NC-220
05.07.2024
Sin dal 1996, quando la loro opera terza La Promesse attrasse le attenzioni della critica a Cannes, i fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, classi rispettivamente 1951 e 1954, sono rimasti due dei nomi di punta del cinema d'autore europeo. In modo particolare i due registi sono stati da subito riconosciuti come i continuatori e i propagatori di una certa corrente di realismo, in una forma di fiction che filtra il linguaggio del documentario, e che nell'utilizzo della camera a mano, nell'impiego di attori non professionisti o debuttanti e nella lunga durata continua delle inquadrature trova tre dei suoi elementi più ricorrenti.
Film dei fratelli Dardenne come Rosetta, Palma d'Oro a Cannes nel 1999, L'Enfant, Palma d'Oro a Cannes nel 2005, Il ragazzo con la bicicletta e Due giorni, una notte hanno traghettato dal ventesimo secolo al terzo millennio questa forma di cinema, perseguendo un discorso filmico ininterrotto che, al netto di qualche parziale caduta, fino all'ultimo Tori e Lokita del 2022, ha continuato ad attrarre spettatori, oltre che critici, di diverse regioni del mondo, andando ben al di là dei confini del Belgio e della stessa francofonia.
Meno nota, e solo in parte intuibile dalla loro opera filmica, è l'attività editoriale del minore dei due fratelli: Luc Dardenne. Già un paio d'anni fa erano apparsi in Italia, per il Saggiatore, i suoi diari, intitolati Attraverso le immagini, ricchi di riflessioni filosofiche e di riferimenti culturali non meno che di ricordi e annotazioni a bordo set. È invece uscito adesso, per Meltemi Editore, L'affare umano. Al di là della paura di morire, originariamente pubblicato nel 2012 come Sur l'affaire humaine dalle prestigiose Éditions du Seuil.
Se con la sua componente diaristica Attraverso le immagini riusciva a mantenersi in equilibrio tra l'attività cinematografica e gli interessi speculativi di Luc Dardenne, L'affare umano rappresenta un tentativo di riflessione filosofica tout court, rispetto al quale il cinema resta completamente ai margini. Con riflessioni condensate in paragrafi, numerati anche con un incedere wittgenstainiano, Luc Dardenne rispolvera alcuni snodi del pensiero e dell’esperienza, prima ancora che delle filosofie, di matrice esistenzialista, ricollegandosi a una genealogia concettuale che, inaugurata da Kierkegaard, spiritata da Kafka e a suo modo innalzata da Heidegger, nel filosofo franco-lituano Emmanuel Lévinas aveva trovato l’interprete più vicino alla sensibilità dei Dardenne.
Non per nulla una delle pagine più affascinanti de Attraverso le immagini era il momento in cui Luc Dardenne, sul set de La Promesse, apprendeva della morte di Lévinas e decideva di dedicargli - idealmente e silenziosamente - il film. Oltre all’impianto lévinasiano di molte delle riflessioni, è significativamente più volte citata o allusa una delle più radicali pagine dei diari di Kafka: “è possibile pensare una cosa sconsolata? O meglio, una cosa così sconsolata che non abbia nemmeno un alito di conforto?”
“Come accettare la morte di Dio che ci consegna alla nostra morte senza Dio? Come accettarla senza abbandonarsi a sostitutive e funeste consolazioni? Come?”. “Non potrei accettare questa solitudine da mortali facendo semplicemente appello all’altro, al mio simile? Non vi è forse una gioia umana, così umana, nello stare insieme, nell’incontrarsi, nel condividere, nell’essere in relazione, nel conversare?”. “Convivere significa essere in grado di relativizzare senza negare. Convivere, ecco il percorso dell’uomo, la sola via d’uscita possibile dopo la morte di Dio e degli idoli che ne facevano le veci”. Se L’affare umano forse non rappresenta un fulgido esempio di originalità nei temi e nelle riflessioni, mantiene nondimeno la potenza di un’esperienza personale radicalmente sentita.
Il suo maggiore punto di forza è quello di essere un libro completamente slegato da riflessioni o anche solo da riferimenti diretti al cinema dei due fratelli Dardenne: ma se il libro non dà risposte sui film è proprio perché è mosso dagli stessi interrogativi del loro cinema, qui elencati esplicitamente, lì tradotti in situazioni, immagini, suoni, inquadrature. È così che ci troviamo in un territorio improvvisamente deleuziano, in cui l’immagine è autosufficiente, il pensiero è autonomo, eppure si nutrono a vicenda.
NC-220
05.07.2024
Sin dal 1996, quando la loro opera terza La Promesse attrasse le attenzioni della critica a Cannes, i fratelli belgi Jean-Pierre e Luc Dardenne, classi rispettivamente 1951 e 1954, sono rimasti due dei nomi di punta del cinema d'autore europeo. In modo particolare i due registi sono stati da subito riconosciuti come i continuatori e i propagatori di una certa corrente di realismo, in una forma di fiction che filtra il linguaggio del documentario, e che nell'utilizzo della camera a mano, nell'impiego di attori non professionisti o debuttanti e nella lunga durata continua delle inquadrature trova tre dei suoi elementi più ricorrenti.
Film dei fratelli Dardenne come Rosetta, Palma d'Oro a Cannes nel 1999, L'Enfant, Palma d'Oro a Cannes nel 2005, Il ragazzo con la bicicletta e Due giorni, una notte hanno traghettato dal ventesimo secolo al terzo millennio questa forma di cinema, perseguendo un discorso filmico ininterrotto che, al netto di qualche parziale caduta, fino all'ultimo Tori e Lokita del 2022, ha continuato ad attrarre spettatori, oltre che critici, di diverse regioni del mondo, andando ben al di là dei confini del Belgio e della stessa francofonia.
Meno nota, e solo in parte intuibile dalla loro opera filmica, è l'attività editoriale del minore dei due fratelli: Luc Dardenne. Già un paio d'anni fa erano apparsi in Italia, per il Saggiatore, i suoi diari, intitolati Attraverso le immagini, ricchi di riflessioni filosofiche e di riferimenti culturali non meno che di ricordi e annotazioni a bordo set. È invece uscito adesso, per Meltemi Editore, L'affare umano. Al di là della paura di morire, originariamente pubblicato nel 2012 come Sur l'affaire humaine dalle prestigiose Éditions du Seuil.
Se con la sua componente diaristica Attraverso le immagini riusciva a mantenersi in equilibrio tra l'attività cinematografica e gli interessi speculativi di Luc Dardenne, L'affare umano rappresenta un tentativo di riflessione filosofica tout court, rispetto al quale il cinema resta completamente ai margini. Con riflessioni condensate in paragrafi, numerati anche con un incedere wittgenstainiano, Luc Dardenne rispolvera alcuni snodi del pensiero e dell’esperienza, prima ancora che delle filosofie, di matrice esistenzialista, ricollegandosi a una genealogia concettuale che, inaugurata da Kierkegaard, spiritata da Kafka e a suo modo innalzata da Heidegger, nel filosofo franco-lituano Emmanuel Lévinas aveva trovato l’interprete più vicino alla sensibilità dei Dardenne.
Non per nulla una delle pagine più affascinanti de Attraverso le immagini era il momento in cui Luc Dardenne, sul set de La Promesse, apprendeva della morte di Lévinas e decideva di dedicargli - idealmente e silenziosamente - il film. Oltre all’impianto lévinasiano di molte delle riflessioni, è significativamente più volte citata o allusa una delle più radicali pagine dei diari di Kafka: “è possibile pensare una cosa sconsolata? O meglio, una cosa così sconsolata che non abbia nemmeno un alito di conforto?”
“Come accettare la morte di Dio che ci consegna alla nostra morte senza Dio? Come accettarla senza abbandonarsi a sostitutive e funeste consolazioni? Come?”. “Non potrei accettare questa solitudine da mortali facendo semplicemente appello all’altro, al mio simile? Non vi è forse una gioia umana, così umana, nello stare insieme, nell’incontrarsi, nel condividere, nell’essere in relazione, nel conversare?”. “Convivere significa essere in grado di relativizzare senza negare. Convivere, ecco il percorso dell’uomo, la sola via d’uscita possibile dopo la morte di Dio e degli idoli che ne facevano le veci”. Se L’affare umano forse non rappresenta un fulgido esempio di originalità nei temi e nelle riflessioni, mantiene nondimeno la potenza di un’esperienza personale radicalmente sentita.
Il suo maggiore punto di forza è quello di essere un libro completamente slegato da riflessioni o anche solo da riferimenti diretti al cinema dei due fratelli Dardenne: ma se il libro non dà risposte sui film è proprio perché è mosso dagli stessi interrogativi del loro cinema, qui elencati esplicitamente, lì tradotti in situazioni, immagini, suoni, inquadrature. È così che ci troviamo in un territorio improvvisamente deleuziano, in cui l’immagine è autosufficiente, il pensiero è autonomo, eppure si nutrono a vicenda.