NC-172
24.10.2023
Molte discussioni sul ritorno della pellicola nel cinema contemporaneo ripresentano il solito fraintendimento, ovvero l’idea di poter mettere in luce questo fenomeno separandolo da molti altri, come l’impiego di materiali d’archivio, il rapporto sempre più simbiotico tra analogico e digitale, nonché la ricerca di metodologie alternative nella realizzazione di un’opera e di rapporto con le immagini. Questi fenomeni sono invece tanto interconnessi da presentarsi molto raramente in forme isolate. È necessario, insomma, iniziare a considerare certe tendenze a loro volta come sintomi di qualcosa di più grande e vitale. Per mettere a fuoco il rapporto tra questi fenomeni - centrali nel discorso cinematografico come in quello artistico e culturale - si potrebbe fare riferimento alle ultime edizioni di festival come la Mostra del nuovo cinema di Pesaro o il Laterale Film Festival di Cosenza, da sempre attenti alle nuove forme filmiche e alle innovazioni di linguaggio. Ma in questo senso l’esperienza più esemplare è probabilmente quella di Archivio Aperto, il festival di Bologna che promuove la riscoperta del cinema in piccolo formato, che sia questo privato, amatoriale, sperimentale o d’artista.
Nato nel 2008 come momento di apertura e divulgazione del patrimonio conservato da Home Movies (l’Archivio Nazionale del Film di Famiglia), Archivio Aperto ha recentemente espanso i confini della sua ricerca legando le proiezioni di vecchi film restaurati a un concorso internazionale di “opere documentarie e sperimentali che mettono al centro il riuso di archivi e memorie famigliari.” Dall’edizione del 2022 il festival ha infatti accolto gli ultimi film di diversi artisti contemporanei, come l’ucraino Sergei Loznitsa o l’iraniana Maryam Tafakory, presentando molte anteprime sul territorio nazionale. Le opere selezionate da Archivio Aperto sono senz’altro legate dall’impiego di immagini d’archivio, ma nel loro insieme si presentano come un corpus organico quanto eclettico, ricco al suo interno di segni, suggestioni e movimenti che delineano il volto più sincero del cinema contemporaneo. Emerge soprattutto un rapporto con le immagini che potremmo definire “analogico-sentimentale” e che trova il suo caso esemplare in molti lavori in pellicola.
L’uso dell’archivio, infatti, permette di soddisfare il bisogno di molti artisti di ritrovare un rapporto intimo con le immagini, che possa esprimersi anzitutto in un contatto fisico con la materia filmica. Toccare la pellicola e scorrere le sue immagini tra le proprie dita, intervenire sul corpo del film per restaurarlo o per violentarlo. Rapportarsi insomma con i materiali della propria opera anche al di là di un flusso virtuale di immagini, in un’operazione di riscoperta del corpo filmico che risolve e al contempo alimenta le ossessioni di molti cineasti. Spesso si tende ad associare il fare cinema con una parafilia di tipo voyeuristico, ma da questi film d’archivio appare chiaro come il bisogno maniacale di guardare sia solo uno dei modi d’espressione di una ben più grande e complessa ossessione sensuale per le immagini: nei loro rapporti di senso, i film di Archivio Aperto sembrano promuovere una dimensione viva e carnale dell’immagine cinematografica, che torna così a farsi oggetto malleabile tra le mani del cineasta.
In questo senso, Film negativo/positivo di Federica Foglia - che ritroviamo in concorso nell’edizione di quest’anno - è un caso esemplare di rapporto sensuale con la materia filmica. L’artista realizza un film senza macchina da presa in cui strati di pellicole 16mm si mescolano e si accavallano nei loro frantumi rimaneggiati. Un collage dove scene erotiche si legano con momenti naturali, mentre materiali organici compenetrano nella materia filmica: all’intimità dei contenuti (si tratta di filmini erotici anni ’20, ’30 e ’70) si aggiunge l’intimità della realizzazione, che mette in luce il rapporto esclusivo tra l’autrice e le immagini. Questa operazione di riappropriazione di scene impresse in primo luogo da qualcun altro (presumibilmente degli uomini) assume dei toni particolarmente dolci e liberatori. Non solo per l’artista, ma anzitutto per i soggetti filmati: i corpi di donna immortalati su queste pellicole sembrano librarsi, tra le mani di Foglia, in un ambiente che presenta insieme il candore della natura più fiorita e quello del cinema più intimo. Film negativo/positivo racchiude quindi in sé due suggestioni fondamentali dell’ultimo cinema d’archivio: l’intimismo e l’ecologia.
Il riuso di immagini è infatti posto da molti cineasti come alternativa alla produzione ipertrofica nel cinema e in senso lato alla produzione in generale. Il cinema d’archivio - forse più di qualsiasi altra cinematografia del contemporaneo - è di fatto un cinema politico. Ne è un buon esempio A History of the World According to Getty Images di Richard Misek, che riflette sui rapporti di potere interni a certe immagini d’archivio e su come queste immagini siano mutate a loro volta in strumenti di potere. Ma il film di Misek è anche un vero e proprio gesto politico, che svincola una serie di filmati dal dominio di Getty Images e li rende disponibili in un corto copyright free.
A questo punto appare chiaro come, al di là di certi luoghi comuni, l’uso artistico e documentaristico dell’archivio abbia ben poco a che fare con istanze nostalgiche o passatiste. Ogni memoria tangibile e consultabile del cinema e dell’audiovisivo si riscopre invece centrale in un movimento di riformulazione del cinema stesso e quindi nell’apertura di nuove possibili direzioni narrative, politiche ed esperienziali. Ripensare il nostro rapporto con le immagini per ripensare il cinema tutto... La frase di lancio della XVI edizione di Archivio Aperto, che si terrà dal 25 al 30 ottobre, si spinge allora oltre qualsiasi retorica: “The future is memory. Memory is a continuing act of creation.” E se questa affermazione, presa in prestito alla neuroscienziata Rosalind Cartwright, si riferisce in primo luogo all’attività onirica, non potrà certo che valere anche per il cinema, luogo prediletto dell’inconscio. Ben più che in molti degli ultimi film hollywoodiani e da piattaforma, il futuro del cinema è quindi da rintracciare proprio in questi esperimenti spesso instabili e personali, che nel modellare le immagini del passato già immaginano il mondo a venire.
NC-172
24.10.2023
Molte discussioni sul ritorno della pellicola nel cinema contemporaneo ripresentano il solito fraintendimento, ovvero l’idea di poter mettere in luce questo fenomeno separandolo da molti altri, come l’impiego di materiali d’archivio, il rapporto sempre più simbiotico tra analogico e digitale, nonché la ricerca di metodologie alternative nella realizzazione di un’opera e di rapporto con le immagini. Questi fenomeni sono invece tanto interconnessi da presentarsi molto raramente in forme isolate. È necessario, insomma, iniziare a considerare certe tendenze a loro volta come sintomi di qualcosa di più grande e vitale. Per mettere a fuoco il rapporto tra questi fenomeni - centrali nel discorso cinematografico come in quello artistico e culturale - si potrebbe fare riferimento alle ultime edizioni di festival come la Mostra del nuovo cinema di Pesaro o il Laterale Film Festival di Cosenza, da sempre attenti alle nuove forme filmiche e alle innovazioni di linguaggio. Ma in questo senso l’esperienza più esemplare è probabilmente quella di Archivio Aperto, il festival di Bologna che promuove la riscoperta del cinema in piccolo formato, che sia questo privato, amatoriale, sperimentale o d’artista.
Nato nel 2008 come momento di apertura e divulgazione del patrimonio conservato da Home Movies (l’Archivio Nazionale del Film di Famiglia), Archivio Aperto ha recentemente espanso i confini della sua ricerca legando le proiezioni di vecchi film restaurati a un concorso internazionale di “opere documentarie e sperimentali che mettono al centro il riuso di archivi e memorie famigliari.” Dall’edizione del 2022 il festival ha infatti accolto gli ultimi film di diversi artisti contemporanei, come l’ucraino Sergei Loznitsa o l’iraniana Maryam Tafakory, presentando molte anteprime sul territorio nazionale. Le opere selezionate da Archivio Aperto sono senz’altro legate dall’impiego di immagini d’archivio, ma nel loro insieme si presentano come un corpus organico quanto eclettico, ricco al suo interno di segni, suggestioni e movimenti che delineano il volto più sincero del cinema contemporaneo. Emerge soprattutto un rapporto con le immagini che potremmo definire “analogico-sentimentale” e che trova il suo caso esemplare in molti lavori in pellicola.
L’uso dell’archivio, infatti, permette di soddisfare il bisogno di molti artisti di ritrovare un rapporto intimo con le immagini, che possa esprimersi anzitutto in un contatto fisico con la materia filmica. Toccare la pellicola e scorrere le sue immagini tra le proprie dita, intervenire sul corpo del film per restaurarlo o per violentarlo. Rapportarsi insomma con i materiali della propria opera anche al di là di un flusso virtuale di immagini, in un’operazione di riscoperta del corpo filmico che risolve e al contempo alimenta le ossessioni di molti cineasti. Spesso si tende ad associare il fare cinema con una parafilia di tipo voyeuristico, ma da questi film d’archivio appare chiaro come il bisogno maniacale di guardare sia solo uno dei modi d’espressione di una ben più grande e complessa ossessione sensuale per le immagini: nei loro rapporti di senso, i film di Archivio Aperto sembrano promuovere una dimensione viva e carnale dell’immagine cinematografica, che torna così a farsi oggetto malleabile tra le mani del cineasta.
In questo senso, Film negativo/positivo di Federica Foglia - che ritroviamo in concorso nell’edizione di quest’anno - è un caso esemplare di rapporto sensuale con la materia filmica. L’artista realizza un film senza macchina da presa in cui strati di pellicole 16mm si mescolano e si accavallano nei loro frantumi rimaneggiati. Un collage dove scene erotiche si legano con momenti naturali, mentre materiali organici compenetrano nella materia filmica: all’intimità dei contenuti (si tratta di filmini erotici anni ’20, ’30 e ’70) si aggiunge l’intimità della realizzazione, che mette in luce il rapporto esclusivo tra l’autrice e le immagini. Questa operazione di riappropriazione di scene impresse in primo luogo da qualcun altro (presumibilmente degli uomini) assume dei toni particolarmente dolci e liberatori. Non solo per l’artista, ma anzitutto per i soggetti filmati: i corpi di donna immortalati su queste pellicole sembrano librarsi, tra le mani di Foglia, in un ambiente che presenta insieme il candore della natura più fiorita e quello del cinema più intimo. Film negativo/positivo racchiude quindi in sé due suggestioni fondamentali dell’ultimo cinema d’archivio: l’intimismo e l’ecologia.
Il riuso di immagini è infatti posto da molti cineasti come alternativa alla produzione ipertrofica nel cinema e in senso lato alla produzione in generale. Il cinema d’archivio - forse più di qualsiasi altra cinematografia del contemporaneo - è di fatto un cinema politico. Ne è un buon esempio A History of the World According to Getty Images di Richard Misek, che riflette sui rapporti di potere interni a certe immagini d’archivio e su come queste immagini siano mutate a loro volta in strumenti di potere. Ma il film di Misek è anche un vero e proprio gesto politico, che svincola una serie di filmati dal dominio di Getty Images e li rende disponibili in un corto copyright free.
A questo punto appare chiaro come, al di là di certi luoghi comuni, l’uso artistico e documentaristico dell’archivio abbia ben poco a che fare con istanze nostalgiche o passatiste. Ogni memoria tangibile e consultabile del cinema e dell’audiovisivo si riscopre invece centrale in un movimento di riformulazione del cinema stesso e quindi nell’apertura di nuove possibili direzioni narrative, politiche ed esperienziali. Ripensare il nostro rapporto con le immagini per ripensare il cinema tutto... La frase di lancio della XVI edizione di Archivio Aperto, che si terrà dal 25 al 30 ottobre, si spinge allora oltre qualsiasi retorica: “The future is memory. Memory is a continuing act of creation.” E se questa affermazione, presa in prestito alla neuroscienziata Rosalind Cartwright, si riferisce in primo luogo all’attività onirica, non potrà certo che valere anche per il cinema, luogo prediletto dell’inconscio. Ben più che in molti degli ultimi film hollywoodiani e da piattaforma, il futuro del cinema è quindi da rintracciare proprio in questi esperimenti spesso instabili e personali, che nel modellare le immagini del passato già immaginano il mondo a venire.