NC-171
17.10.2023
Negli anni successivi alla sua creazione il cinema si è guadagnato l'appellativo di settima arte, ma cosa succede quando il mezzo cinematografico incontra quella che da tutti è considerata l’Arte con la A maiuscola? Non è strano che gli artisti, soprattutto quelli contemporanei, mischino diverse discipline - come la pittura, la scultura, la performance, la fotografia o il video - per esprimere la propria visione del mondo.
Arte e Cinema sono uniti indissolubilmente fin dalla nascita di quest’ultimo, basti pensare al connubio tra Salvador Dalì, uno dei massimi esponenti del surrealismo pittorico, e Luis Buñuel - che il surrealismo lo traspose su pellicola. Per tanto non stupisce che molti artisti abbiano deciso di utilizzare il cinema per esprimersi, arrivando in questo modo alla formazione della videoarte: un linguaggio che trova la sua linfa vitale proprio nella riproduzione di immagini in movimento.
Queste opere, spesso, non riconoscono la grammatica cinematografica, ma tendono a sperimentare le potenzialità che lo strumento ha da offrire realizzando lavori che non trovano spazio nelle sale cinematografiche ma che vengono ammirati, o scoperti, nelle gallerie o in fondazioni d’arte.
Un esempio può essere Assembly, opera di Angelica Mesiti - video artist australiana di origini italiane - presentata alla Biennale d’arte di Venezia nel 2019. In Assembly Mesiti traduce una poesia in musica cercando, attraverso la polifonia, la cacofonia, la dissonanza e infine l’armonia, di rappresentare le varie fasi della democrazia. L’installazione si compone di tre canali video messi a cerchio e sospesi sopra una struttura architettonica che ospita gli spettatori e che richiama alla forma circolare degli anfiteatri. Quest’opera risulta pertanto coinvolgente a 360° - con le immagini che si susseguono su tre schermi o che differiscono nei momenti di cacofonia musicale.
Una delle grandi differenze tra la videoarte e il cinema è quindi la possibilità di poter giocare maggiormente con il mezzo. La videoarte regala la possibilità di sperimentare su diversi formati - non solo video ma anche di supporto - di proiettare su oggetti canonici come teli o schermi, o di optare per spazi inimmaginabili. Oltre alle sperimentazioni, però, ci sono artisti che sfruttano pienamente il mezzo cinematografico creando dei veri e propri cortocircuiti tra queste due forme di espressione.
Una personalità che rispecchia pienamente questo discorso è quella di Yuri Ancarani, un artista che attraverso l’uso del documentario crea installazioni che appaiono come delle vere finestre sul mondo. Dal lavoro di un uomo in una cava di marmo in Il capo (2010), alla vita dei bambini nati in prigione nell’opera San Vittore (2018), Ancarani mostra, con fermezza e poeticità, situazioni di disagio e, allo stesso tempo, di quotidianità. Il suo lavoro, così espressivo e a tratti narrativo, lo ha infatti portato dalla Biennale d’Arte del 2013 alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2021 - nella categoria Orizzonti - per il film Atlantide.
Se molti come Ancarani guardano attraverso la loro opera al genere documentaristico, ci sono invece artisti che adoperano il cinema per comporre una sorta di manifesto, come nel caso di CANEMORTO.
CANEMORTO è un trio di artisti anonimi attivi dal 2007. Famosi nel mondo dell’arte underground per le loro opere di street art, nel 2016 decidono di intraprendere un percorso di collaborazione con il regista Marco Proserpio, per cui scrivono e interpretano il loro primo corto: Toys. Sulla scia di questo progetto arrivano Golden Age, presentato nel 2017, e, a chiudere la trilogia, il mediometraggio En Plein Air.
In En Plein Air i CANEMORTO presentano non solo il loro lavoro come trio artistico, ma esprimono le proprie idee sul mondo dell’arte e il conflitto che si genera tra la street art, l’universo underground di cui fanno parte e il mondo elitario delle gallerie. I corti si presentano quindi come un mix tra il mockumentary e il videoclip musicale e saranno proiettati questa sera - per la prima volta insieme - al festival Indocili.
Se quindi ci si interroga se ci sia un confine tra Cinema e Arte, si arriverà alla conclusione che, molto probabilmente, non esiste una vera risposta. La videoarte, così come il cinema, ci incanta perché cambia, evolve e sperimenta sempre, vive di regole ma allo stesso tempo le infrange, facendoci capire che i confini, molto spesso, sono inesistenti quando si parla di creatività.
NC-171
17.10.2023
Negli anni successivi alla sua creazione il cinema si è guadagnato l'appellativo di settima arte, ma cosa succede quando il mezzo cinematografico incontra quella che da tutti è considerata l’Arte con la A maiuscola? Non è strano che gli artisti, soprattutto quelli contemporanei, mischino diverse discipline - come la pittura, la scultura, la performance, la fotografia o il video - per esprimere la propria visione del mondo.
Arte e Cinema sono uniti indissolubilmente fin dalla nascita di quest’ultimo, basti pensare al connubio tra Salvador Dalì, uno dei massimi esponenti del surrealismo pittorico, e Luis Buñuel - che il surrealismo lo traspose su pellicola. Per tanto non stupisce che molti artisti abbiano deciso di utilizzare il cinema per esprimersi, arrivando in questo modo alla formazione della videoarte: un linguaggio che trova la sua linfa vitale proprio nella riproduzione di immagini in movimento.
Queste opere, spesso, non riconoscono la grammatica cinematografica, ma tendono a sperimentare le potenzialità che lo strumento ha da offrire realizzando lavori che non trovano spazio nelle sale cinematografiche ma che vengono ammirati, o scoperti, nelle gallerie o in fondazioni d’arte.
Un esempio può essere Assembly, opera di Angelica Mesiti - video artist australiana di origini italiane - presentata alla Biennale d’arte di Venezia nel 2019. In Assembly Mesiti traduce una poesia in musica cercando, attraverso la polifonia, la cacofonia, la dissonanza e infine l’armonia, di rappresentare le varie fasi della democrazia. L’installazione si compone di tre canali video messi a cerchio e sospesi sopra una struttura architettonica che ospita gli spettatori e che richiama alla forma circolare degli anfiteatri. Quest’opera risulta pertanto coinvolgente a 360° - con le immagini che si susseguono su tre schermi o che differiscono nei momenti di cacofonia musicale.
Una delle grandi differenze tra la videoarte e il cinema è quindi la possibilità di poter giocare maggiormente con il mezzo. La videoarte regala la possibilità di sperimentare su diversi formati - non solo video ma anche di supporto - di proiettare su oggetti canonici come teli o schermi, o di optare per spazi inimmaginabili. Oltre alle sperimentazioni, però, ci sono artisti che sfruttano pienamente il mezzo cinematografico creando dei veri e propri cortocircuiti tra queste due forme di espressione.
Una personalità che rispecchia pienamente questo discorso è quella di Yuri Ancarani, un artista che attraverso l’uso del documentario crea installazioni che appaiono come delle vere finestre sul mondo. Dal lavoro di un uomo in una cava di marmo in Il capo (2010), alla vita dei bambini nati in prigione nell’opera San Vittore (2018), Ancarani mostra, con fermezza e poeticità, situazioni di disagio e, allo stesso tempo, di quotidianità. Il suo lavoro, così espressivo e a tratti narrativo, lo ha infatti portato dalla Biennale d’Arte del 2013 alla Mostra d'Arte Cinematografica di Venezia 2021 - nella categoria Orizzonti - per il film Atlantide.
Se molti come Ancarani guardano attraverso la loro opera al genere documentaristico, ci sono invece artisti che adoperano il cinema per comporre una sorta di manifesto, come nel caso di CANEMORTO.
CANEMORTO è un trio di artisti anonimi attivi dal 2007. Famosi nel mondo dell’arte underground per le loro opere di street art, nel 2016 decidono di intraprendere un percorso di collaborazione con il regista Marco Proserpio, per cui scrivono e interpretano il loro primo corto: Toys. Sulla scia di questo progetto arrivano Golden Age, presentato nel 2017, e, a chiudere la trilogia, il mediometraggio En Plein Air.
In En Plein Air i CANEMORTO presentano non solo il loro lavoro come trio artistico, ma esprimono le proprie idee sul mondo dell’arte e il conflitto che si genera tra la street art, l’universo underground di cui fanno parte e il mondo elitario delle gallerie. I corti si presentano quindi come un mix tra il mockumentary e il videoclip musicale e saranno proiettati questa sera - per la prima volta insieme - al festival Indocili.
Se quindi ci si interroga se ci sia un confine tra Cinema e Arte, si arriverà alla conclusione che, molto probabilmente, non esiste una vera risposta. La videoarte, così come il cinema, ci incanta perché cambia, evolve e sperimenta sempre, vive di regole ma allo stesso tempo le infrange, facendoci capire che i confini, molto spesso, sono inesistenti quando si parla di creatività.