NC-88
15.01.2022
È notte. In un tavolo interno di un ristorante, separato da una rumorosissima strada soltanto da un telo di plastica, siedono Hae-mi e Jong-su. Hae-mi con le spalle curve e bevendo distrattamente dal suo bicchiere osserva in silenzio Jong-su, poi si raddrizza e comincia a mimare il sollevarsi di una cassetta mentre con voce solenne annuncia la sua imminente partenza per l’Africa. Il suo sguardo è ancora indirizzato a Jong-su, ma il suo corpo continua a mimare qualcosa. Le sue mani hanno preso dalla cassetta immaginaria un oggetto, Jong-su presta poca attenzione ai suoi gesti e concentrato sulle parole di lei le chiede come mai ha scelto proprio l’Africa come meta del suo prossimo viaggio. A questo punto Hae-mi, invece di rispondere alla domanda, rimane un istante in silenzio, concentrata su quello che sta mimando. Fa volare in aria l’oggetto immaginario, prendendolo delicatamente al volo sotto lo sguardo spaesato ma allo stesso tempo rapito di Jong-Su.
«Questa è una pantomima» rivela Hae-mi, che con gesti eleganti mima di sbucciare un mandarino spicchio per spicchio. L’importante non è avere talento nel mimare ricorda a Jong-su: bisogna semplicemente non pensare che ci sia un mandarino così da dimenticare il fatto che non esista. In questo modo potrà sentire il sapore di un mandarino, basterà desiderarlo ardentemente.
In questa scena c’è tutto il senso di Burning - L’amore brucia, ultimo e splendido film del regista coreano Lee Chang-dong, tratto da un breve racconto dello scrittore giapponese Haruki Murakami. Attraverso la dinamica di un triangolo amoroso, Burning racconta la condizione di una generazione sospesa tra il senso di alienazione quotidiana ed un incontenibile desiderio di vita, sempre alla ricerca di un equilibrio o, più realisticamente, di un posto nel mondo. L’immaginazione in questo processo ha un ruolo fondamentale, essendo l’unica arma in grado di creare, distruggere e modificare la realtà. Questo è l’insegnamento di Hae-mi, che con il potere del suo sguardo e dei suoi gesti ci permette di assaporare un mandarino che non esiste.
La fame di cui parla Hae-mi a Jong-su, subito dopo aver assaporato il gusto del mandarino, è la Grande Fame che il popolo dei Boscimani (popolazione che vive nella regione desertica del Kalahari) distingue dalla Piccola Fame. La prima infatti è la fame dello spirito, della necessità di trovare un senso alla vita e allo stare al mondo, mentre la seconda risponde alla necessità del fisico di ricevere nutrimento. Ed è la Grande fame quella che brucia all’interno dei corpi di Hae-mi e Jong-su. Questa stessa fame è il fuoco che anima Burning, che divampa visivamente nella scena del ballo. I tre protagonisti Hae-mi, Jong-su e Ben sono seduti davanti ad un tramonto mangiando, bevendo e fumando. Hae-mi si alza in piedi e dopo essersi tolta maglietta comincia una danza delicata sulle note di Miles Davis. Una danza che si muove tra la voglia di vivere e il valore di un’esistenza arresa alle regole del mondo. In ognuno dei tre personaggi di Burning alberga un fuoco, anche nel misterioso personaggio di Ben, animato dalla passione di incendiare le serre, metafora del suo essere assassino in risposta all’apatia che lo governa e alla spasmodica ricerca di affermazioni.
Nulla è limpido in Burning, tutto si muove in una rarefatta atmosfera tra realtà ed immaginazione. Stilisticamente il film di Lee Chang-dong è asciutto eppure ha un cuore ardente che si insinua nel corpo e nella mente di chi guarda, riuscendo ad essere talmente coinvolgente da rendere difficile un’interpretazione dei fatti lucida e distaccata. Burning non è un film politico che ha l’obiettivo di parlare della società contemporanea, eppure la profonda sensibilità e la maestria di Lee Chang-dong fanno sì che il triangolo dei tre protagonisti risulti uno spaccato di questo momento storico in cui moltissimi giovani sono assediati da sentimenti di nauseante alienazione e angoscia. Il rapporto che si crea tra i tre protagonisti è un groviglio invisibile ma evidente di disparità classiste e pulsioni fisiche, amalgamate da un bisogno sempre più disperato di trovare un posto in un mondo che, privo di ideologie, non può più far da supporto ad un percorso di costruzione di sé.
Realtà e finzione si scambiano di posto fino a fondersi, rendendo di fatto assai complicata un’interpretazione oggettiva degli eventi. L’unica certezza che rimane è la necessità di riflettere sull’impossibilità di conoscere i fatti; più si è vicini e più in realtà ci si allontana dalla soluzione. Ma è così importante trovare una risposta? Probabilmente no, perché il vero tema di Burning è il riflettere sulla condizione degli esseri umani di oggi, esseri protesi verso la vita ma divorati da un profondo senso di instabilità e sofferenza causato da dolorose assenze, siano esse provocate dal vuoto lasciato dalle persone o dalla mancanza di speranze. Non rimane che osservare incantati il tutto che brucia.
NC-88
15.01.2022
È notte. In un tavolo interno di un ristorante, separato da una rumorosissima strada soltanto da un telo di plastica, siedono Hae-mi e Jong-su. Hae-mi con le spalle curve e bevendo distrattamente dal suo bicchiere osserva in silenzio Jong-su, poi si raddrizza e comincia a mimare il sollevarsi di una cassetta mentre con voce solenne annuncia la sua imminente partenza per l’Africa. Il suo sguardo è ancora indirizzato a Jong-su, ma il suo corpo continua a mimare qualcosa. Le sue mani hanno preso dalla cassetta immaginaria un oggetto, Jong-su presta poca attenzione ai suoi gesti e concentrato sulle parole di lei le chiede come mai ha scelto proprio l’Africa come meta del suo prossimo viaggio. A questo punto Hae-mi, invece di rispondere alla domanda, rimane un istante in silenzio, concentrata su quello che sta mimando. Fa volare in aria l’oggetto immaginario, prendendolo delicatamente al volo sotto lo sguardo spaesato ma allo stesso tempo rapito di Jong-Su.
«Questa è una pantomima» rivela Hae-mi, che con gesti eleganti mima di sbucciare un mandarino spicchio per spicchio. L’importante non è avere talento nel mimare ricorda a Jong-su: bisogna semplicemente non pensare che ci sia un mandarino così da dimenticare il fatto che non esista. In questo modo potrà sentire il sapore di un mandarino, basterà desiderarlo ardentemente.
In questa scena c’è tutto il senso di Burning - L’amore brucia, ultimo e splendido film del regista coreano Lee Chang-dong, tratto da un breve racconto dello scrittore giapponese Haruki Murakami. Attraverso la dinamica di un triangolo amoroso, Burning racconta la condizione di una generazione sospesa tra il senso di alienazione quotidiana ed un incontenibile desiderio di vita, sempre alla ricerca di un equilibrio o, più realisticamente, di un posto nel mondo. L’immaginazione in questo processo ha un ruolo fondamentale, essendo l’unica arma in grado di creare, distruggere e modificare la realtà. Questo è l’insegnamento di Hae-mi, che con il potere del suo sguardo e dei suoi gesti ci permette di assaporare un mandarino che non esiste.
La fame di cui parla Hae-mi a Jong-su, subito dopo aver assaporato il gusto del mandarino, è la Grande Fame che il popolo dei Boscimani (popolazione che vive nella regione desertica del Kalahari) distingue dalla Piccola Fame. La prima infatti è la fame dello spirito, della necessità di trovare un senso alla vita e allo stare al mondo, mentre la seconda risponde alla necessità del fisico di ricevere nutrimento. Ed è la Grande fame quella che brucia all’interno dei corpi di Hae-mi e Jong-su. Questa stessa fame è il fuoco che anima Burning, che divampa visivamente nella scena del ballo. I tre protagonisti Hae-mi, Jong-su e Ben sono seduti davanti ad un tramonto mangiando, bevendo e fumando. Hae-mi si alza in piedi e dopo essersi tolta maglietta comincia una danza delicata sulle note di Miles Davis. Una danza che si muove tra la voglia di vivere e il valore di un’esistenza arresa alle regole del mondo. In ognuno dei tre personaggi di Burning alberga un fuoco, anche nel misterioso personaggio di Ben, animato dalla passione di incendiare le serre, metafora del suo essere assassino in risposta all’apatia che lo governa e alla spasmodica ricerca di affermazioni.
Nulla è limpido in Burning, tutto si muove in una rarefatta atmosfera tra realtà ed immaginazione. Stilisticamente il film di Lee Chang-dong è asciutto eppure ha un cuore ardente che si insinua nel corpo e nella mente di chi guarda, riuscendo ad essere talmente coinvolgente da rendere difficile un’interpretazione dei fatti lucida e distaccata. Burning non è un film politico che ha l’obiettivo di parlare della società contemporanea, eppure la profonda sensibilità e la maestria di Lee Chang-dong fanno sì che il triangolo dei tre protagonisti risulti uno spaccato di questo momento storico in cui moltissimi giovani sono assediati da sentimenti di nauseante alienazione e angoscia. Il rapporto che si crea tra i tre protagonisti è un groviglio invisibile ma evidente di disparità classiste e pulsioni fisiche, amalgamate da un bisogno sempre più disperato di trovare un posto in un mondo che, privo di ideologie, non può più far da supporto ad un percorso di costruzione di sé.
Realtà e finzione si scambiano di posto fino a fondersi, rendendo di fatto assai complicata un’interpretazione oggettiva degli eventi. L’unica certezza che rimane è la necessità di riflettere sull’impossibilità di conoscere i fatti; più si è vicini e più in realtà ci si allontana dalla soluzione. Ma è così importante trovare una risposta? Probabilmente no, perché il vero tema di Burning è il riflettere sulla condizione degli esseri umani di oggi, esseri protesi verso la vita ma divorati da un profondo senso di instabilità e sofferenza causato da dolorose assenze, siano esse provocate dal vuoto lasciato dalle persone o dalla mancanza di speranze. Non rimane che osservare incantati il tutto che brucia.