di Mario Vannoni
NC-221
09.07.2024
«Io non dipingo, è la mano di uno spirito che in realtà dipinge» «La mano di uno spirito?» «Sì, perché l’uomo é una parte dello spirito».
Cave of Forgotten Dreams di Werner Herzog
Hellboy (2004) si apre con una citazione in esergo tratta dal De Vermis Mysteriis, grimorio finzionale creato da Robert Bloch successivamente ripreso e incorporato da H. P. Lovecraft in vari racconti del Ciclo di Cthulhu. Un grimorio è un libro di magia che contiene, tra le altre cose, istruzioni pratiche sulla creazione di incantesimi e l’invocazione di esseri sovrannaturali, liste di angeli e demoni, ma anche indicazioni sulla preparazione di medicinali e pozioni.
All’inizio del film Grigorij Rasputin - stregone che ricalca la figura storica del mistico e taumaturgo russo nonché consigliere privato della famiglia Romanov - usa un guanto meccanico nel tentativo di innescare il Ragnarǫk, rituale che consente di aprire un portale verso l’aldilà al fine di risvegliare gli Ogdru Jahad, creature semidivine extraterrestri dalle dimensioni colossali e dall’aspetto ibrido tra un serpente e un crostaceo ispirate ai Grandi Antichi degli scritti di Lovecraft. Il Ragnarǫk, a sua volta, è il correspettivo norreno dell’apocalisse, il grande evento che causerà la fine dei mondi ma anche la loro rinascita.
Le premesse narrative di Hellboy, dunque, gettano le proprie fondamenta nella mitologia, cardine strutturale dell’intera filmografia di Guillermo Del Toro e viatico fondamentale per aprire il racconto alla dimensione fiabesca. Una mitologia sfaccettata ed eclettica, perché frutto della contaminazione tra culture ed epoche apparentemente incompatibili (la mitologia norrena, la tradizione fascista, l’esoterismo, la prestidigitazione, il folklore messicano), ma efficacemente sintetizzata nella magia, che è la vera costante nelle opere del regista. Rasputin, indossando il suo poderoso guanto meccanico, solleva la mano destra e, in un tipico gesto magico, apre il portale che dà avvio al Ragnarǫk.
Se dunque la mitologia è il calderone da cui estrarre la materia narrativa e la magia è il principio ordinatore dei mondi narrati, la mano è il vettore gestuale che dà forza espressiva all’atto magico, l’organo attraverso il quale i personaggi manifestano il proprio potere. Vedremo nei paragrafi che seguono come le mani nel cinema di Del Toro siano il principale strumento per una comunicazione ulteriore: tra le specie, tra le culture e tra i mondi.
Hellboy (interpretato dal sodale del regista Ron Perlman) ha un’enorme mano destra di pietra che ricorda quelle del golem, figura ricorrente nella mitologia ebraica e nel folklore medievale. Rasputin la chiama “la mano destra della morte”, in quanto costituisce l’unico mezzo attraverso il quale è possibile aprire le porte dell’apocalisse. Hellboy, infatti, è un essere alieno, giunto sulla Terra attraverso il portale aperto a inizio film, che viene cresciuto come un umano dal professor Broom, pur conservando la consapevolezza della sua origine extraterrestre.
Ciò fa di lui un profugo, condizione che condivide con Del Toro stesso - costretto a espatriare negli Stati Uniti dopo il rapimento del padre - e con molti protagonisti del suo cinema. Umberto Fulcanelli, l’alchimista che crea il meccanismo capace di dare la vita eterna in Cronos (1993), fugge dall’inquisizione spagnola e si rifugia in Messico; Stan Carlisle (Bradley Cooper) in Nightmare Alley (La fiera delle illusioni, 2021) è un vagabondo senza fissa dimora che scappa da un passato oscuro; Edith Cushing (Mia Wasikowska) abbandona New York per inseguire il suo sogno d’amore nell’Inghilterra di Crimson Peak (2015); l’orfano Carlos di El espinazo del diablo (La spina del diavolo, 2001), la piccola Ofelia di El laberinto del fauno (Il labirinto del fauno, 2006) e la creatura di The Shape of Water (La forma dell’acqua, 2017) sono tutti esempi di personaggi strappati dal proprio ambiente per essere trapiantati coattamente in un altro. E che dire di Pinocchio? Burattino che incontra la Morte ma che, non essendo umano, non può ne essere accolto nell’aldilà ne, per lo stesso motivo, appartenere al regno dei vivi.
Questa è una situazione ricorrente nelle opere di Del Toro: ciò che all’apparenza rappresenta un vantaggio (l’immortalità per Pinocchio, l’enorme potere per Hellboy), applicato a un’individualità refrattaria ad adeguarsi al ruolo che il mondo ha previsto per lei, si tramuta nel presupposto per una condizione di alienazione esistenziale. I personaggi di Del Toro sono profughi interiori. Ciò si traduce in personalità scisse, borderline, soggette a continui dissidi interiori e sempre in bilico in una condizione di non-appartenenza. Rasputin mostrerà a Broom - attraverso la mano, toccandogli la fronte con il pollice - che Hellboy è il diavolo e che in quanto tale contiene dentro di sé, inevitabilmente, il seme della distruzione: sprigionando il suo vero potere può accedere all’aldilà, trasformando la sua mano destra nella chiave che tinge i cieli di rosso.
Quanto potere contenuto in una mano. L’intero destino del mondo giace in un pugno. Secondo certe tradizioni esoteriche il palmo della mano contiene la verità più profonda su noi stessi, concetto cardine per la chiromanzia, una forma di divinazione che pretende di descrivere la personalità di un individuo e di predirne l’avvenire attraverso la lettura, appunto, del palmo della mano. Ad essa è associata la mano filosofale, che attribuisce a ogni dito un potere diverso e disegna al centro del palmo un pesce che rappresenta l’occhio divino.
È come se la mano contenesse tutto quanto, diventando in qualche modo l’organo che condensa l’esistenza: u-mano. Non a caso, secondo Darwin e altri evoluzionisti, l’uomo diventa uomo quando acquisisce l’abilità di codificare gli oggetti in strumenti. Pensiamo a 2001: A Space Odissey (2001: Odissea nello spazio, 1968) di Stanley Kubrick, quando un ominide capisce che un osso può diventare un’arma: tale codificazione avviene necessariamente per mezzo della mano (mano-mettere/mettere mano), che è l’organo che consente l’incorporazione e la realizzazione della tecnologia. In quanto tale, essa è collegata anche alle origini del cinema, con l’operatore che gira la manovella per far scorrere la pellicola all’interno della macchina da presa. La mano coglie l’oggetto, ne spezza l’orizzontalità che lo legava al suolo e lo trasforma in strumento applicandogli la verticalità - sempre nel film di Kubrick l’ominide raccoglie l’osso da terra (orizzontalità) e poi lo mena verticalmente verso la carcassa.
Questa contrapposizione orizzontale-verticale è anche il principio su cui si regge l’esercizio del potere magico. Gli incantesimi, le maledizioni e le invocazioni di forze sovrannaturali spesso sono realizzati tramite il sollevamento della mano, che viene portata all’altezza del petto o sopra la fronte o comunque frapposta tra sé e l’oggetto con/contro cui si sta agendo. In questo senso è la mano stessa a diventare strumento entro cui incanalare un potere smisurato, che tuttavia riesce a racchiudersi in un palmo. Al di là della magia, questo potere è quello del libero arbitrio. Hellboy solleva alto il pugno verso il cielo per scatenare l’apocalisse, ma infine sceglie, sempre per mezzo della mano, di spezzare le sue corna diaboliche per diventare umano, interrompendo il processo di devastazione cui Rasputin lo aveva costretto. Comincia ad essere chiaro a questo punto che per Del Toro le mani sono un veicolo di trasmissione molto forte, al punto che per alcuni dei suoi personaggi diventano il mezzo di comunicazione privilegiato.
È il caso di Abe Sapiens, l’anfibio umanoide amico di Hellboy che vede attraverso le mani: tramite il tatto, o semplicemente rivolgendo la mano verso un oggetto (similmente a quanto accade nella pranoterapia), è in grado di visualizzare il passato e il futuro, ma anche di sentire ciò che i personaggi provano o addirittura di percepire le condizioni in cui versa il loro organismo (come quando toccando la pancia di Liz, compagna di Hellboy, capendo che è incinta). Sostanzialmente possiede abilità psicometriche che gli consentono di comprendere “qualunque cosa [un] oggetto [o una persona] nasconda in sé”, come dice egli stesso rivolgendosi a Manning, il direttore del BPRD.
Le sue mani, inoltre, sono peculiari proprio da un punto di vista biologico. Infatti, i suoi palmi hanno una conformazione che ricalca la suddivisione della mano di cui la chiromanzia si serve per leggere il futuro: il palmo viene suddiviso in aree, che a loro volta sono suddivise in linee - ovvero le pieghe a cui la pelle è sottoposta quando si muovono l'indice e il pollice o quando si chiude il pugno - e monti - che sono i rigonfiamenti carnosi alla base delle dita. In corrispondenza dei monti (o al posto di essi?) Abe ha delle aperture, quasi fossero dei cuscinetti in grado di amplificare il suo tattilismo e in generale le sue possibilità percettive. Inoltre, sul palmo vero e proprio ha come dei fori, a loro volta deputati alla stessa funzione. Tramite questa particolare conformazione le sue mani gli garantiscono la capacità di leggere la realtà circostante.
Se dunque la chiromanzia tramite l’osservazione della mano legge le cose, in un sapiente rovesciamento Abe legge le cose con la mano – recuperando dalla chiromanzia la possibilità di trasmettere tale sapere agli altri: infatti, toccando le persone, quindi di nuovo attraverso le sue mani, può mostrar loro ciò che ha visto. L’elemento di maggior interesse qui è la completa eliminazione dell’organo della vista dall’equazione: Abe non ha bisogno degli occhi per vedere, perché vede letteralmente con le mani; e anzi, così facendo vede più di quanto un occhio sarebbe mai in grado di vedere.
Queste sono le premesse concettuali per una paradossale teoria dello sguardo, che sostituisce alla vista la visione e al guardare il vedere e il sentire. L’Uomo Pallido in El laberinto del fauno è un essere cieco che per vedere deve inserire i propri bulbi oculari al centro del palmo, dove, come dicevamo prima, si trova l’occhio divino della mano filosofale. Toccare e vedere diventano concetti sovrapponibili e connessi: l’Uomo Pallido si “attiva” e recupera la vista quando Ofelia tocca il cibo elegantemente disposto sulla tavola imbandita. Le mani prendono il posto degli occhi e si passa da una dimensione oculocentrica a un’esperienza tattile e corporea che rigioca l’organizzazione del sensorio.
Le abilità da prestigiatore del protagonista di Nightmare Alley costringono l’occhio a vedere solo quello che le mani vogliono che veda; per converso il prestigiatore “vede” con le mani, ad occhi chiusi, sfruttando le altre possibilità del suo corpo e usufruendo dell’aiuto della compagna Molly, in un’inversione totale della gerarchia dei sensi. E non è un caso che l’illusione definitiva del film, quella per cui Grindle è portato a riconoscere proprio in Molly il fantasma della defunta Dory, passi per l’esibizione dei polsi tagliati e delle mani insanguinate. In questo senso Nightmare Alley è una mise en abyme dell’inganno che ribadisce che ciò che l’occhio vede è una rielaborazione sensoriale di stimoli esterni condizionata dall’intera percezione corporea e non solo dalla vista. L’occhio perde la sua centralità come principio ordinatore del mondo per far spazio a una percezione estesa e diffusa che chiama in causa più sensi.
E non è un caso allora che, sempre il personaggio di Abe, sia dotato di un’intelligenza fuori dal comune, quasi a dirci che una percezione acuta e sofisticata del reale sia il risultato di una complessità interiore che impone una riconfigurazione del sensibile che ne sovverta i principi. Gli organi perdono la funzione standardizzata che li associa ai cinque sensi, assecondando le ricerche neuroscientifiche attuali nell’affermare che gli esseri umani fanno esperienza del mondo con tutto il corpo.
Il corpo come un sistema di vasi comunicanti, come una struttura aperta che dà e riceve, produce e rielabora. La creatura di The Shape of Water - dichiaratamente ispirata a quella di Creature from the Black Lagoon (Il mostro della laguna nera, 1954) di Jack Arnold - è dotata di straordinarie abilità curative che esercita tramite il contatto delle sue mani, in un atto di trasferimento delle energie vitali da un corpo a un altro. Allo stesso modo, Elisa, la protagonista - che adopera le mani per parlare, in quanto muta - attribuisce dignità alla creatura con il semplice gesto di appoggiargli una mano sul petto, come a riconoscerlo nella sua individualità, creando un contatto che genera una connessione emotiva che travalica i confini umano-alieno.
La Principessa Nuala in Hellboy: The Golden Army (2008) ha delle capacità simili a quelle di Abe, in quanto è a sua volta in grado di accedere, tramite il tatto, a informazioni altrimenti non disponibili. Questo garantisce che tra i due si instauri un tipo di rapporto essenzialmente privo di parole e interamente deputato al contatto - emotivo, empatico, telepatico, tattile. Il modo in cui la Principessa e Abe si presentano infrange i codici sociali costituiti: anziché stringersi la mano fanno come i bambini, che misurano la loro a confronto con quella della mamma. Ma la sequenza più significativa è quella della morte di Nuala. Abe le tocca la mano per l’ultima volta e lei, toccata la sua, afferma “è bella”. Una straordinaria metonimia con la quale i due si comunicano l’amore reciproco.
La mano può anche essere strumento di offesa, come in El espinazo del diablo e Blade II (2002), oppure di creazione, come in Cronos; al limite può essere un’enorme protesi meccanica che riverbera i movimenti dei soldati (Pacific Rim, 2013), o ancora può essere una mano che dà la vita – quella di Geppetto – o che ordina la morte – quella di Mussolini. A volte la mano è un involontario veicolo di distruzione, un organo normalmente utilizzato per toccare, accarezzare e costruire legami che si trasforma in arma. È il caso di Liz in Hellboy, che in quanto piromante ha la capacità di controllare il fuoco proprio attraverso le mani, che così diventano il simbolo che meglio esprime la sua diversità. Siamo abituati a considerare la mano come un mezzo che avvicina (l’atto di afferrare), mentre nel caso di Liz, al contrario, allontana.
Ciò inquadra un sistema corporeo che, attraverso le mani, rimarca la sua condizione di freak, ma che, allo stesso tempo, sottolinea un’emotività complessa e caotica alla base della quale si trova una profonda sensibilità. Ed è sempre la mano, ancora nel caso di Abe, che, oltre a veicolare i sentimenti e le emozioni, è deputata alla manifestazione dell’espressività. Il suo volto, parte del corpo in cui solitamente vengono condensate le espressioni, è infatti quasi del tutto inespressivo, il che è dovuto, in parte, alla pressoché totale assenza di pupille nei suoi occhi. Perciò, quando Abe deve comunicare ansia, disagio, imbarazzo o trepidazione, lo fa attraverso le mani, muovendole in articolati ma sinuosi gesti che fanno affiorare tutta la sua profonda sensibilità e intelligenza.
Del Toro attribuisce alle mani e alla tattilità un ruolo centrale, assegnando ad esse il compito di comunicare il portato interiore dei personaggi attraverso il veicolo della magia, la cui forma più rara è la possibilità di comprendere i sentimenti degli altri. Non lo fa staccando la mano dal resto del corpo, ma dissimulando le sue formulazioni teoriche all’interno di un immaginario fantastico che cerca l’uomo nella Storia e l’umano nel sovrannaturale. La mano costruisce ponti invisibili tra l’interno e l’esterno, ma anche tra il nostro mondo e quello degli spiriti. I fantasmi di Crimson Peak e quelli di El espinazo del diablo hanno una natura particolare, perché se solitamente gli spettri sono corpi immateriali che si vedono ma non si toccano, al contrario in Del Toro la vista è ingannevole e i fantasmi diventano corpi a tutti gli effetti. Ed è quando gli esseri umani vi appoggiano la propria mano che lo spirito intrappolato viene finalmente liberato, annullando le distanze tra vita e morte.
di Mario Vannoni
NC-221
09.07.2024
«Io non dipingo, è la mano di uno spirito che in realtà dipinge» «La mano di uno spirito?» «Sì, perché l’uomo é una parte dello spirito».
Cave of Forgotten Dreams di Werner Herzog
Hellboy (2004) si apre con una citazione in esergo tratta dal De Vermis Mysteriis, grimorio finzionale creato da Robert Bloch successivamente ripreso e incorporato da H. P. Lovecraft in vari racconti del Ciclo di Cthulhu. Un grimorio è un libro di magia che contiene, tra le altre cose, istruzioni pratiche sulla creazione di incantesimi e l’invocazione di esseri sovrannaturali, liste di angeli e demoni, ma anche indicazioni sulla preparazione di medicinali e pozioni.
All’inizio del film Grigorij Rasputin - stregone che ricalca la figura storica del mistico e taumaturgo russo nonché consigliere privato della famiglia Romanov - usa un guanto meccanico nel tentativo di innescare il Ragnarǫk, rituale che consente di aprire un portale verso l’aldilà al fine di risvegliare gli Ogdru Jahad, creature semidivine extraterrestri dalle dimensioni colossali e dall’aspetto ibrido tra un serpente e un crostaceo ispirate ai Grandi Antichi degli scritti di Lovecraft. Il Ragnarǫk, a sua volta, è il correspettivo norreno dell’apocalisse, il grande evento che causerà la fine dei mondi ma anche la loro rinascita.
Le premesse narrative di Hellboy, dunque, gettano le proprie fondamenta nella mitologia, cardine strutturale dell’intera filmografia di Guillermo Del Toro e viatico fondamentale per aprire il racconto alla dimensione fiabesca. Una mitologia sfaccettata ed eclettica, perché frutto della contaminazione tra culture ed epoche apparentemente incompatibili (la mitologia norrena, la tradizione fascista, l’esoterismo, la prestidigitazione, il folklore messicano), ma efficacemente sintetizzata nella magia, che è la vera costante nelle opere del regista. Rasputin, indossando il suo poderoso guanto meccanico, solleva la mano destra e, in un tipico gesto magico, apre il portale che dà avvio al Ragnarǫk.
Se dunque la mitologia è il calderone da cui estrarre la materia narrativa e la magia è il principio ordinatore dei mondi narrati, la mano è il vettore gestuale che dà forza espressiva all’atto magico, l’organo attraverso il quale i personaggi manifestano il proprio potere. Vedremo nei paragrafi che seguono come le mani nel cinema di Del Toro siano il principale strumento per una comunicazione ulteriore: tra le specie, tra le culture e tra i mondi.
Hellboy (interpretato dal sodale del regista Ron Perlman) ha un’enorme mano destra di pietra che ricorda quelle del golem, figura ricorrente nella mitologia ebraica e nel folklore medievale. Rasputin la chiama “la mano destra della morte”, in quanto costituisce l’unico mezzo attraverso il quale è possibile aprire le porte dell’apocalisse. Hellboy, infatti, è un essere alieno, giunto sulla Terra attraverso il portale aperto a inizio film, che viene cresciuto come un umano dal professor Broom, pur conservando la consapevolezza della sua origine extraterrestre.
Ciò fa di lui un profugo, condizione che condivide con Del Toro stesso - costretto a espatriare negli Stati Uniti dopo il rapimento del padre - e con molti protagonisti del suo cinema. Umberto Fulcanelli, l’alchimista che crea il meccanismo capace di dare la vita eterna in Cronos (1993), fugge dall’inquisizione spagnola e si rifugia in Messico; Stan Carlisle (Bradley Cooper) in Nightmare Alley (La fiera delle illusioni, 2021) è un vagabondo senza fissa dimora che scappa da un passato oscuro; Edith Cushing (Mia Wasikowska) abbandona New York per inseguire il suo sogno d’amore nell’Inghilterra di Crimson Peak (2015); l’orfano Carlos di El espinazo del diablo (La spina del diavolo, 2001), la piccola Ofelia di El laberinto del fauno (Il labirinto del fauno, 2006) e la creatura di The Shape of Water (La forma dell’acqua, 2017) sono tutti esempi di personaggi strappati dal proprio ambiente per essere trapiantati coattamente in un altro. E che dire di Pinocchio? Burattino che incontra la Morte ma che, non essendo umano, non può ne essere accolto nell’aldilà ne, per lo stesso motivo, appartenere al regno dei vivi.
Questa è una situazione ricorrente nelle opere di Del Toro: ciò che all’apparenza rappresenta un vantaggio (l’immortalità per Pinocchio, l’enorme potere per Hellboy), applicato a un’individualità refrattaria ad adeguarsi al ruolo che il mondo ha previsto per lei, si tramuta nel presupposto per una condizione di alienazione esistenziale. I personaggi di Del Toro sono profughi interiori. Ciò si traduce in personalità scisse, borderline, soggette a continui dissidi interiori e sempre in bilico in una condizione di non-appartenenza. Rasputin mostrerà a Broom - attraverso la mano, toccandogli la fronte con il pollice - che Hellboy è il diavolo e che in quanto tale contiene dentro di sé, inevitabilmente, il seme della distruzione: sprigionando il suo vero potere può accedere all’aldilà, trasformando la sua mano destra nella chiave che tinge i cieli di rosso.
Quanto potere contenuto in una mano. L’intero destino del mondo giace in un pugno. Secondo certe tradizioni esoteriche il palmo della mano contiene la verità più profonda su noi stessi, concetto cardine per la chiromanzia, una forma di divinazione che pretende di descrivere la personalità di un individuo e di predirne l’avvenire attraverso la lettura, appunto, del palmo della mano. Ad essa è associata la mano filosofale, che attribuisce a ogni dito un potere diverso e disegna al centro del palmo un pesce che rappresenta l’occhio divino.
È come se la mano contenesse tutto quanto, diventando in qualche modo l’organo che condensa l’esistenza: u-mano. Non a caso, secondo Darwin e altri evoluzionisti, l’uomo diventa uomo quando acquisisce l’abilità di codificare gli oggetti in strumenti. Pensiamo a 2001: A Space Odissey (2001: Odissea nello spazio, 1968) di Stanley Kubrick, quando un ominide capisce che un osso può diventare un’arma: tale codificazione avviene necessariamente per mezzo della mano (mano-mettere/mettere mano), che è l’organo che consente l’incorporazione e la realizzazione della tecnologia. In quanto tale, essa è collegata anche alle origini del cinema, con l’operatore che gira la manovella per far scorrere la pellicola all’interno della macchina da presa. La mano coglie l’oggetto, ne spezza l’orizzontalità che lo legava al suolo e lo trasforma in strumento applicandogli la verticalità - sempre nel film di Kubrick l’ominide raccoglie l’osso da terra (orizzontalità) e poi lo mena verticalmente verso la carcassa.
Questa contrapposizione orizzontale-verticale è anche il principio su cui si regge l’esercizio del potere magico. Gli incantesimi, le maledizioni e le invocazioni di forze sovrannaturali spesso sono realizzati tramite il sollevamento della mano, che viene portata all’altezza del petto o sopra la fronte o comunque frapposta tra sé e l’oggetto con/contro cui si sta agendo. In questo senso è la mano stessa a diventare strumento entro cui incanalare un potere smisurato, che tuttavia riesce a racchiudersi in un palmo. Al di là della magia, questo potere è quello del libero arbitrio. Hellboy solleva alto il pugno verso il cielo per scatenare l’apocalisse, ma infine sceglie, sempre per mezzo della mano, di spezzare le sue corna diaboliche per diventare umano, interrompendo il processo di devastazione cui Rasputin lo aveva costretto. Comincia ad essere chiaro a questo punto che per Del Toro le mani sono un veicolo di trasmissione molto forte, al punto che per alcuni dei suoi personaggi diventano il mezzo di comunicazione privilegiato.
È il caso di Abe Sapiens, l’anfibio umanoide amico di Hellboy che vede attraverso le mani: tramite il tatto, o semplicemente rivolgendo la mano verso un oggetto (similmente a quanto accade nella pranoterapia), è in grado di visualizzare il passato e il futuro, ma anche di sentire ciò che i personaggi provano o addirittura di percepire le condizioni in cui versa il loro organismo (come quando toccando la pancia di Liz, compagna di Hellboy, capendo che è incinta). Sostanzialmente possiede abilità psicometriche che gli consentono di comprendere “qualunque cosa [un] oggetto [o una persona] nasconda in sé”, come dice egli stesso rivolgendosi a Manning, il direttore del BPRD.
Le sue mani, inoltre, sono peculiari proprio da un punto di vista biologico. Infatti, i suoi palmi hanno una conformazione che ricalca la suddivisione della mano di cui la chiromanzia si serve per leggere il futuro: il palmo viene suddiviso in aree, che a loro volta sono suddivise in linee - ovvero le pieghe a cui la pelle è sottoposta quando si muovono l'indice e il pollice o quando si chiude il pugno - e monti - che sono i rigonfiamenti carnosi alla base delle dita. In corrispondenza dei monti (o al posto di essi?) Abe ha delle aperture, quasi fossero dei cuscinetti in grado di amplificare il suo tattilismo e in generale le sue possibilità percettive. Inoltre, sul palmo vero e proprio ha come dei fori, a loro volta deputati alla stessa funzione. Tramite questa particolare conformazione le sue mani gli garantiscono la capacità di leggere la realtà circostante.
Se dunque la chiromanzia tramite l’osservazione della mano legge le cose, in un sapiente rovesciamento Abe legge le cose con la mano – recuperando dalla chiromanzia la possibilità di trasmettere tale sapere agli altri: infatti, toccando le persone, quindi di nuovo attraverso le sue mani, può mostrar loro ciò che ha visto. L’elemento di maggior interesse qui è la completa eliminazione dell’organo della vista dall’equazione: Abe non ha bisogno degli occhi per vedere, perché vede letteralmente con le mani; e anzi, così facendo vede più di quanto un occhio sarebbe mai in grado di vedere.
Queste sono le premesse concettuali per una paradossale teoria dello sguardo, che sostituisce alla vista la visione e al guardare il vedere e il sentire. L’Uomo Pallido in El laberinto del fauno è un essere cieco che per vedere deve inserire i propri bulbi oculari al centro del palmo, dove, come dicevamo prima, si trova l’occhio divino della mano filosofale. Toccare e vedere diventano concetti sovrapponibili e connessi: l’Uomo Pallido si “attiva” e recupera la vista quando Ofelia tocca il cibo elegantemente disposto sulla tavola imbandita. Le mani prendono il posto degli occhi e si passa da una dimensione oculocentrica a un’esperienza tattile e corporea che rigioca l’organizzazione del sensorio.
Le abilità da prestigiatore del protagonista di Nightmare Alley costringono l’occhio a vedere solo quello che le mani vogliono che veda; per converso il prestigiatore “vede” con le mani, ad occhi chiusi, sfruttando le altre possibilità del suo corpo e usufruendo dell’aiuto della compagna Molly, in un’inversione totale della gerarchia dei sensi. E non è un caso che l’illusione definitiva del film, quella per cui Grindle è portato a riconoscere proprio in Molly il fantasma della defunta Dory, passi per l’esibizione dei polsi tagliati e delle mani insanguinate. In questo senso Nightmare Alley è una mise en abyme dell’inganno che ribadisce che ciò che l’occhio vede è una rielaborazione sensoriale di stimoli esterni condizionata dall’intera percezione corporea e non solo dalla vista. L’occhio perde la sua centralità come principio ordinatore del mondo per far spazio a una percezione estesa e diffusa che chiama in causa più sensi.
E non è un caso allora che, sempre il personaggio di Abe, sia dotato di un’intelligenza fuori dal comune, quasi a dirci che una percezione acuta e sofisticata del reale sia il risultato di una complessità interiore che impone una riconfigurazione del sensibile che ne sovverta i principi. Gli organi perdono la funzione standardizzata che li associa ai cinque sensi, assecondando le ricerche neuroscientifiche attuali nell’affermare che gli esseri umani fanno esperienza del mondo con tutto il corpo.
Il corpo come un sistema di vasi comunicanti, come una struttura aperta che dà e riceve, produce e rielabora. La creatura di The Shape of Water - dichiaratamente ispirata a quella di Creature from the Black Lagoon (Il mostro della laguna nera, 1954) di Jack Arnold - è dotata di straordinarie abilità curative che esercita tramite il contatto delle sue mani, in un atto di trasferimento delle energie vitali da un corpo a un altro. Allo stesso modo, Elisa, la protagonista - che adopera le mani per parlare, in quanto muta - attribuisce dignità alla creatura con il semplice gesto di appoggiargli una mano sul petto, come a riconoscerlo nella sua individualità, creando un contatto che genera una connessione emotiva che travalica i confini umano-alieno.
La Principessa Nuala in Hellboy: The Golden Army (2008) ha delle capacità simili a quelle di Abe, in quanto è a sua volta in grado di accedere, tramite il tatto, a informazioni altrimenti non disponibili. Questo garantisce che tra i due si instauri un tipo di rapporto essenzialmente privo di parole e interamente deputato al contatto - emotivo, empatico, telepatico, tattile. Il modo in cui la Principessa e Abe si presentano infrange i codici sociali costituiti: anziché stringersi la mano fanno come i bambini, che misurano la loro a confronto con quella della mamma. Ma la sequenza più significativa è quella della morte di Nuala. Abe le tocca la mano per l’ultima volta e lei, toccata la sua, afferma “è bella”. Una straordinaria metonimia con la quale i due si comunicano l’amore reciproco.
La mano può anche essere strumento di offesa, come in El espinazo del diablo e Blade II (2002), oppure di creazione, come in Cronos; al limite può essere un’enorme protesi meccanica che riverbera i movimenti dei soldati (Pacific Rim, 2013), o ancora può essere una mano che dà la vita – quella di Geppetto – o che ordina la morte – quella di Mussolini. A volte la mano è un involontario veicolo di distruzione, un organo normalmente utilizzato per toccare, accarezzare e costruire legami che si trasforma in arma. È il caso di Liz in Hellboy, che in quanto piromante ha la capacità di controllare il fuoco proprio attraverso le mani, che così diventano il simbolo che meglio esprime la sua diversità. Siamo abituati a considerare la mano come un mezzo che avvicina (l’atto di afferrare), mentre nel caso di Liz, al contrario, allontana.
Ciò inquadra un sistema corporeo che, attraverso le mani, rimarca la sua condizione di freak, ma che, allo stesso tempo, sottolinea un’emotività complessa e caotica alla base della quale si trova una profonda sensibilità. Ed è sempre la mano, ancora nel caso di Abe, che, oltre a veicolare i sentimenti e le emozioni, è deputata alla manifestazione dell’espressività. Il suo volto, parte del corpo in cui solitamente vengono condensate le espressioni, è infatti quasi del tutto inespressivo, il che è dovuto, in parte, alla pressoché totale assenza di pupille nei suoi occhi. Perciò, quando Abe deve comunicare ansia, disagio, imbarazzo o trepidazione, lo fa attraverso le mani, muovendole in articolati ma sinuosi gesti che fanno affiorare tutta la sua profonda sensibilità e intelligenza.
Del Toro attribuisce alle mani e alla tattilità un ruolo centrale, assegnando ad esse il compito di comunicare il portato interiore dei personaggi attraverso il veicolo della magia, la cui forma più rara è la possibilità di comprendere i sentimenti degli altri. Non lo fa staccando la mano dal resto del corpo, ma dissimulando le sue formulazioni teoriche all’interno di un immaginario fantastico che cerca l’uomo nella Storia e l’umano nel sovrannaturale. La mano costruisce ponti invisibili tra l’interno e l’esterno, ma anche tra il nostro mondo e quello degli spiriti. I fantasmi di Crimson Peak e quelli di El espinazo del diablo hanno una natura particolare, perché se solitamente gli spettri sono corpi immateriali che si vedono ma non si toccano, al contrario in Del Toro la vista è ingannevole e i fantasmi diventano corpi a tutti gli effetti. Ed è quando gli esseri umani vi appoggiano la propria mano che lo spirito intrappolato viene finalmente liberato, annullando le distanze tra vita e morte.