di Omar Franini
NC-150
31.05.2023
È passata poco meno di una settimana dalla conclusione della 76ª edizione del Festival di Cannes ed è arrivato il momento di trarre le conclusioni su quella che è stata, tutto sommato, un’ottima edizione. Abbiamo visionato all’incirca una sessantina di film e possiamo affermare che, in generale, il livello è stato piuttosto alto. Il Festival è stato caratterizzato dal grande ritorno di alcuni rinomati cineasti, come Martin Scorsese, Victor Erice e Wim Wenders, ma anche da piacevoli scoperte di nuovi autori o registi poco conosciuti a livello internazionale, come Pham Thien An e Rodrigo Moreno. E infine, non sono mancate delle sorprendenti delusioni, come le nuove opere di Jessica Hausner e Ken Loach.
La Palma d’Oro è stata assegnata a Justine Triet per Anatomie d’une chute. C’erano alte aspettative sul film prima dell’inizio del festival e queste sono state ampiamente soddisfatte. La vittoria finale ha comunque sorpreso, perché ci si aspettava un premio importante al film, come ad esempio quello di miglior attrice a Sandra Hüller, ma la Palma d’Oro non era così scontata. Triet è diventata ufficialmente la terza donna a vincere il premio più importante della kermesse dopo Jane Campion, che lo vinse nel 1993 con The Piano, e Julia Ducornau, che si aggiudicò il riconoscimento nel 2021 con Titane. Reputiamo l’assegnazione della Palma da parte della giuria, “capitanata” da Ruben Östlund, più che meritata, poichè Anatomie d’une chute è stata una delle migliori pellicole presentate al festival e ha rappresentato la definitiva consacrazione di Justine Triet.
La regista, infatti, aveva mostrato un’enorme potenziale nelle sue tre precedenti opere che ci avevano fatto appassionare al suo cinema, soprattutto nel modo in cui aveva reinventato, e modernizzato, vari generi cinematografici, come la commedia romantica in Victoria (2016) e il camp thriller in Sibyl (2019). Anatomie d’une chute è il suo quarto lungometraggio, una fusione tra un thriller ambiguo e un courtroom drama avvincente, con al centro il personaggio di Sandra, una scrittrice accusata dell’omicidio del marito. La scrittura complessa dietro a questa storia e l’interpretazione di Sandra Hüller sono magistrali, e fanno funzionare il film alla perfezione.
Parlando dell’attrice tedesca, Sandra Huller è stata presente al festival anche con il film che si è aggiudicato il Gran Premio, ovvero The Zone of Interest, la nuova, magistrale, opera di Jonathan Glazer. Il film è una terrificante, e struggente, visione dell’Olocausto, dove il regista segue il punto di vista di Rudolf Hoss, un caporale nazista, e sua moglie Hedwig, che vivono la loro vita spensierati in una villa a poche centinaia di metri da Auschwitz. The Zone of Interest è un film indimenticabile e impeccabile sotto ogni punto di vista. Uno dei problemi principali di quest’edizione del festival di Cannes è stato che abbiamo visto tanti bei film, ma solo pochi di questi hanno mostrato qualcosa di innovativo o un approccio rischioso. The Zone of Interest è uno di questi, il lavoro sul suono, la colonna sonora e la fotografia sono superbi, come la visione e la regia di Glazer d’altronde.
Il premio di miglior attore è andato a Koji Yakusho per Perfect Days di Wim Wenders. Il film mostra la pacata routine quotidiana di un addetto alle pulizie dei bagni pubblici. L’interpretazione minimalista di Yakusho è eccellente e non ci stupisce affatto la sua vittoria, forse una delle più meritate della serata. Meno scontata è stata la scelta per la miglior attrice, il premio è stato vinto da Merve Dizdar per About Dry Grasses di Nuri Bilge Ceylan. È raro veder trionfare una performance da non protagonista in questi festival, infatti Dizdar appare solo nella seconda parte del film, in tre lunghe sequenze. Una di queste è una cena che il suo personaggio ha con Samet, il protagonista, dove l’attrice è struggente nel raccontare la propria storia personale. La scelta è stata davvero ispirata e meritata, soprattutto tenendo conto che la Hüller era “squalificata”, viste le vittorie più importanti nei film in cui era protagonista.
A completare le vittorie ci sono Aki Kaurismaki, con il Premio della Giuria per Fallen Leaves, e Tran An Hung con la miglior regia per La Passion de Dodin Bouffant, film che segue le vicende di due cuochi gourmet e il loro amore per la cucina. E infine Yuji Sakamoto, vincitore per la miglior sceneggiatura con Monster di Hirokazu Kore’eda. Tutti i premi assegnati sono risultati più o meno meritevoli e ci siamo trovati davanti ad uno dei palmares migliori degli ultimi anni.
Quest’anno tre film italiani erano presenti in competizione, ma nessuno di questi è riuscito a portare a casa qualche premio. Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti ha ricevuto opinioni piuttosto discordanti, soprattutto da parte del pubblico anglofono. Discorso simile anche per Rapito di Marco Bellocchio. Mentre sorprende la non presenza di Alice Rohrwacher alla serata dei premi, La Chimera avrebbe potuto vincere per la miglior regia o un gran premio, ma forse mostrare il film l’ultimo giorno non ha aiutato. Raramente un film presentato agli sgoccioli della kermesse ha vinto la Palma, le uniche eccezioni sono state Rosetta (1999) e La Classe - Etre Les Mures (2008).
Passando ora alla sezione Un Certain Regard, è stato How to Have Sex, l’opera prima di Molly Manning Walker a trionfare. Il film è incentrato su tre ragazze che devono trascorrere una vacanza a Maiorca per compiere un importante rito di passaggio: perdere la verginità. La vittoria è stata ben accolta, anche se avremmo preferito vedere sul podio l’heist comedy argentina Los Delincuentes, di Rodrigo Moreno, o il dramma sociale iraniano Terrestrial Verses di Ali Asgari e Alireza Khatami. La Miglior regia è stata assegnata ad Asmae El Moudir per The Mother of All Lies, pellicola dove la regista esplora il trauma generazionale della propria famiglia adoperando un approccio originale e utilizzando dei pupazzetti per ricreare il passato tormentato dei suoi parenti. Quest’anno non sono stati assegnati premi singoli a miglior attore ed attrice, ma un premio congiunto al miglior cast per The Buriti Flower. Probabilmente, l’intento di questa scelta era quello di onorare la comunità indigena che ha recitato nel film. Le interpretazioni “neorealiste” funzionano nel contesto del lungometraggio, e la scelta di assegnare questo premio è da ammirare.
La sezione Quinzaine des Cineasts è risultata leggermente sottotono quest’anno, ma ciò è dovuto soprattutto al suo cambio di direzione. Il nuovo delegato, Julien Rejl, ha “stravolto” il processo di selezione e ha preferito porre maggiore attenzione su opere prime, o seconde, piuttosto che scegliere film di noti autori che sono stati “scartati” da Fremaux per la competizione principale, un aspetto che ha condizionato la selezione negli ultimi anni. Ci sono state opere di autori del calibro di Michel Gondry, Hong Sang-soo e Cedric Kahn, ma il resto della line up era formata da nomi nuovi. Tra questi spicca il vietnamita Pham Thien Ahn, che ha presentato Inside The Yellow Cocoon Shell, film che si è aggiudicato anche la Camera d’Or per il miglior debutto. L’opera segue le vicende di un uomo che, dopo aver perso la cognata, si vede costretto a portare il corpo della donna al suo villaggio e a prendersi cura del nipote rimasto orfano. Il ritmo lento, e il tono trascendentale, ci hanno ricordato il cinema di Tarkovsky e Apichatpong. Inside the Yellow Cocoon Shell è stata una delle migliori visioni del festival e non vediamo l’ora di vedere cosa farà Pham Thien Ahn in futuro.
È arrivato il momento di parlare di una delle grandi note dolenti del Cannes 2023, il terribile trattamento riservato a Victor Erice da parte di Thierry Fremaux. Erano passati trent’anni dall’ultimo lungometraggio del cineasta spagnolo, e la scelta di mostrare il film “solo” nella sezione Cannes Premiere ci ha lasciato molto perplessi. Victor Erice meritava un posto in competizione e il più grande palcoscenico possibile per mostrare Cerrar Los Ojos, più che altro perché il film si è rivelato essere uno dei migliori del festival. Durante la premiere era presente solo il cast, e il regista ha spiegato la sua assenza in una lettera. La motivazione principale è stata la mancanza di comunicazione da parte di Fremaux, il cineasta non era stato avvertito della non selezione in competizione e, a saperlo prima, avrebbe presentato il film in altri festival come Locarno o Venezia. Troviamo irrispettoso questo trattamento da parte di Fremaux e ci schieriamo dalla parte del cineasta. Sembra quasi che l’intento della creazione della sezione Cannes Premiere sia quello di “rubare” film che sarebbero potuti approdare ad altri festival.
Per concludere, bisogna citare l’evento che ha attirato di più l’attenzione , ovvero la presentazione del nuovo film di Martin Scorsese. Ambientato negli anni 20’, nella contea di Osage, Killers of the Flower Moon è il monumentale adattamento dell’omonimo romanzo di David Grann che narra le vicende attorno a diversi omicidi di una tribù di indiani americani. Il film non ci ha deluso e, ad un primo istante, avevamo pensato che questa poteva essere l’ultima opera del cineasta, ma Scorsese ha già smentito questa ipotesi e a breve inizierà la lavorazione di un nuovo progetto. Killers of the Flower Moon è comunque una delle sue opere più riuscite, e bisognerà aspettare il 19 ottobre per vederlo nelle nostre sale.
di Omar Franini
NC-150
31.05.2023
È passata poco meno di una settimana dalla conclusione della 76ª edizione del Festival di Cannes ed è arrivato il momento di trarre le conclusioni su quella che è stata, tutto sommato, un’ottima edizione. Abbiamo visionato all’incirca una sessantina di film e possiamo affermare che, in generale, il livello è stato piuttosto alto. Il Festival è stato caratterizzato dal grande ritorno di alcuni rinomati cineasti, come Martin Scorsese, Victor Erice e Wim Wenders, ma anche da piacevoli scoperte di nuovi autori o registi poco conosciuti a livello internazionale, come Pham Thien An e Rodrigo Moreno. E infine, non sono mancate delle sorprendenti delusioni, come le nuove opere di Jessica Hausner e Ken Loach.
La Palma d’Oro è stata assegnata a Justine Triet per Anatomie d’une chute. C’erano alte aspettative sul film prima dell’inizio del festival e queste sono state ampiamente soddisfatte. La vittoria finale ha comunque sorpreso, perché ci si aspettava un premio importante al film, come ad esempio quello di miglior attrice a Sandra Hüller, ma la Palma d’Oro non era così scontata. Triet è diventata ufficialmente la terza donna a vincere il premio più importante della kermesse dopo Jane Campion, che lo vinse nel 1993 con The Piano, e Julia Ducornau, che si aggiudicò il riconoscimento nel 2021 con Titane. Reputiamo l’assegnazione della Palma da parte della giuria, “capitanata” da Ruben Östlund, più che meritata, poichè Anatomie d’une chute è stata una delle migliori pellicole presentate al festival e ha rappresentato la definitiva consacrazione di Justine Triet.
La regista, infatti, aveva mostrato un’enorme potenziale nelle sue tre precedenti opere che ci avevano fatto appassionare al suo cinema, soprattutto nel modo in cui aveva reinventato, e modernizzato, vari generi cinematografici, come la commedia romantica in Victoria (2016) e il camp thriller in Sibyl (2019). Anatomie d’une chute è il suo quarto lungometraggio, una fusione tra un thriller ambiguo e un courtroom drama avvincente, con al centro il personaggio di Sandra, una scrittrice accusata dell’omicidio del marito. La scrittura complessa dietro a questa storia e l’interpretazione di Sandra Hüller sono magistrali, e fanno funzionare il film alla perfezione.
Parlando dell’attrice tedesca, Sandra Huller è stata presente al festival anche con il film che si è aggiudicato il Gran Premio, ovvero The Zone of Interest, la nuova, magistrale, opera di Jonathan Glazer. Il film è una terrificante, e struggente, visione dell’Olocausto, dove il regista segue il punto di vista di Rudolf Hoss, un caporale nazista, e sua moglie Hedwig, che vivono la loro vita spensierati in una villa a poche centinaia di metri da Auschwitz. The Zone of Interest è un film indimenticabile e impeccabile sotto ogni punto di vista. Uno dei problemi principali di quest’edizione del festival di Cannes è stato che abbiamo visto tanti bei film, ma solo pochi di questi hanno mostrato qualcosa di innovativo o un approccio rischioso. The Zone of Interest è uno di questi, il lavoro sul suono, la colonna sonora e la fotografia sono superbi, come la visione e la regia di Glazer d’altronde.
Il premio di miglior attore è andato a Koji Yakusho per Perfect Days di Wim Wenders. Il film mostra la pacata routine quotidiana di un addetto alle pulizie dei bagni pubblici. L’interpretazione minimalista di Yakusho è eccellente e non ci stupisce affatto la sua vittoria, forse una delle più meritate della serata. Meno scontata è stata la scelta per la miglior attrice, il premio è stato vinto da Merve Dizdar per About Dry Grasses di Nuri Bilge Ceylan. È raro veder trionfare una performance da non protagonista in questi festival, infatti Dizdar appare solo nella seconda parte del film, in tre lunghe sequenze. Una di queste è una cena che il suo personaggio ha con Samet, il protagonista, dove l’attrice è struggente nel raccontare la propria storia personale. La scelta è stata davvero ispirata e meritata, soprattutto tenendo conto che la Hüller era “squalificata”, viste le vittorie più importanti nei film in cui era protagonista.
A completare le vittorie ci sono Aki Kaurismaki, con il Premio della Giuria per Fallen Leaves, e Tran An Hung con la miglior regia per La Passion de Dodin Bouffant, film che segue le vicende di due cuochi gourmet e il loro amore per la cucina. E infine Yuji Sakamoto, vincitore per la miglior sceneggiatura con Monster di Hirokazu Kore’eda. Tutti i premi assegnati sono risultati più o meno meritevoli e ci siamo trovati davanti ad uno dei palmares migliori degli ultimi anni.
Quest’anno tre film italiani erano presenti in competizione, ma nessuno di questi è riuscito a portare a casa qualche premio. Il Sol dell’Avvenire di Nanni Moretti ha ricevuto opinioni piuttosto discordanti, soprattutto da parte del pubblico anglofono. Discorso simile anche per Rapito di Marco Bellocchio. Mentre sorprende la non presenza di Alice Rohrwacher alla serata dei premi, La Chimera avrebbe potuto vincere per la miglior regia o un gran premio, ma forse mostrare il film l’ultimo giorno non ha aiutato. Raramente un film presentato agli sgoccioli della kermesse ha vinto la Palma, le uniche eccezioni sono state Rosetta (1999) e La Classe - Etre Les Mures (2008).
Passando ora alla sezione Un Certain Regard, è stato How to Have Sex, l’opera prima di Molly Manning Walker a trionfare. Il film è incentrato su tre ragazze che devono trascorrere una vacanza a Maiorca per compiere un importante rito di passaggio: perdere la verginità. La vittoria è stata ben accolta, anche se avremmo preferito vedere sul podio l’heist comedy argentina Los Delincuentes, di Rodrigo Moreno, o il dramma sociale iraniano Terrestrial Verses di Ali Asgari e Alireza Khatami. La Miglior regia è stata assegnata ad Asmae El Moudir per The Mother of All Lies, pellicola dove la regista esplora il trauma generazionale della propria famiglia adoperando un approccio originale e utilizzando dei pupazzetti per ricreare il passato tormentato dei suoi parenti. Quest’anno non sono stati assegnati premi singoli a miglior attore ed attrice, ma un premio congiunto al miglior cast per The Buriti Flower. Probabilmente, l’intento di questa scelta era quello di onorare la comunità indigena che ha recitato nel film. Le interpretazioni “neorealiste” funzionano nel contesto del lungometraggio, e la scelta di assegnare questo premio è da ammirare.
La sezione Quinzaine des Cineasts è risultata leggermente sottotono quest’anno, ma ciò è dovuto soprattutto al suo cambio di direzione. Il nuovo delegato, Julien Rejl, ha “stravolto” il processo di selezione e ha preferito porre maggiore attenzione su opere prime, o seconde, piuttosto che scegliere film di noti autori che sono stati “scartati” da Fremaux per la competizione principale, un aspetto che ha condizionato la selezione negli ultimi anni. Ci sono state opere di autori del calibro di Michel Gondry, Hong Sang-soo e Cedric Kahn, ma il resto della line up era formata da nomi nuovi. Tra questi spicca il vietnamita Pham Thien Ahn, che ha presentato Inside The Yellow Cocoon Shell, film che si è aggiudicato anche la Camera d’Or per il miglior debutto. L’opera segue le vicende di un uomo che, dopo aver perso la cognata, si vede costretto a portare il corpo della donna al suo villaggio e a prendersi cura del nipote rimasto orfano. Il ritmo lento, e il tono trascendentale, ci hanno ricordato il cinema di Tarkovsky e Apichatpong. Inside the Yellow Cocoon Shell è stata una delle migliori visioni del festival e non vediamo l’ora di vedere cosa farà Pham Thien Ahn in futuro.
È arrivato il momento di parlare di una delle grandi note dolenti del Cannes 2023, il terribile trattamento riservato a Victor Erice da parte di Thierry Fremaux. Erano passati trent’anni dall’ultimo lungometraggio del cineasta spagnolo, e la scelta di mostrare il film “solo” nella sezione Cannes Premiere ci ha lasciato molto perplessi. Victor Erice meritava un posto in competizione e il più grande palcoscenico possibile per mostrare Cerrar Los Ojos, più che altro perché il film si è rivelato essere uno dei migliori del festival. Durante la premiere era presente solo il cast, e il regista ha spiegato la sua assenza in una lettera. La motivazione principale è stata la mancanza di comunicazione da parte di Fremaux, il cineasta non era stato avvertito della non selezione in competizione e, a saperlo prima, avrebbe presentato il film in altri festival come Locarno o Venezia. Troviamo irrispettoso questo trattamento da parte di Fremaux e ci schieriamo dalla parte del cineasta. Sembra quasi che l’intento della creazione della sezione Cannes Premiere sia quello di “rubare” film che sarebbero potuti approdare ad altri festival.
Per concludere, bisogna citare l’evento che ha attirato di più l’attenzione , ovvero la presentazione del nuovo film di Martin Scorsese. Ambientato negli anni 20’, nella contea di Osage, Killers of the Flower Moon è il monumentale adattamento dell’omonimo romanzo di David Grann che narra le vicende attorno a diversi omicidi di una tribù di indiani americani. Il film non ci ha deluso e, ad un primo istante, avevamo pensato che questa poteva essere l’ultima opera del cineasta, ma Scorsese ha già smentito questa ipotesi e a breve inizierà la lavorazione di un nuovo progetto. Killers of the Flower Moon è comunque una delle sue opere più riuscite, e bisognerà aspettare il 19 ottobre per vederlo nelle nostre sale.