NC-202
05.05.2024
I David di Donatello sono un momento che il pubblico italiano, non solo quello cinefilo, aspetta con grande tripudio ogni anno. Nel periodo post-Oscar, per tradizione, si svolge la manifestazione cinematografica più importante d’Italia, laddove si tirano le somme di una stagione intera e, soprattutto, si apre la competizione per il mondo dello spettacolo e del cinema tutto. Come sempre, l’Accademia del Cinema italiano decide di celebrare la propria tradizione, anche in memoria dei tempi passati. Nonostante vi siano comunque mosche bianche, la situazione della prospettiva cinematografica nazionale è in una fase calante complessiva.
Malgrado, però, le attese e i pronostici effettuati nel corso del periodo antecedente ai premi, non certo molto positive e sintomo di uno share sempre più alle corde, la nuova edizione dei David si prospettava molto interessante. L’edizione, d’altronde, ha riservato comunque un po’ di sorprese, ma la sensazione alla fine del “viaggio” non resta comunque positiva. Infatti, si può dire che sia mancato tutto ciò che, dall’altra parte dell’Oceano, sanno costruire molto bene: lo spettacolo.
La scelta di far condurre una serata così importante a Carlo Conti e Alessia Marcuzzi non è stata da premiare. Molti i momenti d’imbarazzo all’interno della serata (tra cui uno, davvero al limite del ridicolo, che ha coinvolto suo malgrado il costumista di Rapito (2023), Sergio Ballo, che ha denunciato le modalità di premiazione nei confronti delle categorie meno gettonate, a suo dire poco eleganti e molto sciatte), che hanno purtroppo gettato un’ombra molto pesante sulla manifestazione in sé, come a dimostrare che, in Italia, non si è ancora preparati per riconoscimenti del genere.
Una preparazione che si traduce nella morte dello spettacolo e che, purtroppo, si è ripercossa anche sui premi. Seguendo tutto quanto è stato dettato dagli incassi di questa stagione cinematografica, infatti, (quasi) tutto è andato secondo i piani. C’è Ancora Domani (2023), opera prima di Paola Cortellesi, che ha dedicato anima e corpo al suo film, era la grande favorita, ma a sorpresa non è stata colei che ha fatto da mattatrice della serata. Forte, infatti, del Leone d’Argento all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Matteo Garrone e il suo Io Capitano (2023) hanno sbaragliato la concorrenza. L’opera si è accaparrata la statuetta più ambita, quella di miglior film, insieme a quella per la regia, fotografia, montaggio, effetti speciali, sonoro e produzione.
Un trionfo che ha visto premi tutto sommato scontati, ma giusti per quello che rappresenta l’establishment italiano. Il dominio dei due film è stato abbastanza netto, portando la Cortellesi e Garrone a vincere statuette che, molto probabilmente, non sono così del tutto meritate. La miglior sceneggiatura originale, in particolare, ha dimostrato come in Italia un autore riconosciuto internazionalmente come Nanni Moretti, alle prese con il suo film più personale e forse ispirato degli ultimi anni, sia stato sopraffatto dal potere del commercio e di ciò che l’opinione pubblica ha apprezzato a pieno titolo.
Di contro, però, un altro grande maestro come Marco Bellocchio si è dimostrato una certezza, in grado di fare incetta di David tecnici, con un film storico che ha avuto grande approvazione e che ha confermato, una volta di più, come lo stesso sia non solo uno dei migliori registi italiani degli ultimi cinquant’anni di storia del cinema italiano, ma sia anche uno dei pochi italiani a poter competere con le grandi produzioni internazionali che, ogni anno, cavalcano i festival più ambiti, da Cannes a Venezia passando per Berlino. Una persona d’intelligenza rara, come dimostra anche il discorso di premiazione, che non ha mancato di rapportarsi con vena polemica all’attualità e al conflitto tra Israele e Palestina.
Rapito ha dunque egemonizzato i premi tecnici, lasciando tra le mani di Garrone e di Io, Capitano (2023) solo la miglior fotografia, il miglior montaggio e il miglior sonoro, non del tutto meritati. A dimostrazione del traino positivo sfruttato da Garrone vi è anche il premio per la miglior regia, laddove probabilmente altri - in primis Bellocchio, ma anche la stessa Rohrwacher con il suo La Chimera (2023) o Andrea Di Stefano con lo splendido noir L’Ultima Notte Di Amore (2023) - avrebbero meritato in sua vece.
Se non altro, i premi attoriali sono stati tutti meritati. In particolare, desta molta sorpresa il premio a Elio Germano per la sua interpretazione in Palazzina Laf (2023) di Michele Riondino, film che probabilmente si può caratterizzare come la vera e propria sorpresa della serata. Il film di Michele Riondino ha portato a casa tre premi (miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista e miglior canzone originale) su cinque candidature, uscendo sconfitto solamente dall’uragano Cortellesi per il miglior regista esordiente e per la miglior sceneggiatura originale.
A tal proposito, desta particolare preoccupazione la situazione riguardante gli esordienti. Di esordienti veri e propri, infatti, non si può parlare. Tra i cinque candidati erano presenti quattro attori ben consolidati all’interno dell’establishment italiano, con un unico candidato - Abbruzzese, con il suo interessante Disco Boy (2023) - che era al suo primo lungometraggio effettivo non essendo un attore. Una brutta pagina per i David di Donatello, che dimostrano una volta di più di non essere tanto avvezzi al cambiamento e al “nuovo”, ma che preferiscono puntare sul riciclo di vecchie figure già presenti all’interno del sistema e far finta di proporre qualcosa di nuovo.
Una grave mancanza, a cui la manifestazione, si auspica, dovrebbe porre rimedio già a partire dalla prossima edizione.
NC-202
05.05.2024
I David di Donatello sono un momento che il pubblico italiano, non solo quello cinefilo, aspetta con grande tripudio ogni anno. Nel periodo post-Oscar, per tradizione, si svolge la manifestazione cinematografica più importante d’Italia, laddove si tirano le somme di una stagione intera e, soprattutto, si apre la competizione per il mondo dello spettacolo e del cinema tutto. Come sempre, l’Accademia del Cinema italiano decide di celebrare la propria tradizione, anche in memoria dei tempi passati. Nonostante vi siano comunque mosche bianche, la situazione della prospettiva cinematografica nazionale è in una fase calante complessiva.
Malgrado, però, le attese e i pronostici effettuati nel corso del periodo antecedente ai premi, non certo molto positive e sintomo di uno share sempre più alle corde, la nuova edizione dei David si prospettava molto interessante. L’edizione, d’altronde, ha riservato comunque un po’ di sorprese, ma la sensazione alla fine del “viaggio” non resta comunque positiva. Infatti, si può dire che sia mancato tutto ciò che, dall’altra parte dell’Oceano, sanno costruire molto bene: lo spettacolo.
La scelta di far condurre una serata così importante a Carlo Conti e Alessia Marcuzzi non è stata da premiare. Molti i momenti d’imbarazzo all’interno della serata (tra cui uno, davvero al limite del ridicolo, che ha coinvolto suo malgrado il costumista di Rapito (2023), Sergio Ballo, che ha denunciato le modalità di premiazione nei confronti delle categorie meno gettonate, a suo dire poco eleganti e molto sciatte), che hanno purtroppo gettato un’ombra molto pesante sulla manifestazione in sé, come a dimostrare che, in Italia, non si è ancora preparati per riconoscimenti del genere.
Una preparazione che si traduce nella morte dello spettacolo e che, purtroppo, si è ripercossa anche sui premi. Seguendo tutto quanto è stato dettato dagli incassi di questa stagione cinematografica, infatti, (quasi) tutto è andato secondo i piani. C’è Ancora Domani (2023), opera prima di Paola Cortellesi, che ha dedicato anima e corpo al suo film, era la grande favorita, ma a sorpresa non è stata colei che ha fatto da mattatrice della serata. Forte, infatti, del Leone d’Argento all’ultima Mostra del Cinema di Venezia, Matteo Garrone e il suo Io Capitano (2023) hanno sbaragliato la concorrenza. L’opera si è accaparrata la statuetta più ambita, quella di miglior film, insieme a quella per la regia, fotografia, montaggio, effetti speciali, sonoro e produzione.
Un trionfo che ha visto premi tutto sommato scontati, ma giusti per quello che rappresenta l’establishment italiano. Il dominio dei due film è stato abbastanza netto, portando la Cortellesi e Garrone a vincere statuette che, molto probabilmente, non sono così del tutto meritate. La miglior sceneggiatura originale, in particolare, ha dimostrato come in Italia un autore riconosciuto internazionalmente come Nanni Moretti, alle prese con il suo film più personale e forse ispirato degli ultimi anni, sia stato sopraffatto dal potere del commercio e di ciò che l’opinione pubblica ha apprezzato a pieno titolo.
Di contro, però, un altro grande maestro come Marco Bellocchio si è dimostrato una certezza, in grado di fare incetta di David tecnici, con un film storico che ha avuto grande approvazione e che ha confermato, una volta di più, come lo stesso sia non solo uno dei migliori registi italiani degli ultimi cinquant’anni di storia del cinema italiano, ma sia anche uno dei pochi italiani a poter competere con le grandi produzioni internazionali che, ogni anno, cavalcano i festival più ambiti, da Cannes a Venezia passando per Berlino. Una persona d’intelligenza rara, come dimostra anche il discorso di premiazione, che non ha mancato di rapportarsi con vena polemica all’attualità e al conflitto tra Israele e Palestina.
Rapito ha dunque egemonizzato i premi tecnici, lasciando tra le mani di Garrone e di Io, Capitano (2023) solo la miglior fotografia, il miglior montaggio e il miglior sonoro, non del tutto meritati. A dimostrazione del traino positivo sfruttato da Garrone vi è anche il premio per la miglior regia, laddove probabilmente altri - in primis Bellocchio, ma anche la stessa Rohrwacher con il suo La Chimera (2023) o Andrea Di Stefano con lo splendido noir L’Ultima Notte Di Amore (2023) - avrebbero meritato in sua vece.
Se non altro, i premi attoriali sono stati tutti meritati. In particolare, desta molta sorpresa il premio a Elio Germano per la sua interpretazione in Palazzina Laf (2023) di Michele Riondino, film che probabilmente si può caratterizzare come la vera e propria sorpresa della serata. Il film di Michele Riondino ha portato a casa tre premi (miglior attore protagonista, miglior attore non protagonista e miglior canzone originale) su cinque candidature, uscendo sconfitto solamente dall’uragano Cortellesi per il miglior regista esordiente e per la miglior sceneggiatura originale.
A tal proposito, desta particolare preoccupazione la situazione riguardante gli esordienti. Di esordienti veri e propri, infatti, non si può parlare. Tra i cinque candidati erano presenti quattro attori ben consolidati all’interno dell’establishment italiano, con un unico candidato - Abbruzzese, con il suo interessante Disco Boy (2023) - che era al suo primo lungometraggio effettivo non essendo un attore. Una brutta pagina per i David di Donatello, che dimostrano una volta di più di non essere tanto avvezzi al cambiamento e al “nuovo”, ma che preferiscono puntare sul riciclo di vecchie figure già presenti all’interno del sistema e far finta di proporre qualcosa di nuovo.
Una grave mancanza, a cui la manifestazione, si auspica, dovrebbe porre rimedio già a partire dalla prossima edizione.