Il nostro resoconto delle due rassegne di
cinema più importanti al mondo, di
Aureliana Bontempo e
Diana Incorvaia
TR-34
24.09.2021
Da più di una settimana si è conclusa la 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Quest’anno abbiamo partecipato alle due rassegne che negli ultimi anni si contendono lo “scettro” di festival piú importante al mondo: Cannes e Venezia, appunto. Dopo esserci interrogate sull’impostazione da dare all’analisi di queste manifestazioni, abbiamo deciso di ragionare sull’identità di ciascuno dei due festival approfondendo la selezione dei film presentati e ripercorrendo i momenti salienti di questi magici giorni di cinema. Andiamo, quindi, per ordine.
6 luglio 2021: la lunga, lunghissima attesa è terminata. Dopo un anno complicato da una violenta quanto imprevista ondata pandemica che aveva costretto il Festival di Cannes al silenzio, le luci sulla Croisette si sono riaccese. Possiamo dirlo, tra Cannes e Venezia è stata una dura lotta, complice anche lo slittamento di qualche mese del festival francese che lo ha fatto cadere praticamente a ridosso della Mostra veneziana.
Sorprendentemente entrambi i concorsi sono stati più ricchi che mai, e, complice forse la voglia di ripartenza e la fame di normalità, hanno puntato su glamour e novità, proponendo anteprime attesissime ed aprendo le porte a stampa e star internazionali. Guerra aperta quindi per quanto riguarda i titoli in selezione e non (o almeno così abbiamo immaginato), eppure entrambi i festival hanno lavorato duramente per mantenere saldi i propri confini identitari.
Il Festival di Cannes si riconferma sovrano indiscusso nell’attirare a sé il grande cinema d’autore, ma con un occhio sempre attento alla contemporaneità. Non è un caso che la Palma d’oro di quest’anno sia stata assegnata ad una giovane regista, Julia Ducournau, per la sua opera seconda Titane. Vittoria platealmente annunciata da una gaffe del presidente di giuria Spike Lee ad inizio cerimonia di premiazione. Per molti un premio inaspettato e non meritato (Aureliana), ma per altri (Diana) assolutamente in linea con quello che il Festival di Cannes continua a rappresentare: il sacro tempio dell’autorialità intesa come la volontá di un/una regista di raccontare una storia con il proprio personale punto di vista, anche se si tratta di un film di genere (come questo) in cui tendenzialmente vigono forme di linguaggio codificate nel tempo.
In questo senso Titane è davvero una voce fuori dal coro, specialmente rispetto al tipico cinema d’autore francese al quale siamo (ben) abituati. La Ducournau firma un body-horror violento e magnetico, girato e interpretato magistralmente dalla sconosciuta e bravissima Agathe Rousselle. Ci sono sangue, omicidi, corpi squarciati e martoriati che spostano l’asticella del film d’autore europeo verso lidi finora inesplorati permettendo a una regista donna di portare sullo schermo la propria visione di ultra-violenza, ma vi assicuriamo che questa storia in realtà parla di ben altro. Il film è una riflessione profonda sul rapporto tra genitori e figli. Un incontro tra una figlia che necessita di essere riconosciuta e amata ed un padre che, per la perdita prematura di suo figlio, ha bisogno di amare incondizionatamente. Due figure complementari che si incontrano in una storia disperata che in fondo altro non è che una storia d’amore.
Per nulla stupisce quindi questa vittoria che ha letteralmente sbaragliato i molti Big del concorso.Una competizione di altissimo livello, iniziata con Annette, l’attesissimo musical di Leos Carax e prima pellicola in lingua inglese dell’ex enfant prodige del cinema francese. Annette è una struggente storia d’amore interpretata dalla coppia Marion Cotillard e Adam Driver. Il festival ha poi proseguito sulle orme del veterano Asghar Farhadi con il bellissimo A Hero, andato a premi come sua consuetudine (il regista iraniano ha già vinto sei premi tra Cannes e Berlino, più due Oscar), Paul Verhoeven ha firmato un film sensuale come Benedetta e Ryusuke Hamaguchi si conferma l’astro nascente del cinema giapponese contemporaneo con il profondissimo Drive My Car.
Per quanto riguarda “l’effetto accumulo”, dovuto ai film che erano programmati per la passata edizione (come quello di Wes Anderson), ciò ha prodotto un’eterogeneità di titoli, che ha indubbiamente alimentato un’industria che sta vivendo un periodo molto complicato. Nel complesso però Cannes non è riuscita a mantenere le aspettative del pubblico che, complice anche l’infinita attesa, erano altissime.
Tra le varie delusioni possiamo annoverare, con dispiacere, Tre piani di Nanni Moretti, film che ha finalmente visto la luce a Cannes, nonostante fosse pronto da diversi anni. La speranza di Moretti era sicuramente quella di portarsi a casa qualche premio, strizzando l’occhio ai francesi, da sempre grandi sostenitori del regista. Tuttavia è sopraggiunta la delusione, non solo da parte sua per la non vittoria, ma anche da parte degli spettatori. Se qualcuno, infatti, dovesse chiederci un parere sul film, non troverebbe un riscontro positivo. Tre piani, un prodotto dall'impianto fin troppo classico, è rimasto da una parte schiacciato dagli altri titoli in concorso, e dall’altra non ha retto bene il peso del tempo di attesa. Per la prima volta Moretti si affida ad una narrazione non personale. Tre Piani infatti nasce come adattamento del romanzo dell’autore israeliano Eshkol Neko. Il risultato è un film freddo, a tratti confuso e anonimo. La crisi borghese che è declinata in tre storie differenti, sembra un rimasticamento di intrecci noti e rinoti che nemmeno la splendida interpretazione di Margherita Buy (unico vero raggio di luce nel film) riesce a risollevare.
Stesso discorso per The French Dispatch, ultimo film di Wes Anderson su cui Cannes aveva riposto il famoso Bollino 2020. Anche qui forse le aspettative protratte così a lungo hanno contribuito a sgonfiare l’entusiasmo per il film che, nonostante un cast stellare e la riconoscibilità del marchio Wes Anderson, è passato piuttosto in sordina, dal momento che la sua struttura corale divisa in più episodi con storie diverse non riesce a coinvolgere lo spettatore dell’inizio dalla fine. Il film regala un piacere per gli occhi, tanto da poter essere considerato la miglior composizione estetica della carriera del regista, ma a livello emotivo è troppo povero.
Veniamo ora a Venezia. Una 78esima edizione piena, anzi pienissima di grandi nomi e di film attesissimi a livello globale. Uno su tutti Dune, di Denis Villeneuve, un vero e proprio gigante fuori concorso insieme a The Last Duel di Ridley Scott, e Last Night in Soho di Edgar Wright. Un’annata che non ha lasciato spazio a delusioni di alcun tipo nemmeno per il concorso, pieno di titoli di altissimo valore.
A trionfare (anche numericamente) gli italiani, da Sorrentino a Michelangelo Frammartino fino allo splendido film di Mario Martone Qui rido io, passando per le novità forse più attese su suolo nostrano e non solo, ovvero Freaks Out e America Latina. Una cosa è certa, a seguito delle prime proiezioni stampa sul lido de È stata la mano di Dio, per i restanti giorni quasi non si è parlato d’altro. Un Sorrentino come non lo abbiamo mai visto. Chi lo amava è rimasto un po’ spiazzato, chi non lo amava ha iniziato a rivalutarlo positivamente. È stata la mano di Dio è un film che indaga sulle piccole emozioni del quotidiano e sulla ricerca di sé di un giovane colpito dall’imprevedibilità della vita. Un film intimo e straordinario, toccante fino ad essere profondamente commovente ma sempre sincero. Probabilmente un comfort movie che entrerà presto nei libri di storia del cinema e farà incetta di premi alla prossima edizione dei David di Donatello.
Sembrava non ci fosse nessun dubbio, quindi, sul Leone d’Oro: tutti, dai giornalisti agli addetti ai lavori fino al pubblico di cinefili appassionati, erano convinti della vittoria di Paolo Sorrentino, che avendo alle spalle il colosso Netflix avrebbe tranquillamente potuto seguire le orme di Roma di Alfonso Cuarón. Con due grandi titoli in concorso (oltre a Sorrentino anche The Power of the Dog di Jane Campion), Venezia continua a mostrarsi aperta al colosso dello streaming, prendendo le distanze dalle scelte di Cannes).
Date queste premesse il Leone d’Oro a Sorrentino avrebbe confermato il percorso ormai consolidato a Venezia di aprire la strada verso gli Oscar. Eppure quest’anno qualcosa è cambiato. Tra rumors dell’ultimo momento e toto Leone di vario genere, l’ultimo giorno del Festival si respirava un’aria strana. Nulla sembrava più così scontato, ci si chiedeva se la giuria, capitanata dal premio Oscar Bong Joon-ho, avrebbe effettivamente seguito le orme delle giurie precedenti. In effetti no. Con grande sorpresa di molti il film di Paolo Sorrentino è stato premiato con il premio Mastroianni per la migliore interpretazione maschile del giovane protagonista Filippo Scotti, e con il Leone d’Argento.
Premio di assoluto pregio, ma a lasciare di stucco molti è stata la scelta, a quanto pare unanime della giuria, di premiare con l’ambito Leone D’oro l’opera seconda della regista francese Audrey Diwan, dal titolo L'Événement, che racconta la vicenda, nel pieno degli anni Sessanta, di una giovane studentessa minorenne che deve abortire. Il film, interpretato da una splendida Anamaria Vartolomei, è una Via Crucis di una giovane donna che sola contro tutti è decisa a costruirsi il proprio futuro ad ogni costo. Un film piccolo, intimo, privo di pietismi di sorta, che arriva dritto al punto come un lama tagliente. Un unicum nella competizione per stile e linguaggio, quasi più vicino alla linea autoriale di Cannes, che non regge però il confronto con tanti altri titoli in concorso a Venezia. Per questo molti sono rimasti negativamente sorpresi da questa scelta, che in maniera inaspettata ha sbaragliato dei giganti mettendo d’accordo tutta la giuria.
Una vittoria interessante se inserita nel contesto di Venezia degli ultimi anni. Come abbiamo accennato in precedenza, Venezia fino a quest’anno aveva fatto da apripista agli Oscar (si pensi a The Shape of Water di Del Toro, Roma di Alfonso Cuarón o alla vittoria di Joker di Todd Phillips). Quest’anno invece a trionfare è stato un film dal profilo altamente autoriale. Cannes e Venezia quindi portano a casa due vittorie davvero molto diverse.
Da una parte Titane, un film esuberante, violento e colorato che rimastica il genere per parlare d’amore, e dall’altra L'Événement, più intimo, ma di forte impatto. Due storie al femminile di due giovani e talentuosissime registe. Mai nella storia era accaduto che, nello stesso anno solare, trionfassero tre registe donne nei premi cinematografici più ambiti al mondo: l’Oscar al miglior film / regia, la Palma d’Oro e il Leone d’oro, un segnale forte da parte dell’industria cinematografica che sancisce, almeno nei premi, la paritá di diritti.
Oltre ai già elencati, i titoli di questa edizione della Mostra, che ci porteremo nel cuore, sono opere magistrali ma passate in sordina durante la premiazione, quali The Card Counter di Paul Schrader, Spencer di Pablo Larraín e Pubu di Chung Mong-hong, film in concorso nella sezione Orizzonti.
E qui si apre un ragionamento che riteniamo possa rappresentare l’essenza di entrambi i festival. Se infatti è vero che la corsa ad accaparrarsi i migliori titoli per la selezione ufficiale porta ogni anno a decretare quale tra Cannes e Venezia sia stato il migliore, ricordiamoci che a sorreggere le sorti future di una specifica edizione sono soprattutto le selezioni minori. Quante volte abbiamo letto di giovani autori le cui opere prime passavano per l’Un Certain Regard di Cannes?
Da un lato, quindi, troviamo Cannes con Un Certain Regard, Quinzaine e La semaine de la critique, e dall’altra Orizzonti, la SIC e Giornate degli autori a Venezia. Spulciando tra i titoli di queste sezioni parallele, è stato interessante ritrovarne alcuni assai di rilievo.
Interessante per quanto riguarda Cannes la scelta di avere nella sezione della Quinzaine diversi titoli italiani, almeno tre, che si differenziano in maniera assai netta dal Tre piani in concorso, ma anche dallo splendido Marx può aspettare, fuori concorso, del maestro Marco Bellocchio. A Chiara di Jonas Carpignano, Futura di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher e Piccolo Corpo di Laura Samani. Tre film che ricercano, sperimentano e trovano tipi di racconto diversi da quelli canonici imposti dall’industria. Sguardi personali e poco convenzionali contrapposti invece ad uno stile di racconto assai classico come quello proposto da Nanni Moretti in Tre Piani. Quello che emerge ad uno sguardo più attento è l’attenzione riposta dal festival di Cannes nel donare un’identità ben precisa ad ogni sezione del Festival, mantenendo sempre alto il livello di qualità.
A proposito di Venezia, Orizzonti, come ogni anno, fatica invece a dimostrare la sua identità. Film totalmente disparati per genere, autorialità e tematica, con molti scivoloni al suo interno, ma anche grandi titoli al pari di una competizione ufficiale come Amira di Mohamed Diab e il folle Inu-ō di Masaaki Yuasa. Le Giornate degli autori, al contrario, sbaragliando come sempre la Settimana della Critica (SIC), ci regalano piccole sorprese come l’enigmatico Madeleine Collins di Antoine Barraud, dove troviamo forse la miglior performance in carriera di Virginie Efira, stella nascita del cinema francese.
In termini di mera organizzazione a seguito dell’emergenza sanitaria tutt’ora in corso, i due festival hanno scelto di adottare misure di contenimento differenti. Tamponi gratis per accreditati su prenotazione in entrambi i festival, ma scelte diverse per quanto riguarda la capienza delle sale. A lasciarci perplesse è stata la decisione presa da Cannes di abolire il distanziamento tra una poltrona e l’altra per arrivare alla capienza di sala totale. Sarà questo il motivo all’origine delle disdette dei molti che hanno preferito non prendere parte al Festival francese? Probabile. Qualche pecca a livello organizzativo in ambito di controllo di negatività del tampone (da ripetere ogni 48h), da esibire al momento dell’ingresso delle sale principali del Palais du Festival, è vero, ma la possibilità di poter usufruire di tamponi molecolari ripetutamente ha fatto sì che potessimo goderci l’esperienza in tutta tranquillità.
Diverso invece il discorso per il Festival di Venezia che, essendosi svolto a partire dal 1 settembre 2021, ha attuato le normative in vigore da agosto, quindi obbligo di esibizione di Green Pass per l’accesso in sala offrendo comunque a tutti gli accreditati la possibilità di prenotare un tampone gratuito nei pressi dell’entrata alla Mostra. La vera differenza però è stata la scelta di non arrivare a una capienza di sala totale, ma di mantenere la metà dei posti vuoti così da rispettare il distanziamento tra gli spettatori. Tutto è bene quel che è organizzato bene, e nel rispetto delle regole sulla carta, non fosse che il numero degli accrediti, nettamente superiore a quello dell’anno precedente, ha generato momenti di panico diffuso al momento di prenotazione dei film. Nulla di così grave o irrimediabile, la situazione è infatti nettamente migliorata dopo il primo weekend di fuoco.
Abolite le infinite e celebri code fuori delle sale del Lido in favore di un sistema di prenotazione online attraverso la piattaforma di Boxol, vera star della Mostra veneziana. Messo da parte qualche piccolo problema gestionale entrambe le esperienze festivaliere ci hanno regalato momenti magici: è stato emozionante quest’anno ritrovare la stessa atmosfera degli anni pre-pandemici, tanti giovani cinefili (anche coloro che a Cannes tentano di entrare alle proiezioni supplicando fuori dal Palais), lunghe discussioni dopo le proiezioni e la sorpresa di ritrovarsi accanto un Paul Schrader, un Vincent Lindon o un Bong Joon-ho.
In conclusione possiamo dire senza ombra di dubbio che decretare quest’anno un vincitore tra Cannes e Venezia è veramente impossibile, e questo ci rende immensamente felici. È evidente infatti come il cinema, che ha visto lunghi mesi di buio, tra sale chiuse e poche nuove uscite, sia tornato più forte di prima, carico di storie e generi diversi che riescono ad accontentare qualsiasi tipo di pubblico, il quale, ci auguriamo che verrà spinto da un'irrefrenabile desiderio di tornare a guardare i film sul grande schermo visto che, almeno quest’anno, la qualitá sicuramente non manca.
Il nostro resoconto delle due rassegne di
cinema più importanti al mondo, di
Aureliana Bontempo e
Diana Incorvaia
TR-34
24.09.2021
Da più di una settimana si è conclusa la 78esima edizione della Mostra del Cinema di Venezia. Quest’anno abbiamo partecipato alle due rassegne che negli ultimi anni si contendono lo “scettro” di festival piú importante al mondo: Cannes e Venezia, appunto. Dopo esserci interrogate sull’impostazione da dare all’analisi di queste manifestazioni, abbiamo deciso di ragionare sull’identità di ciascuno dei due festival approfondendo la selezione dei film presentati e ripercorrendo i momenti salienti di questi magici giorni di cinema. Andiamo, quindi, per ordine.
6 luglio 2021: la lunga, lunghissima attesa è terminata. Dopo un anno complicato da una violenta quanto imprevista ondata pandemica che aveva costretto il Festival di Cannes al silenzio, le luci sulla Croisette si sono riaccese. Possiamo dirlo, tra Cannes e Venezia è stata una dura lotta, complice anche lo slittamento di qualche mese del festival francese che lo ha fatto cadere praticamente a ridosso della Mostra veneziana.
Sorprendentemente entrambi i concorsi sono stati più ricchi che mai, e, complice forse la voglia di ripartenza e la fame di normalità, hanno puntato su glamour e novità, proponendo anteprime attesissime ed aprendo le porte a stampa e star internazionali. Guerra aperta quindi per quanto riguarda i titoli in selezione e non (o almeno così abbiamo immaginato), eppure entrambi i festival hanno lavorato duramente per mantenere saldi i propri confini identitari.
Il Festival di Cannes si riconferma sovrano indiscusso nell’attirare a sé il grande cinema d’autore, ma con un occhio sempre attento alla contemporaneità. Non è un caso che la Palma d’oro di quest’anno sia stata assegnata ad una giovane regista, Julia Ducournau, per la sua opera seconda Titane. Vittoria platealmente annunciata da una gaffe del presidente di giuria Spike Lee ad inizio cerimonia di premiazione. Per molti un premio inaspettato e non meritato (Aureliana), ma per altri (Diana) assolutamente in linea con quello che il Festival di Cannes continua a rappresentare: il sacro tempio dell’autorialità intesa come la volontá di un/una regista di raccontare una storia con il proprio personale punto di vista, anche se si tratta di un film di genere (come questo) in cui tendenzialmente vigono forme di linguaggio codificate nel tempo.
In questo senso Titane è davvero una voce fuori dal coro, specialmente rispetto al tipico cinema d’autore francese al quale siamo (ben) abituati. La Ducournau firma un body-horror violento e magnetico, girato e interpretato magistralmente dalla sconosciuta e bravissima Agathe Rousselle. Ci sono sangue, omicidi, corpi squarciati e martoriati che spostano l’asticella del film d’autore europeo verso lidi finora inesplorati permettendo a una regista donna di portare sullo schermo la propria visione di ultra-violenza, ma vi assicuriamo che questa storia in realtà parla di ben altro. Il film è una riflessione profonda sul rapporto tra genitori e figli. Un incontro tra una figlia che necessita di essere riconosciuta e amata ed un padre che, per la perdita prematura di suo figlio, ha bisogno di amare incondizionatamente. Due figure complementari che si incontrano in una storia disperata che in fondo altro non è che una storia d’amore.
Per nulla stupisce quindi questa vittoria che ha letteralmente sbaragliato i molti Big del concorso.Una competizione di altissimo livello, iniziata con Annette, l’attesissimo musical di Leos Carax e prima pellicola in lingua inglese dell’ex enfant prodige del cinema francese. Annette è una struggente storia d’amore interpretata dalla coppia Marion Cotillard e Adam Driver. Il festival ha poi proseguito sulle orme del veterano Asghar Farhadi con il bellissimo A Hero, andato a premi come sua consuetudine (il regista iraniano ha già vinto sei premi tra Cannes e Berlino, più due Oscar), Paul Verhoeven ha firmato un film sensuale come Benedetta e Ryusuke Hamaguchi si conferma l’astro nascente del cinema giapponese contemporaneo con il profondissimo Drive My Car.
Per quanto riguarda “l’effetto accumulo”, dovuto ai film che erano programmati per la passata edizione (come quello di Wes Anderson), ciò ha prodotto un’eterogeneità di titoli, che ha indubbiamente alimentato un’industria che sta vivendo un periodo molto complicato. Nel complesso però Cannes non è riuscita a mantenere le aspettative del pubblico che, complice anche l’infinita attesa, erano altissime.
Tra le varie delusioni possiamo annoverare, con dispiacere, Tre piani di Nanni Moretti, film che ha finalmente visto la luce a Cannes, nonostante fosse pronto da diversi anni. La speranza di Moretti era sicuramente quella di portarsi a casa qualche premio, strizzando l’occhio ai francesi, da sempre grandi sostenitori del regista. Tuttavia è sopraggiunta la delusione, non solo da parte sua per la non vittoria, ma anche da parte degli spettatori. Se qualcuno, infatti, dovesse chiederci un parere sul film, non troverebbe un riscontro positivo. Tre piani, un prodotto dall'impianto fin troppo classico, è rimasto da una parte schiacciato dagli altri titoli in concorso, e dall’altra non ha retto bene il peso del tempo di attesa. Per la prima volta Moretti si affida ad una narrazione non personale. Tre Piani infatti nasce come adattamento del romanzo dell’autore israeliano Eshkol Neko. Il risultato è un film freddo, a tratti confuso e anonimo. La crisi borghese che è declinata in tre storie differenti, sembra un rimasticamento di intrecci noti e rinoti che nemmeno la splendida interpretazione di Margherita Buy (unico vero raggio di luce nel film) riesce a risollevare.
Stesso discorso per The French Dispatch, ultimo film di Wes Anderson su cui Cannes aveva riposto il famoso Bollino 2020. Anche qui forse le aspettative protratte così a lungo hanno contribuito a sgonfiare l’entusiasmo per il film che, nonostante un cast stellare e la riconoscibilità del marchio Wes Anderson, è passato piuttosto in sordina, dal momento che la sua struttura corale divisa in più episodi con storie diverse non riesce a coinvolgere lo spettatore dell’inizio dalla fine. Il film regala un piacere per gli occhi, tanto da poter essere considerato la miglior composizione estetica della carriera del regista, ma a livello emotivo è troppo povero.
Veniamo ora a Venezia. Una 78esima edizione piena, anzi pienissima di grandi nomi e di film attesissimi a livello globale. Uno su tutti Dune, di Denis Villeneuve, un vero e proprio gigante fuori concorso insieme a The Last Duel di Ridley Scott, e Last Night in Soho di Edgar Wright. Un’annata che non ha lasciato spazio a delusioni di alcun tipo nemmeno per il concorso, pieno di titoli di altissimo valore.
A trionfare (anche numericamente) gli italiani, da Sorrentino a Michelangelo Frammartino fino allo splendido film di Mario Martone Qui rido io, passando per le novità forse più attese su suolo nostrano e non solo, ovvero Freaks Out e America Latina. Una cosa è certa, a seguito delle prime proiezioni stampa sul lido de È stata la mano di Dio, per i restanti giorni quasi non si è parlato d’altro. Un Sorrentino come non lo abbiamo mai visto. Chi lo amava è rimasto un po’ spiazzato, chi non lo amava ha iniziato a rivalutarlo positivamente. È stata la mano di Dio è un film che indaga sulle piccole emozioni del quotidiano e sulla ricerca di sé di un giovane colpito dall’imprevedibilità della vita. Un film intimo e straordinario, toccante fino ad essere profondamente commovente ma sempre sincero. Probabilmente un comfort movie che entrerà presto nei libri di storia del cinema e farà incetta di premi alla prossima edizione dei David di Donatello.
Sembrava non ci fosse nessun dubbio, quindi, sul Leone d’Oro: tutti, dai giornalisti agli addetti ai lavori fino al pubblico di cinefili appassionati, erano convinti della vittoria di Paolo Sorrentino, che avendo alle spalle il colosso Netflix avrebbe tranquillamente potuto seguire le orme di Roma di Alfonso Cuarón. Con due grandi titoli in concorso (oltre a Sorrentino anche The Power of the Dog di Jane Campion), Venezia continua a mostrarsi aperta al colosso dello streaming, prendendo le distanze dalle scelte di Cannes).
Date queste premesse il Leone d’Oro a Sorrentino avrebbe confermato il percorso ormai consolidato a Venezia di aprire la strada verso gli Oscar. Eppure quest’anno qualcosa è cambiato. Tra rumors dell’ultimo momento e toto Leone di vario genere, l’ultimo giorno del Festival si respirava un’aria strana. Nulla sembrava più così scontato, ci si chiedeva se la giuria, capitanata dal premio Oscar Bong Joon-ho, avrebbe effettivamente seguito le orme delle giurie precedenti. In effetti no. Con grande sorpresa di molti il film di Paolo Sorrentino è stato premiato con il premio Mastroianni per la migliore interpretazione maschile del giovane protagonista Filippo Scotti, e con il Leone d’Argento.
Premio di assoluto pregio, ma a lasciare di stucco molti è stata la scelta, a quanto pare unanime della giuria, di premiare con l’ambito Leone D’oro l’opera seconda della regista francese Audrey Diwan, dal titolo L'Événement, che racconta la vicenda, nel pieno degli anni Sessanta, di una giovane studentessa minorenne che deve abortire. Il film, interpretato da una splendida Anamaria Vartolomei, è una Via Crucis di una giovane donna che sola contro tutti è decisa a costruirsi il proprio futuro ad ogni costo. Un film piccolo, intimo, privo di pietismi di sorta, che arriva dritto al punto come un lama tagliente. Un unicum nella competizione per stile e linguaggio, quasi più vicino alla linea autoriale di Cannes, che non regge però il confronto con tanti altri titoli in concorso a Venezia. Per questo molti sono rimasti negativamente sorpresi da questa scelta, che in maniera inaspettata ha sbaragliato dei giganti mettendo d’accordo tutta la giuria.
Una vittoria interessante se inserita nel contesto di Venezia degli ultimi anni. Come abbiamo accennato in precedenza, Venezia fino a quest’anno aveva fatto da apripista agli Oscar (si pensi a The Shape of Water di Del Toro, Roma di Alfonso Cuarón o alla vittoria di Joker di Todd Phillips). Quest’anno invece a trionfare è stato un film dal profilo altamente autoriale. Cannes e Venezia quindi portano a casa due vittorie davvero molto diverse.
Da una parte Titane, un film esuberante, violento e colorato che rimastica il genere per parlare d’amore, e dall’altra L'Événement, più intimo, ma di forte impatto. Due storie al femminile di due giovani e talentuosissime registe. Mai nella storia era accaduto che, nello stesso anno solare, trionfassero tre registe donne nei premi cinematografici più ambiti al mondo: l’Oscar al miglior film / regia, la Palma d’Oro e il Leone d’oro, un segnale forte da parte dell’industria cinematografica che sancisce, almeno nei premi, la paritá di diritti.
Oltre ai già elencati, i titoli di questa edizione della Mostra, che ci porteremo nel cuore, sono opere magistrali ma passate in sordina durante la premiazione, quali The Card Counter di Paul Schrader, Spencer di Pablo Larraín e Pubu di Chung Mong-hong, film in concorso nella sezione Orizzonti.
E qui si apre un ragionamento che riteniamo possa rappresentare l’essenza di entrambi i festival. Se infatti è vero che la corsa ad accaparrarsi i migliori titoli per la selezione ufficiale porta ogni anno a decretare quale tra Cannes e Venezia sia stato il migliore, ricordiamoci che a sorreggere le sorti future di una specifica edizione sono soprattutto le selezioni minori. Quante volte abbiamo letto di giovani autori le cui opere prime passavano per l’Un Certain Regard di Cannes?
Da un lato, quindi, troviamo Cannes con Un Certain Regard, Quinzaine e La semaine de la critique, e dall’altra Orizzonti, la SIC e Giornate degli autori a Venezia. Spulciando tra i titoli di queste sezioni parallele, è stato interessante ritrovarne alcuni assai di rilievo.
Interessante per quanto riguarda Cannes la scelta di avere nella sezione della Quinzaine diversi titoli italiani, almeno tre, che si differenziano in maniera assai netta dal Tre piani in concorso, ma anche dallo splendido Marx può aspettare, fuori concorso, del maestro Marco Bellocchio. A Chiara di Jonas Carpignano, Futura di Pietro Marcello, Francesco Munzi e Alice Rohrwacher e Piccolo Corpo di Laura Samani. Tre film che ricercano, sperimentano e trovano tipi di racconto diversi da quelli canonici imposti dall’industria. Sguardi personali e poco convenzionali contrapposti invece ad uno stile di racconto assai classico come quello proposto da Nanni Moretti in Tre Piani. Quello che emerge ad uno sguardo più attento è l’attenzione riposta dal festival di Cannes nel donare un’identità ben precisa ad ogni sezione del Festival, mantenendo sempre alto il livello di qualità.
A proposito di Venezia, Orizzonti, come ogni anno, fatica invece a dimostrare la sua identità. Film totalmente disparati per genere, autorialità e tematica, con molti scivoloni al suo interno, ma anche grandi titoli al pari di una competizione ufficiale come Amira di Mohamed Diab e il folle Inu-ō di Masaaki Yuasa. Le Giornate degli autori, al contrario, sbaragliando come sempre la Settimana della Critica (SIC), ci regalano piccole sorprese come l’enigmatico Madeleine Collins di Antoine Barraud, dove troviamo forse la miglior performance in carriera di Virginie Efira, stella nascita del cinema francese.
In termini di mera organizzazione a seguito dell’emergenza sanitaria tutt’ora in corso, i due festival hanno scelto di adottare misure di contenimento differenti. Tamponi gratis per accreditati su prenotazione in entrambi i festival, ma scelte diverse per quanto riguarda la capienza delle sale. A lasciarci perplesse è stata la decisione presa da Cannes di abolire il distanziamento tra una poltrona e l’altra per arrivare alla capienza di sala totale. Sarà questo il motivo all’origine delle disdette dei molti che hanno preferito non prendere parte al Festival francese? Probabile. Qualche pecca a livello organizzativo in ambito di controllo di negatività del tampone (da ripetere ogni 48h), da esibire al momento dell’ingresso delle sale principali del Palais du Festival, è vero, ma la possibilità di poter usufruire di tamponi molecolari ripetutamente ha fatto sì che potessimo goderci l’esperienza in tutta tranquillità.
Diverso invece il discorso per il Festival di Venezia che, essendosi svolto a partire dal 1 settembre 2021, ha attuato le normative in vigore da agosto, quindi obbligo di esibizione di Green Pass per l’accesso in sala offrendo comunque a tutti gli accreditati la possibilità di prenotare un tampone gratuito nei pressi dell’entrata alla Mostra. La vera differenza però è stata la scelta di non arrivare a una capienza di sala totale, ma di mantenere la metà dei posti vuoti così da rispettare il distanziamento tra gli spettatori. Tutto è bene quel che è organizzato bene, e nel rispetto delle regole sulla carta, non fosse che il numero degli accrediti, nettamente superiore a quello dell’anno precedente, ha generato momenti di panico diffuso al momento di prenotazione dei film. Nulla di così grave o irrimediabile, la situazione è infatti nettamente migliorata dopo il primo weekend di fuoco.
Abolite le infinite e celebri code fuori delle sale del Lido in favore di un sistema di prenotazione online attraverso la piattaforma di Boxol, vera star della Mostra veneziana. Messo da parte qualche piccolo problema gestionale entrambe le esperienze festivaliere ci hanno regalato momenti magici: è stato emozionante quest’anno ritrovare la stessa atmosfera degli anni pre-pandemici, tanti giovani cinefili (anche coloro che a Cannes tentano di entrare alle proiezioni supplicando fuori dal Palais), lunghe discussioni dopo le proiezioni e la sorpresa di ritrovarsi accanto un Paul Schrader, un Vincent Lindon o un Bong Joon-ho.
In conclusione possiamo dire senza ombra di dubbio che decretare quest’anno un vincitore tra Cannes e Venezia è veramente impossibile, e questo ci rende immensamente felici. È evidente infatti come il cinema, che ha visto lunghi mesi di buio, tra sale chiuse e poche nuove uscite, sia tornato più forte di prima, carico di storie e generi diversi che riescono ad accontentare qualsiasi tipo di pubblico, il quale, ci auguriamo che verrà spinto da un'irrefrenabile desiderio di tornare a guardare i film sul grande schermo visto che, almeno quest’anno, la qualitá sicuramente non manca.