TR-61
10.05.2022
“Non so se sia meglio diventare come Risi o come Rosi”. Questa era la domanda che si faceva un giovane regista nella sala montaggio di uno dei suoi primi film, rivolgendosi a quello che diventerà in seguito un suo stretto collaboratore, Giorgio Scotton: “Prova a diventare Scola”, gli rispose quest’ultimo, con tono scherzoso. Perché è proprio a un giovane Ettore Scola che stava rispondendo. L’aneddoto, raccontato nel documentario Ridendo e scherzando del 2015 diretto dalle figlie Paola e Silvia, sottolinea in modo impeccabile la posizione poetica e politica di Ettore Scola nella storia del cinema italiano; regista e sceneggiatore unico nel suo genere, è stato in grado di attraversare diverse fasi cinematografiche del dopoguerra facendo dei suoi film un ponte tra la prima commedia all’italiana più graffiante come quella del Sorpasso di Risi (di cui Scola tra l’altro firma la sceneggiatura) a una commedia più matura, meno dirompente ma capace di riflettere sulla propria memoria storica, politica e sociale, e che vedrà perfetta incarnazione nell’affresco offerto da La terrazza del 1980. Assieme al monicelliano Un borghese piccolo piccolo di tre anni prima, La terrazza di Scola viene spesso considerata unanimemente dalla critica la pellicola che sancisce la fine della stagione della commedia all’italiana. Il tramonto di un sogno nel boom economico che, seppur critico verso il presente, manteneva una speranza per il domani. Le parole di Mastroianni ne La terrazza sembrano dunque voler assurgere a lapidaria sentenza di epilogo:
«Facciamo una cosa, diciamo invece che abbiamo sbagliato tutti, e volete sapere di chi è la colpa? Del crollo degli ideali, non sostituiti da altri valori, ma guardateci, cosa siamo diventati? Eravamo pieni di aspettative, volevamo essere d’esempio per i giovani e invece gli stiamo lasciando solo disillusioni e macerie».
Peculiare del lavoro di Scola non è però soltanto la nuova attenzione politica e storica che inserisce nella sua commedia, ma anche le modalità con cui essa si applica. È interessante notare come i film C’eravamo tanto amati (1974), Brutti, sporchi e cattivi (1976), La terrazza, e poi più tardi La famiglia (1987), Ballando ballando (1983), La cena (1998) siano tutti accomunati dallo stesso impianto narrativo: sono film corali, ossia composti da una moltitudine di personaggi in cui spesso è difficile (e non necessario) trovare un vero e unico protagonista. Il pretesto del racconto è talvolta un’arena nello spazio come lo è appunto una terrazza, una baracca (Brutti, sporchi e cattivi), un’osteria (La cena) o un cortile (Una giornata particolare); talvolta invece si tratta di un’arena “temporale” come lo “scoppio del dopoguerra” in C’eravamo tanto amati, a volte è entrambe le cose (le vite di un appartamento nell’arco di 80 anni, nel caso de La famiglia).
Soffermandosi un attimo sulla grande parabola del cinema nostrano fino all’avvento del digitale, è interessante notare come Scola sia stato forse l’unico grande regista italiano in grado di fare della narrazione corale una propria cifra autoriale, più volte ricorrente nella sua personale filmografia. Ancora più interessante è rilevare che C’eravamo tanto amati - probabilmente l’opera più vicina a essere un “affresco” della memoria storica italiana - sia uscito nel 1974, neanche un anno prima dell’uscita di un altro importante affresco, questa volta d’oltreoceano: Nashville di Robert Altman (1975).
Tra i registi della Storia del cinema Altman è sicuramente tra quelli che più di tutti ha realizzato film corali, contraddistinti da una moltitudine di personaggi, intrecci spesso paralleli, linee narrative che non si toccano mai, salvo che sulla locandina del film. Non a caso il suo cinema è spesso considerato un ritratto autentico della società americana in diverse fasi del suo progresso, colta nei suoi paradossi e nelle sue ossessioni.
Negli stessi anni dunque due autori in due contesti così distanti come l’Italia delle ideologie e l’America post-Nixon mostrano una propensione comune al cinema corale. I loro film rappresentano le rispettive società durante i tumultuosi anni ‘70. Non a caso la tendenza a voler fare del cinema un mezzo di analisi del reale connota profondamente l’opera di Altman come quella di Scola. Entrambi questi autori non cercano storie al di fuori di quelle che il mondo attorno a sé offre loro: la coralità della narrazione gli permette infatti di scandagliare con maggior precisione le contraddizioni (più di costume per Altman, più politiche per Scola) della società in cui essi vivono.
È difficile trovare un altro autore italiano che come Scola abbia saputo trattare con maestria una pluralità di personaggi e vicende, ognuna con lo stesso peso nella trama. Neanche Fellini, con la sua affollata e corale Dolce Vita, è riuscito a staccarsi veramente dal suo protagonista Marcello.
La capacità di Scola di sapersi muovere in architetture filmiche corali è dovuta anche al suo lavoro come sceneggiatore. Prima di esordire alla regia nel 1964 con Se permettete parliamo di donne (un film episodico, a più storie anche quello) Scola è accreditato nella scrittura di oltre quaranta titoli. Tra questi compaiono molti film comici come quelli di Totò, Lo scapolo (1955), Il conte Max (1957), il già citato Sorpasso (1962), nonché diversi film di Antonio Pietrangeli come Nata di marzo (1958), il drammatico Adua e le compagne (1960) e il capolavoro Io la conoscevo bene (1965). Una collaborazione che dimostra nel giovane Scola una propensione a trattare personaggi di maggior spessore psicologico e strutture narrative più complesse.
Con il film dal titolo wertmulleriano Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, nel 1968 Scola si conferma una nuova voce della commedia all’italiana. Il film è un'ironica frecciatina all’arrogante provincialismo di un piccolo borghese che approda in Africa alla ricerca di un terzo mondo “esotico”, proprio mentre il continente africano si avviava al lungo processo di decolonizzazione e indipendenza.
Con Dramma della gelosia (1970) e Brutti, sporchi e cattivi Scola dimostra inoltre di saper gestire egregiamente il tono del grottesco, attraverso rappresentazioni senza filtri, disarmanti nell’impeto dei movimenti della macchina da presa e nella brutalità delle vicende narrate. La gavetta fatta nella redazione della rivista umoristica “Marc’Aurelio” mostra i suoi frutti in queste pellicole dove la caratterizzazione tipica del fumetto incontra una volontà di approfondire la sfera psicologica dei personaggi. Gli accattoni brutti e sporchi di Ettore Scola non hanno possibilità di redenzione: non volano via come in Miracolo a Milano (1951), non hanno un’epifania sulla loro condizione come in Ladri di biciclette (1948), e in sottofondo non c’è nessuna melodia di Bach che li accompagna nelle loro vite in periferia. Sono destinati a rimanere lì, nella realtà del loro tempo, senza possibilità di fuga, nella loro miseria sporca e farabutta.
Parallelamente a questa linea più cinica e nera Scola riesce a sviluppare comunque un altro personalissimo modo di declinare la commedia, attraverso un tono più dolce amaro presente in C’eravamo tanto amati, per arrivare nel ‘77 alla delicatezza di Una giornata particolare. È da qua che, come ha definito Ennio Bispuri, Scola si rivela essere “un umanista nel cinema italiano”. Con il suo cinema polifonico la commedia all’italiana cambia direzione per l’ultima volta, verso un tono più intimo e riflessivo. La satira del costume lascia spazio alla riflessione sul valore della memoria personale (La famiglia, La cena) e collettiva (C’eravamo tanto amati, Una giornata particolare). Temi come quello della caducità della vita o della difficoltà delle relazioni di amicizia e di amore trovano posto in tutti i film di Scola a partire dalla seconda metà degli anni ‘70. Con La terrazza il genere della commedia per la prima volta riflette su se stessa, si analizza a tal punto da accettare la sua stessa fine. Le parole del personaggio di Gassman nel film lo mettono in chiaro:
“Ormai siamo tutti così, personaggi drammatici che si manifestano solo comicamente”.
Altra prova della profonda varietà nella filmografia di Scola: nel 1983 esce Ballando ballando: In una sala da ballo della periferia di Parigi, nel corso di un periodo lungo quasi 50 anni, dal 1936 al 1983, si incontrano ogni sabato piccoli borghesi, commesse e lavoratori: un mondo di delusi e di esclusi, tutti celibi e tutti lì per il ballo, unica possibilità di amare e sognare. Il film, totalmente privo di parlato, fu candidato agli Oscar come miglior film straniero. Una non-storia intrisa di nostalgia, dai molteplici volti teneri e malinconici degni di clownerie triste, dalla rigida struttura corale. Il culmine della riflessione del regista sul genere della commedia. Una pellicola ingiustamente dimenticata, ancora oggi testimonianza delle infinite variazioni sul tema presenti nella filmografia del regista.
Se il cinema di Altman è stato spunto di partenza per una nuova stagione di giovani cineasti, primo tra tutti Paul Thomas Anderson, che con Magnolia (1999) dichiara esplicitamente il suo debito a Short Cuts (1993), c’è da chiedersi se anche in Italia una nuova generazione di autori e autrici sapranno farsi interpreti dell’eredità di Scola, che in fin dei conti non è altro che un invito all’osservazione, a soffermarsi nuovamente sulla realtà del nostro paese, magari ridendoci sopra. Anche perché, si sa, ridendo e scherzando…
Come diceva in una delle ultime interviste: "Il cinema è un lavoro duro ma si può, ridendo e scherzando, mandare qualche messaggetto, qualche cartolina postale con le proprie osservazioni sul mondo”.
TR-61
10.05.2022
“Non so se sia meglio diventare come Risi o come Rosi”. Questa era la domanda che si faceva un giovane regista nella sala montaggio di uno dei suoi primi film, rivolgendosi a quello che diventerà in seguito un suo stretto collaboratore, Giorgio Scotton: “Prova a diventare Scola”, gli rispose quest’ultimo, con tono scherzoso. Perché è proprio a un giovane Ettore Scola che stava rispondendo. L’aneddoto, raccontato nel documentario Ridendo e scherzando del 2015 diretto dalle figlie Paola e Silvia, sottolinea in modo impeccabile la posizione poetica e politica di Ettore Scola nella storia del cinema italiano; regista e sceneggiatore unico nel suo genere, è stato in grado di attraversare diverse fasi cinematografiche del dopoguerra facendo dei suoi film un ponte tra la prima commedia all’italiana più graffiante come quella del Sorpasso di Risi (di cui Scola tra l’altro firma la sceneggiatura) a una commedia più matura, meno dirompente ma capace di riflettere sulla propria memoria storica, politica e sociale, e che vedrà perfetta incarnazione nell’affresco offerto da La terrazza del 1980. Assieme al monicelliano Un borghese piccolo piccolo di tre anni prima, La terrazza di Scola viene spesso considerata unanimemente dalla critica la pellicola che sancisce la fine della stagione della commedia all’italiana. Il tramonto di un sogno nel boom economico che, seppur critico verso il presente, manteneva una speranza per il domani. Le parole di Mastroianni ne La terrazza sembrano dunque voler assurgere a lapidaria sentenza di epilogo:
«Facciamo una cosa, diciamo invece che abbiamo sbagliato tutti, e volete sapere di chi è la colpa? Del crollo degli ideali, non sostituiti da altri valori, ma guardateci, cosa siamo diventati? Eravamo pieni di aspettative, volevamo essere d’esempio per i giovani e invece gli stiamo lasciando solo disillusioni e macerie».
Peculiare del lavoro di Scola non è però soltanto la nuova attenzione politica e storica che inserisce nella sua commedia, ma anche le modalità con cui essa si applica. È interessante notare come i film C’eravamo tanto amati (1974), Brutti, sporchi e cattivi (1976), La terrazza, e poi più tardi La famiglia (1987), Ballando ballando (1983), La cena (1998) siano tutti accomunati dallo stesso impianto narrativo: sono film corali, ossia composti da una moltitudine di personaggi in cui spesso è difficile (e non necessario) trovare un vero e unico protagonista. Il pretesto del racconto è talvolta un’arena nello spazio come lo è appunto una terrazza, una baracca (Brutti, sporchi e cattivi), un’osteria (La cena) o un cortile (Una giornata particolare); talvolta invece si tratta di un’arena “temporale” come lo “scoppio del dopoguerra” in C’eravamo tanto amati, a volte è entrambe le cose (le vite di un appartamento nell’arco di 80 anni, nel caso de La famiglia).
Soffermandosi un attimo sulla grande parabola del cinema nostrano fino all’avvento del digitale, è interessante notare come Scola sia stato forse l’unico grande regista italiano in grado di fare della narrazione corale una propria cifra autoriale, più volte ricorrente nella sua personale filmografia. Ancora più interessante è rilevare che C’eravamo tanto amati - probabilmente l’opera più vicina a essere un “affresco” della memoria storica italiana - sia uscito nel 1974, neanche un anno prima dell’uscita di un altro importante affresco, questa volta d’oltreoceano: Nashville di Robert Altman (1975).
Tra i registi della Storia del cinema Altman è sicuramente tra quelli che più di tutti ha realizzato film corali, contraddistinti da una moltitudine di personaggi, intrecci spesso paralleli, linee narrative che non si toccano mai, salvo che sulla locandina del film. Non a caso il suo cinema è spesso considerato un ritratto autentico della società americana in diverse fasi del suo progresso, colta nei suoi paradossi e nelle sue ossessioni.
Negli stessi anni dunque due autori in due contesti così distanti come l’Italia delle ideologie e l’America post-Nixon mostrano una propensione comune al cinema corale. I loro film rappresentano le rispettive società durante i tumultuosi anni ‘70. Non a caso la tendenza a voler fare del cinema un mezzo di analisi del reale connota profondamente l’opera di Altman come quella di Scola. Entrambi questi autori non cercano storie al di fuori di quelle che il mondo attorno a sé offre loro: la coralità della narrazione gli permette infatti di scandagliare con maggior precisione le contraddizioni (più di costume per Altman, più politiche per Scola) della società in cui essi vivono.
È difficile trovare un altro autore italiano che come Scola abbia saputo trattare con maestria una pluralità di personaggi e vicende, ognuna con lo stesso peso nella trama. Neanche Fellini, con la sua affollata e corale Dolce Vita, è riuscito a staccarsi veramente dal suo protagonista Marcello.
La capacità di Scola di sapersi muovere in architetture filmiche corali è dovuta anche al suo lavoro come sceneggiatore. Prima di esordire alla regia nel 1964 con Se permettete parliamo di donne (un film episodico, a più storie anche quello) Scola è accreditato nella scrittura di oltre quaranta titoli. Tra questi compaiono molti film comici come quelli di Totò, Lo scapolo (1955), Il conte Max (1957), il già citato Sorpasso (1962), nonché diversi film di Antonio Pietrangeli come Nata di marzo (1958), il drammatico Adua e le compagne (1960) e il capolavoro Io la conoscevo bene (1965). Una collaborazione che dimostra nel giovane Scola una propensione a trattare personaggi di maggior spessore psicologico e strutture narrative più complesse.
Con il film dal titolo wertmulleriano Riusciranno i nostri eroi a ritrovare l'amico misteriosamente scomparso in Africa?, nel 1968 Scola si conferma una nuova voce della commedia all’italiana. Il film è un'ironica frecciatina all’arrogante provincialismo di un piccolo borghese che approda in Africa alla ricerca di un terzo mondo “esotico”, proprio mentre il continente africano si avviava al lungo processo di decolonizzazione e indipendenza.
Con Dramma della gelosia (1970) e Brutti, sporchi e cattivi Scola dimostra inoltre di saper gestire egregiamente il tono del grottesco, attraverso rappresentazioni senza filtri, disarmanti nell’impeto dei movimenti della macchina da presa e nella brutalità delle vicende narrate. La gavetta fatta nella redazione della rivista umoristica “Marc’Aurelio” mostra i suoi frutti in queste pellicole dove la caratterizzazione tipica del fumetto incontra una volontà di approfondire la sfera psicologica dei personaggi. Gli accattoni brutti e sporchi di Ettore Scola non hanno possibilità di redenzione: non volano via come in Miracolo a Milano (1951), non hanno un’epifania sulla loro condizione come in Ladri di biciclette (1948), e in sottofondo non c’è nessuna melodia di Bach che li accompagna nelle loro vite in periferia. Sono destinati a rimanere lì, nella realtà del loro tempo, senza possibilità di fuga, nella loro miseria sporca e farabutta.
Parallelamente a questa linea più cinica e nera Scola riesce a sviluppare comunque un altro personalissimo modo di declinare la commedia, attraverso un tono più dolce amaro presente in C’eravamo tanto amati, per arrivare nel ‘77 alla delicatezza di Una giornata particolare. È da qua che, come ha definito Ennio Bispuri, Scola si rivela essere “un umanista nel cinema italiano”. Con il suo cinema polifonico la commedia all’italiana cambia direzione per l’ultima volta, verso un tono più intimo e riflessivo. La satira del costume lascia spazio alla riflessione sul valore della memoria personale (La famiglia, La cena) e collettiva (C’eravamo tanto amati, Una giornata particolare). Temi come quello della caducità della vita o della difficoltà delle relazioni di amicizia e di amore trovano posto in tutti i film di Scola a partire dalla seconda metà degli anni ‘70. Con La terrazza il genere della commedia per la prima volta riflette su se stessa, si analizza a tal punto da accettare la sua stessa fine. Le parole del personaggio di Gassman nel film lo mettono in chiaro:
“Ormai siamo tutti così, personaggi drammatici che si manifestano solo comicamente”.
Altra prova della profonda varietà nella filmografia di Scola: nel 1983 esce Ballando ballando: In una sala da ballo della periferia di Parigi, nel corso di un periodo lungo quasi 50 anni, dal 1936 al 1983, si incontrano ogni sabato piccoli borghesi, commesse e lavoratori: un mondo di delusi e di esclusi, tutti celibi e tutti lì per il ballo, unica possibilità di amare e sognare. Il film, totalmente privo di parlato, fu candidato agli Oscar come miglior film straniero. Una non-storia intrisa di nostalgia, dai molteplici volti teneri e malinconici degni di clownerie triste, dalla rigida struttura corale. Il culmine della riflessione del regista sul genere della commedia. Una pellicola ingiustamente dimenticata, ancora oggi testimonianza delle infinite variazioni sul tema presenti nella filmografia del regista.
Se il cinema di Altman è stato spunto di partenza per una nuova stagione di giovani cineasti, primo tra tutti Paul Thomas Anderson, che con Magnolia (1999) dichiara esplicitamente il suo debito a Short Cuts (1993), c’è da chiedersi se anche in Italia una nuova generazione di autori e autrici sapranno farsi interpreti dell’eredità di Scola, che in fin dei conti non è altro che un invito all’osservazione, a soffermarsi nuovamente sulla realtà del nostro paese, magari ridendoci sopra. Anche perché, si sa, ridendo e scherzando…
Come diceva in una delle ultime interviste: "Il cinema è un lavoro duro ma si può, ridendo e scherzando, mandare qualche messaggetto, qualche cartolina postale con le proprie osservazioni sul mondo”.