna forte e indipendente. Mi piace come il film raffigura questo, o meglio, questi personaggi femminili. Virginie è così, intelligente, premurosa, talentuosa e non ha paura di prendere rischi e farsi avanti con il “pazzoide” (l’attore indica scherzosamente il regista Serge Bozon, seduto a qualche metro di distanza, n.d.r.).
Credi che i ruoli in produzioni americane o inglesi siano diversi rispetto a quelle francesi? Mi ricordo di aver letto qualche anno fa una tua intervista dove dicevi che Hollywood tende a prendere attori francesi facendogli fare solo ruoli stereotipati, è cambiato qualcosa ora?
Sì, c’è stato un miglioramento. Prima non c’era immaginazione. Dopo Il profeta (2009) volevano che io interpretassi ruoli simili a quello, per questo ho rifiutato offerte per diversi film. Quindi ho deciso di intraprendere un cammino diverso per la mia carriera, andare di paese in paese, scegliendo autori e ruoli diversi ogni volta. Questo sono io. Sono cresciuto in un quartiere multietnico, dove c’erano ragazzini asiatici, nordafricani, gipsy e francesi. Eravamo bambini, ci vedevamo spesso e senza volerlo, ogni volta che andavamo in casa di un amico, scoprivamo un mondo e una cultura diversa (l’attore fa un sorriso, si emoziona e sussurra “che bei ricordi”, n.d.r.). Per questo credo che nel corso della mia carriera abbia scelto registi di diverse nazionalità.
Come è stato lavorare con Serge Bozon? Ti ha concesso qualche libertà con il personaggio?
Non avevo mai incontrato Serge prima del film e la prima volta che ho parlato con lui, ho capito che volevo dare il mio meglio. Credo che Serge abbia voluto cambiare approccio con questo film e, a differenza di Madame Hyde (2016), aprirsi di più emotivamente con il proprio pubblico così da creare una certa empatia verso i suoi personaggi. E per far ciò, ha dovuto cambiare l’approccio con il proprio cast, ci ha detto che voleva dare più libertà agli attori. Ricordo che durante la prima settimana di lavorazione Serge non si era ancora adattato, ma dopo un paio di giorni si è lasciato un po’ andare e l’ho visto felice, quindi gli ho fatto una proposta, “ogni volta che sei felice, dammi un giorno libero” e lui ha accettato subito. Ci siamo molto divertiti a lavorare insieme con questa specie di freestyle (metodo che verrà spiegato in seguito dal regista, n.d.r.).
Serge, la mia prima domanda riguarda il casting di Tahar Rahim e Virginie Efira, erano loro le prime scelte per i ruoli di Laurent e Julie?
Si, di solito quando scrivo un personaggio ho già in mente l’attore che lo interpreterà, ad esempio, ho scritto Madame Hyde con in mente Isabelle Huppert e senza di lei il film non si sarebbe fatto. E con Don Juan è stato lo stesso; il personaggio di Laurent ha qualcosa di monolitico, è ossessionato da una ragazza ed è sempre in cerca della sua amata nelle altre donne, e Tahar è riuscito a portare sullo schermo qualcosa che va contro a questo personaggio, il lato innocente e sensibile. Quando ho scritto la sceneggiatura, Laurent era un personaggio più repulsivo e Tahar è riuscito a trasmettere una certa tenerezza attraverso la sua tristezza.
Virginie è un’attrice che ammiro molto e pian piano sta diventando una delle attrici francesi più richieste in circolazione. La cosa divertente è che Virginie ha quasi sempre lo stesso aspetto in ogni film, soprattutto ha sempre questi lunghi capelli biondi, allora ho pensato che volessi essere il primo a cambiare radicalmente il suo look. Inoltre, se hai visto Benedetta di Paul Verhoeven o Sibyl di Justine Triet, avrai notato che di solito lei interpreta personaggi che fanno azioni un po’ “estreme”, come urlare, piangere o fare l’amore, ma con una violenza impetuosa. Con il personaggio di Julie, ho voluto che Virginie provasse a interpretare un ruolo più ristretto, interrogativo, senza quegli aspetti “estremi” appena citati, come ad esempio in una delle scene finali, dove Virginie ha saputo rappresentare al meglio il lato interrogativo di Julie.
Nella seconda parte del film c’è una spettacolare coreografia dove Laurent viene rifiutato da ogni donna durante una festa, avevi già in mente i movimenti degli attori in questa scena quando stavi scrivendo il film?
No, o almeno, avevo il desiderio di fare una coreografia speciale per quella scena, ma non sono un coreografo, mi sono affidato al talentuoso Christian Rizzo. Gli ho dato qualche direttiva e poi lui ha fatto il resto. L’idea di base era proprio il rigetto di queste donne per Laurent e questi movimenti sono diventati una danza.
C’è un altro aspetto che ci ha affascinato del Don Giovanni che porti sullo schermo; nell’opera originale questo personaggio finisce sempre a litigare o a combattere con altri uomini, mentre nel tuo film, l’unico uomo che Laurent affronta è se stesso. Vorrei sapere il perché di questa scelta.
Mi sono detto che non volevo dirigere scene di “bravado”, fare cose provocative o comunque, mettere il personaggio di Laurent su un piedistallo, ho preferito concentrarmi sulla solitudine di quest’uomo e le piccole battaglie personali che sta affrontando per superare la rottura con Julie. Perché? Perché è più toccante, inoltre ho pensato avrebbe dato a questo personaggio iconico una specie di fragilità, quella sensazione di smarrimento, come se fosse un orfano di sé stesso, nel senso che non riesce più ad avere un attaccamento emotivo con nessuno.
Come dirigi i tuoi attori? Sei un regista rigoroso o lasci un po’ di libertà agli attori con i propri personaggi?
No, non sono uno Stanley Kubrick in miniatura (il regista inizia a ridere, n.d.r.). Ad essere sincero non do molte indicazioni, una o due al massimo. Con Isabelle Huppert, in Madame Hyde, quasi non ce ne era il bisogno. Con Tahar invece sono riuscito a formare una relazione speciale e avevamo questo approccio freestyle: facevamo una o due riprese come volevo io e una dove Tahar aveva più libertà di interpretare il personaggio come preferiva, e alcune di queste sono state usate nel montaggio finale. Con Virginie invece non c’è freestyle, lei ha un approccio più classico e cerca di recitare al meglio le sue battute senza apportare grosse modifiche. L’unica volta che ho dovuto rigirare una scena con lei è stata quella della sequenza tra Julie e lo chauffeur: all’inizio lei l’aveva interpretata in maniera troppo generica, mentre io volevo vedere una Julie più timida e impacciata, ma la seconda volta ha capito perfettamente quello che volevo e la scena è uscita bene. A parte le sequenze dove i protagonisti cantano e quelle di danza, di solito non faccio molte riprese, spero sempre che la prima vada bene! Inoltre, giro sempre sul set e con pellicola in 35mm, quindi non posso permettermi di sbagliare molto.
La nostra ultima domanda riguarda la musica del film; abbiamo notato la presenza di brani originali, cantati dai due protagonisti, ma anche l’utilizzo di musica classica e anche electro dance. Ci puoi dire qualcosa su queste scelte?
Tutta la musica che senti nel film è originale, beh tranne il brano di Mozart utilizzato nel finale, ed è stata composta dal talentuoso Benjamin Esdraffo. La parte più difficile per me è stata cercare il genere musicale adatto per questo film, il nostro compositore ha avuto un passato nella musica pop, ma non volevo questo genere e nemmeno il rap. Quindi abbiamo iniziato ad avere queste lunghe conversazioni e alla fine abbiamo optato per un misto tra musica classica, pop ed elettro dance.