di Omar Franini
NC-259
10.12.2024
Sabato sera si è svolta la trentasettesima edizione degli European Film Awards, cerimonia che non solo premia il meglio del panorama cinematografico europeo annuale, ma coglie l’occasione per celebrare alcuni nomi che hanno fatto la storia del cinema, come in questo caso Isabella Rossellini e Wim Wenders, che hanno ricevuto rispettivamente dei premi alla carriera per il loro contributo all’interno del cinema mondiale ed europeo.
Come ogni anno, il percorso che porta alla serata risulta ad un primo istante coinvolgente, dovuto soprattutto al fatto che, spesso, film che non hanno ricevuto molta attenzione mediatica vengono inaspettatamente nominati. Spesso vi sono anche scelte eclettiche durante la selezione dei vincitori dei vari reparti tecnici, come fotografia o suono, ma anche qualche sorpresa nelle categorie recitative. Purtroppo questo momento di euforia inizia a svanire man mano che ci si avvicina alla serata dei premi. Tutto questo è dovuto al monotono trend che sta caratterizzando la cerimonia da almeno cinque/sei anni; infatti, il lungometraggio che riceve il premio per il Miglior Film tende anche a fare “piazza pulita” in tutte le altre categorie in cui è nominato. Tra le opere recenti si possono citare The Favourite (2018) di Yorgos Lanthimos, Another Round (2020) di Thomas Vinterberg, Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund e Anatomie d’une chute (2023) di Justine Triet.
Solo in rari casi queste sweep sono giustificate dalla qualità del film, come nel caso dell’opera di Lanthimos, ma in altri le scelte risultano davvero insensate, come ad esempio la vittoria dell’attore Zlatko Burić nel 2022 per il lungometraggio di Östlund. Seguendo questo ragionamento e dopo aver assistito alla massiva campagna promozionale delle pellicole nominate, le scelte per la vittoria finale agli EFA erano di fatto solo due; Emilia Pérez, il musical diretto da Jacques Audiard e il thriller politico The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof.
A trionfare è stato il primo, che si è portato a casa ben cinque statuette; Miglior Film, regia, sceneggiatura, montaggio ed infine miglior attrice a Karla Sofía Gascón. Il successo di un film agli EFA non è da sottovalutare ed è spesso correlato agli Oscar; se si dà uno sguardo ai precedenti vincitori del premio di miglior regia si potrà infatti notare come cinque degli ultimi sei sono poi stati candidati agli Academy Award. Queste vittorie, inoltre, posizionano Emilia Pérez in pole position per una futura vittoria al premio di miglior film internazionale, avendo battuto l’avversario più insidioso agli EFA, ovvero Rasoulof, che dal canto suo è stato completamente snobbato in ogni categoria. Qui però sorge un dubbio riguardante l’ultima opera di Audiard, meritava davvero di vincere tutti questi premi?
Partiamo con il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, forse uno degli elementi più problematici del film, dove Audiard non solo ha faticato a creare un tono coeso tra dramma e musical, ma anche nel costruire una narrativa non stereotipata del personaggio principale del film. Oltre al già citato Rasoulof, ci sarebbero state altre opzioni più meritevoli, come l’eccentrica scrittura di Coralie Fargeat in The Substance oppure The Girl with the Needle, dramma in costume sceneggiato da Magnus von Horn e Line Langebek Knudsen, che abilmente riescono a raccontare una storia che, nonostante sia ambientata ad inizio novecento, riesce a trovare una forte connotazione contemporanea. Si potrebbe intraprendere lo stesso discorso sul premio per la miglior sceneggiatura e per la categoria di miglior regia, dove le cineaste Andrea Arnold, per Bird, e Maura Delpero, per Vermiglio, sarebbero state scelte più soddisfacenti rispetto al cineasta francese.
Nonostante le critiche ad Emilia Pérez, Karla Sofía Gascón riesce comunque a regalare una buona interpretazione, che le è valsa la vittoria del premio di Miglior Attrice. Una volta sul palco, l’interprete ha pronunciato un toccante discorso che ha rappresentato, a mani basse, il momento più intenso della serata. Anche se la sua interpretazione risulta l’aspetto migliore dell’opera di Audiard, la sua vittoria lascia comunque qualche dubbio, soprattutto se si prendono in considerazioni le altre quattro grandi interpretazioni nominate. Alla vigilia della cerimonia, l’unica alternativa possibile a Gascón era quella rappresentata da Tilda Swinton, candidata per The Room Next Door (La Stanza Accanto) di Pedro Almodóvar, ma sarebbe stata una sorpresa ancor più piacevole veder trionfare Vic Carmen Sonne o Trine Dyrholm, per le loro straordinarie prove in The Girl with the Needle. A completare la cinquina delle interpreti c’è stata anche Renate Reinsve per la sua intensa performance in Armand, l’opera prima di Halfdan Ullmann-Tøndel.
Armand si è aggiudicato invece il premio European Discovery per la migliore opera prima, replicando la vittoria della Camera d’Or dello scorso maggio al Festival di Cannes. La categoria era piuttosto competitiva, ma alla fine il lungometraggio di debutto di Ullmann-Tøndel è riuscito a trionfare contro due dei favoriti alla vigilia della premiazione: ovvero il “biopic” irlandese Kneecap di Rich Peppiatt e Toxic di Saulė Bliuvaitė, film che, ad agosto, si è aggiudicato il Pardo d’Oro al Festival di Locarno.
La categoria di Miglior Attore è risultata invece come la più imprevedibile della serata, chiunque dei nominati sarebbe stato un vincitore più che meritevole. Nella cinquina degli interpreti saltano subito all’occhio i nomi di Daniel Craig, per Queer, e Ralph Fiennes, per Conclave, attori veterani con un'ampia carriera alle spalle (anche ad Hollywood), seguiti da Franz Rogowski, per Bird, e Lars Eidinger, per Sterben, (due tra gli interpreti più camaleontici del panorama cinematografico europeo) , ed infine Abou Sangare per L'histoire de Souleymane (La storia di Souleymane). A trionfare è stato proprio quest’ultimo per la sua ottima interpretazione del rider immigrato, l’attore aggiungerà questo importante riconoscimento insieme al premio di miglior attore della sezione Un Certain Regard vinto al Festival di Cannes.
Non ci sono state sorprese nella categoria di Miglior Documentario, con No Other Land che porta a casa l’ennesimo premio della stagione. Diretto da quattro giovani attivisti palestinesi e israeliani (Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor), il film racconta, giorno dopo giorno e violenza dopo violenza, la distruzione della piccola comunità rurale di Masafer Yatta, in Cisgiordania, da parte dell’esercito israeliano. La vittoria ,meritata, va a discapito di alcuni grandi documentari come Dahomey di Mati Diop e Soundtrack to a Coup d’État di Johan Grimonprez. Per quanto riguarda la categoria d’animazione, Flow di Gints Zilbalodis ha prevalso a mani basse in una cinquina che non era tanto competitiva come le altre, solo Sauvages di Claude Barras rappresentava un’insidia, ma alla fine, questa opzione non si è materializzata.
Terminiamo la rassegna dei premi con le categorie legate ai vari reparti tecnici. A differenza delle altre, i vincitori vengono scelti qualche settimana prima della cerimonia e quest’anno sono stati selezionati Emilia Pérez per il Miglior Montaggio, The Girl with the Needle per la colonna sonora e la scenografia, The Substance per la fotografia e gli effetti speciali, La storia di Souleymane per il suono, ed infine When the Light Breaks per il trucco e le acconciature. Tutto sommato un buon set di vincitori, peccato soltanto che gli EFA abbiano preso la strana decisione di citare queste persone in alcuni momenti morti della serata, non lasciando a queste l’opportunità di salire sul palco e fare un discorso di ringraziamento. Non un buon gesto da parte dell’organizzazione, ci auguriamo che il prossimo anni vi sia un cambiamento, poiché il cinema non è fatto solo di attori e registi, ed è giusto dare risalto anche a coloro che lavorano duramente nei reparti tecnici.
di Omar Franini
NC-259
10.12.2024
Sabato sera si è svolta la trentasettesima edizione degli European Film Awards, cerimonia che non solo premia il meglio del panorama cinematografico europeo annuale, ma coglie l’occasione per celebrare alcuni nomi che hanno fatto la storia del cinema, come in questo caso Isabella Rossellini e Wim Wenders, che hanno ricevuto rispettivamente dei premi alla carriera per il loro contributo all’interno del cinema mondiale ed europeo.
Come ogni anno, il percorso che porta alla serata risulta ad un primo istante coinvolgente, dovuto soprattutto al fatto che, spesso, film che non hanno ricevuto molta attenzione mediatica vengono inaspettatamente nominati. Spesso vi sono anche scelte eclettiche durante la selezione dei vincitori dei vari reparti tecnici, come fotografia o suono, ma anche qualche sorpresa nelle categorie recitative. Purtroppo questo momento di euforia inizia a svanire man mano che ci si avvicina alla serata dei premi. Tutto questo è dovuto al monotono trend che sta caratterizzando la cerimonia da almeno cinque/sei anni; infatti, il lungometraggio che riceve il premio per il Miglior Film tende anche a fare “piazza pulita” in tutte le altre categorie in cui è nominato. Tra le opere recenti si possono citare The Favourite (2018) di Yorgos Lanthimos, Another Round (2020) di Thomas Vinterberg, Triangle of Sadness (2022) di Ruben Östlund e Anatomie d’une chute (2023) di Justine Triet.
Solo in rari casi queste sweep sono giustificate dalla qualità del film, come nel caso dell’opera di Lanthimos, ma in altri le scelte risultano davvero insensate, come ad esempio la vittoria dell’attore Zlatko Burić nel 2022 per il lungometraggio di Östlund. Seguendo questo ragionamento e dopo aver assistito alla massiva campagna promozionale delle pellicole nominate, le scelte per la vittoria finale agli EFA erano di fatto solo due; Emilia Pérez, il musical diretto da Jacques Audiard e il thriller politico The Seed of the Sacred Fig di Mohammad Rasoulof.
A trionfare è stato il primo, che si è portato a casa ben cinque statuette; Miglior Film, regia, sceneggiatura, montaggio ed infine miglior attrice a Karla Sofía Gascón. Il successo di un film agli EFA non è da sottovalutare ed è spesso correlato agli Oscar; se si dà uno sguardo ai precedenti vincitori del premio di miglior regia si potrà infatti notare come cinque degli ultimi sei sono poi stati candidati agli Academy Award. Queste vittorie, inoltre, posizionano Emilia Pérez in pole position per una futura vittoria al premio di miglior film internazionale, avendo battuto l’avversario più insidioso agli EFA, ovvero Rasoulof, che dal canto suo è stato completamente snobbato in ogni categoria. Qui però sorge un dubbio riguardante l’ultima opera di Audiard, meritava davvero di vincere tutti questi premi?
Partiamo con il riconoscimento per la miglior sceneggiatura, forse uno degli elementi più problematici del film, dove Audiard non solo ha faticato a creare un tono coeso tra dramma e musical, ma anche nel costruire una narrativa non stereotipata del personaggio principale del film. Oltre al già citato Rasoulof, ci sarebbero state altre opzioni più meritevoli, come l’eccentrica scrittura di Coralie Fargeat in The Substance oppure The Girl with the Needle, dramma in costume sceneggiato da Magnus von Horn e Line Langebek Knudsen, che abilmente riescono a raccontare una storia che, nonostante sia ambientata ad inizio novecento, riesce a trovare una forte connotazione contemporanea. Si potrebbe intraprendere lo stesso discorso sul premio per la miglior sceneggiatura e per la categoria di miglior regia, dove le cineaste Andrea Arnold, per Bird, e Maura Delpero, per Vermiglio, sarebbero state scelte più soddisfacenti rispetto al cineasta francese.
Nonostante le critiche ad Emilia Pérez, Karla Sofía Gascón riesce comunque a regalare una buona interpretazione, che le è valsa la vittoria del premio di Miglior Attrice. Una volta sul palco, l’interprete ha pronunciato un toccante discorso che ha rappresentato, a mani basse, il momento più intenso della serata. Anche se la sua interpretazione risulta l’aspetto migliore dell’opera di Audiard, la sua vittoria lascia comunque qualche dubbio, soprattutto se si prendono in considerazioni le altre quattro grandi interpretazioni nominate. Alla vigilia della cerimonia, l’unica alternativa possibile a Gascón era quella rappresentata da Tilda Swinton, candidata per The Room Next Door (La Stanza Accanto) di Pedro Almodóvar, ma sarebbe stata una sorpresa ancor più piacevole veder trionfare Vic Carmen Sonne o Trine Dyrholm, per le loro straordinarie prove in The Girl with the Needle. A completare la cinquina delle interpreti c’è stata anche Renate Reinsve per la sua intensa performance in Armand, l’opera prima di Halfdan Ullmann-Tøndel.
Armand si è aggiudicato invece il premio European Discovery per la migliore opera prima, replicando la vittoria della Camera d’Or dello scorso maggio al Festival di Cannes. La categoria era piuttosto competitiva, ma alla fine il lungometraggio di debutto di Ullmann-Tøndel è riuscito a trionfare contro due dei favoriti alla vigilia della premiazione: ovvero il “biopic” irlandese Kneecap di Rich Peppiatt e Toxic di Saulė Bliuvaitė, film che, ad agosto, si è aggiudicato il Pardo d’Oro al Festival di Locarno.
La categoria di Miglior Attore è risultata invece come la più imprevedibile della serata, chiunque dei nominati sarebbe stato un vincitore più che meritevole. Nella cinquina degli interpreti saltano subito all’occhio i nomi di Daniel Craig, per Queer, e Ralph Fiennes, per Conclave, attori veterani con un'ampia carriera alle spalle (anche ad Hollywood), seguiti da Franz Rogowski, per Bird, e Lars Eidinger, per Sterben, (due tra gli interpreti più camaleontici del panorama cinematografico europeo) , ed infine Abou Sangare per L'histoire de Souleymane (La storia di Souleymane). A trionfare è stato proprio quest’ultimo per la sua ottima interpretazione del rider immigrato, l’attore aggiungerà questo importante riconoscimento insieme al premio di miglior attore della sezione Un Certain Regard vinto al Festival di Cannes.
Non ci sono state sorprese nella categoria di Miglior Documentario, con No Other Land che porta a casa l’ennesimo premio della stagione. Diretto da quattro giovani attivisti palestinesi e israeliani (Basel Adra, Hamdan Ballal, Yuval Abraham e Rachel Szor), il film racconta, giorno dopo giorno e violenza dopo violenza, la distruzione della piccola comunità rurale di Masafer Yatta, in Cisgiordania, da parte dell’esercito israeliano. La vittoria ,meritata, va a discapito di alcuni grandi documentari come Dahomey di Mati Diop e Soundtrack to a Coup d’État di Johan Grimonprez. Per quanto riguarda la categoria d’animazione, Flow di Gints Zilbalodis ha prevalso a mani basse in una cinquina che non era tanto competitiva come le altre, solo Sauvages di Claude Barras rappresentava un’insidia, ma alla fine, questa opzione non si è materializzata.
Terminiamo la rassegna dei premi con le categorie legate ai vari reparti tecnici. A differenza delle altre, i vincitori vengono scelti qualche settimana prima della cerimonia e quest’anno sono stati selezionati Emilia Pérez per il Miglior Montaggio, The Girl with the Needle per la colonna sonora e la scenografia, The Substance per la fotografia e gli effetti speciali, La storia di Souleymane per il suono, ed infine When the Light Breaks per il trucco e le acconciature. Tutto sommato un buon set di vincitori, peccato soltanto che gli EFA abbiano preso la strana decisione di citare queste persone in alcuni momenti morti della serata, non lasciando a queste l’opportunità di salire sul palco e fare un discorso di ringraziamento. Non un buon gesto da parte dell’organizzazione, ci auguriamo che il prossimo anni vi sia un cambiamento, poiché il cinema non è fatto solo di attori e registi, ed è giusto dare risalto anche a coloro che lavorano duramente nei reparti tecnici.