NC-21
16.06.2020
"Chaplin wasn't the funniest, I wasn't the funniest, Stan Laurel was the funniest" sono state le parole di Buster Keaton al funerale di Laurel o, come diremmo in Italia, di Stanlio. Se uno dei più grandi attori comici del muto ti antepone a sé e a Charlie Chaplin nella classifica dei più divertenti, forse bisogna credergli. Stan Laurel, il più grande inventore e interprete di gag di sempre, per tutti inscindibile dal compagno Oliver Hardy, nasceva in Inghilterra il 16 giugno 1890, esattamente 130 anni fa.
È difficile parlare di Laurel senza parlare di Hardy, due attori che hanno fondato l’archetipo moderno della coppia comica, fonte di ispirazione fino ad oggi per chiunque volesse confrontarsi con quel mondo. Ma in realtà, sul set come dietro le quinte, i loro ruoli non potevano essere più diversi. Hardy era un attore straordinario, con grandi doti di improvvisazione, ma Laurel era la mente. Era lui che scriveva le gag, ed era famoso per volere sempre il controllo su tutto, dall’ideazione del soggetto al montaggio, sopravanzando quindi spesso le figure del regista e del produttore.
Laurel aveva mosso i primi passi negli spettacoli teatrali di pantomima, sulle orme del suo connazionale Charlie Chaplin, con cui fece le prime tournée negli USA negli anni ‘10. Dopo diversi ruoli secondari e da solista, nel 1927 cominciò il sodalizio con Hardy, dapprima con una serie di corti e quindi, negli anni ‘30, anche con i lungometraggi. Il loro stile, inizialmente, era molto in linea con lo slapstick, tipico genere comico del muto fondato sul linguaggio del corpo e sulle gag visuali, di cui proprio Keaton e Chaplin erano già da tempo i massimi interpreti. Seppur con qualche eccezione celebre (come il corto The Music Box, premiato con l’Oscar), in questo genere la coppia non eguagliò mai il talento acrobatico o gli stunt visivamente perfetti di Keaton, né riuscì a costruire storie che interpretavano la propria epoca come faceva Chaplin.
Se per molti l’avvento del sonoro fu fatale, per Stanlio e Ollio fu il trampolino di lancio verso il successo mondiale. Il suono e i dialoghi aggiunsero una dimensione fondamentale alle loro gag, e Laurel colse subito l’occasione per evolvere il loro stile, rendendolo unico. Le loro voci, le risate, i rumori di scena divennero centrali, ma più di tutto rimarrà celebre l’invenzione linguistica dietro ai giochi di parole e alle gag parlate.
Una circostanza particolare rese iconico il loro linguaggio anche nelle versioni doppiate. Quando nel 1929, agli albori del sonoro, i due si trovarono a dover esportare i loro film all’estero, il doppiaggio non esisteva ancora. Il loro storico produttore Hal Roach ebbe allora l’idea di far ridoppiare a Laurel e Hardy stessi i personaggi nelle principali lingue straniere, tra cui l’italiano: non conoscendo affatto queste lingue, i due lessero i copioni tradotti con accento inglese e storpiando un sacco di parole, come il famosissimo “stupìdo”. Quando poi i due grandi doppiatori italiani, Mauro Zambuto per Stanlio e Alberto Sordi per Ollio, doppiarono i loro film, decisero di mantenere questo tratto, fissando per sempre la parlata tipica del duo nell’immaginario comune.
Il successo di Laurel e Hardy, come quello di molti altri pionieri del cinema comico, conobbe improvvisamente un declino artistico e personale. Dall’inizio degli anni ‘40 si sommarono i problemi di salute, le divergenze artistiche coi produttori, le difficoltà coniugali di Laurel, e i due non riusciranno più a ripetere i successi del passato fino alla morte di Hardy nel 1957. Laurel, anch’egli già malato, decise comunque di non recitare più dopo la scomparsa dell’amico, e solo nel 1961 venne insignito dell’Oscar alla carriera. Era il segno dell’inizio di una rivalutazione dovuta anche all’avvento della televisione, che cominciava a far conoscere i loro film, come fa ancora oggi, alle nuove generazioni di tutto il mondo. La triste fine della più grande coppia comica di sempre verrà poi raccontata, in chiave romanzesca, nel libro Triste, solitario y final di Osvaldo Soriano, “un commosso, irriverente ricordo di due miti nordamericani diventati universali”.
Nessun racconto scritto potrà mai rendere davvero l’idea di quello che Laurel e Hardy facevano davanti alla macchina da presa. Come diceva Keaton, erano i migliori in una cosa: fare ridere la gente. Ecco perché tra le centinaia di gag girate bisogna mostrarne almeno una, tratta dal corto La sbornia (1930), che riassume tutta la loro comicità. L’espediente è tanto semplice quanto sottile: in periodo di pieno proibizionismo, i due credono di ubriacarsi, ma in realtà stanno bevendo del tè che la moglie di Stanlio ha sostituito al whiskey. Questo non gli impedisce di credersi ubriachi, finché Stanlio non comincia a ridere in un continuo crescendo che esplode coinvolgendo anche Ollio. La scena, poi ripresa in uno dei loro capolavori, Fra Diavolo, è quanto di più antico e universale – il riso che genera riso – ma tutto, dall’espressività degli attori ai dettagli della sceneggiatura, racconta della grandezza e del genio comico di Laurel e Hardy.
NC-21
16.06.2020
"Chaplin wasn't the funniest, I wasn't the funniest, Stan Laurel was the funniest" sono state le parole di Buster Keaton al funerale di Laurel o, come diremmo in Italia, di Stanlio. Se uno dei più grandi attori comici del muto ti antepone a sé e a Charlie Chaplin nella classifica dei più divertenti, forse bisogna credergli. Stan Laurel, il più grande inventore e interprete di gag di sempre, per tutti inscindibile dal compagno Oliver Hardy, nasceva in Inghilterra il 16 giugno 1890, esattamente 130 anni fa.
È difficile parlare di Laurel senza parlare di Hardy, due attori che hanno fondato l’archetipo moderno della coppia comica, fonte di ispirazione fino ad oggi per chiunque volesse confrontarsi con quel mondo. Ma in realtà, sul set come dietro le quinte, i loro ruoli non potevano essere più diversi. Hardy era un attore straordinario, con grandi doti di improvvisazione, ma Laurel era la mente. Era lui che scriveva le gag, ed era famoso per volere sempre il controllo su tutto, dall’ideazione del soggetto al montaggio, sopravanzando quindi spesso le figure del regista e del produttore.
Laurel aveva mosso i primi passi negli spettacoli teatrali di pantomima, sulle orme del suo connazionale Charlie Chaplin, con cui fece le prime tournée negli USA negli anni ‘10. Dopo diversi ruoli secondari e da solista, nel 1927 cominciò il sodalizio con Hardy, dapprima con una serie di corti e quindi, negli anni ‘30, anche con i lungometraggi. Il loro stile, inizialmente, era molto in linea con lo slapstick, tipico genere comico del muto fondato sul linguaggio del corpo e sulle gag visuali, di cui proprio Keaton e Chaplin erano già da tempo i massimi interpreti. Seppur con qualche eccezione celebre (come il corto The Music Box, premiato con l’Oscar), in questo genere la coppia non eguagliò mai il talento acrobatico o gli stunt visivamente perfetti di Keaton, né riuscì a costruire storie che interpretavano la propria epoca come faceva Chaplin.
Se per molti l’avvento del sonoro fu fatale, per Stanlio e Ollio fu il trampolino di lancio verso il successo mondiale. Il suono e i dialoghi aggiunsero una dimensione fondamentale alle loro gag, e Laurel colse subito l’occasione per evolvere il loro stile, rendendolo unico. Le loro voci, le risate, i rumori di scena divennero centrali, ma più di tutto rimarrà celebre l’invenzione linguistica dietro ai giochi di parole e alle gag parlate.
Una circostanza particolare rese iconico il loro linguaggio anche nelle versioni doppiate. Quando nel 1929, agli albori del sonoro, i due si trovarono a dover esportare i loro film all’estero, il doppiaggio non esisteva ancora. Il loro storico produttore Hal Roach ebbe allora l’idea di far ridoppiare a Laurel e Hardy stessi i personaggi nelle principali lingue straniere, tra cui l’italiano: non conoscendo affatto queste lingue, i due lessero i copioni tradotti con accento inglese e storpiando un sacco di parole, come il famosissimo “stupìdo”. Quando poi i due grandi doppiatori italiani, Mauro Zambuto per Stanlio e Alberto Sordi per Ollio, doppiarono i loro film, decisero di mantenere questo tratto, fissando per sempre la parlata tipica del duo nell’immaginario comune.
Il successo di Laurel e Hardy, come quello di molti altri pionieri del cinema comico, conobbe improvvisamente un declino artistico e personale. Dall’inizio degli anni ‘40 si sommarono i problemi di salute, le divergenze artistiche coi produttori, le difficoltà coniugali di Laurel, e i due non riusciranno più a ripetere i successi del passato fino alla morte di Hardy nel 1957. Laurel, anch’egli già malato, decise comunque di non recitare più dopo la scomparsa dell’amico, e solo nel 1961 venne insignito dell’Oscar alla carriera. Era il segno dell’inizio di una rivalutazione dovuta anche all’avvento della televisione, che cominciava a far conoscere i loro film, come fa ancora oggi, alle nuove generazioni di tutto il mondo. La triste fine della più grande coppia comica di sempre verrà poi raccontata, in chiave romanzesca, nel libro Triste, solitario y final di Osvaldo Soriano, “un commosso, irriverente ricordo di due miti nordamericani diventati universali”.
Nessun racconto scritto potrà mai rendere davvero l’idea di quello che Laurel e Hardy facevano davanti alla macchina da presa. Come diceva Keaton, erano i migliori in una cosa: fare ridere la gente. Ecco perché tra le centinaia di gag girate bisogna mostrarne almeno una, tratta dal corto La sbornia (1930), che riassume tutta la loro comicità. L’espediente è tanto semplice quanto sottile: in periodo di pieno proibizionismo, i due credono di ubriacarsi, ma in realtà stanno bevendo del tè che la moglie di Stanlio ha sostituito al whiskey. Questo non gli impedisce di credersi ubriachi, finché Stanlio non comincia a ridere in un continuo crescendo che esplode coinvolgendo anche Ollio. La scena, poi ripresa in uno dei loro capolavori, Fra Diavolo, è quanto di più antico e universale – il riso che genera riso – ma tutto, dall’espressività degli attori ai dettagli della sceneggiatura, racconta della grandezza e del genio comico di Laurel e Hardy.