NC-246
26.10.2024
Negli scorsi giorni, alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione fuori concorso di Alice nella città, è stato presentato il film Anime Galleggianti, primo lungometraggio della statunitense Maria Giménez Cavallo, una regista che si era già fatta conoscere nell’ambiente cinematografico attraverso i suoi cortometraggi - La grande Quercia (2022) e Jeanne, petite bergère (2020) - e le sue collaborazioni con cineasti come Abdellatif Kechiche, Alice Rohrwacher e Pietro Marcello. È proprio sul set di Futura (2021), il documentario di Marcello, Rohrwacher e Muzzi, che la regista si innamora della Sardegna e della sua anima atavica.
Inizia così, in collaborazione con lo sceneggiatore Jackson Giuricich, un periodo di intensa riscrittura delle Metamorfosi: l’idea è stata quella di riadattare l’immortale testo di Ovidio alle tradizioni e alle maschere sarde, trasportando i personaggi in un mondo senza tempo e senza luogo, in cui tutto può essere tutto e in cui le anime trasmigrano da un corpo all’altro superando i confini fisici dell’essere.
Quella che state per leggere non è un’analisi del film, ma un diario di bordo. Per compiere un analisi occorre essere oggettivi, e io non potrei esserlo, perché di questo specifico film ho fatto parte, ho lavorato giorno e notte perché ogni scena potesse venire fuori nel modo migliore possibile.
Quello che voglio raccontarvi è quella parte di magia che non può essere colta dalla proiezione, la magia del cinema che si fa, e che non si vede, e che spesso rende questo mondo tanto affascinante.
Grandi protagonisti di questo film sono i luoghi, le tradizioni e la cultura della Sardegna, le persone che ci hanno sostenuto in questa follia e le mille avventure che si nascondono dietro alle scene che sono state proiettate sul grande schermo.
Un traghetto per la Sardegna
Tutto ha inizio un giorno di gennaio, quando ricevo la chiamata di una cara amica: Maria. Niente giri di parole: “Quest’estate faccio un film in Sardegna, vuoi venire con me?”. Le rispondo che ci devo pensare, ho un lavoro e dei progetti qui a Roma... pochi minuti dopo la richiamo: ma certo che ci sto.
I personaggi e gli episodi del racconto:
Pitagora
Il film si apre con la prima scena effettivamente girata: ci troviamo nei pressi di Cagliari, nel Giardino Sonoro con Pitagora - Andrea Flirst -, la guida spirituale dei personaggi, che cammina tra le sculture dell’artista Pinuccio Scola, che ha passato tutta la sua vita a scoprire i suoni delle pietre.
Callisto
Le riprese vere e proprie iniziano quando tutta la troupe si riunisce per la prima volta a Ussassai, incantevole paesino tra rosee montagne.
Il tempo di fare le prime conoscenze con attori e membri della troupe, e ci dirigiamo verso le piscine di Niala, un luogo incantevole di piccoli ruscelli e polle di acqua limpidissima che è stato preso d’assalto durante l’estate. Il sindaco della città ci ha garantito che avrebbe chiuso l’area per i giorni delle riprese, ma ovviamente i turisti che sono venuti appositamente non sono contenti di questa novità, e quindi dobbiamo scendere a compromessi pur di non avere problemi peggiori.
Già durante il pranzo si crea la prima magia, con i proprietari del ristorante Niala che ci fanno assaggiare il Casu Marsu, proibito dalla legge ma che resiste in questi luoghi anarchici e fieri, e il suonatore di fisarmonica a cui si aggiunge la voce della nostra Diana – Ophelie Joh –, in un miscuglio di tradizioni di paesi diversi che crea la scintilla.
Il casting è stato guidato dalla mano esperta di Maria Cavallo, che dà la preferenza a persone che condividano lo spirito di avventura indipendente del film piuttosto che al loro curriculum di attori. E le scelte si rivelano sempre azzeccate, anche nella difficile scena di uno stupro, una bella prova per Juliette Juan – Callisto – e Marco Mazza – Giove.
Europa
Ogni scena prevede diverse quête davanti alle quali anche Indiana Jones impallidirebbe
Per l’episodio di Europa ci occorrevano costumi etnici per le sue damigelle e i regnanti della corte, dei gioielli per conferire regalità, dei drappi rossi per decorare lo spazio, delle corone da far indossare al bove. Poi serviva trovare un allevatore disposto a mettere in “gioco” i propri bovi, di sicuro non animali da cinema, e una maschera da Boe sarda.
Infine, la location: bisogna esplorare tutti gli angoli più reconditi dell’isola per trovare il luogo ideale a rappresentare una corte atemporale. Un lavoro che la regista, lo sceneggiatore, e il DOP Nicholas Giuricich hanno portato avanti nei mesi precedenti e che non sarebbe stato possibile senza le conoscenze dell’aiuto regia, Ilaria Cabras, che della Sardegna è originaria, e della Fondazione Sardegna Film Commision, che ha sostenuto il progetto e suggerito molte possibili location.
Il castello di Laconi è perfetto per ambientare la corte di Europa, e con pochi ritocchi assume l’aspetto di un luogo mitico. Nell’angolo vediamo anche un musico, che indossa un copricapo che ricorda le maschere di Austis, intrecciato dalla sottoscritta con un cestino di vimini e dietro cui si cela il volto del futuro Bacco, il caro Gerardo Ferrara, abile musicista e panettiere.
Si riesce a trovare anche un allevatore che decide di aiutarci mettendo a disposizione la sua maestria e i suoi bovi, il giovane Federico, che ha deciso di portare avanti questa antica tradizione. Le riprese sono tese, con Europa - Raphaelle Dupire - a così stretto contatto con questi possenti animali, ma alla fine riusciamo a ottenere alcune delle sequenze più belle del film.
Manca la scena della maschera del Boe, una delle figure più emblematiche del Carnevale sardo: sotto la maschera di legno di fattezze animali, con indosso la pelliccia di montone e ben 40 kg di campane, con l’abilità di imitare le movenze inquietanti di un animale minaccioso, c’è Fabrizio Puggioni, che si presta al titanico sforzo di muoversi in un uliveto scosceso sotto il peso del costume per tutti i take necessari.
Aracne
Ma chi intreccia i fili del destino dei vari personaggi è l’indomita Aracne, che crea le sue tele di denuncia nello splendido giardino di Bruna Cossu, tessitrice di Bosa, che in questa pittoresca cornice mantiene viva la tradizione della tessitura sarda, i cui rudimenti sono stati appresi da Valentina Picciau che, in quanto Euridice, ricama il regalo di nozze per il suo Orfeo.
Le parche
A condannare la povera Aracne - interpretata dalla bravissima Anastasiya Bogach - al suo triste destino sono le tre parche, rappresentate in Anime Galleggianti da due fate - Emiliana Gimelli e Vanessa Podda - vestite di abiti sardi tradizionali creati da Salvatore Aresu, con la sopragonna che va a coprire la testa, e una terza che porta la maschera della Filonzana, che rappresenta il destino e la morte nella cultura sarda.
La Filonzana è un po’ lo spirito del film: si aggira disperata alla ricerca di un senso in un continuo vagare di anime che ha portato però all’insensatezza del mondo moderno. E così la Filonzana si muove la notte tra le strade di Orgosolo, prima città di briganti e ora famosa per i murales del maestro di scuola Francesco del Casino. Vere e proprie opere d’arte, che rappresentano e insieme denunciano le difficoltà e le ingiustizie subìte dalla Sardegna. Per girare queste scene, tutta la troupe ha seguito la visita guidata lungo i disegni e la storia di questa cittadina, per scegliere i più rappresentativi.
Ma durante il sopralluogo, un’atroce verità si presenta ai nostri occhi. Le strade del paese non sono minimamente illuminate, e noi non abbiamo luci a sufficienza.
Rimane un’unica soluzione: illuminare la scena con i fari della macchina. Solo che le strade sono arroccate e strette, e ogni volta che ci fermiamo per un’inquadratura blocchiamo la via principale del paese, che è molto più trafficata di quello che si potrebbe pensare.
Purtroppo la macchina usata per illuminare le riprese riprenderà il viaggio molto più abbozzata di prima: per arrivare al murales successivo rimango incastrata tra le vie del paese, troppo strette perché la lunga macchina possa curvarvi, e così sono costretta a strusciarla contro un muro per uscire.
Uno degli aspetti migliori di girare un film itinerante è che permette di conoscere luoghi che altrimenti potrebbero essere persi. Chi viaggia in Sardegna difficilmente abbandona le splendide spiagge per esplorare l’entroterra.
Per esempio, nascoste nell’entroterra si trovano le Domus de Janas. Sono luoghi misteriosi, che oggi appaiono come dei tagli netti nella roccia, al cui interno si aprono piccole stanze. La fantasia del cinema le ha trasformate negli antri delle parche.
Apollo e Dafne
Quello che più ci ha lasciato il segno di questa esperienza è stata l’estrema dedizione con cui gli abitanti della Sardegna hanno collaborato alla realizzazione delle scene. Per girare infatti lo stupro di Dafne - la bellissima Enrica Mura -, che non riesce a salvarsi dalla violenza di Apollo - l’eclettico Riccardo Bombagi - neanche una volta diventata albero, è stato scelto di rappresentare un altro elemento tipico dell’isola: la quercia da sughero. Ora, per chi non lo sapesse, una volta staccato il rivestimento di sughero, la corteccia dell’albero rimane rossiccia, quasi come se sanguinasse. Così quando le mani di Apollo vìolano Dafne diventata albero, quello che rimane è una corteccia ferita.
Come è stata ottenuta questa splendida immagine? Ovviamente grazie alle menti creative della regista, del DOP, dei montatori, alla bravura degli attori… ma nulla sarebbe stato possibile senza la disponibilità di Luigi Carta di Ortueri che, oltre ad aver messo a disposizione il proprio sughereto, si è messo a riattaccare con dei chiodi i pezzi di sughero che aveva staccato, in modo che la corteccia sembrasse ancora integra e poi Apollo potesse procedere a svestire l’albero.
Orfeo e Euridice
Scoprire la città di Busachi è stato come trovare una seconda casa. Le nozze di Orfeo e Euridice non potevano che essere ambientate in quella che è conosciuta come la città del matrimonio. La città e i suoi abitanti, con l’impagabile aiuto di Lino Cordella, ci hanno aperto le porte delle loro case e del Novenario di Santa Susanna, un luogo antico dove i busachesi passavano l’estate e le feste religiose.
L’organizzazione non è stata delle più semplici, soprattutto con l’aiuto-regia assente perché con il Covid. Preziosa per questa scena è stata la nostra scenografa Francesca Angioni.
È stata la prima grande prova e se l’abbiamo superata è stato anche grazie all’aiuto di tutti gli abitanti di Busachi.
Qua abbiamo assistito a un’altra magia. Alcune attrici avrebbero dovuto indossare gli abiti tradizionali, un bene di famiglia custodito gelosamente e tramandato di generazione in generazione. Ebbene, la signora Angela e la sorella Agnese hanno acconsentito a prestarci il loro abito da festa, e a vestire loro stesse Carla Puggioni, Coronide, con tutta la lunga pratica di vestizione.
Il rapimento di Proserpina, le pecore e la provvidenza
Quello che non mi sarei mai aspettata è che avremmo passato buona parte del nostro tempo a provinare animali. Nel cinema di Maria Cavallo, affascinata dall’opera di Michelangelo Frammartino, gli animali sono immagine di purezza e bontà d’animo. E quale animale più rappresentativo della Sardegna se non le sue pecore. Ecco così che dal primo giorno ci siamo ritrovati a cercare le migliori greggi della Sardegna, quelle più mansuete, quelle il cui proprietario sarebbe stato disposto a impegnarle per un’intera giornata di riprese… ne abbiamo trovate tre, tutte in modo molto provvidenziale.
Il luogo più provvidenziale è stato sicuramente l’agriturismo Santu Pedru di Assolo. Siamo arrivati senza che avessimo trovato molti oggetti di scena, in una giornata di pioggia che si prospettava difficilissima. Ebbene, qui abbiamo trovato le ceste tradizionali per la lavorazione del grano, il gregge e il melograno a cui avevamo rinunciato essendo fuori stagione, e la location per girare la scena iniziale del rapimento di Proserpina.
Poi ci si sposta nell’entroterra del Cagliaritano, dove grazie a vari passaparola troviamo questo gregge di cui Maria si innamora subito: appena il proprietario le dà il secchio del mangime in mano, le pecore la circondano belanti. Il momento delle riprese si dimostra più difficile del previsto però, la maschera di Ade spaventa le pecorelle, che sono irrequiete e non si muovono come servirebbe per la scena. È l’ultima mattina di riprese e l’aria è carica di stanchezza e nervosismo. Ma anche in questo caso la capacità di adattamento e la magia del montaggio fa sì che la scena venga portata a casa con successo. È in questo campo che tutta la troupe si saluta e si festeggia la fine delle riprese.
E il film si chiude immancabilmente con una scena in cui la vera protagonista, la Filonzana, è circondata da un gregge belante di pecore. Da sceneggiatura la Filonzana si leva la maschera e svela il suo volto - quello di Ornella D’Agostino - sofferente e provato dalla desolazione del mondo moderno. Mentre giravamo la scena, un incendio divampa proprio sullo sfondo, a distanza di sicurezza ma abbastanza vicino da entrare nella ripresa, aggiungendo un’ulteriore rappresentazione della distruzione portata dall’uomo nel mondo. Una scena magica che è stata possibile anche grazie ad Alessandra Tocco, l’assistente alla fotografia. Nel frattempo, il gregge di pecore si era radunato spontaneamente tutto intorno alla Filonzana, come a cercare protezione o donare conforto. Il più grande attore del cinema a volte è proprio la realtà stessa.
Orfeo negli inferi e l’incontro con Ade e Proserpina
Il tragico epilogo della storia di Orfeo e Euridice è noto a tutti, e anche in Anime Galleggianti la Filonzana non ha fatto sconti. Euridice muore e un canto straziante parte da Demetra e le sue ancelle, ancora provate dalla scomparsa di Proserpina. I canti e le musiche che si sentono nel film sono opera originale del musicista e compositore Luca Nulchis. Buona parte della musica è registrata in presa diretta, sulla scena. Si è trattato di una scelta non poco complicata, e in alcuni casi il troppo vento o troppo disturbo hanno reso impossibile mantenere quei suoni nella versione finale, ma per il resto i fonici Claudiné Curreli e Roberto Cois hanno reso possibile questa magia.
Orfeo discende negli inferi delle grotte di Su Marmuri a Ulassai, immense cavità sotterranee che ospitano la più grande colonia di pipistrelli d’Europa. Organizzare la base in quelle grotte non è stato facile, la temperatura era costante di 10°, tutto il pavimento era bagnato e per uscire bisognava risalire di 100 metri attraverso scalini scivolosi. Ma lo scenario ripagava di tutte le fatiche: stalattiti e stalagmiti su ogni parete, con colori spettacolari, caldi e perfetti per rappresentare gli Inferi in cui si cela Ade e la sua sposa.
Tra questi va in scena un simpatico siparietto in dialetto stretto, che è stato scritto grazie alla collaborazione dell’attrice stessa, Maura Fancello, in omaggio alla lingua Sarda.
Ottenere la maschera di Ade non è stato per nulla facile: si tratta di una delle più famose e rappresentative, e i proprietari si sono giustamente premurati che non avremmo danneggiato né la maschera, né la sua immagine, così la hanno sempre accompagnata in ogni scena finché l’attore che la indossava, Giovanni Andrea Vinci, non ha conquistato pienamente la loro fiducia.
L’ombra di Euridice invece è la nostra costumista, Giulia Cara, che è uscita dal suo ruolo per danzare davanti alle luci.
Orfeo fuori dagli inferi
Una delle scene più suggestive del film è sicuramente l’uscita dagli inferi di Orfeo, in cui i demoni sono le maschere di Ula Tirso, imponenti copricapi di capre imbalsamante, e una grossa tavola di legno su cui è attaccata una pelle di cinghiale, con tanto di testa e occhi vitrei. Il viaggio sul retro del pick-up in compagnia di queste simpatiche creature, su un sentiero di montagna in cui le ruote sfioravano al millimetro il bordo è stata una delle esperienze più hardcore della mia vita.
Le baccanti
Disperato per aver perso di nuovo la sua Eurdice, Orfeo vaga per le terre di Sardegna finché non viene catturato dalle baccanti, nella magica terra di Biru ‘E Concas, un luogo sacro vecchio oltre cinquemila anni che si crede essere la culla della civiltà.
Sicuramente un luogo difficilissimo da illuminare, ma anche qua gli abitanti del luogo ci sono venuti in aiuto con ogni mezzo possibile, e grazie a Pietro Manca, elettricista di Sorgono, che ci ha fornito un generatore di corrente, abbiamo evitato di cimentarci in una notte americana che non avrebbe avuto lo stesso sapore. Le baccanti che dilaniano il povero Orfeo, Ben Miyakawa, e che ritroveremo anche nel Carnevale, sono in gran parte le ballerine della danza dei capelli, una danza marocchina portata a Cagliari dalla visionaria Fatima Dakik.
Il carnevale
La scena sicuramente più difficile da girare è stata quella del Carnevale, un vero e proprio trionfo del caos. Con almeno 50 comparse, le maschere di Ula Tirso, Austis, Sorgono, un immenso falò, due moto, un montone da cuocere… forse per questo la scena rende così bene l’idea di perdizione.
Per questo film ho fatto cose che mai avrei pensato, come fermare due motociclisti per strada e chiedere il loro numero per scritturare le loro moto. Altri eventi surreali si sono susseguiti, ma non starò qui ad elencarveli, probabilmente non mi credereste.
Per una troupe così piccola come la nostra, questa scena è stata particolarmente impegnativa, ma tutti hanno voluto dare una mano, con attori che si sono improvvisati scenografi, il vicesindaco che ha cucinato il montone, tutti i fratelli Miyakawa arrivati per interpretare i Pan, Angelo Gatto che è arrivato fin da Milano per aiutarci a gestire le luci, a fare da cameraman per le scene più difficili, e offrire supporto morale a chiunque ne avesse bisogno…
I saluti
Dopo un’avventura del genere, sembrerà banale, ma a tornare non sono le stesse persone che sono partite.
E dopo quasi due anni, il fatto che il film ha avuto la sua première ha rispolverato i ricordi e le connessioni tra persone sparse per il mondo, tutto grazie al lavoro instancabile di Maria Cavallo, alla sua dedizione, all’amore che ha per il cinema e per le sue opere.
NC-246
26.10.2024
Negli scorsi giorni, alla Festa del Cinema di Roma, nella sezione fuori concorso di Alice nella città, è stato presentato il film Anime Galleggianti, primo lungometraggio della statunitense Maria Giménez Cavallo, una regista che si era già fatta conoscere nell’ambiente cinematografico attraverso i suoi cortometraggi - La grande Quercia (2022) e Jeanne, petite bergère (2020) - e le sue collaborazioni con cineasti come Abdellatif Kechiche, Alice Rohrwacher e Pietro Marcello. È proprio sul set di Futura (2021), il documentario di Marcello, Rohrwacher e Muzzi, che la regista si innamora della Sardegna e della sua anima atavica.
Inizia così, in collaborazione con lo sceneggiatore Jackson Giuricich, un periodo di intensa riscrittura delle Metamorfosi: l’idea è stata quella di riadattare l’immortale testo di Ovidio alle tradizioni e alle maschere sarde, trasportando i personaggi in un mondo senza tempo e senza luogo, in cui tutto può essere tutto e in cui le anime trasmigrano da un corpo all’altro superando i confini fisici dell’essere.
Quella che state per leggere non è un’analisi del film, ma un diario di bordo. Per compiere un analisi occorre essere oggettivi, e io non potrei esserlo, perché di questo specifico film ho fatto parte, ho lavorato giorno e notte perché ogni scena potesse venire fuori nel modo migliore possibile.
Quello che voglio raccontarvi è quella parte di magia che non può essere colta dalla proiezione, la magia del cinema che si fa, e che non si vede, e che spesso rende questo mondo tanto affascinante.
Grandi protagonisti di questo film sono i luoghi, le tradizioni e la cultura della Sardegna, le persone che ci hanno sostenuto in questa follia e le mille avventure che si nascondono dietro alle scene che sono state proiettate sul grande schermo.
Un traghetto per la Sardegna
Tutto ha inizio un giorno di gennaio, quando ricevo la chiamata di una cara amica: Maria. Niente giri di parole: “Quest’estate faccio un film in Sardegna, vuoi venire con me?”. Le rispondo che ci devo pensare, ho un lavoro e dei progetti qui a Roma... pochi minuti dopo la richiamo: ma certo che ci sto.
I personaggi e gli episodi del racconto:
Pitagora
Il film si apre con la prima scena effettivamente girata: ci troviamo nei pressi di Cagliari, nel Giardino Sonoro con Pitagora - Andrea Flirst -, la guida spirituale dei personaggi, che cammina tra le sculture dell’artista Pinuccio Scola, che ha passato tutta la sua vita a scoprire i suoni delle pietre.
Callisto
Le riprese vere e proprie iniziano quando tutta la troupe si riunisce per la prima volta a Ussassai, incantevole paesino tra rosee montagne.
Il tempo di fare le prime conoscenze con attori e membri della troupe, e ci dirigiamo verso le piscine di Niala, un luogo incantevole di piccoli ruscelli e polle di acqua limpidissima che è stato preso d’assalto durante l’estate. Il sindaco della città ci ha garantito che avrebbe chiuso l’area per i giorni delle riprese, ma ovviamente i turisti che sono venuti appositamente non sono contenti di questa novità, e quindi dobbiamo scendere a compromessi pur di non avere problemi peggiori.
Già durante il pranzo si crea la prima magia, con i proprietari del ristorante Niala che ci fanno assaggiare il Casu Marsu, proibito dalla legge ma che resiste in questi luoghi anarchici e fieri, e il suonatore di fisarmonica a cui si aggiunge la voce della nostra Diana – Ophelie Joh –, in un miscuglio di tradizioni di paesi diversi che crea la scintilla.
Il casting è stato guidato dalla mano esperta di Maria Cavallo, che dà la preferenza a persone che condividano lo spirito di avventura indipendente del film piuttosto che al loro curriculum di attori. E le scelte si rivelano sempre azzeccate, anche nella difficile scena di uno stupro, una bella prova per Juliette Juan – Callisto – e Marco Mazza – Giove.
Europa
Ogni scena prevede diverse quête davanti alle quali anche Indiana Jones impallidirebbe
Per l’episodio di Europa ci occorrevano costumi etnici per le sue damigelle e i regnanti della corte, dei gioielli per conferire regalità, dei drappi rossi per decorare lo spazio, delle corone da far indossare al bove. Poi serviva trovare un allevatore disposto a mettere in “gioco” i propri bovi, di sicuro non animali da cinema, e una maschera da Boe sarda.
Infine, la location: bisogna esplorare tutti gli angoli più reconditi dell’isola per trovare il luogo ideale a rappresentare una corte atemporale. Un lavoro che la regista, lo sceneggiatore, e il DOP Nicholas Giuricich hanno portato avanti nei mesi precedenti e che non sarebbe stato possibile senza le conoscenze dell’aiuto regia, Ilaria Cabras, che della Sardegna è originaria, e della Fondazione Sardegna Film Commision, che ha sostenuto il progetto e suggerito molte possibili location.
Il castello di Laconi è perfetto per ambientare la corte di Europa, e con pochi ritocchi assume l’aspetto di un luogo mitico. Nell’angolo vediamo anche un musico, che indossa un copricapo che ricorda le maschere di Austis, intrecciato dalla sottoscritta con un cestino di vimini e dietro cui si cela il volto del futuro Bacco, il caro Gerardo Ferrara, abile musicista e panettiere.
Si riesce a trovare anche un allevatore che decide di aiutarci mettendo a disposizione la sua maestria e i suoi bovi, il giovane Federico, che ha deciso di portare avanti questa antica tradizione. Le riprese sono tese, con Europa - Raphaelle Dupire - a così stretto contatto con questi possenti animali, ma alla fine riusciamo a ottenere alcune delle sequenze più belle del film.
Manca la scena della maschera del Boe, una delle figure più emblematiche del Carnevale sardo: sotto la maschera di legno di fattezze animali, con indosso la pelliccia di montone e ben 40 kg di campane, con l’abilità di imitare le movenze inquietanti di un animale minaccioso, c’è Fabrizio Puggioni, che si presta al titanico sforzo di muoversi in un uliveto scosceso sotto il peso del costume per tutti i take necessari.
Aracne
Ma chi intreccia i fili del destino dei vari personaggi è l’indomita Aracne, che crea le sue tele di denuncia nello splendido giardino di Bruna Cossu, tessitrice di Bosa, che in questa pittoresca cornice mantiene viva la tradizione della tessitura sarda, i cui rudimenti sono stati appresi da Valentina Picciau che, in quanto Euridice, ricama il regalo di nozze per il suo Orfeo.
Le parche
A condannare la povera Aracne - interpretata dalla bravissima Anastasiya Bogach - al suo triste destino sono le tre parche, rappresentate in Anime Galleggianti da due fate - Emiliana Gimelli e Vanessa Podda - vestite di abiti sardi tradizionali creati da Salvatore Aresu, con la sopragonna che va a coprire la testa, e una terza che porta la maschera della Filonzana, che rappresenta il destino e la morte nella cultura sarda.
La Filonzana è un po’ lo spirito del film: si aggira disperata alla ricerca di un senso in un continuo vagare di anime che ha portato però all’insensatezza del mondo moderno. E così la Filonzana si muove la notte tra le strade di Orgosolo, prima città di briganti e ora famosa per i murales del maestro di scuola Francesco del Casino. Vere e proprie opere d’arte, che rappresentano e insieme denunciano le difficoltà e le ingiustizie subìte dalla Sardegna. Per girare queste scene, tutta la troupe ha seguito la visita guidata lungo i disegni e la storia di questa cittadina, per scegliere i più rappresentativi.
Ma durante il sopralluogo, un’atroce verità si presenta ai nostri occhi. Le strade del paese non sono minimamente illuminate, e noi non abbiamo luci a sufficienza.
Rimane un’unica soluzione: illuminare la scena con i fari della macchina. Solo che le strade sono arroccate e strette, e ogni volta che ci fermiamo per un’inquadratura blocchiamo la via principale del paese, che è molto più trafficata di quello che si potrebbe pensare.
Purtroppo la macchina usata per illuminare le riprese riprenderà il viaggio molto più abbozzata di prima: per arrivare al murales successivo rimango incastrata tra le vie del paese, troppo strette perché la lunga macchina possa curvarvi, e così sono costretta a strusciarla contro un muro per uscire.
Uno degli aspetti migliori di girare un film itinerante è che permette di conoscere luoghi che altrimenti potrebbero essere persi. Chi viaggia in Sardegna difficilmente abbandona le splendide spiagge per esplorare l’entroterra.
Per esempio, nascoste nell’entroterra si trovano le Domus de Janas. Sono luoghi misteriosi, che oggi appaiono come dei tagli netti nella roccia, al cui interno si aprono piccole stanze. La fantasia del cinema le ha trasformate negli antri delle parche.
Apollo e Dafne
Quello che più ci ha lasciato il segno di questa esperienza è stata l’estrema dedizione con cui gli abitanti della Sardegna hanno collaborato alla realizzazione delle scene. Per girare infatti lo stupro di Dafne - la bellissima Enrica Mura -, che non riesce a salvarsi dalla violenza di Apollo - l’eclettico Riccardo Bombagi - neanche una volta diventata albero, è stato scelto di rappresentare un altro elemento tipico dell’isola: la quercia da sughero. Ora, per chi non lo sapesse, una volta staccato il rivestimento di sughero, la corteccia dell’albero rimane rossiccia, quasi come se sanguinasse. Così quando le mani di Apollo vìolano Dafne diventata albero, quello che rimane è una corteccia ferita.
Come è stata ottenuta questa splendida immagine? Ovviamente grazie alle menti creative della regista, del DOP, dei montatori, alla bravura degli attori… ma nulla sarebbe stato possibile senza la disponibilità di Luigi Carta di Ortueri che, oltre ad aver messo a disposizione il proprio sughereto, si è messo a riattaccare con dei chiodi i pezzi di sughero che aveva staccato, in modo che la corteccia sembrasse ancora integra e poi Apollo potesse procedere a svestire l’albero.
Orfeo e Euridice
Scoprire la città di Busachi è stato come trovare una seconda casa. Le nozze di Orfeo e Euridice non potevano che essere ambientate in quella che è conosciuta come la città del matrimonio. La città e i suoi abitanti, con l’impagabile aiuto di Lino Cordella, ci hanno aperto le porte delle loro case e del Novenario di Santa Susanna, un luogo antico dove i busachesi passavano l’estate e le feste religiose.
L’organizzazione non è stata delle più semplici, soprattutto con l’aiuto-regia assente perché con il Covid. Preziosa per questa scena è stata la nostra scenografa Francesca Angioni.
È stata la prima grande prova e se l’abbiamo superata è stato anche grazie all’aiuto di tutti gli abitanti di Busachi.
Qua abbiamo assistito a un’altra magia. Alcune attrici avrebbero dovuto indossare gli abiti tradizionali, un bene di famiglia custodito gelosamente e tramandato di generazione in generazione. Ebbene, la signora Angela e la sorella Agnese hanno acconsentito a prestarci il loro abito da festa, e a vestire loro stesse Carla Puggioni, Coronide, con tutta la lunga pratica di vestizione.
Il rapimento di Proserpina, le pecore e la provvidenza
Quello che non mi sarei mai aspettata è che avremmo passato buona parte del nostro tempo a provinare animali. Nel cinema di Maria Cavallo, affascinata dall’opera di Michelangelo Frammartino, gli animali sono immagine di purezza e bontà d’animo. E quale animale più rappresentativo della Sardegna se non le sue pecore. Ecco così che dal primo giorno ci siamo ritrovati a cercare le migliori greggi della Sardegna, quelle più mansuete, quelle il cui proprietario sarebbe stato disposto a impegnarle per un’intera giornata di riprese… ne abbiamo trovate tre, tutte in modo molto provvidenziale.
Il luogo più provvidenziale è stato sicuramente l’agriturismo Santu Pedru di Assolo. Siamo arrivati senza che avessimo trovato molti oggetti di scena, in una giornata di pioggia che si prospettava difficilissima. Ebbene, qui abbiamo trovato le ceste tradizionali per la lavorazione del grano, il gregge e il melograno a cui avevamo rinunciato essendo fuori stagione, e la location per girare la scena iniziale del rapimento di Proserpina.
Poi ci si sposta nell’entroterra del Cagliaritano, dove grazie a vari passaparola troviamo questo gregge di cui Maria si innamora subito: appena il proprietario le dà il secchio del mangime in mano, le pecore la circondano belanti. Il momento delle riprese si dimostra più difficile del previsto però, la maschera di Ade spaventa le pecorelle, che sono irrequiete e non si muovono come servirebbe per la scena. È l’ultima mattina di riprese e l’aria è carica di stanchezza e nervosismo. Ma anche in questo caso la capacità di adattamento e la magia del montaggio fa sì che la scena venga portata a casa con successo. È in questo campo che tutta la troupe si saluta e si festeggia la fine delle riprese.
E il film si chiude immancabilmente con una scena in cui la vera protagonista, la Filonzana, è circondata da un gregge belante di pecore. Da sceneggiatura la Filonzana si leva la maschera e svela il suo volto - quello di Ornella D’Agostino - sofferente e provato dalla desolazione del mondo moderno. Mentre giravamo la scena, un incendio divampa proprio sullo sfondo, a distanza di sicurezza ma abbastanza vicino da entrare nella ripresa, aggiungendo un’ulteriore rappresentazione della distruzione portata dall’uomo nel mondo. Una scena magica che è stata possibile anche grazie ad Alessandra Tocco, l’assistente alla fotografia. Nel frattempo, il gregge di pecore si era radunato spontaneamente tutto intorno alla Filonzana, come a cercare protezione o donare conforto. Il più grande attore del cinema a volte è proprio la realtà stessa.
Orfeo negli inferi e l’incontro con Ade e Proserpina
Il tragico epilogo della storia di Orfeo e Euridice è noto a tutti, e anche in Anime Galleggianti la Filonzana non ha fatto sconti. Euridice muore e un canto straziante parte da Demetra e le sue ancelle, ancora provate dalla scomparsa di Proserpina. I canti e le musiche che si sentono nel film sono opera originale del musicista e compositore Luca Nulchis. Buona parte della musica è registrata in presa diretta, sulla scena. Si è trattato di una scelta non poco complicata, e in alcuni casi il troppo vento o troppo disturbo hanno reso impossibile mantenere quei suoni nella versione finale, ma per il resto i fonici Claudiné Curreli e Roberto Cois hanno reso possibile questa magia.
Orfeo discende negli inferi delle grotte di Su Marmuri a Ulassai, immense cavità sotterranee che ospitano la più grande colonia di pipistrelli d’Europa. Organizzare la base in quelle grotte non è stato facile, la temperatura era costante di 10°, tutto il pavimento era bagnato e per uscire bisognava risalire di 100 metri attraverso scalini scivolosi. Ma lo scenario ripagava di tutte le fatiche: stalattiti e stalagmiti su ogni parete, con colori spettacolari, caldi e perfetti per rappresentare gli Inferi in cui si cela Ade e la sua sposa.
Tra questi va in scena un simpatico siparietto in dialetto stretto, che è stato scritto grazie alla collaborazione dell’attrice stessa, Maura Fancello, in omaggio alla lingua Sarda.
Ottenere la maschera di Ade non è stato per nulla facile: si tratta di una delle più famose e rappresentative, e i proprietari si sono giustamente premurati che non avremmo danneggiato né la maschera, né la sua immagine, così la hanno sempre accompagnata in ogni scena finché l’attore che la indossava, Giovanni Andrea Vinci, non ha conquistato pienamente la loro fiducia.
L’ombra di Euridice invece è la nostra costumista, Giulia Cara, che è uscita dal suo ruolo per danzare davanti alle luci.
Orfeo fuori dagli inferi
Una delle scene più suggestive del film è sicuramente l’uscita dagli inferi di Orfeo, in cui i demoni sono le maschere di Ula Tirso, imponenti copricapi di capre imbalsamante, e una grossa tavola di legno su cui è attaccata una pelle di cinghiale, con tanto di testa e occhi vitrei. Il viaggio sul retro del pick-up in compagnia di queste simpatiche creature, su un sentiero di montagna in cui le ruote sfioravano al millimetro il bordo è stata una delle esperienze più hardcore della mia vita.
Le baccanti
Disperato per aver perso di nuovo la sua Eurdice, Orfeo vaga per le terre di Sardegna finché non viene catturato dalle baccanti, nella magica terra di Biru ‘E Concas, un luogo sacro vecchio oltre cinquemila anni che si crede essere la culla della civiltà.
Sicuramente un luogo difficilissimo da illuminare, ma anche qua gli abitanti del luogo ci sono venuti in aiuto con ogni mezzo possibile, e grazie a Pietro Manca, elettricista di Sorgono, che ci ha fornito un generatore di corrente, abbiamo evitato di cimentarci in una notte americana che non avrebbe avuto lo stesso sapore. Le baccanti che dilaniano il povero Orfeo, Ben Miyakawa, e che ritroveremo anche nel Carnevale, sono in gran parte le ballerine della danza dei capelli, una danza marocchina portata a Cagliari dalla visionaria Fatima Dakik.
Il carnevale
La scena sicuramente più difficile da girare è stata quella del Carnevale, un vero e proprio trionfo del caos. Con almeno 50 comparse, le maschere di Ula Tirso, Austis, Sorgono, un immenso falò, due moto, un montone da cuocere… forse per questo la scena rende così bene l’idea di perdizione.
Per questo film ho fatto cose che mai avrei pensato, come fermare due motociclisti per strada e chiedere il loro numero per scritturare le loro moto. Altri eventi surreali si sono susseguiti, ma non starò qui ad elencarveli, probabilmente non mi credereste.
Per una troupe così piccola come la nostra, questa scena è stata particolarmente impegnativa, ma tutti hanno voluto dare una mano, con attori che si sono improvvisati scenografi, il vicesindaco che ha cucinato il montone, tutti i fratelli Miyakawa arrivati per interpretare i Pan, Angelo Gatto che è arrivato fin da Milano per aiutarci a gestire le luci, a fare da cameraman per le scene più difficili, e offrire supporto morale a chiunque ne avesse bisogno…
I saluti
Dopo un’avventura del genere, sembrerà banale, ma a tornare non sono le stesse persone che sono partite.
E dopo quasi due anni, il fatto che il film ha avuto la sua première ha rispolverato i ricordi e le connessioni tra persone sparse per il mondo, tutto grazie al lavoro instancabile di Maria Cavallo, alla sua dedizione, all’amore che ha per il cinema e per le sue opere.