A cura di Omar Franini
INT-08
08.09.2022
Una donna, per sentirsi completamente realizzata nella vita, deve necessariamente avere dei figli? Sono queste le domande alla base di Les Enfants des Autres, quinto lungometraggio di Rebecca Zlotowski, presentato in concorso a Venezia qualche giorno fa. Rachel, è una donna di quarant’anni, la quale, dopo aver incontrato Ali e sua figlia Leila, inizia a desiderare una famiglia propria e si affligge per l’impossibilità momentanea di non avere figli con il suo nuovo compagno.
Come nei precedenti film della regista francese, tra cui Une Fille Facile (2019) e la sua opera prima Belle Épine (2010), Rebecca Zlotowski analizza un periodo di transizione nella vita della propria protagonista. Ad interpretare Rachel è Virginie Efira, attualmente una delle attrici più richieste in Francia. L’abilità con cui l’interprete di origini belghe riesce ad adattarsi ad ogni ruolo è davvero impressionante e l’attrice ha raggiunto fama internazionale solo lo scorso anno grazie alle provocative performance in Benedetta di Paul Verhoeven e La Doppia Vita Di Madeleine Collins di Antoine Barraud. In Les Enfants des Autres, come nel film Don Juan di Serge Bozon (presentato lo scorso maggio al Festival di Cannes e di cui abbiamo parlato nella nostra intervista e al regista e all’attore del film), Virginie Efira porta, invece, sullo schermo un personaggio che si discosta dalle interpretazioni intense appena citate; Rachel è una donna che ama la vita, i suoi studenti e la sua “nuova” famiglia. Lo spettatore avrà difficoltà a non empatizzare con la condizione di questa donna.
Il film verrà distribuito da Europictures nelle nostre sale il 22 settembre e vi consigliamo ampiamente di vedere questa commedia romantica francese dai toni delicati e leggeri, ma comunque in grado di affrontare argomenti spinosi per molte donne. Al Festival di Venezia abbiamo avuto l’occasione di intervistare e di avere una piacevole conversazione con la regista Rebecca Zlotowski, l’attrice Virginie Efira e l’attore Roschdy Zem (interprete di Ali), con i quali abbiamo parlato di ciò che ha ispirato la regista, del ruolo della “madre” al giorno d’oggi e della singolare scelta di affidare il ruolo del ginecologo della protagonista al rinomato documentarista Frederick Wiseman.
È molto interessante come tu ti sia avvicinata a un tema così delicato come quello della maternità. Spesso, quando si affronta tale argomento, si creano due fazioni: chi ne ha fatto esperienza e la ritiene un passaggio essenziale della vita di una donna, e chi sostiene il contrario. Il suo film non prende una posizione netta in merito, riesce a trovare un equilibrio tra questi due punti di vista. Dunque, come hai lavorato sulla sceneggiatura insieme ai tuoi attori, e in particolare Virginie, per trovare questo “equilibrio”?
RZ: la domanda è estremamente vasta ed è alla base del progetto, che contiene effettivamente, a mio malgrado, anche un’affermazione politica rispetto alla maternità, senza che ci sia effettivamente un’ideologia ben espressa. Nel senso… c’è un personaggio che non ha figli, quello di Rachel, sul quale il film non si sbilancia nell'esprimere un giudizio, ma il messaggio, in qualche modo politico, se non ideologico, sta proprio nel fatto che una donna può esistere anche senza dei figli. C’è una presa di posizione rispetto al fatto che una donna ha la capacità di avere la sua forza e la sua realizzazione anche nel momento in cui non concepisce dei figli e questa riflessione è stata un punto fermo durante la scrittura di Les Enfants des Autres. Cerco sempre di mescolare elementi della nostra quotidianità con dei sentimenti, delle emozioni, che si possono provare solo in determinate situazioni, cercando di creare un equilibrio tra essi. Ma lo stesso potrebbe valere in un contesto di conflitto interiore, e questo film è stato un tentativo in questo senso.
La regista Rebecca Zlotowski e l’attore Roschdy Zem
Vorremmo sapere anche il punto di vista dei due attori.
VE: quando ho letto la sceneggiatura di Rebecca, immediatamente ho colto la descrizione di un momento particolare nella vita di una donna che non avevo mai visto rappresentato al cinema e che corrisponde con una riflessione personale, pur essendo una situazione universale che appartiene a tutte le donne. Fa parte di una sorta di insieme di sentimenti, di desideri, molto sfumati, che hanno a che fare con l’impossibilità di una donna di scegliere. Sono dei sentimenti che può provare, come in questo film, essendo solamente la matrigna della figlia del proprio compagno e senza avere figli propri. In sostanza, è un tema, è una sceneggiatura che apre ad una serie di domande, senza necessariamente dare delle risposte, ma che corrisponde molto al mio vissuto, alle mie riflessioni personali che hanno scolpito la mia identità, cioè che sono state costitutive per me stessa, proprio perché nella mia vita ci sono state queste situazioni.
RoZ: La mia condizione di uomo, ma soprattutto di attore a cui è stato proposto questo personaggio, ha suscitato in me il sentirmi privilegiato nel portare sullo schermo, per la prima volta, una storia così tipicamente del ventunesimo secolo. È un tema che pochissimi registi hanno mai affrontato prima d’ora, e il fatto che una regista come Rebecca abbia avuto l’idea di questo progetto, apre la porta ad una nuova era del cinema e della narrazione cinematografica. Nessuno ha mai pensato di raccontare questa vicenda nei termini in cui lo fa Rebecca, e così si aprono le porte per quello che sarà il futuro del cinema, futuro che, a mio parere, sarà declinato al femminile.
Roschdy Zem e Virginie Efira durante l’intervista.
Les Enfants des Autres rappresenta una storia attuale, dove spesso le persone si incontrano con già alle spalle un vissuto importante e i figli diventano un terreno di scontro, l’unico “ostacolo” all’amore. Quale è la motivazione che ti ha spinta a raccontare questa storia? C’è qualcosa di personale in questa film?
RZ: Sicuramente è difficile riuscire a tracciare un ritratto dei bambini nella loro ambivalenza, nella loro presenza in una storia di coppia. Perché, se da un lato sono sicuramente una benedizione, dall’altro rappresentano un elemento di “disturbo” nella vita genitoriale, e bisogna normalizzare il fatto che spesso possano costituire un “peso”, sebbene sia le persone verso i quali riversiamo il più grande amore possibile. A lungo è stato un tabù mostrare i figli sotto questo punto di vista, ma non soltanto. Il film voleva mostrare una realtà differente rispetto a quella portata sullo schermo in altre opere passate. Quello che ho desiderato fare è stato tracciare un racconto estremamente semplice della storia d’amore tra Rachel e Ali, focalizzandosi solamente sui sentimenti dei due personaggi di fronte al desiderio del personaggio di Rachel diventare madre e decidere di esserlo per la figlia di Ali.
Puoi dirci qualcosa sulla scelta di fare recitare oer la prima volta nella sua carriera Frederick Wiseman, nel ruolo per di più di come ginecologo nel film?
RZ: Ho incontrato Frederick Wiseman qualche anno fa in un ascensore proprio qui a Venezia quando facevo parte della giuria di orizzonti. Lui era qui a presentare un suo film e abbiamo cominciato a scherzare sulle scarpe, io avevo delle scarpe molto eleganti mentre le sue sembravano molto comode, come se fossero delle pantofole (la regista scoppia a ridere, n.d.r.). Gli ho detto “belle scarpe!”, lui a quel punto ha risposto “sono le scarpe di un regista” e io ho replicato “anche le mie sono scarpe da regista”. Ci siamo presi un caffè poco dopo, e da lì ci siamo poi incontrati in diverse circostanze. Come voi sapete, Wiseman vive in Francia ed ha un forte senso dell’umorismo, perciò gli ho proposto questo ruolo ed è stato bellissimo vederlo in estremo imbarazzo davanti a Virginie con le gambe spalancate su una sedia ginecologica. Virginie con simpatia gli ha detto “tengo su le calze?” per provare a sdrammatizzare. Prima di fare la regista, sono stata un’insegnante di cinema e più nello specifico di documentari. Jean Rouch, un altro grande documentarista, si riteneva un “ricercatore nel museo dell’uomo” e mi piaceva l’idea di vedere Wiseman nel ruolo di un “ricercatore del corpo” delle sue pazienti. Aggiungo anche che Roschdy e Frederick sono nel mio film, ma hanno anche loro dei film a Venezia come registi (Les Miens del primo e Un Couple del secondo, n.d.r.) e il fatto che ci troviamo tutti e tre in Concorso è un buon auspicio. La parola “Wiseman” significa letteralmente “uomo saggio” e non volevo che ci fosse uno sguardo giudicante nei confronti del personaggio di Virginie, volevo un personaggio empatico, saggio, e Wiseman era la scelta più consona.
Il non avere figli è stato, per un certo numero di anni e da un punto di vista culturale, uno stigma. Secondo voi, è cambiata questa situazione?
VE: credo che qualcosa sia cambiato, ma perché è cambiata la posizione delle donne nella società; negli ultimi sessant’anni il ruolo della donna era confinato ad una sfera privata. Quindi con il tempo, iniziando a svolgere una funzione e un ruolo sociale, entrando nel mondo del lavoro, inevitabilmente si è cominciato a fare dei figli sempre più tardi. In questo modo la donna riesce a svincolarsi rispetto al ruolo materno che le è stato tradizionalmente assegnato. Le prospettive future per le donne si sono così ampliate, ma essendoci un orologio biologico, ad un certo punto ogni donna si domanda che tipo di vita vuole e se vuole “definirsi” madre.
RZ: concordo con tutto quello che Virginie ha detto, vorrei solo aggiungere che è giunto il momento le donne di rivendicare la scelta di non avere un figlio, così come è giusto rivendicare l’aborto quale diritto umano. Mi vengono i brividi a fare questa affermazione considerando gli eventi recenti. In altre parole, è giusto considerare le complessità e il dolore che accompagnano certe scelte, che non sono mai facili e nel momento in cui, ciascuno di noi, ammette la propria impotenza rispetto alla vastità del tema e della scelta che è chiamata ad affrontare, è a quel punto che assume una certa potenza. Lo dico da donna francese, cioè da persona che gode di tutta una serie di diritti del paese, ma rivendico comunque la complessità e credo che questa non sia rappresentata in modo adeguato, nel cinema in particolare. Ritengo sia giunto il momento di compiere un altro passo. Vorrei che la scelta di non avere figli fosse una scelta sì sofferta in una certa misura, ma anche solare e positiva per molte donne.
A cura di Omar Franini
INT-08
08.09.2022
Una donna, per sentirsi completamente realizzata nella vita, deve necessariamente avere dei figli? Sono queste le domande alla base di Les Enfants des Autres, quinto lungometraggio di Rebecca Zlotowski, presentato in concorso a Venezia qualche giorno fa. Rachel, è una donna di quarant’anni, la quale, dopo aver incontrato Ali e sua figlia Leila, inizia a desiderare una famiglia propria e si affligge per l’impossibilità momentanea di non avere figli con il suo nuovo compagno.
Come nei precedenti film della regista francese, tra cui Une Fille Facile (2019) e la sua opera prima Belle Épine (2010), Rebecca Zlotowski analizza un periodo di transizione nella vita della propria protagonista. Ad interpretare Rachel è Virginie Efira, attualmente una delle attrici più richieste in Francia. L’abilità con cui l’interprete di origini belghe riesce ad adattarsi ad ogni ruolo è davvero impressionante e l’attrice ha raggiunto fama internazionale solo lo scorso anno grazie alle provocative performance in Benedetta di Paul Verhoeven e La Doppia Vita Di Madeleine Collins di Antoine Barraud. In Les Enfants des Autres, come nel film Don Juan di Serge Bozon (presentato lo scorso maggio al Festival di Cannes e di cui abbiamo parlato nella nostra intervista e al regista e all’attore del film), Virginie Efira porta, invece, sullo schermo un personaggio che si discosta dalle interpretazioni intense appena citate; Rachel è una donna che ama la vita, i suoi studenti e la sua “nuova” famiglia. Lo spettatore avrà difficoltà a non empatizzare con la condizione di questa donna.
Il film verrà distribuito da Europictures nelle nostre sale il 22 settembre e vi consigliamo ampiamente di vedere questa commedia romantica francese dai toni delicati e leggeri, ma comunque in grado di affrontare argomenti spinosi per molte donne. Al Festival di Venezia abbiamo avuto l’occasione di intervistare e di avere una piacevole conversazione con la regista Rebecca Zlotowski, l’attrice Virginie Efira e l’attore Roschdy Zem (interprete di Ali), con i quali abbiamo parlato di ciò che ha ispirato la regista, del ruolo della “madre” al giorno d’oggi e della singolare scelta di affidare il ruolo del ginecologo della protagonista al rinomato documentarista Frederick Wiseman.
È molto interessante come tu ti sia avvicinata a un tema così delicato come quello della maternità. Spesso, quando si affronta tale argomento, si creano due fazioni: chi ne ha fatto esperienza e la ritiene un passaggio essenziale della vita di una donna, e chi sostiene il contrario. Il suo film non prende una posizione netta in merito, riesce a trovare un equilibrio tra questi due punti di vista. Dunque, come hai lavorato sulla sceneggiatura insieme ai tuoi attori, e in particolare Virginie, per trovare questo “equilibrio”?
RZ: la domanda è estremamente vasta ed è alla base del progetto, che contiene effettivamente, a mio malgrado, anche un’affermazione politica rispetto alla maternità, senza che ci sia effettivamente un’ideologia ben espressa. Nel senso… c’è un personaggio che non ha figli, quello di Rachel, sul quale il film non si sbilancia nell'esprimere un giudizio, ma il messaggio, in qualche modo politico, se non ideologico, sta proprio nel fatto che una donna può esistere anche senza dei figli. C’è una presa di posizione rispetto al fatto che una donna ha la capacità di avere la sua forza e la sua realizzazione anche nel momento in cui non concepisce dei figli e questa riflessione è stata un punto fermo durante la scrittura di Les Enfants des Autres. Cerco sempre di mescolare elementi della nostra quotidianità con dei sentimenti, delle emozioni, che si possono provare solo in determinate situazioni, cercando di creare un equilibrio tra essi. Ma lo stesso potrebbe valere in un contesto di conflitto interiore, e questo film è stato un tentativo in questo senso.
La regista Rebecca Zlotowski e l’attore Roschdy Zem
Vorremmo sapere anche il punto di vista dei due attori.
VE: quando ho letto la sceneggiatura di Rebecca, immediatamente ho colto la descrizione di un momento particolare nella vita di una donna che non avevo mai visto rappresentato al cinema e che corrisponde con una riflessione personale, pur essendo una situazione universale che appartiene a tutte le donne. Fa parte di una sorta di insieme di sentimenti, di desideri, molto sfumati, che hanno a che fare con l’impossibilità di una donna di scegliere. Sono dei sentimenti che può provare, come in questo film, essendo solamente la matrigna della figlia del proprio compagno e senza avere figli propri. In sostanza, è un tema, è una sceneggiatura che apre ad una serie di domande, senza necessariamente dare delle risposte, ma che corrisponde molto al mio vissuto, alle mie riflessioni personali che hanno scolpito la mia identità, cioè che sono state costitutive per me stessa, proprio perché nella mia vita ci sono state queste situazioni.
RoZ: La mia condizione di uomo, ma soprattutto di attore a cui è stato proposto questo personaggio, ha suscitato in me il sentirmi privilegiato nel portare sullo schermo, per la prima volta, una storia così tipicamente del ventunesimo secolo. È un tema che pochissimi registi hanno mai affrontato prima d’ora, e il fatto che una regista come Rebecca abbia avuto l’idea di questo progetto, apre la porta ad una nuova era del cinema e della narrazione cinematografica. Nessuno ha mai pensato di raccontare questa vicenda nei termini in cui lo fa Rebecca, e così si aprono le porte per quello che sarà il futuro del cinema, futuro che, a mio parere, sarà declinato al femminile.
Roschdy Zem e Virginie Efira durante l’intervista.
Les Enfants des Autres rappresenta una storia attuale, dove spesso le persone si incontrano con già alle spalle un vissuto importante e i figli diventano un terreno di scontro, l’unico “ostacolo” all’amore. Quale è la motivazione che ti ha spinta a raccontare questa storia? C’è qualcosa di personale in questa film?
RZ: Sicuramente è difficile riuscire a tracciare un ritratto dei bambini nella loro ambivalenza, nella loro presenza in una storia di coppia. Perché, se da un lato sono sicuramente una benedizione, dall’altro rappresentano un elemento di “disturbo” nella vita genitoriale, e bisogna normalizzare il fatto che spesso possano costituire un “peso”, sebbene sia le persone verso i quali riversiamo il più grande amore possibile. A lungo è stato un tabù mostrare i figli sotto questo punto di vista, ma non soltanto. Il film voleva mostrare una realtà differente rispetto a quella portata sullo schermo in altre opere passate. Quello che ho desiderato fare è stato tracciare un racconto estremamente semplice della storia d’amore tra Rachel e Ali, focalizzandosi solamente sui sentimenti dei due personaggi di fronte al desiderio del personaggio di Rachel diventare madre e decidere di esserlo per la figlia di Ali.
Puoi dirci qualcosa sulla scelta di fare recitare oer la prima volta nella sua carriera Frederick Wiseman, nel ruolo per di più di come ginecologo nel film?
RZ: Ho incontrato Frederick Wiseman qualche anno fa in un ascensore proprio qui a Venezia quando facevo parte della giuria di orizzonti. Lui era qui a presentare un suo film e abbiamo cominciato a scherzare sulle scarpe, io avevo delle scarpe molto eleganti mentre le sue sembravano molto comode, come se fossero delle pantofole (la regista scoppia a ridere, n.d.r.). Gli ho detto “belle scarpe!”, lui a quel punto ha risposto “sono le scarpe di un regista” e io ho replicato “anche le mie sono scarpe da regista”. Ci siamo presi un caffè poco dopo, e da lì ci siamo poi incontrati in diverse circostanze. Come voi sapete, Wiseman vive in Francia ed ha un forte senso dell’umorismo, perciò gli ho proposto questo ruolo ed è stato bellissimo vederlo in estremo imbarazzo davanti a Virginie con le gambe spalancate su una sedia ginecologica. Virginie con simpatia gli ha detto “tengo su le calze?” per provare a sdrammatizzare. Prima di fare la regista, sono stata un’insegnante di cinema e più nello specifico di documentari. Jean Rouch, un altro grande documentarista, si riteneva un “ricercatore nel museo dell’uomo” e mi piaceva l’idea di vedere Wiseman nel ruolo di un “ricercatore del corpo” delle sue pazienti. Aggiungo anche che Roschdy e Frederick sono nel mio film, ma hanno anche loro dei film a Venezia come registi (Les Miens del primo e Un Couple del secondo, n.d.r.) e il fatto che ci troviamo tutti e tre in Concorso è un buon auspicio. La parola “Wiseman” significa letteralmente “uomo saggio” e non volevo che ci fosse uno sguardo giudicante nei confronti del personaggio di Virginie, volevo un personaggio empatico, saggio, e Wiseman era la scelta più consona.
Il non avere figli è stato, per un certo numero di anni e da un punto di vista culturale, uno stigma. Secondo voi, è cambiata questa situazione?
VE: credo che qualcosa sia cambiato, ma perché è cambiata la posizione delle donne nella società; negli ultimi sessant’anni il ruolo della donna era confinato ad una sfera privata. Quindi con il tempo, iniziando a svolgere una funzione e un ruolo sociale, entrando nel mondo del lavoro, inevitabilmente si è cominciato a fare dei figli sempre più tardi. In questo modo la donna riesce a svincolarsi rispetto al ruolo materno che le è stato tradizionalmente assegnato. Le prospettive future per le donne si sono così ampliate, ma essendoci un orologio biologico, ad un certo punto ogni donna si domanda che tipo di vita vuole e se vuole “definirsi” madre.
RZ: concordo con tutto quello che Virginie ha detto, vorrei solo aggiungere che è giunto il momento le donne di rivendicare la scelta di non avere un figlio, così come è giusto rivendicare l’aborto quale diritto umano. Mi vengono i brividi a fare questa affermazione considerando gli eventi recenti. In altre parole, è giusto considerare le complessità e il dolore che accompagnano certe scelte, che non sono mai facili e nel momento in cui, ciascuno di noi, ammette la propria impotenza rispetto alla vastità del tema e della scelta che è chiamata ad affrontare, è a quel punto che assume una certa potenza. Lo dico da donna francese, cioè da persona che gode di tutta una serie di diritti del paese, ma rivendico comunque la complessità e credo che questa non sia rappresentata in modo adeguato, nel cinema in particolare. Ritengo sia giunto il momento di compiere un altro passo. Vorrei che la scelta di non avere figli fosse una scelta sì sofferta in una certa misura, ma anche solare e positiva per molte donne.