I luoghi delle riprese vissuti da uno
dei protagonisti del cinema italiano,
di Sergio Floriani
TR-03
08.05.2020
Al cinema, spesso consideriamo solo ciò che si vede sullo schermo. Ma cosa c’è dietro? Tante realtà tra loro eterogenee: persone, strumenti, lavoro, problemi, idee. Storie a volte più inusuali della trama dei film che producono. Prendiamo un esempio: l’immaginario epico del cinema di Sergio Leone nasconde una quantità di aneddoti altrettanto mitici. Da un lato, la maestosità dello stile cinematografico del padre del western all’italiana è ciò che risalta subito agli occhi dello spettatore. Dall’altro, secondo la definizione di Marco Cucco essa è solo la «punta dell’iceberg» di un processo creativo lungo ed articolato. Quest’articolo intende mettere in relazione i capolavori del regista con il set: luogo dal quale lo stesso Leone ha iniziato la sua carriera cinematografica come comparsa. Perlustrando le sue opere alla ricerca di scene emblematiche, tenteremo di capire come Sergio Leone vivesse il set e il suo processo creativo.
Io sono nato nel cinema. Vi lavoravano ambedue i miei genitori. La mia vita, le mie letture, tutto quanto mi riguarda ha a che fare con il cinema. Perciò il cinema per me è la vita, e viceversa.
Sergio Leone fa la sua prima esperienza sul set, a soli diciott’anni, come comparsa in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Successivamente, Leone inizia a lavorare come assistente o direttore della seconda unità in peplum basati sulle gesta di eroi greci e romani. In questo periodo Leone svolge importanti esperienze in Quo vadis di Mervyn LeRoy (1951), in Ben-Hur di William Wyler (1959) e in Gli ultimi giorni a Pompei (1959) dove è chiamato a rimpiazzare durante una fase di riprese il regista Mario Bonnard che si era dovuto assentare per malattia. L’esordio alla regia arriva nel 1961 con il film Il Colosso di Rodi. Lo stile registico del primo Leone è abbastanza fedele alle correnti cinematografiche degli anni Cinquanta. In riferimento al suo film d’esordio, divertenti sono le parole di Leone riportate in un’intervista di Francesco Mininni presente nel libro Sergio Leone della collana Il Castoro Cinema.
Del film ho il ricordo di un divertimento, e soprattutto di una fonte di guadagno caduta proprio al momento giusto. Mi ero appena sposato, e come tutte le coppie di sposi novelli io e mia moglie Carla avevamo piccoli e grandi problemi economici. Quando poi il film fu lodato dai Cahiers du Cinéma rimasi molto sorpreso, pur conoscendo la facilità dell’entusiasmo degli amici francesi […] Non era un film che sentivo profondamente mio, ma ho cercato di farlo nel modo migliore e di dargli ove possibile un’impronta personale. In realtà, è un film che non avrei mai fatto se l’avessi dovuto pensare io. Semplicemente, a quell’epoca furoreggiava il film colossale, e il produttore Maggi mi propose di realizzarne uno.
Contestualmente all’affermarsi del suo stile cinematografico, Leone rafforza la centralità della sua figura sul set. Sarà proprio il suo spessore caratteriale a permettergli di adottare soluzioni innovative tali da far sembrare spettacolare un film a basso budget e, allo stesso tempo, a risolvere le controversie che necessariamente nascono durante la lavorazione. La conquista simbolica del set è rappresentata dalla lite intercorsa con John Derek, protagonista maschile de Il Colosso di Rodi. Derek, accusando Leone di inesperienza, intendeva prendere in mano la regia. Leone, grazie all’appoggio di maggior parte della troupe, riesce ad avere la meglio su Derek che per protesta si ritira dal film.
Per un pugno di dollari, opera seconda di Sergio Leone, viene girato tra aprile e giugno 1964, e nonostante il ridotto budget a disposizione riesce ad ottenere un buon successo commerciale. Il film, nel quale nasce il sodalizio artistico con Clint Eastwood, è da considerarsi una ventata di aria fresca per il mercato cinematografico italiano che, a partire da fine anni 50, aveva registrato un sensibile calo delle presenze in sala. Per un pugno di dollari porta un’inaspettata spinta al settore: la pellicola di Leone è presa come riferimento per nuove produzioni sia in Italia che oltreoceano.
Tornando sugli aspetti riguardanti la produzione in senso stretto, è interessante citare una testimonianza di Leone, riportata sempre all’interno del libro di Mininni, che mette in luce le vicende produttive di Leone prima di riuscire a girare C’era una volta in America.
Per un pugno di dollari, in particolare, ha avuto moltissime vicissitudini produttive. Addirittura un produttore mi disse che appena si liberavano Tognazzi e Vianello si poteva fare il film. A cose fatte sarebbero fioccate le parodie, ma c’era qualcuno allora che pensava che il film fosse già una parodia. Gli altri li ho prodotti io stesso, e quindi non ho avuto problemi. Dopo il successo internazionale, naturalmente, ho avuto carta bianca su tutto, almeno finché non ho cominciato a pensare a C’era una volta in America. Il film avrei voluto farlo subito dopo Il buono, il brutto, il cattivo, ma i produttori erano spaventati dal costo elevato, soprattutto preferivano battere finché era caldo il ferro del western. Così, siccome talvolta i successi bollano più degli insuccessi, sono stato costretto ad aspettare diciassette anni prima di portare a compimento il progetto che più mi stava a cuore.
Girando Per un pugno di dollari, Leone vive le sue principali difficoltà a causa del ridottissimo budget. Ma le originali scelte di regia, determinate anche dalla necessità di dover adottare soluzioni economiche ma brillanti, influiscono a rendere il film un successo al botteghino. Christopher Frayling, autore del volume C’era una volta in Italia, ha conosciuto personalmente Leone e dialogato con lui in più occasioni. Nel suo libro riesce a restituire in modo fedele ed empatico, attraverso testimonianze dirette ed indirette, gli atteggiamenti che Leone assumeva sul set descrivendolo così:
Un regista occhialuto che indossa cappello da cowboy e poncho e mostra agli attori con entusiasmo i movimenti da fare, ritoccando i vestiti. Molte inquadrature di volti attoniti, che reagiscono, cambiano espressione; angolazioni alternative sui gesti per coprirsi. Leone non parlava granché inglese ma conosceva la frase watch me, “guardami Clint”. Mimava l’azione, e creava via via i personaggi sul set ripensando alla propria infanzia romana.
Facendo un passo avanti nella trilogia del dollaro, nel 1965 Leone realizza Per qualche dollaro in più. Grazie a un budget maggiore – 600.000 dollari – e all’esperienza maturata durante il film precedente, Leone consolida il suo stile e la sua figura di padre del western all’italiana. Il film viene girato abbastanza rapidamente: dodici settimane tra aprile e luglio 1965, in varie location in Spagna e a Cinecittà. Sempre grazie a Frayling, possiamo notare come il rapporto di complicità tra Leone ed Eastwood cresca di film in film:
Eastwood non voleva fumare di nuovo il sigaro, ma Leone insisteva scherzando: “Il protagonista è lui, il sigaro!”.
Distribuito a dicembre del 1965, Per qualche dollaro in più è il film di maggior successo commerciale in Italia; anche sul mercato statunitense, distribuito a partire dal 1967, realizza importanti risultati.
Il buono, il brutto, il cattivo chiude la trilogia del dollaro. Il film viene girato tra maggio e luglio 1966, con un budget raddoppiato rispetto all’opera precedente grazie al significativo apporto della United Artists. Le riprese del film avvengono prevalentemente in alcune località della Spagna tra le quali: Tabernas, Colmenar Viejo, La Calahorra, Los Albaricoques e nei pressi del fiume Arlanza, poco più a sud di Burgos, dove viene girata la celebre scena del cosiddetto “triello”. Una scena epica, pietra miliare del linguaggio cinematografico, nella quale traspare fortemente lo stile di Leone.
Una scena de Il buono, il brutto, il cattivo che di costruito invece non ha nulla è la famosa sequenza del ponte che salta in aria. Una maestranza, accidentalmente, fa innescare una delle mine predisposte sul ponte. Il crollo potrebbe rappresentare sia un costo non preventivato che un rallentamento sui tempi di produzione. Tuttavia, il caso fortuito vuole che Leone abbia già acceso le videocamere che da inizio mattinata stanno riprendendo senza ciak. La pellicola costava molto e non bisognava sprecarla girando a vuoto: per questo possiamo definirlo un caso veramente fortuito. È così che, grazie ad esso, possiamo vedere quell’esplosione ancora oggi.
Il suo film successivo – C’era una volta il west – viene prodotto dalla Paramount e girato tra aprile e luglio 1968. Leone ha a disposizione un budget di tre milioni, cifra necessaria per consentirgli di dare quel tono di epicità che desidera. Riesce a girare anche in America, nella famosa Monument Valley, e a ingaggiare Henry Fonda e Charles Bronson, attori da lui apprezzati e da parecchio tempo ambiti. La vera protagonista però è Claudia Cardinale, collocata abilmente in alcune scene cardine del film. Una fra tutte è il famoso dolly che segue l’ingresso del suo personaggio, Jill McBain, nella città di Flagstone. Claudia Cardinale, all’interno di un’intervista riportata nel libro di Frayling, ricorda così il lavoro svolto con Sergio Leone prima e durante la lavorazione di C’era una volta il west:
Ricordo come mi ha raccontato il film. Non aveva un copione. Ho trascorso un giorno intero a casa sua con lui che mi spiegava il film nei minimi dettagli, le inquadrature, il travelling e le musiche. Mi ha fatto ascoltare le musiche per il film. Aveva una tale passione per il cinema ed era meraviglioso parlare con lui proprio per quel motivo. Inoltre, la parte che voleva farmi interpretare era meravigliosa. Avevo capito tutto. Conoscevo il film inquadratura per inquadratura già prima che iniziassero le riprese. […] Amava il cinema e il suo lavoro ma era spesso teso. Ricordo che durante le scene di cui non era troppo contento teneva in mano un pacchetto di sigarette e lo batteva di continuo, tack tack tack. Era molto nervoso, visibilmente nervoso, quando non era contento d’una scena. Ma sul set era meraviglioso il suo amore per gli attori. Gli attori per lui erano come regine e re.
Tra aprile e luglio 1970, è la volta di Giù la testa. Film western atipico che si distacca ulteriormente dai precedenti e mette in scena la disillusione di Leone nei confronti della politica. Il protagonista Juan Miranda viene interpretato da Rod Steiger che discute in più occasioni con Leone. La causa è la recitazione di Steiger fortemente empatica ed influenzata dall’Actors Studio, e non adatta per alcune scene intimiste e dilatate del film. Giù la testa non consegue un buon successo commerciale come i film precedenti, tuttavia ottiene un buon riconoscimento da parte della critica in Italia e all’estero.
Dopodiché passano più di dieci anni. È solo nel 1984 che Leone porterà a compimento il suo film testamento: C’era una volta in America. Il film si distacca dai precedenti sia per la genesi che per il contesto storico e sociale: viene abbandonato il genere western per far spazio al gangster americano. Inoltre, C’era una volta in America è l’unico film basato su un testo letterario: Leone scopre il romanzo di Harry Grey The Hoods durante la lavorazione di Il buono, il brutto, il cattivo. Sono necessari sedici anni per dare il via, nel giugno 1982, alla produzione vera e propria, che dura fino al 22 Aprile del 1983 e implica un costo complessivo di 23 milioni di dollari a fronte dei 18 che erano stati inizialmente preventivati. Il final cut prevede una versione di 229 minuti: sono troppi per gli standard hollywoodiani e la Ladd Company impone a Leone una versione mutilata di 139 minuti da distribuire nelle sale in America. Inevitabilmente, quest’ultima si traduce in un fiasco di appena due milioni e mezzo di dollari incassati nelle sale americane. Fortunatamente, C’era una volta in America viene presentato in una versione più completa a Cannes nel 1984 ottenendo il plauso di parte della critica e un discreto risultato distributivo in Europa.
C’era una volta in America è tutt’oggi considerato uno tra i più grandi capolavori della storia del cinema. Sergio Leone, durante la lavorazione del film, cura tutto nei minimi dettagli e impone alla troupe ritmi di lavoro serrati. Durante il primo giorno di riprese, Leone avrebbe detto a Mario Cotone (organizzatore generale del film):
Aoh', cominciamolo bene 'sto film! A' Mario, guarda io non le faccio le passeggiate: io quando faccio un film, faccio un film co' a 'effe' maiuscola: qui se devono rompe 'er culo tutti!
Mario Cotone, che era un organizzatore con la “O” maiuscola, ha in più occasioni dimostrato il suo valore, consentendo a Leone di girare alcune scene epiche, entrate di diritto a far parte della storia del cinema. Una fra tutte la scena del passaggio sotto il ponte di Brooklyn dei giovani gangster protagonisti del film. Per consentirne la realizzazione, Cotone avrebbe bloccato il traffico sul ponte simulando un incidente con un suo collega. Robert De Niro, invece, per prepararsi alla perfezione per il suo ruolo centrale e per calarsi nel personaggio, avrebbe tentato più volte di mettersi in contatto con il boss mafioso di origini bielorusse Meyer Lansky.
La cura maniacale che Leone dedicava ad ogni singola inquadratura rendeva ogni set impegnativo da affrontare; tuttavia la grande empatia che il regista romano trasmetteva, stimolava tutti i componenti della troupe a dare il meglio di sé durante le riprese.
I luoghi delle riprese vissuti da uno
dei protagonisti del cinema italiano,
di Sergio Floriani
TR-03
08.05.2020
Al cinema, spesso consideriamo solo ciò che si vede sullo schermo. Ma cosa c’è dietro? Tante realtà tra loro eterogenee: persone, strumenti, lavoro, problemi, idee. Storie a volte più inusuali della trama dei film che producono. Prendiamo un esempio: l’immaginario epico del cinema di Sergio Leone nasconde una quantità di aneddoti altrettanto mitici. Da un lato, la maestosità dello stile cinematografico del padre del western all’italiana è ciò che risalta subito agli occhi dello spettatore. Dall’altro, secondo la definizione di Marco Cucco essa è solo la «punta dell’iceberg» di un processo creativo lungo ed articolato. Quest’articolo intende mettere in relazione i capolavori del regista con il set: luogo dal quale lo stesso Leone ha iniziato la sua carriera cinematografica come comparsa. Perlustrando le sue opere alla ricerca di scene emblematiche, tenteremo di capire come Sergio Leone vivesse il set e il suo processo creativo.
Io sono nato nel cinema. Vi lavoravano ambedue i miei genitori. La mia vita, le mie letture, tutto quanto mi riguarda ha a che fare con il cinema. Perciò il cinema per me è la vita, e viceversa.
Sergio Leone fa la sua prima esperienza sul set, a soli diciott’anni, come comparsa in Ladri di biciclette di Vittorio De Sica. Successivamente, Leone inizia a lavorare come assistente o direttore della seconda unità in peplum basati sulle gesta di eroi greci e romani. In questo periodo Leone svolge importanti esperienze in Quo vadis di Mervyn LeRoy (1951), in Ben-Hur di William Wyler (1959) e in Gli ultimi giorni a Pompei (1959) dove è chiamato a rimpiazzare durante una fase di riprese il regista Mario Bonnard che si era dovuto assentare per malattia. L’esordio alla regia arriva nel 1961 con il film Il Colosso di Rodi. Lo stile registico del primo Leone è abbastanza fedele alle correnti cinematografiche degli anni Cinquanta. In riferimento al suo film d’esordio, divertenti sono le parole di Leone riportate in un’intervista di Francesco Mininni presente nel libro Sergio Leone della collana Il Castoro Cinema.
Del film ho il ricordo di un divertimento, e soprattutto di una fonte di guadagno caduta proprio al momento giusto. Mi ero appena sposato, e come tutte le coppie di sposi novelli io e mia moglie Carla avevamo piccoli e grandi problemi economici. Quando poi il film fu lodato dai Cahiers du Cinéma rimasi molto sorpreso, pur conoscendo la facilità dell’entusiasmo degli amici francesi […] Non era un film che sentivo profondamente mio, ma ho cercato di farlo nel modo migliore e di dargli ove possibile un’impronta personale. In realtà, è un film che non avrei mai fatto se l’avessi dovuto pensare io. Semplicemente, a quell’epoca furoreggiava il film colossale, e il produttore Maggi mi propose di realizzarne uno.
Contestualmente all’affermarsi del suo stile cinematografico, Leone rafforza la centralità della sua figura sul set. Sarà proprio il suo spessore caratteriale a permettergli di adottare soluzioni innovative tali da far sembrare spettacolare un film a basso budget e, allo stesso tempo, a risolvere le controversie che necessariamente nascono durante la lavorazione. La conquista simbolica del set è rappresentata dalla lite intercorsa con John Derek, protagonista maschile de Il Colosso di Rodi. Derek, accusando Leone di inesperienza, intendeva prendere in mano la regia. Leone, grazie all’appoggio di maggior parte della troupe, riesce ad avere la meglio su Derek che per protesta si ritira dal film.
Per un pugno di dollari, opera seconda di Sergio Leone, viene girato tra aprile e giugno 1964, e nonostante il ridotto budget a disposizione riesce ad ottenere un buon successo commerciale. Il film, nel quale nasce il sodalizio artistico con Clint Eastwood, è da considerarsi una ventata di aria fresca per il mercato cinematografico italiano che, a partire da fine anni 50, aveva registrato un sensibile calo delle presenze in sala. Per un pugno di dollari porta un’inaspettata spinta al settore: la pellicola di Leone è presa come riferimento per nuove produzioni sia in Italia che oltreoceano.
Tornando sugli aspetti riguardanti la produzione in senso stretto, è interessante citare una testimonianza di Leone, riportata sempre all’interno del libro di Mininni, che mette in luce le vicende produttive di Leone prima di riuscire a girare C’era una volta in America.
Per un pugno di dollari, in particolare, ha avuto moltissime vicissitudini produttive. Addirittura un produttore mi disse che appena si liberavano Tognazzi e Vianello si poteva fare il film. A cose fatte sarebbero fioccate le parodie, ma c’era qualcuno allora che pensava che il film fosse già una parodia. Gli altri li ho prodotti io stesso, e quindi non ho avuto problemi. Dopo il successo internazionale, naturalmente, ho avuto carta bianca su tutto, almeno finché non ho cominciato a pensare a C’era una volta in America. Il film avrei voluto farlo subito dopo Il buono, il brutto, il cattivo, ma i produttori erano spaventati dal costo elevato, soprattutto preferivano battere finché era caldo il ferro del western. Così, siccome talvolta i successi bollano più degli insuccessi, sono stato costretto ad aspettare diciassette anni prima di portare a compimento il progetto che più mi stava a cuore.
Girando Per un pugno di dollari, Leone vive le sue principali difficoltà a causa del ridottissimo budget. Ma le originali scelte di regia, determinate anche dalla necessità di dover adottare soluzioni economiche ma brillanti, influiscono a rendere il film un successo al botteghino. Christopher Frayling, autore del volume C’era una volta in Italia, ha conosciuto personalmente Leone e dialogato con lui in più occasioni. Nel suo libro riesce a restituire in modo fedele ed empatico, attraverso testimonianze dirette ed indirette, gli atteggiamenti che Leone assumeva sul set descrivendolo così:
Un regista occhialuto che indossa cappello da cowboy e poncho e mostra agli attori con entusiasmo i movimenti da fare, ritoccando i vestiti. Molte inquadrature di volti attoniti, che reagiscono, cambiano espressione; angolazioni alternative sui gesti per coprirsi. Leone non parlava granché inglese ma conosceva la frase watch me, “guardami Clint”. Mimava l’azione, e creava via via i personaggi sul set ripensando alla propria infanzia romana.
Facendo un passo avanti nella trilogia del dollaro, nel 1965 Leone realizza Per qualche dollaro in più. Grazie a un budget maggiore – 600.000 dollari – e all’esperienza maturata durante il film precedente, Leone consolida il suo stile e la sua figura di padre del western all’italiana. Il film viene girato abbastanza rapidamente: dodici settimane tra aprile e luglio 1965, in varie location in Spagna e a Cinecittà. Sempre grazie a Frayling, possiamo notare come il rapporto di complicità tra Leone ed Eastwood cresca di film in film:
Eastwood non voleva fumare di nuovo il sigaro, ma Leone insisteva scherzando: “Il protagonista è lui, il sigaro!”.
Distribuito a dicembre del 1965, Per qualche dollaro in più è il film di maggior successo commerciale in Italia; anche sul mercato statunitense, distribuito a partire dal 1967, realizza importanti risultati.
Il buono, il brutto, il cattivo chiude la trilogia del dollaro. Il film viene girato tra maggio e luglio 1966, con un budget raddoppiato rispetto all’opera precedente grazie al significativo apporto della United Artists. Le riprese del film avvengono prevalentemente in alcune località della Spagna tra le quali: Tabernas, Colmenar Viejo, La Calahorra, Los Albaricoques e nei pressi del fiume Arlanza, poco più a sud di Burgos, dove viene girata la celebre scena del cosiddetto “triello”. Una scena epica, pietra miliare del linguaggio cinematografico, nella quale traspare fortemente lo stile di Leone.
Una scena de Il buono, il brutto, il cattivo che di costruito invece non ha nulla è la famosa sequenza del ponte che salta in aria. Una maestranza, accidentalmente, fa innescare una delle mine predisposte sul ponte. Il crollo potrebbe rappresentare sia un costo non preventivato che un rallentamento sui tempi di produzione. Tuttavia, il caso fortuito vuole che Leone abbia già acceso le videocamere che da inizio mattinata stanno riprendendo senza ciak. La pellicola costava molto e non bisognava sprecarla girando a vuoto: per questo possiamo definirlo un caso veramente fortuito. È così che, grazie ad esso, possiamo vedere quell’esplosione ancora oggi.
Il suo film successivo – C’era una volta il west – viene prodotto dalla Paramount e girato tra aprile e luglio 1968. Leone ha a disposizione un budget di tre milioni, cifra necessaria per consentirgli di dare quel tono di epicità che desidera. Riesce a girare anche in America, nella famosa Monument Valley, e a ingaggiare Henry Fonda e Charles Bronson, attori da lui apprezzati e da parecchio tempo ambiti. La vera protagonista però è Claudia Cardinale, collocata abilmente in alcune scene cardine del film. Una fra tutte è il famoso dolly che segue l’ingresso del suo personaggio, Jill McBain, nella città di Flagstone. Claudia Cardinale, all’interno di un’intervista riportata nel libro di Frayling, ricorda così il lavoro svolto con Sergio Leone prima e durante la lavorazione di C’era una volta il west:
Ricordo come mi ha raccontato il film. Non aveva un copione. Ho trascorso un giorno intero a casa sua con lui che mi spiegava il film nei minimi dettagli, le inquadrature, il travelling e le musiche. Mi ha fatto ascoltare le musiche per il film. Aveva una tale passione per il cinema ed era meraviglioso parlare con lui proprio per quel motivo. Inoltre, la parte che voleva farmi interpretare era meravigliosa. Avevo capito tutto. Conoscevo il film inquadratura per inquadratura già prima che iniziassero le riprese. […] Amava il cinema e il suo lavoro ma era spesso teso. Ricordo che durante le scene di cui non era troppo contento teneva in mano un pacchetto di sigarette e lo batteva di continuo, tack tack tack. Era molto nervoso, visibilmente nervoso, quando non era contento d’una scena. Ma sul set era meraviglioso il suo amore per gli attori. Gli attori per lui erano come regine e re.
Tra aprile e luglio 1970, è la volta di Giù la testa. Film western atipico che si distacca ulteriormente dai precedenti e mette in scena la disillusione di Leone nei confronti della politica. Il protagonista Juan Miranda viene interpretato da Rod Steiger che discute in più occasioni con Leone. La causa è la recitazione di Steiger fortemente empatica ed influenzata dall’Actors Studio, e non adatta per alcune scene intimiste e dilatate del film. Giù la testa non consegue un buon successo commerciale come i film precedenti, tuttavia ottiene un buon riconoscimento da parte della critica in Italia e all’estero.
Dopodiché passano più di dieci anni. È solo nel 1984 che Leone porterà a compimento il suo film testamento: C’era una volta in America. Il film si distacca dai precedenti sia per la genesi che per il contesto storico e sociale: viene abbandonato il genere western per far spazio al gangster americano. Inoltre, C’era una volta in America è l’unico film basato su un testo letterario: Leone scopre il romanzo di Harry Grey The Hoods durante la lavorazione di Il buono, il brutto, il cattivo. Sono necessari sedici anni per dare il via, nel giugno 1982, alla produzione vera e propria, che dura fino al 22 Aprile del 1983 e implica un costo complessivo di 23 milioni di dollari a fronte dei 18 che erano stati inizialmente preventivati. Il final cut prevede una versione di 229 minuti: sono troppi per gli standard hollywoodiani e la Ladd Company impone a Leone una versione mutilata di 139 minuti da distribuire nelle sale in America. Inevitabilmente, quest’ultima si traduce in un fiasco di appena due milioni e mezzo di dollari incassati nelle sale americane. Fortunatamente, C’era una volta in America viene presentato in una versione più completa a Cannes nel 1984 ottenendo il plauso di parte della critica e un discreto risultato distributivo in Europa.
C’era una volta in America è tutt’oggi considerato uno tra i più grandi capolavori della storia del cinema. Sergio Leone, durante la lavorazione del film, cura tutto nei minimi dettagli e impone alla troupe ritmi di lavoro serrati. Durante il primo giorno di riprese, Leone avrebbe detto a Mario Cotone (organizzatore generale del film):
Aoh', cominciamolo bene 'sto film! A' Mario, guarda io non le faccio le passeggiate: io quando faccio un film, faccio un film co' a 'effe' maiuscola: qui se devono rompe 'er culo tutti!
Mario Cotone, che era un organizzatore con la “O” maiuscola, ha in più occasioni dimostrato il suo valore, consentendo a Leone di girare alcune scene epiche, entrate di diritto a far parte della storia del cinema. Una fra tutte la scena del passaggio sotto il ponte di Brooklyn dei giovani gangster protagonisti del film. Per consentirne la realizzazione, Cotone avrebbe bloccato il traffico sul ponte simulando un incidente con un suo collega. Robert De Niro, invece, per prepararsi alla perfezione per il suo ruolo centrale e per calarsi nel personaggio, avrebbe tentato più volte di mettersi in contatto con il boss mafioso di origini bielorusse Meyer Lansky.
La cura maniacale che Leone dedicava ad ogni singola inquadratura rendeva ogni set impegnativo da affrontare; tuttavia la grande empatia che il regista romano trasmetteva, stimolava tutti i componenti della troupe a dare il meglio di sé durante le riprese.