Quali sono le differenze tra i due adattamenti
della novella di John Campbell?
di Francesco Sellitti
TR-94
10.02.2024
È il 1978 quando nelle sale cinematografiche statunitensi approda il lungometraggio di John Carpenter Halloween, in cui il regista, oltre a sperimentare il proprio linguaggio audiovisivo e porre inconsapevolmente le basi per lo slasher moderno, rende esplicito omaggio a un classico del cinema di fantascienza: La cosa da un altro mondo (The thing from another world) di Howard Hawks, del 1951. Il rimando non è di certo velato: durante la notte di halloween, la protagonista Laurie, babysitter, guarda la televisione assieme al bambino a lei affidato, mentre lo spettatore si ritrova a fare loro fisica compagnia, in quanto un’intera inquadratura è dedicata alla ripresa del solo televisore che manda in onda i titoli di testa del film di Hawks, dal logo della RKO Radio Picture sino alla comparsa del titolo parziale “The Thing”.
Che si trattasse di un semplice omaggio, di una speranza di produzione futura o di un ingegnoso indizio per il pubblico più affezionato ha ormai poca importanza, poiché al giorno d’oggi quando si pensa a “The Thing” l’immediato pensiero non va più al film del ‘51, ma proprio a quello di Carpenter del 1982.
Probabilmente complice il sopracitato omaggio, La cosa di Carpenter è ancora considerata come un remake della pellicola di Hawks (che ricordiamo essere accreditato solamente come produttore, mentre alla regia figura Christian Nyby), ma mettendo a confronto le due opere queste risultano di gran lunga più differenti che simili: sono apparentemente la stessa cosa, ma hanno forma e sostanza completamente diversa. In che modo dunque le due opere sono correlate?
Un’importante indicazione viene fornita proprio nei titoli di testa di Hawks: Based on the Story “WHO GOES THERE?” by JOHN W. CAMPBELL, JR. (Basato sulla storia “Chi va là?” di John W. Campbell Jr.). Il soggetto risulta quindi non originale, ma ispirato a una novella, pubblicata per la prima volta nel 1938, la cui trama è la seguente: un manipolo di scienziati rinviene nel ghiaccio antartico una navicella spaziale di origine aliena e, non lontano, il corpo congelato di un extraterrestre; nel processo di estrazione, gli uomini distruggono accidentalmente l’astronave, ma riescono a portare all’accampamento l’alieno in un blocco di ghiaccio, apparentemente privo di vita; la creatura non è però morta e, una volta scongelata, inizia a nutrirsi dell’equipaggio, replicandone le sembianze e sostituendosi a esso, generando una crisi paranoica fra i suoi membri non più in grado di distinguere i propri compagni dagli impostori.
La trama de La cosa da un altro mondo trae ispirazione dal racconto di Campbell per sviluppare invece una storia differente: un gruppo di militari, accompagnati da un giornalista, vengono inviati in Antartide in risposta a una richiesta di soccorso da un accampamento di scienziati per un presunto aereo precipitato; giunti sul luogo dell’impatto, militari e scienziati scoprono che a essere precipitato è in realtà un disco volante alieno; nel tentativo di estrarre la navicella dal ghiaccio, questa viene distrutta, mentre viene rinvenuto un esemplare alieno congelato; creduto morto, questo viene portato all’accampamento, ma una volta scongelato l’alieno inizia a seminare morte fra umani e animali, nutrendosi del loro sangue.
Le premesse narrative fra novella e pellicola sembrano combaciare: una navicella spaziale ritrovata nei ghiacci antartici distrutta durante l’estrazione e un extraterrestre congelato, presumibilmente morto, che attacca i membri dell’accampamento una volta libero. Eppure ci sono numerose e intrascurabili differenze che caratterizzano il film, in particolare le figure de la segretaria, i militari, lo scienziato e la cosa. Nina Nicholson, segretaria della stazione scientifica, è l’unico personaggio femminile presente nel cast. Personaggio non presente nella novella originale, Nina è il risultato delle necessità narrative della Hollywood classica, che prevedevano, fra le altre, anche la presenza di una storia d’amore all’interno della storia. Sono infatti pochissime le occasioni in cui Nina si rende effettivamente utile al procedere della trama, mentre il più delle volte la vediamo in atteggiamenti civettuoli assieme al capitano Hendry, eroe della pellicola. Tanto il capitano quanto la sua squadra al seguito - ossia militari e giornalista - come Nina risultano essere personaggi creati ad hoc per il film, senza effettivo riscontro nella novella originale.
I protagonisti di Campbell, infatti, sono solamente scienziati, completamente isolati e che quindi agiscono senza alcun supporto esterno, mentre i personaggi di Hawks sono in costante contatto telematico con il comando militare. Quest’ultimo chiede rapporto a Hendry in modo persistente sulla situazione alla base, ordinando senza mezzi termini la salvaguardia della creatura. Del medesimo avviso è anche il dottor Carrington, lo scienziato direttore della base: ritenendo lo sviluppo scientifico più importante delle singole vite umane, si oppone con insistenza ai tentativi di abbattimento della creatura per avere l’opportunità di studiarla.
Che sia per un possibile utilizzo bellico o per permettere una progressione delle conoscenze in ambito scientifico, tanto il comando militare quanto il dottore ritengono la vita dell’alieno più importante degli uomini nella struttura, facendosi quindi baluardi di un sistema ideologico di tipo marziale che considera i singoli individui come semplici pedine sacrificabili per un bene più grande.
E la cosa invece? La creatura in questo adattamento non è un mutaforma, bensì un omone calvo dalle mani artigliate in grado di rigenerarsi; il suo obiettivo è la proliferazione e lo può raggiungere mediante la produzione di sementi che, una volta interrate, vengono coltivate come delle piante, nutrite però da sangue umano. Ecco quindi un’altra differenza sostanziale con Campbell: la cosa non assorbe per poi replicare le vittime, ma uccide per utilizzare il sangue come alimento. Tale scelta taglia completamente una componente fondamentale della novella: la paranoia. Gli scienziati del racconto vivono il terrore che il compagno seduto accanto a loro possa essere in realtà un replicante pronto a ucciderli, in maniera similare a ciò che avrebbe portato sullo schermo Don Siegel nel 1956 con L’invasione degli ultracorpi.
L’ipotesi più plausibile è, ancora una volta, di tipo produttivo: la narrazione del cinema classico prevedeva una netta distinzione fra i personaggi positivi e negativi, fra i buoni e i cattivi, e gli antagonisti dovevano sempre essere ben identificabili ed esterni alla realtà dei protagonisti, in modo da poter essere sconfitti senza troppe remore. Entro questi dettami è conseguenziale come una storia in cui persino la persona più fidata potrebbe essere una minaccia non era particolarmente contemplata. Finanche nel sopracitato L’invasione degli ultracorpi, nel quale una razza aliena replica e sostituisce gli abitanti di una cittadina, la distinzione è ben indicata da fattori comportamentali, da incongruenze nelle affermazioni, quando non da segnalazioni dei personaggi (sempre dimostratesi veritiere, infallibili) o da esplicite caratteristiche fisiche. In Campbell invece la sostituzione è totale e indistinguibile se non attraverso specifici esami scientifici.
Date tutte queste differenze dal materiale di riferimento originale è chiaro come La cosa da un altro mondo sia un film solo liberamente ispirato a Who goes there? e che utilizza le sue premesse narrative per affrontare diverse tematiche: il fulcro centrale del film è infatti da ricercare proprio nell’interazione fra i vari cambiamenti effettuati, dei quali il più degno di nota è certamente il dilemma circa la sopravvivenza della creatura o delle persone nella base. La figura del dottor Carrington, soprattutto, arriva a mettere a repentaglio non solo la vita dei suoi compagni, ma persino la propria, rendendosi così massimo esponente di una scala di valori che non vede al vertice la vita umana, e ponendosi così in piena contrapposizione ideologica con quella del capitano Hendry, il difensore degli innocenti. Il film diventa quindi l’occasione per esplorare un conflitto fra differenti filosofie, mentre la cosa da un altro mondo si configura come semplice pretesto perché questo scontro avvenga.
Ora, per poter meglio comprendere l’operazione svolta da Carpenter con il proprio adattamento (sottolineato nel titolo stesso John Carpenter’s The Thing), è bene ancora una volta partire dalla trama: in una base scientifica in Antartide giunge un cane, inseguito e tenuto sotto tiro da un elicottero; il mezzo atterra, ma esplode per errore e l’uomo che tentava di uccidere l’animale viene ucciso; il cane viene accolto nella struttura mentre alcuni scienziati vanno a perlustrare l’accampamento di origine dell’elicottero; giunti sul luogo trovano dei cadaveri umani, alcuni dalle fattezze insolite, e un grande blocco di ghiaccio in cui presumibilmente era contenuto qualcosa; decidono di riportare un cadavere deforme alla base ma, una volta iniziate le analisi, il cane accolto si dimostra in realtà un alieno mutaforma, in grado di replicare perfettamente gli organismi di cui si nutre; la creatura inizia quindi a confondersi fra gli scienziati, tentando di ucciderli tutti.
Pur considerando questi pochi elementi risulta già chiara l’operazione principale svolta da Carpenter: portare al cinema un adattamento di Who goes there? più fedele all’originale. Torna qui infatti la creatura mutaforme replicante e con essa il tema centrale della novella, ossia la paranoia: nessuno dei ricercatori è più al sicuro, in quanto la cosa potrebbe nascondersi sotto la pelle di chiunque. Torna inoltre il totale isolamento, poiché nel film, nonostante i tentativi di trasmissione, le linee di comunicazione sono perennemente interrotte. Infine, a differenza del film di Hawks che ha cambiato financo i nomi di tutti i personaggi (a marcare ulteriormente la distanza dalla novella), MacReady, Blair, Garry, Norris, Bennings, Clark e Copper erano tutti già presenti in Campbell. Parrebbe quindi che il film di Carpenter sia l’adattamento perfetto del testo di partenza… ma così non è, altrimenti non sarebbe La cosa di John Carpenter.
Appare quasi paradossale a questo punto notare come una importante differenza sia apportata proprio dall’alieno: rispetto a Campbell, la cosa risulta estremamente più grottesca e ripugnante nell’aspetto e Carpenter vuole farlo notare. È necessario qui un piccolo passo indietro: nella novella l’extraterrestre nel blocco di ghiaccio viene descritto come un umanoide con tre vividi occhi rossi e filamenti tentacolari che fuoriescono dal corpo, per poi mutare e mantenere le sembianze di un nuovo organismo una volta completatane l’assimilazione.
La cosa di Campbell si comporta sostanzialmente come un virus, inglobando e sostituendo le cellule dell’ospite con le proprie, che solamente in rari ed estremi casi deforma le proprie caratteristiche fenotipiche, unicamente nel caso in cui non sia più in grado di mantenere il gioco di inganni. In Carpenter, invece, la cosa sembra quasi essere una creatura di pasta modellabile: una volta completato l’assorbimento del nuovo organismo, attraverso un processo simile a una vera e propria digestione, essa è in grado di mutare in ogni momento e a piacimento con gran rapidità le proprie sembianze, replicando quindi un determinato essere nella sua interezza o modificandone alcune parti.
Ecco dunque che il film del 1982 si configura come territorio fertile per quello che viene definito body horror, in cui le deformazioni del corpo umano nelle maniere più fantasiose e grottesche disturbano visivamente lo spettatore: arti oblunghi dalla pelle penzolante, toraci in grado di aprirsi e mostrare fauci nascoste, teste aracnidiformi e cumuli di carne tentacolati sono solo alcune delle ormai iconiche, orripilanti, creazioni dell’artista di effetti speciali Rob Bottin.
La cosa di Carpenter non è però solamente più disgustosa a livello visivo, ma risulta anche molto più aggressiva. In Campbell l’alieno riesce a replicare perfettamente l’aspetto, i comportamenti e persino i pensieri dei ricercatori, ma non è in grado di riprodurre la violenza e l’aggressività umana: l’alieno si trova infatti inerte dinanzi alle aggressioni violente, anche da parte di un semplice manipolo di uomini disarmati, mostrando quindi come sia probabilmente l’essere umano una delle entità più pericolose nel cosmo. In Carpenter la cosa tenta di evitare il confronto per poter più facilmente assimilare ogni membro del gruppo, ma qualora si ritrovi alle strette non ha remore nell’utilizzare ogni arma in suo possesso, modificando ogni sua parte al solo fine di uccidere e sopravvivere.
Le sequenze in cui la creatura si mostra sono infatti sempre caratterizzate da un’esplosione di sangue e violenza e i poveri ricercatori si ritrovano costretti alla fuga o all’utilizzo del fuoco, l’unico elemento in grado di evitare la proliferazione dell’alieno. Si potrebbe vedere in questo un’interpretazione poetica: in mezzo alla totale aridità, al buio e al freddo dei ghiacci, davanti a una minaccia sconosciuta e terrificante, l’unica speranza dell’uomo è affidata al calore e alla luce del fuoco, in grado di spazzare via i mostri e permettere nuovamente, come fu al momento della donazione di Prometeo, il prosperare dell’umanità.
La seconda macroscopica differenza tra film e novella riguarda invece l’incipit della storia. È stato riportato come nel racconto si seguano le vicende del gruppo di ricerca che ha ritrovato nei ghiacci l’astronave assieme alla cosa, poi portata congelata alla base. Tale ritrovamento viene anche mostrato nel film di Hawks, ma viene al contrario quasi interamente sorvolato da Carpenter: il ritrovamento dei reperti alieni è mostrato attraverso delle registrazioni su VHS realizzate diegeticamente da un gruppo di ricerca norvegese in un’altra base, quella che viene esaminata dopo l’arrivo dell’elicottero e del cane.
Tale scelta optata da Carpenter assolve qui la duplice funzione di omaggio e affermazione autoriale. In primo luogo, come già fece in Halloween, fa riferimento a La cosa da un altro mondo, mostrando attraverso un televisore dei filmati in bianco e nero in cui vengono mostrati il ritrovamento del disco volante e la sua distruzione. A differenza però del citazionismo esplicito di qualche anno prima, questa volta Carpenter decide di girare personalmente i filmati mostrati, ricalcando però la regia di Hawks, riscontrabile facilmente nella posa circolare dei ricercatori lungo il perimetro della navicella e nell’esplosione della stessa.
In secondo luogo, invece, collocando la storia in un momento successivo, il regista non solo si distacca dalle precedenti versioni della vicenda, ma esplicita anche il focus della propria opera sul comportamento e sulle mutazioni della cosa in rapporto alla labile psiche umana: non è importante da dove venga o come sia arrivata, ciò che conta è come incida sul comportamento dei personaggi.
Date tutte queste sostanziali differenze fra le pellicole del 1951 e del 1982 risulta quantomeno problematico definire l’una il remake dell’altra: il considerare solo la fonte di ispirazione letteraria comune e la sequenza cronologica delle produzioni renderebbe La cosa un remake de La cosa da un altro mondo tanto quanto potrebbe esserlo Romeo + Giulietta (1996) di Baz Luhrmann per il Romeo e Giulietta (1968) di Zeffirelli. Sia Carpenter sia Luhrmann adattano un testo preesistente già portato sugli schermi in precedenza ambientandolo nella propria contemporaneità, eppure uno è considerato un remake e l’altro no. Curioso, vero?
Esiste tuttavia un film, grossomodo coevo a quello di Carpenter, che risulta molto più vicino per struttura e rimandi a La cosa da un altro mondo: Alien di Ridley Scott, del 1979. Ancora una volta è bene partire dalla trama: una nave spaziale commerciale in viaggio verso la terra riceve un segnale sconosciuto da un pianeta alieno; per contratto, l’equipaggio è tenuto a verificare ogni possibile interazione con forme di vita extraterrestri; alcuni membri del gruppo scendono sul pianeta e scoprono che il segnale proviene da un’astronave apparentemente abbandonata; durante l’esplorazione di questa, un organismo alieno si avvinghia al volto di uno degli uomini; per fornirgli soccorso, l’aggredito viene riportato sulla nave spaziale umana assieme all’alieno; dopo un periodo di incubazione, l’uomo viene liberato dall’organismo estraneo, ma assieme a lui viene sprigionata una nuova creatura aliena che ha come solo obiettivo la propria sopravvivenza e l’eliminazione dell’equipaggio.
Seppur cambiando in toto ambientazione, lo scheletro narrativo è esattamente il medesimo: un gruppo di umani riceve un segnale sconosciuto che scopre provenire da un’astronave abbandonata, per poi riportare alla propria base un organismo sconosciuto che dopo un periodo di stasi muta e inizia a mietere vittime. Questa struttura in tre fasi (ritrovamento, incubazione/scongelamento, caccia della creatura) non solo è presente sia in Scott che in Hawks, ma è rispettata proporzionalmente anche nelle tempistiche: circa un quarto di pellicola per il ritrovamento, circa un quarto per l’incubazione e la rimanente metà per la caccia. Fondamentale è inoltre la collocazione spaziale del gruppo: che sia fra i ghiacci artici o nello spazio profondo, in entrambi i casi l’isolamento dei personaggi è totale e sono costretti ad affrontare una letale minaccia sconosciuta senza alcun tipo di supporto esterno (escludendo in Hawks gli ordini militari ricevuti in via telematica, mai però concretizzati in maniera fisica). Come nello spazio, anche fra i ghiacci nessuno può sentirti urlare.
È in aggiunta interessante notare come entrambe le creature sembrino essere accomunate da declinazioni differenti di potenziate capacità metaboliche: la cosa del ‘51 è in grado di rigenerare parti mutilate, mostrando quindi una esagerata capacità di guarigione, mentre l’alieno del ‘79 presenta una velocità di crescita esponenziale.
Sebbene queste possano apparire come semplici coincidenze, quando non veri e propri luoghi comuni del genere di fantascienza, oltre alla struttura in Alien ritorna uno dei temi centrali dell’adattamento di Hawks: il dilemma antropo-scientifico. Il personaggio di Ash, il responsabile scientifico della spedizione, ricalca fortemente quello del dottor Carrington: entrambi rappresentano quel sistema ideologico che vede la conoscenza come valore universale superiore alla singola vita umana. L’unica cosa che conta è l’ampliamento e il progresso del sapere per il bene dell’umanità intesa nella sua accezione generale, che prescinde quindi dai suoi individui particolari considerati una perdita accettabile. L’inumanità di tale concezione viene esplicitamente ricalcata dalla reale natura di Ash, dal fatto che non sia un essere umano bensì un androide, programmato appositamente per non essere vittima dell’istinto di autoconservazione e per seguire alla lettera gli ordini impartiti dall’alto.
Anche quest’ultimo tassello è riscontrabile in Hawks: è stato riportato come fosse non solo lo scienziato, ma altresì il comando militare a opporsi all’abbattimento della creatura a sfavore degli uomini, e gli ordini programmati sia in Ash che in Mother, l’intelligenza artificiale che controlla tutta la nave spaziale, sono l’adattamento che Scott compie proprio di quell’interesse delle alte sfere di comando indirizzato più verso la ricerca di sempre nuove e letali armi che non nell’effettiva salvaguardia delle persone sotto la loro teorica tutela.
In aggiunta ai rimandi strutturali e a quelli tematici, Alien recupera, reintegra e riadatta anche alcune dinamiche del rapporto fra gli umani e l’extraterrestre, come ad esempio l’utilizzo del fuoco: a differenza di quanto accade in Carpenter e Campbell, in cui il getto dei lanciafiamme è in grado di estinguere la creatura, in Hawks e Scott il fuoco non è sufficiente, bensì è utilizzato solamente per spaventare, eventualmente ferire, e mettere in fuga l’alieno (meccanica inoltre recuperata nel videogioco Alien: Isolation del 2014), rendendo necessario l’impiego di soluzioni alternative. A questo fa seguito il metodo di tracciamento della creatura: la cosa è descritta come parzialmente radioattiva, il che rende possibile alla fazione umana monitorare l’avvicinamento dell’essere mediante il battito più o meno accelerato del contatore Geiger; per tracciare lo xenomorfo, invece, Ash progetta uno strumento in grado di rilevare le variazioni nella densità dell’aria, rigorosamente e costantemente riaggiornato con un acuto battito elettronico. Che anche queste siano semplici coincidenze?
Giunti al termine di questa analisi risulta evidente che esista un problema di tipo terminologico: che cos’è un remake?
La traduzione letterale, “rifare”, parrebbe indicare un prodotto che, partendo da un originale preesistente, punterebbe a ricrearlo e riadattarlo al contesto produttivo e spettatoriale contemporaneo. La questione si concentra quindi su quali siano gli elementi da considerarsi invariabili: nel caso de La cosa, tenendo conto dell’ambientazione e della presenza di un elemento extraterrestre, la sequenza di remake si configurerebbe come Campbell-Hawks-Carpenter; analizzando invece struttura narrativa, tematiche e dinamiche fra elementi la sequenza si dividerebbe in Campbell-Carpenter e Hawks-Scott; se ancora, inoltre, si prende in esame l’ispirazione di un’opera sull’altra, avremmo un complicato sistema in cui a Campbell segue Hawks, dalla cui unione scaturisce Carpenter e dal solo Hawks discende Scott.
Il cinema è un mezzo artistico particolarmente complesso in cui dominano le sfaccettature e trovare una definizione univoca risulta intricato e contorto, quando non propriamente impossibile. L’importante è non abbandonarsi sempre alle definizioni altrui e ricercare, attraverso il ragionamento critico, la propria interpretazione, perché anche le definizioni più ferree, proprio come La cosa, possono essere ingannevoli e mutevoli.
Quali sono le differenze tra i due adattamenti
della novella di John Campbell?
di Francesco Sellitti
TR-94
10.02.2024
È il 1978 quando nelle sale cinematografiche statunitensi approda il lungometraggio di John Carpenter Halloween, in cui il regista, oltre a sperimentare il proprio linguaggio audiovisivo e porre inconsapevolmente le basi per lo slasher moderno, rende esplicito omaggio a un classico del cinema di fantascienza: La cosa da un altro mondo (The thing from another world) di Howard Hawks, del 1951. Il rimando non è di certo velato: durante la notte di halloween, la protagonista Laurie, babysitter, guarda la televisione assieme al bambino a lei affidato, mentre lo spettatore si ritrova a fare loro fisica compagnia, in quanto un’intera inquadratura è dedicata alla ripresa del solo televisore che manda in onda i titoli di testa del film di Hawks, dal logo della RKO Radio Picture sino alla comparsa del titolo parziale “The Thing”.
Che si trattasse di un semplice omaggio, di una speranza di produzione futura o di un ingegnoso indizio per il pubblico più affezionato ha ormai poca importanza, poiché al giorno d’oggi quando si pensa a “The Thing” l’immediato pensiero non va più al film del ‘51, ma proprio a quello di Carpenter del 1982.
Probabilmente complice il sopracitato omaggio, La cosa di Carpenter è ancora considerata come un remake della pellicola di Hawks (che ricordiamo essere accreditato solamente come produttore, mentre alla regia figura Christian Nyby), ma mettendo a confronto le due opere queste risultano di gran lunga più differenti che simili: sono apparentemente la stessa cosa, ma hanno forma e sostanza completamente diversa. In che modo dunque le due opere sono correlate?
Un’importante indicazione viene fornita proprio nei titoli di testa di Hawks: Based on the Story “WHO GOES THERE?” by JOHN W. CAMPBELL, JR. (Basato sulla storia “Chi va là?” di John W. Campbell Jr.). Il soggetto risulta quindi non originale, ma ispirato a una novella, pubblicata per la prima volta nel 1938, la cui trama è la seguente: un manipolo di scienziati rinviene nel ghiaccio antartico una navicella spaziale di origine aliena e, non lontano, il corpo congelato di un extraterrestre; nel processo di estrazione, gli uomini distruggono accidentalmente l’astronave, ma riescono a portare all’accampamento l’alieno in un blocco di ghiaccio, apparentemente privo di vita; la creatura non è però morta e, una volta scongelata, inizia a nutrirsi dell’equipaggio, replicandone le sembianze e sostituendosi a esso, generando una crisi paranoica fra i suoi membri non più in grado di distinguere i propri compagni dagli impostori.
La trama de La cosa da un altro mondo trae ispirazione dal racconto di Campbell per sviluppare invece una storia differente: un gruppo di militari, accompagnati da un giornalista, vengono inviati in Antartide in risposta a una richiesta di soccorso da un accampamento di scienziati per un presunto aereo precipitato; giunti sul luogo dell’impatto, militari e scienziati scoprono che a essere precipitato è in realtà un disco volante alieno; nel tentativo di estrarre la navicella dal ghiaccio, questa viene distrutta, mentre viene rinvenuto un esemplare alieno congelato; creduto morto, questo viene portato all’accampamento, ma una volta scongelato l’alieno inizia a seminare morte fra umani e animali, nutrendosi del loro sangue.
Le premesse narrative fra novella e pellicola sembrano combaciare: una navicella spaziale ritrovata nei ghiacci antartici distrutta durante l’estrazione e un extraterrestre congelato, presumibilmente morto, che attacca i membri dell’accampamento una volta libero. Eppure ci sono numerose e intrascurabili differenze che caratterizzano il film, in particolare le figure de la segretaria, i militari, lo scienziato e la cosa. Nina Nicholson, segretaria della stazione scientifica, è l’unico personaggio femminile presente nel cast. Personaggio non presente nella novella originale, Nina è il risultato delle necessità narrative della Hollywood classica, che prevedevano, fra le altre, anche la presenza di una storia d’amore all’interno della storia. Sono infatti pochissime le occasioni in cui Nina si rende effettivamente utile al procedere della trama, mentre il più delle volte la vediamo in atteggiamenti civettuoli assieme al capitano Hendry, eroe della pellicola. Tanto il capitano quanto la sua squadra al seguito - ossia militari e giornalista - come Nina risultano essere personaggi creati ad hoc per il film, senza effettivo riscontro nella novella originale.
I protagonisti di Campbell, infatti, sono solamente scienziati, completamente isolati e che quindi agiscono senza alcun supporto esterno, mentre i personaggi di Hawks sono in costante contatto telematico con il comando militare. Quest’ultimo chiede rapporto a Hendry in modo persistente sulla situazione alla base, ordinando senza mezzi termini la salvaguardia della creatura. Del medesimo avviso è anche il dottor Carrington, lo scienziato direttore della base: ritenendo lo sviluppo scientifico più importante delle singole vite umane, si oppone con insistenza ai tentativi di abbattimento della creatura per avere l’opportunità di studiarla.
Che sia per un possibile utilizzo bellico o per permettere una progressione delle conoscenze in ambito scientifico, tanto il comando militare quanto il dottore ritengono la vita dell’alieno più importante degli uomini nella struttura, facendosi quindi baluardi di un sistema ideologico di tipo marziale che considera i singoli individui come semplici pedine sacrificabili per un bene più grande.
E la cosa invece? La creatura in questo adattamento non è un mutaforma, bensì un omone calvo dalle mani artigliate in grado di rigenerarsi; il suo obiettivo è la proliferazione e lo può raggiungere mediante la produzione di sementi che, una volta interrate, vengono coltivate come delle piante, nutrite però da sangue umano. Ecco quindi un’altra differenza sostanziale con Campbell: la cosa non assorbe per poi replicare le vittime, ma uccide per utilizzare il sangue come alimento. Tale scelta taglia completamente una componente fondamentale della novella: la paranoia. Gli scienziati del racconto vivono il terrore che il compagno seduto accanto a loro possa essere in realtà un replicante pronto a ucciderli, in maniera similare a ciò che avrebbe portato sullo schermo Don Siegel nel 1956 con L’invasione degli ultracorpi.
L’ipotesi più plausibile è, ancora una volta, di tipo produttivo: la narrazione del cinema classico prevedeva una netta distinzione fra i personaggi positivi e negativi, fra i buoni e i cattivi, e gli antagonisti dovevano sempre essere ben identificabili ed esterni alla realtà dei protagonisti, in modo da poter essere sconfitti senza troppe remore. Entro questi dettami è conseguenziale come una storia in cui persino la persona più fidata potrebbe essere una minaccia non era particolarmente contemplata. Finanche nel sopracitato L’invasione degli ultracorpi, nel quale una razza aliena replica e sostituisce gli abitanti di una cittadina, la distinzione è ben indicata da fattori comportamentali, da incongruenze nelle affermazioni, quando non da segnalazioni dei personaggi (sempre dimostratesi veritiere, infallibili) o da esplicite caratteristiche fisiche. In Campbell invece la sostituzione è totale e indistinguibile se non attraverso specifici esami scientifici.
Date tutte queste differenze dal materiale di riferimento originale è chiaro come La cosa da un altro mondo sia un film solo liberamente ispirato a Who goes there? e che utilizza le sue premesse narrative per affrontare diverse tematiche: il fulcro centrale del film è infatti da ricercare proprio nell’interazione fra i vari cambiamenti effettuati, dei quali il più degno di nota è certamente il dilemma circa la sopravvivenza della creatura o delle persone nella base. La figura del dottor Carrington, soprattutto, arriva a mettere a repentaglio non solo la vita dei suoi compagni, ma persino la propria, rendendosi così massimo esponente di una scala di valori che non vede al vertice la vita umana, e ponendosi così in piena contrapposizione ideologica con quella del capitano Hendry, il difensore degli innocenti. Il film diventa quindi l’occasione per esplorare un conflitto fra differenti filosofie, mentre la cosa da un altro mondo si configura come semplice pretesto perché questo scontro avvenga.
Ora, per poter meglio comprendere l’operazione svolta da Carpenter con il proprio adattamento (sottolineato nel titolo stesso John Carpenter’s The Thing), è bene ancora una volta partire dalla trama: in una base scientifica in Antartide giunge un cane, inseguito e tenuto sotto tiro da un elicottero; il mezzo atterra, ma esplode per errore e l’uomo che tentava di uccidere l’animale viene ucciso; il cane viene accolto nella struttura mentre alcuni scienziati vanno a perlustrare l’accampamento di origine dell’elicottero; giunti sul luogo trovano dei cadaveri umani, alcuni dalle fattezze insolite, e un grande blocco di ghiaccio in cui presumibilmente era contenuto qualcosa; decidono di riportare un cadavere deforme alla base ma, una volta iniziate le analisi, il cane accolto si dimostra in realtà un alieno mutaforma, in grado di replicare perfettamente gli organismi di cui si nutre; la creatura inizia quindi a confondersi fra gli scienziati, tentando di ucciderli tutti.
Pur considerando questi pochi elementi risulta già chiara l’operazione principale svolta da Carpenter: portare al cinema un adattamento di Who goes there? più fedele all’originale. Torna qui infatti la creatura mutaforme replicante e con essa il tema centrale della novella, ossia la paranoia: nessuno dei ricercatori è più al sicuro, in quanto la cosa potrebbe nascondersi sotto la pelle di chiunque. Torna inoltre il totale isolamento, poiché nel film, nonostante i tentativi di trasmissione, le linee di comunicazione sono perennemente interrotte. Infine, a differenza del film di Hawks che ha cambiato financo i nomi di tutti i personaggi (a marcare ulteriormente la distanza dalla novella), MacReady, Blair, Garry, Norris, Bennings, Clark e Copper erano tutti già presenti in Campbell. Parrebbe quindi che il film di Carpenter sia l’adattamento perfetto del testo di partenza… ma così non è, altrimenti non sarebbe La cosa di John Carpenter.
Appare quasi paradossale a questo punto notare come una importante differenza sia apportata proprio dall’alieno: rispetto a Campbell, la cosa risulta estremamente più grottesca e ripugnante nell’aspetto e Carpenter vuole farlo notare. È necessario qui un piccolo passo indietro: nella novella l’extraterrestre nel blocco di ghiaccio viene descritto come un umanoide con tre vividi occhi rossi e filamenti tentacolari che fuoriescono dal corpo, per poi mutare e mantenere le sembianze di un nuovo organismo una volta completatane l’assimilazione.
La cosa di Campbell si comporta sostanzialmente come un virus, inglobando e sostituendo le cellule dell’ospite con le proprie, che solamente in rari ed estremi casi deforma le proprie caratteristiche fenotipiche, unicamente nel caso in cui non sia più in grado di mantenere il gioco di inganni. In Carpenter, invece, la cosa sembra quasi essere una creatura di pasta modellabile: una volta completato l’assorbimento del nuovo organismo, attraverso un processo simile a una vera e propria digestione, essa è in grado di mutare in ogni momento e a piacimento con gran rapidità le proprie sembianze, replicando quindi un determinato essere nella sua interezza o modificandone alcune parti.
Ecco dunque che il film del 1982 si configura come territorio fertile per quello che viene definito body horror, in cui le deformazioni del corpo umano nelle maniere più fantasiose e grottesche disturbano visivamente lo spettatore: arti oblunghi dalla pelle penzolante, toraci in grado di aprirsi e mostrare fauci nascoste, teste aracnidiformi e cumuli di carne tentacolati sono solo alcune delle ormai iconiche, orripilanti, creazioni dell’artista di effetti speciali Rob Bottin.
La cosa di Carpenter non è però solamente più disgustosa a livello visivo, ma risulta anche molto più aggressiva. In Campbell l’alieno riesce a replicare perfettamente l’aspetto, i comportamenti e persino i pensieri dei ricercatori, ma non è in grado di riprodurre la violenza e l’aggressività umana: l’alieno si trova infatti inerte dinanzi alle aggressioni violente, anche da parte di un semplice manipolo di uomini disarmati, mostrando quindi come sia probabilmente l’essere umano una delle entità più pericolose nel cosmo. In Carpenter la cosa tenta di evitare il confronto per poter più facilmente assimilare ogni membro del gruppo, ma qualora si ritrovi alle strette non ha remore nell’utilizzare ogni arma in suo possesso, modificando ogni sua parte al solo fine di uccidere e sopravvivere.
Le sequenze in cui la creatura si mostra sono infatti sempre caratterizzate da un’esplosione di sangue e violenza e i poveri ricercatori si ritrovano costretti alla fuga o all’utilizzo del fuoco, l’unico elemento in grado di evitare la proliferazione dell’alieno. Si potrebbe vedere in questo un’interpretazione poetica: in mezzo alla totale aridità, al buio e al freddo dei ghiacci, davanti a una minaccia sconosciuta e terrificante, l’unica speranza dell’uomo è affidata al calore e alla luce del fuoco, in grado di spazzare via i mostri e permettere nuovamente, come fu al momento della donazione di Prometeo, il prosperare dell’umanità.
La seconda macroscopica differenza tra film e novella riguarda invece l’incipit della storia. È stato riportato come nel racconto si seguano le vicende del gruppo di ricerca che ha ritrovato nei ghiacci l’astronave assieme alla cosa, poi portata congelata alla base. Tale ritrovamento viene anche mostrato nel film di Hawks, ma viene al contrario quasi interamente sorvolato da Carpenter: il ritrovamento dei reperti alieni è mostrato attraverso delle registrazioni su VHS realizzate diegeticamente da un gruppo di ricerca norvegese in un’altra base, quella che viene esaminata dopo l’arrivo dell’elicottero e del cane.
Tale scelta optata da Carpenter assolve qui la duplice funzione di omaggio e affermazione autoriale. In primo luogo, come già fece in Halloween, fa riferimento a La cosa da un altro mondo, mostrando attraverso un televisore dei filmati in bianco e nero in cui vengono mostrati il ritrovamento del disco volante e la sua distruzione. A differenza però del citazionismo esplicito di qualche anno prima, questa volta Carpenter decide di girare personalmente i filmati mostrati, ricalcando però la regia di Hawks, riscontrabile facilmente nella posa circolare dei ricercatori lungo il perimetro della navicella e nell’esplosione della stessa.
In secondo luogo, invece, collocando la storia in un momento successivo, il regista non solo si distacca dalle precedenti versioni della vicenda, ma esplicita anche il focus della propria opera sul comportamento e sulle mutazioni della cosa in rapporto alla labile psiche umana: non è importante da dove venga o come sia arrivata, ciò che conta è come incida sul comportamento dei personaggi.
Date tutte queste sostanziali differenze fra le pellicole del 1951 e del 1982 risulta quantomeno problematico definire l’una il remake dell’altra: il considerare solo la fonte di ispirazione letteraria comune e la sequenza cronologica delle produzioni renderebbe La cosa un remake de La cosa da un altro mondo tanto quanto potrebbe esserlo Romeo + Giulietta (1996) di Baz Luhrmann per il Romeo e Giulietta (1968) di Zeffirelli. Sia Carpenter sia Luhrmann adattano un testo preesistente già portato sugli schermi in precedenza ambientandolo nella propria contemporaneità, eppure uno è considerato un remake e l’altro no. Curioso, vero?
Esiste tuttavia un film, grossomodo coevo a quello di Carpenter, che risulta molto più vicino per struttura e rimandi a La cosa da un altro mondo: Alien di Ridley Scott, del 1979. Ancora una volta è bene partire dalla trama: una nave spaziale commerciale in viaggio verso la terra riceve un segnale sconosciuto da un pianeta alieno; per contratto, l’equipaggio è tenuto a verificare ogni possibile interazione con forme di vita extraterrestri; alcuni membri del gruppo scendono sul pianeta e scoprono che il segnale proviene da un’astronave apparentemente abbandonata; durante l’esplorazione di questa, un organismo alieno si avvinghia al volto di uno degli uomini; per fornirgli soccorso, l’aggredito viene riportato sulla nave spaziale umana assieme all’alieno; dopo un periodo di incubazione, l’uomo viene liberato dall’organismo estraneo, ma assieme a lui viene sprigionata una nuova creatura aliena che ha come solo obiettivo la propria sopravvivenza e l’eliminazione dell’equipaggio.
Seppur cambiando in toto ambientazione, lo scheletro narrativo è esattamente il medesimo: un gruppo di umani riceve un segnale sconosciuto che scopre provenire da un’astronave abbandonata, per poi riportare alla propria base un organismo sconosciuto che dopo un periodo di stasi muta e inizia a mietere vittime. Questa struttura in tre fasi (ritrovamento, incubazione/scongelamento, caccia della creatura) non solo è presente sia in Scott che in Hawks, ma è rispettata proporzionalmente anche nelle tempistiche: circa un quarto di pellicola per il ritrovamento, circa un quarto per l’incubazione e la rimanente metà per la caccia. Fondamentale è inoltre la collocazione spaziale del gruppo: che sia fra i ghiacci artici o nello spazio profondo, in entrambi i casi l’isolamento dei personaggi è totale e sono costretti ad affrontare una letale minaccia sconosciuta senza alcun tipo di supporto esterno (escludendo in Hawks gli ordini militari ricevuti in via telematica, mai però concretizzati in maniera fisica). Come nello spazio, anche fra i ghiacci nessuno può sentirti urlare.
È in aggiunta interessante notare come entrambe le creature sembrino essere accomunate da declinazioni differenti di potenziate capacità metaboliche: la cosa del ‘51 è in grado di rigenerare parti mutilate, mostrando quindi una esagerata capacità di guarigione, mentre l’alieno del ‘79 presenta una velocità di crescita esponenziale.
Sebbene queste possano apparire come semplici coincidenze, quando non veri e propri luoghi comuni del genere di fantascienza, oltre alla struttura in Alien ritorna uno dei temi centrali dell’adattamento di Hawks: il dilemma antropo-scientifico. Il personaggio di Ash, il responsabile scientifico della spedizione, ricalca fortemente quello del dottor Carrington: entrambi rappresentano quel sistema ideologico che vede la conoscenza come valore universale superiore alla singola vita umana. L’unica cosa che conta è l’ampliamento e il progresso del sapere per il bene dell’umanità intesa nella sua accezione generale, che prescinde quindi dai suoi individui particolari considerati una perdita accettabile. L’inumanità di tale concezione viene esplicitamente ricalcata dalla reale natura di Ash, dal fatto che non sia un essere umano bensì un androide, programmato appositamente per non essere vittima dell’istinto di autoconservazione e per seguire alla lettera gli ordini impartiti dall’alto.
Anche quest’ultimo tassello è riscontrabile in Hawks: è stato riportato come fosse non solo lo scienziato, ma altresì il comando militare a opporsi all’abbattimento della creatura a sfavore degli uomini, e gli ordini programmati sia in Ash che in Mother, l’intelligenza artificiale che controlla tutta la nave spaziale, sono l’adattamento che Scott compie proprio di quell’interesse delle alte sfere di comando indirizzato più verso la ricerca di sempre nuove e letali armi che non nell’effettiva salvaguardia delle persone sotto la loro teorica tutela.
In aggiunta ai rimandi strutturali e a quelli tematici, Alien recupera, reintegra e riadatta anche alcune dinamiche del rapporto fra gli umani e l’extraterrestre, come ad esempio l’utilizzo del fuoco: a differenza di quanto accade in Carpenter e Campbell, in cui il getto dei lanciafiamme è in grado di estinguere la creatura, in Hawks e Scott il fuoco non è sufficiente, bensì è utilizzato solamente per spaventare, eventualmente ferire, e mettere in fuga l’alieno (meccanica inoltre recuperata nel videogioco Alien: Isolation del 2014), rendendo necessario l’impiego di soluzioni alternative. A questo fa seguito il metodo di tracciamento della creatura: la cosa è descritta come parzialmente radioattiva, il che rende possibile alla fazione umana monitorare l’avvicinamento dell’essere mediante il battito più o meno accelerato del contatore Geiger; per tracciare lo xenomorfo, invece, Ash progetta uno strumento in grado di rilevare le variazioni nella densità dell’aria, rigorosamente e costantemente riaggiornato con un acuto battito elettronico. Che anche queste siano semplici coincidenze?
Giunti al termine di questa analisi risulta evidente che esista un problema di tipo terminologico: che cos’è un remake?
La traduzione letterale, “rifare”, parrebbe indicare un prodotto che, partendo da un originale preesistente, punterebbe a ricrearlo e riadattarlo al contesto produttivo e spettatoriale contemporaneo. La questione si concentra quindi su quali siano gli elementi da considerarsi invariabili: nel caso de La cosa, tenendo conto dell’ambientazione e della presenza di un elemento extraterrestre, la sequenza di remake si configurerebbe come Campbell-Hawks-Carpenter; analizzando invece struttura narrativa, tematiche e dinamiche fra elementi la sequenza si dividerebbe in Campbell-Carpenter e Hawks-Scott; se ancora, inoltre, si prende in esame l’ispirazione di un’opera sull’altra, avremmo un complicato sistema in cui a Campbell segue Hawks, dalla cui unione scaturisce Carpenter e dal solo Hawks discende Scott.
Il cinema è un mezzo artistico particolarmente complesso in cui dominano le sfaccettature e trovare una definizione univoca risulta intricato e contorto, quando non propriamente impossibile. L’importante è non abbandonarsi sempre alle definizioni altrui e ricercare, attraverso il ragionamento critico, la propria interpretazione, perché anche le definizioni più ferree, proprio come La cosa, possono essere ingannevoli e mutevoli.