di Cosimo Maj
NC-84
20.12.2021
Dope Boys Alphabet è il primo vero film sull’Hip-Hop in Italia. Un biopic anomalo, un documentario caratterizzato da una scarsa linearità e immerso in un flusso di immagini del passato e del presente. Forte di un’esplosiva anarchia narrativa, il film inizia con Noyz, ai giorni nostri, seduto di fronte a un cartomante. Dalla lettura delle carte, la macchina da presa comincia un viaggio allucinato tra monitor e cumuli di sigarette spente nella cenere. I monitor trasmettono scene dal passato, immagini che Noyz per mezzo di una ormai desueta videocamera digitale raccoglieva già agli albori del Truceklan, il collettivo che avrebbe fatto da spartiacque nella storia del rap italiano. Gli schermi trasfigurano il passato nel presente cinematografico del film, raccontandoci le origini della rivoluzione apportata da un gruppo di Dope boys che non parlavano di Fila bianche ma di prostitute slave, malattie veneree, teste spaccate in due parti.
Emerge chiaramente la dirompenza del collettivo dalla rima di Gel al 2theBeat al link di Bologna nel 2006. In quell’occasione il rapper, scelto come agnello sacrificale dal gruppo per immolarsi nello scontro di free-style, citò un noto caso di cronaca dell’epoca. Il coinvolgimento del piccolo Tommaso fece improvvisamente mutare l’ovazione in fischio, come ricordato da Guè che in quel momento si trovava in mezzo alla folla al bancone di un bar insieme al Noyz. In un frangente simile ci si rende conto del significato dell’espressione politicamente scorretto - ai tempi odierni sbandierato ossessivamente al solo fine di andare contro la fantomatica “dittatura del politicamente corretto” - ma anche di cosa significa essere turpi e voler disturbare, provocare disgusto, andando a toccare qualcosa di più sacro di Gesù Cristo stesso, un bambino ucciso. Nonostante tutto, si tratta di una rima che nel bene e nel male è diventata culto. E tale rimarrà.
Un evento questo che il film racconta nei suoi retroscena, nel periodo in cui il Truceklan, e soprattutto Noyz, vivevano nell’underground più radicale e sotterraneo. Le loro canzoni erano quella cosa che l’emarginato sociale andava a cercare per sentirsi parte di qualcosa, riconoscersi in un’identità e in un modo di essere. Il film racconta quell’esaltante momento storico in cui la produzione della musica del gruppo era del tutto verticale, essendo registrata e prodotta in casa. Tuttavia, ben presto le loro rime si diffusero oltre i confini del Grande Raccordo Anulare. Agli albori del 2000 a Milano, al Leoncavallo, la gente a Truce rispondeva Klan. Come ricorda il Chicoria, il pubblico milanese aveva talmente tanto interiorizzato quell’universo da ostentare, impropriamente, locuzioni romane. Tutto ciò offre un’idea di quanto fosse percepita da tutto l’underground nazionale l’originale potenza del gruppo, che insieme a Dogo Gang, Kaos One, Fibra e Colle der Fomento creerà negli anni successivi la mitologia dell’Hip-Hop italiano che attualmente continua a perdurare.
Oggi i tempi sono cambiati. Da allora il collettivo ha preso la strada dell’individualità, come nel caso del Noyz. Un artista che affronta il tempo che passa, con il timore di non avere la stessa forza di quando aveva vent’anni. Il film di Marco Proserpio riesce a gestire con stile quel passato così glorioso e farlo convivere con il presente di un artista ancora tormentato, che esorcizza le sue paure con la musica, “il virus” che abita il suo organismo e che su di lui ha preso il sopravvento. Un ritratto intimo di una realtà musicale ormai presa a modello e fonte d’ispirazione, ma che fino a pochi anni fa viveva nell’eco di una ristretta cerchia di appassionati, quelli che la vissero in prima persona e quelli cresciuti a furia di ascolti in cuffia di Sangue e Non Dormire sulle playlist di Youtube. Ora tutto viene raccolto e messo in (dis)ordine da un ottimo lavoro di montaggio e di scrittura, in grado di conferire al documentario una struttura del tutto cinematografica. Quello che ci viene presentato è una sorta di arco narrativo, un viaggio di un (anti)eroe urbano cantore anarchico del disordine. Un artista che a quasi 40 anni vince il disco d’oro per Enemy, album che dal racconto del produttore Night Skinny viene descritto sofferto e di lunga gestazione. Un’opera in grado di racchiudere quelle due linee temporali raccontate nel film, presente e passato, aggiungendo uno sguardo al futuro, vivo e pulsante.
Il leggendario viaggio sembrava essere terminato lì, con quel disco così evocativo e malinconico, ma anche spavaldo e incazzato. All’epoca aveva fatto storcere il naso a qualche fan più radicale la scelta di inserire featuring con artisti giovani ed emergenti come Capo Plaza, Carl Brave e Franco126, ma la scelta si è invece rivelata azzeccata perché ha permesso di parlare con efficacia a più generazioni. Enemy doveva essere il canto del cigno, ma il richiamo alle armi, come raccontato da questo film, è obbligatorio. Non ci si sottrae a sé stessi. Soprattutto se ti guardi indietro, e ripensi a quei due fratelli con cui quasi vent’anni fa profanasti il campo santo del Verano.
di Cosimo Maj
NC-84
20.12.2021
Dope Boys Alphabet è il primo vero film sull’Hip-Hop in Italia. Un biopic anomalo, un documentario caratterizzato da una scarsa linearità e immerso in un flusso di immagini del passato e del presente. Forte di un’esplosiva anarchia narrativa, il film inizia con Noyz, ai giorni nostri, seduto di fronte a un cartomante. Dalla lettura delle carte, la macchina da presa comincia un viaggio allucinato tra monitor e cumuli di sigarette spente nella cenere. I monitor trasmettono scene dal passato, immagini che Noyz per mezzo di una ormai desueta videocamera digitale raccoglieva già agli albori del Truceklan, il collettivo che avrebbe fatto da spartiacque nella storia del rap italiano. Gli schermi trasfigurano il passato nel presente cinematografico del film, raccontandoci le origini della rivoluzione apportata da un gruppo di Dope boys che non parlavano di Fila bianche ma di prostitute slave, malattie veneree, teste spaccate in due parti.
Emerge chiaramente la dirompenza del collettivo dalla rima di Gel al 2theBeat al link di Bologna nel 2006. In quell’occasione il rapper, scelto come agnello sacrificale dal gruppo per immolarsi nello scontro di free-style, citò un noto caso di cronaca dell’epoca. Il coinvolgimento del piccolo Tommaso fece improvvisamente mutare l’ovazione in fischio, come ricordato da Guè che in quel momento si trovava in mezzo alla folla al bancone di un bar insieme al Noyz. In un frangente simile ci si rende conto del significato dell’espressione politicamente scorretto - ai tempi odierni sbandierato ossessivamente al solo fine di andare contro la fantomatica “dittatura del politicamente corretto” - ma anche di cosa significa essere turpi e voler disturbare, provocare disgusto, andando a toccare qualcosa di più sacro di Gesù Cristo stesso, un bambino ucciso. Nonostante tutto, si tratta di una rima che nel bene e nel male è diventata culto. E tale rimarrà.
Un evento questo che il film racconta nei suoi retroscena, nel periodo in cui il Truceklan, e soprattutto Noyz, vivevano nell’underground più radicale e sotterraneo. Le loro canzoni erano quella cosa che l’emarginato sociale andava a cercare per sentirsi parte di qualcosa, riconoscersi in un’identità e in un modo di essere. Il film racconta quell’esaltante momento storico in cui la produzione della musica del gruppo era del tutto verticale, essendo registrata e prodotta in casa. Tuttavia, ben presto le loro rime si diffusero oltre i confini del Grande Raccordo Anulare. Agli albori del 2000 a Milano, al Leoncavallo, la gente a Truce rispondeva Klan. Come ricorda il Chicoria, il pubblico milanese aveva talmente tanto interiorizzato quell’universo da ostentare, impropriamente, locuzioni romane. Tutto ciò offre un’idea di quanto fosse percepita da tutto l’underground nazionale l’originale potenza del gruppo, che insieme a Dogo Gang, Kaos One, Fibra e Colle der Fomento creerà negli anni successivi la mitologia dell’Hip-Hop italiano che attualmente continua a perdurare.
Oggi i tempi sono cambiati. Da allora il collettivo ha preso la strada dell’individualità, come nel caso del Noyz. Un artista che affronta il tempo che passa, con il timore di non avere la stessa forza di quando aveva vent’anni. Il film di Marco Proserpio riesce a gestire con stile quel passato così glorioso e farlo convivere con il presente di un artista ancora tormentato, che esorcizza le sue paure con la musica, “il virus” che abita il suo organismo e che su di lui ha preso il sopravvento. Un ritratto intimo di una realtà musicale ormai presa a modello e fonte d’ispirazione, ma che fino a pochi anni fa viveva nell’eco di una ristretta cerchia di appassionati, quelli che la vissero in prima persona e quelli cresciuti a furia di ascolti in cuffia di Sangue e Non Dormire sulle playlist di Youtube. Ora tutto viene raccolto e messo in (dis)ordine da un ottimo lavoro di montaggio e di scrittura, in grado di conferire al documentario una struttura del tutto cinematografica. Quello che ci viene presentato è una sorta di arco narrativo, un viaggio di un (anti)eroe urbano cantore anarchico del disordine. Un artista che a quasi 40 anni vince il disco d’oro per Enemy, album che dal racconto del produttore Night Skinny viene descritto sofferto e di lunga gestazione. Un’opera in grado di racchiudere quelle due linee temporali raccontate nel film, presente e passato, aggiungendo uno sguardo al futuro, vivo e pulsante.
Il leggendario viaggio sembrava essere terminato lì, con quel disco così evocativo e malinconico, ma anche spavaldo e incazzato. All’epoca aveva fatto storcere il naso a qualche fan più radicale la scelta di inserire featuring con artisti giovani ed emergenti come Capo Plaza, Carl Brave e Franco126, ma la scelta si è invece rivelata azzeccata perché ha permesso di parlare con efficacia a più generazioni. Enemy doveva essere il canto del cigno, ma il richiamo alle armi, come raccontato da questo film, è obbligatorio. Non ci si sottrae a sé stessi. Soprattutto se ti guardi indietro, e ripensi a quei due fratelli con cui quasi vent’anni fa profanasti il campo santo del Verano.