NC-122
09.08.2022
Nope è il terzo lungometraggio di Jordan Peele, film che ha come protagonisti OJ (Daniel Kaluuya) e Emerald (Keke Palmer), due fratelli che vivono in una valle solitaria della California e che si occupano di un ranch di cavalli. Un giorno iniziano a percepire qualcosa di strano intorno a loro e si ritrovano a essere protagonisti di una scoperta allarmante ed inquietante.
Attraverso la conversazione che segue, i redattori Omar Franini e Arturo Garavaglia provano a discutere le tematiche presenti nel film e come Peele stia ridefinendo il genere horror.
Omar Franini: non è stato facile parlare di Nope dopo la visione, il film mi è piaciuto molto, ma c’è qualcosa che non mi ha convinto fino in fondo, soprattutto la sottotrama che riguarda Jupe, personaggio interpretato da Steven Yeun. Ma prima di parlare di questo aspetto, volevo fare qualche considerazione su Jordan Peele e su come stia “ridefinendo” il genere horror. Uno dei tratti caratteristici del regista americano è l’abilità con cui mescola diversi generi, i suoi film non si limitano mai ad essere solo degli “horror”. Oltre al marcato tono umoristico già presente nei suoi due film precedenti, in Nope ho ritrovato dei tratti del cinema western, ma anche dei richiami a film di fantascienza/avventura degli anni ‘90, Tremors di Ron Underwood su tutti.
Arturo Garavaglia: concordo con te, appena terminato Nope ho avuto la sensazione di aver assistito a qualcosa di decisamente troppo grande per essere rielaborato nell'immediato. In parte deve aver contribuito questa vera e propria fusione, forse riuscita solamente a metà ma comunque degna di analisi, fra generi tipicamente americani che Peele utilizza per muovere una critica alla società contemporanea americana. È importante sottolineare che il genere, secondo la tradizione cinematografica, è sempre legato alla società a cui si rivolge e che quindi proprio grazie al genere e all'unione di essi Peele riesce a conferire a questa satira una visione più ampia.
Un'altra cosa che mi ha colpito del film è questo senso di richiamo all'origine della storia del cinema o meglio, dell'immagine in movimento con i celebri esperimenti di Muybridge. Da decenni ormai il cinema americano riflette sulle sue origini, in questo caso Peele elabora un’interessante riflessione sul tema dell'ossessione della visione che, nella società contemporanea non è più solamente propria del regista e di chi produce immagini per professione, ma della stessa società "civile" di cui facciamo parte tutti. Proprio sul tema dell'ossessione della visione e del tabù contemporaneo della non visione, mi viene da dire, Peele è in grado di offrire gli spunti più interessanti di questo film.
Omar Franini: Visto che citi l’ossessione della visione e l'immortale delle immagini, mi ricollego al discorso che avevo accennato all’inizio, quello sul personaggio di Jupe. Secondo me questo rappresenta uno dei lati deboli del film, più che altro perché Peele aveva tra le mani un personaggio con cui poteva osare di più. Jupe è un ex attore bambino che ha un’esperienza traumatica alle spalle: era il protagonista di una serie tv con al centro una scimmia, Gordy, ma un giorno sul set, questa si “ribella” e uccide la maggior parte del cast. Jupe è uno dei pochi superstiti e crede di essersi salvato grazie a una “connessione” con Gordy tramite contatto visivo. Ma questa intesa non è diretta visto che, fra i due personaggi, si contrappone un velo. E come possiamo vedere nel film, questo evento terrificante ha plasmato la figura di Jupe, che ora è proprietario di un eccentrico parco di divertimenti, possiede un museo dedicato alla serie tv che aveva fatto con Gordy e si comporta come un televangelista. Jupe pensava di riuscire a stabilire la stessa “connessione” anche con Jean Jacket, la creatura aliena, ma i risultati questa volta sono diversi proprio perché tra i due non c’è un velo che impedisca il contatto diretto. Tutti questi aspetti sono molto interessanti, ma Peele non è riuscito a sfruttarli appieno.
Arturo Garavaglia: concordo. La sensazione che ho avuto è che Peele abbia utilizzato il personaggio di Jupe e della scimmia Gordy per "raddoppiare" il significato di un film che in realtà sceglie di focalizzarsi su altri personaggi e su altre situazioni con meno sofisticatezza di quella dedicata alla sottotrama di Jupe. Lo stesso personaggio del regista che viene coinvolto nelle riprese di Jean Jacket rappresenta l'ossessione della visione, della volontà di contatto data dallo sguardo della macchina da presa, di quel "filmare fino alla morte" che è tipico di un discorso metacinematografico nato nel cinema "d'autore" e approdato poi al genere horror. Ma sono spunti, certamente interessanti, che forse non riescono a trovare il giusto spazio in una storia che attraverso il genere (e i generi) cerca di portare a galla molteplici tematiche e allo stesso tempo di non lasciarle prevalere su una componente più spettacolare e di intrattenimento.
Omar Franini: un ultimo aneddoto, se così posso definirlo, sul personaggio di Gordy. Tendo a rimanere in sala anche durante i titoli di coda e mentre stavano scorrendo i nomi degli attori presenti nel cast, ho notato che la scimmia è stata “interpretata” da Terry Notary. L’attore americano è meglio conosciuto per la sua carriera come stunt-double e movement coach, ha lavorato nella saga de Il Pianeta delle Scimmie e anche in quella de Lo Hobbit. Ma la cosa simpatica di questo casting, risiede nel fatto che l’attore era anche presente in The Square di Ruben Östlund e nel film, lui interpretava un artista le cui performance consistevano nel comportarsi come una bestia selvaggia (una scimmia nello specifico) davanti un pubblico. È interessante paragonare le due scene, in Nope vediamo l’umanizzazione di Gordy, mentre in The Square vediamo l’animalizzazione di questo artista. In entrambi i casi vediamo due estremizzazioni nel mondo dell’arte, lo sfruttamento costante degli animali nell’industria hollywoodiana da una parte e, dall’altra, l’esasperata ricerca nel voler scatenare una reazione scioccante nel pubblico.
Arturo Garavaglia: in merito a ciò è interessante notare come sia in The Square sia in Nope venga dato alla "scimmia" il ruolo di rompere quella che è la cornice della finzione. Se in The Square la performance non riesce più a essere collocata in una cornice di finzione da parte del pubblico, in Nope è la carneficina della scimmia Gordy, che si rivela nella sua natura bestiale contro ogni tentativo di umanizzazione imposto dallo showbiz, a far saltare la cornice patinata della sit-com. Lo stesso discorso dello sfruttamento degli animali ai fini dello show può essere fatto sia per i cavalli di proprietà dei protagonisti del film sia per l'animale alieno Jean Jacket, che viene trattato da Jupe, OJ ed Emerald come un fenomeno da baraccone che sarà sconfitto da un pallone gonfiabile. Su ciò che rappresenti effettivamente Jean Jacket, questo "animale territoriale che crede che questa sia casa sua", possono essere avanzate molte altre speculazioni (che sia lo stesso animale Jean Jacket una metafora dello showbiz che inghiotte ogni cosa che gli capiti a tiro?). Ma, tornando a ciò che Peele mostra, è evidente come la propensione del regista sia quella di mettere sullo stesso piano la ferinità di cavalli e scimmie e quella di Jean Jacket, forze indomabili che lo show cerca di addomesticare, di restituire di esse uno sguardo mediato dalla camera, per trarre profitto. Che è poi, in sostanza, ciò che il cinema americano ha sempre perseguito.
Omar Franini: Tematicamente, Nope è un film molto ambizioso, ma come per Us, queste idee non vengono sempre sviluppate al meglio. Un aspetto che però differenzia il cinema di Peele da altre opere horror è l’uso dello humor. Prima di dedicarsi al cinema, Peele era conosciuto per i suoi lavori da comico, soprattutto per la serie di sketch insieme a Keegan-Michael Key. E si può chiaramente vedere come il suo passato nel mondo della comicità abbia influenzato i suoi film. In Get Out, il tono satirico del finale non mi ha convinto del tutto, ma funziona nel contesto del film. Mentre con Us, Peele ha creato una scena iconica, sto parlando della sequenza dove i tethers (i doppelgänger) invadono la villa dei vicini della famiglia Wilson e più nello specifico il momento dove Kitty prova a chiamare la polizia con Alexa, ma parte il brano “Fuck the Police” degli N.W.A: davvero geniale.
Con Nope, la comicità è molto più consistente, la prima scena che mi viene in mente è il “Thumbs Up” di Jupe, ma anche l’utilizzo degli Air Dancers nel finale per attirare Jean Jacket. L’intento di Peele non è quello di creare o fare una parodia del genere horror, ma sovrapporre questi generi per creare qualcosa di unico ed originale.
Arturo Garavaglia: esatto, ed è molto interessante questo aspetto. Peele non compie una parodia dell'oggetto dell'orrore come è tipico delle parodie horror, ma utilizza invece il linguaggio dell'horror per arrivare a suscitare il sorriso o, addirittura, la risata. Quello che Peele mette in atto in diverse scene di Nope è un vero e proprio giocare con tecniche tipiche dell'horror, una su tutte la creazione della suspense per mezzo del fuori fuoco e della profondità di campo, per descrivere situazioni del tutto normali. È proprio questa attesa / disattesa a suscitare l'effetto, se vogliamo, comico. La consapevolezza con cui Peele conduce questo gioco in Nope ci fa tornare inevitabilmente a parlare di come il film non faccia altro che rinviare al suo farsi, al cinema, e che Nope sia ad oggi il film più metacinematografico di Jordan Peele. La stessa citazione veterotestamentaria che viene posta nell'incipit del film che recita ( vado qui a memoria) "vi ricoprirò di lerciume e poi vi deriderò" è, del resto, un riferimento a ciò che Peele ha intenzione di fare con Nope e ha già fatto con i suoi film precedenti. Il cinema del regista, giunto ormai al terzo film, sembra avere una direzione chiara e una poetica ben definita. Nonostante Nope mi dia la sensazione di un film non in grado di trattare o accennare alla perfezione a tutto ciò di cui vuole parlare, la capacità del regista di fare intrattenimento, perché in fin dei conti Nope è un blockbuster, e di offrire allo stesso spunti per una lettura del film su più strati è sicuramente notevole.
Omar Franini: concordo con le tue considerazioni finali e vorrei chiudere questo dibattito dicendo qualche parola sui due attori protagonisti, Keke Palmer e Daniel Kaluuya. La prima non è un’attrice molto conosciuta, ma ha lavorato per anni in televisione quando era ragazzina e secondo me inizierà a ricevere molte offerte dopo la sua sensazionale interpretazione in Nope. Daniel Kaluuya, invece, non ha bisogno di nessuna introduzione, l’attore Premio Oscar, già protagonista di Get Out, è diventato famoso proprio grazie a Jordan Peele e in Nope dimostra, per l’ennesima volta, il suo enorme talento. La dinamica tra i due protagonisti e il contrasto tra le personalità di questi è uno dei punti di forza del film; da una parte abbiamo OJ, un tipo silenzioso che ricorda, come dicevi tu, il classico cowboy/eroe silenzioso dei film western mentre Emerald è l’opposto del fratello, una persona loquace che tenta di conquistare il prossimo grazie al suo carisma. Questo contrasto funziona proprio grazie alla brillante intesa che hanno i due attori.
Nope avrà i suoi difetti, ma lo reputo lo stesso un ottimo film e una boccata d’aria fresca nel panorama dei blockbuster, genere sempre più dominato da sequel e da film di supereroi. In America il film sta avendo un discreto successo al botteghino e spero possa succedere lo stesso qui in Italia.
NC-122
09.08.2022
Nope è il terzo lungometraggio di Jordan Peele, film che ha come protagonisti OJ (Daniel Kaluuya) e Emerald (Keke Palmer), due fratelli che vivono in una valle solitaria della California e che si occupano di un ranch di cavalli. Un giorno iniziano a percepire qualcosa di strano intorno a loro e si ritrovano a essere protagonisti di una scoperta allarmante ed inquietante.
Attraverso la conversazione che segue, i redattori Omar Franini e Arturo Garavaglia provano a discutere le tematiche presenti nel film e come Peele stia ridefinendo il genere horror.
Omar Franini: non è stato facile parlare di Nope dopo la visione, il film mi è piaciuto molto, ma c’è qualcosa che non mi ha convinto fino in fondo, soprattutto la sottotrama che riguarda Jupe, personaggio interpretato da Steven Yeun. Ma prima di parlare di questo aspetto, volevo fare qualche considerazione su Jordan Peele e su come stia “ridefinendo” il genere horror. Uno dei tratti caratteristici del regista americano è l’abilità con cui mescola diversi generi, i suoi film non si limitano mai ad essere solo degli “horror”. Oltre al marcato tono umoristico già presente nei suoi due film precedenti, in Nope ho ritrovato dei tratti del cinema western, ma anche dei richiami a film di fantascienza/avventura degli anni ‘90, Tremors di Ron Underwood su tutti.
Arturo Garavaglia: concordo con te, appena terminato Nope ho avuto la sensazione di aver assistito a qualcosa di decisamente troppo grande per essere rielaborato nell'immediato. In parte deve aver contribuito questa vera e propria fusione, forse riuscita solamente a metà ma comunque degna di analisi, fra generi tipicamente americani che Peele utilizza per muovere una critica alla società contemporanea americana. È importante sottolineare che il genere, secondo la tradizione cinematografica, è sempre legato alla società a cui si rivolge e che quindi proprio grazie al genere e all'unione di essi Peele riesce a conferire a questa satira una visione più ampia.
Un'altra cosa che mi ha colpito del film è questo senso di richiamo all'origine della storia del cinema o meglio, dell'immagine in movimento con i celebri esperimenti di Muybridge. Da decenni ormai il cinema americano riflette sulle sue origini, in questo caso Peele elabora un’interessante riflessione sul tema dell'ossessione della visione che, nella società contemporanea non è più solamente propria del regista e di chi produce immagini per professione, ma della stessa società "civile" di cui facciamo parte tutti. Proprio sul tema dell'ossessione della visione e del tabù contemporaneo della non visione, mi viene da dire, Peele è in grado di offrire gli spunti più interessanti di questo film.
Omar Franini: Visto che citi l’ossessione della visione e l'immortale delle immagini, mi ricollego al discorso che avevo accennato all’inizio, quello sul personaggio di Jupe. Secondo me questo rappresenta uno dei lati deboli del film, più che altro perché Peele aveva tra le mani un personaggio con cui poteva osare di più. Jupe è un ex attore bambino che ha un’esperienza traumatica alle spalle: era il protagonista di una serie tv con al centro una scimmia, Gordy, ma un giorno sul set, questa si “ribella” e uccide la maggior parte del cast. Jupe è uno dei pochi superstiti e crede di essersi salvato grazie a una “connessione” con Gordy tramite contatto visivo. Ma questa intesa non è diretta visto che, fra i due personaggi, si contrappone un velo. E come possiamo vedere nel film, questo evento terrificante ha plasmato la figura di Jupe, che ora è proprietario di un eccentrico parco di divertimenti, possiede un museo dedicato alla serie tv che aveva fatto con Gordy e si comporta come un televangelista. Jupe pensava di riuscire a stabilire la stessa “connessione” anche con Jean Jacket, la creatura aliena, ma i risultati questa volta sono diversi proprio perché tra i due non c’è un velo che impedisca il contatto diretto. Tutti questi aspetti sono molto interessanti, ma Peele non è riuscito a sfruttarli appieno.
Arturo Garavaglia: concordo. La sensazione che ho avuto è che Peele abbia utilizzato il personaggio di Jupe e della scimmia Gordy per "raddoppiare" il significato di un film che in realtà sceglie di focalizzarsi su altri personaggi e su altre situazioni con meno sofisticatezza di quella dedicata alla sottotrama di Jupe. Lo stesso personaggio del regista che viene coinvolto nelle riprese di Jean Jacket rappresenta l'ossessione della visione, della volontà di contatto data dallo sguardo della macchina da presa, di quel "filmare fino alla morte" che è tipico di un discorso metacinematografico nato nel cinema "d'autore" e approdato poi al genere horror. Ma sono spunti, certamente interessanti, che forse non riescono a trovare il giusto spazio in una storia che attraverso il genere (e i generi) cerca di portare a galla molteplici tematiche e allo stesso tempo di non lasciarle prevalere su una componente più spettacolare e di intrattenimento.
Omar Franini: un ultimo aneddoto, se così posso definirlo, sul personaggio di Gordy. Tendo a rimanere in sala anche durante i titoli di coda e mentre stavano scorrendo i nomi degli attori presenti nel cast, ho notato che la scimmia è stata “interpretata” da Terry Notary. L’attore americano è meglio conosciuto per la sua carriera come stunt-double e movement coach, ha lavorato nella saga de Il Pianeta delle Scimmie e anche in quella de Lo Hobbit. Ma la cosa simpatica di questo casting, risiede nel fatto che l’attore era anche presente in The Square di Ruben Östlund e nel film, lui interpretava un artista le cui performance consistevano nel comportarsi come una bestia selvaggia (una scimmia nello specifico) davanti un pubblico. È interessante paragonare le due scene, in Nope vediamo l’umanizzazione di Gordy, mentre in The Square vediamo l’animalizzazione di questo artista. In entrambi i casi vediamo due estremizzazioni nel mondo dell’arte, lo sfruttamento costante degli animali nell’industria hollywoodiana da una parte e, dall’altra, l’esasperata ricerca nel voler scatenare una reazione scioccante nel pubblico.
Arturo Garavaglia: in merito a ciò è interessante notare come sia in The Square sia in Nope venga dato alla "scimmia" il ruolo di rompere quella che è la cornice della finzione. Se in The Square la performance non riesce più a essere collocata in una cornice di finzione da parte del pubblico, in Nope è la carneficina della scimmia Gordy, che si rivela nella sua natura bestiale contro ogni tentativo di umanizzazione imposto dallo showbiz, a far saltare la cornice patinata della sit-com. Lo stesso discorso dello sfruttamento degli animali ai fini dello show può essere fatto sia per i cavalli di proprietà dei protagonisti del film sia per l'animale alieno Jean Jacket, che viene trattato da Jupe, OJ ed Emerald come un fenomeno da baraccone che sarà sconfitto da un pallone gonfiabile. Su ciò che rappresenti effettivamente Jean Jacket, questo "animale territoriale che crede che questa sia casa sua", possono essere avanzate molte altre speculazioni (che sia lo stesso animale Jean Jacket una metafora dello showbiz che inghiotte ogni cosa che gli capiti a tiro?). Ma, tornando a ciò che Peele mostra, è evidente come la propensione del regista sia quella di mettere sullo stesso piano la ferinità di cavalli e scimmie e quella di Jean Jacket, forze indomabili che lo show cerca di addomesticare, di restituire di esse uno sguardo mediato dalla camera, per trarre profitto. Che è poi, in sostanza, ciò che il cinema americano ha sempre perseguito.
Omar Franini: Tematicamente, Nope è un film molto ambizioso, ma come per Us, queste idee non vengono sempre sviluppate al meglio. Un aspetto che però differenzia il cinema di Peele da altre opere horror è l’uso dello humor. Prima di dedicarsi al cinema, Peele era conosciuto per i suoi lavori da comico, soprattutto per la serie di sketch insieme a Keegan-Michael Key. E si può chiaramente vedere come il suo passato nel mondo della comicità abbia influenzato i suoi film. In Get Out, il tono satirico del finale non mi ha convinto del tutto, ma funziona nel contesto del film. Mentre con Us, Peele ha creato una scena iconica, sto parlando della sequenza dove i tethers (i doppelgänger) invadono la villa dei vicini della famiglia Wilson e più nello specifico il momento dove Kitty prova a chiamare la polizia con Alexa, ma parte il brano “Fuck the Police” degli N.W.A: davvero geniale.
Con Nope, la comicità è molto più consistente, la prima scena che mi viene in mente è il “Thumbs Up” di Jupe, ma anche l’utilizzo degli Air Dancers nel finale per attirare Jean Jacket. L’intento di Peele non è quello di creare o fare una parodia del genere horror, ma sovrapporre questi generi per creare qualcosa di unico ed originale.
Arturo Garavaglia: esatto, ed è molto interessante questo aspetto. Peele non compie una parodia dell'oggetto dell'orrore come è tipico delle parodie horror, ma utilizza invece il linguaggio dell'horror per arrivare a suscitare il sorriso o, addirittura, la risata. Quello che Peele mette in atto in diverse scene di Nope è un vero e proprio giocare con tecniche tipiche dell'horror, una su tutte la creazione della suspense per mezzo del fuori fuoco e della profondità di campo, per descrivere situazioni del tutto normali. È proprio questa attesa / disattesa a suscitare l'effetto, se vogliamo, comico. La consapevolezza con cui Peele conduce questo gioco in Nope ci fa tornare inevitabilmente a parlare di come il film non faccia altro che rinviare al suo farsi, al cinema, e che Nope sia ad oggi il film più metacinematografico di Jordan Peele. La stessa citazione veterotestamentaria che viene posta nell'incipit del film che recita ( vado qui a memoria) "vi ricoprirò di lerciume e poi vi deriderò" è, del resto, un riferimento a ciò che Peele ha intenzione di fare con Nope e ha già fatto con i suoi film precedenti. Il cinema del regista, giunto ormai al terzo film, sembra avere una direzione chiara e una poetica ben definita. Nonostante Nope mi dia la sensazione di un film non in grado di trattare o accennare alla perfezione a tutto ciò di cui vuole parlare, la capacità del regista di fare intrattenimento, perché in fin dei conti Nope è un blockbuster, e di offrire allo stesso spunti per una lettura del film su più strati è sicuramente notevole.
Omar Franini: concordo con le tue considerazioni finali e vorrei chiudere questo dibattito dicendo qualche parola sui due attori protagonisti, Keke Palmer e Daniel Kaluuya. La prima non è un’attrice molto conosciuta, ma ha lavorato per anni in televisione quando era ragazzina e secondo me inizierà a ricevere molte offerte dopo la sua sensazionale interpretazione in Nope. Daniel Kaluuya, invece, non ha bisogno di nessuna introduzione, l’attore Premio Oscar, già protagonista di Get Out, è diventato famoso proprio grazie a Jordan Peele e in Nope dimostra, per l’ennesima volta, il suo enorme talento. La dinamica tra i due protagonisti e il contrasto tra le personalità di questi è uno dei punti di forza del film; da una parte abbiamo OJ, un tipo silenzioso che ricorda, come dicevi tu, il classico cowboy/eroe silenzioso dei film western mentre Emerald è l’opposto del fratello, una persona loquace che tenta di conquistare il prossimo grazie al suo carisma. Questo contrasto funziona proprio grazie alla brillante intesa che hanno i due attori.
Nope avrà i suoi difetti, ma lo reputo lo stesso un ottimo film e una boccata d’aria fresca nel panorama dei blockbuster, genere sempre più dominato da sequel e da film di supereroi. In America il film sta avendo un discreto successo al botteghino e spero possa succedere lo stesso qui in Italia.