Quando il cinema incontra la pubblicità
il risultato può essere stupefacente
scritto da redazione ODG
TR-19
16.01.2021
Tra la metá degli anni 80 e l’inizio degli anni 2000, il mondo dell'advertising ha vissuto un’epoca d’oro. Il settore è stato sicuramente trainato dall’espansione delle attività commerciali delle grandi companies grazie al processo di globalizzazione che in quegli anni è esploso definitivamente, ma anche dai grandi investimenti che le società hanno indirizzato al marketing. Con questi grandi investimenti le agenzie pubblicitarie hanno attinto, come mai prima di allora, alla creatività che il cinema poteva offrire, affidandosi a grandi registi che potessero portare la propria dimensione poetica nel mondo della pubblicità. Abbiamo selezionato una serie di spot che sono entrati nell’immaginario comune e che rimarranno nella storia dell’advertising.
Ridley Scott
Apple - 1984
Il Super Bowl è conosciuto per le sue costose ed attesissime pubblicità, anche se solo una manciata di queste sono riuscite a rimanere impresse negli anni. Una delle più iconiche fu proprio 1984 diretta da Ridley Scott e ispirata all’omonimo romanzo distopico di George Orwell. Lo spot andò in onda unicamente durante il Super Bowl, generando più scalpore di qualunque altro mai fatto prima di allora: nessuno era preparato, e proprio per questo nessuno riuscì a dimenticarlo.
Scott, che cominciò la sua carriera proprio nella pubblicità riuscendo così a sperimentare con degli originali mini-film, è noto proprio per le sue incredibili atmosfere e la sua grande attenzione all’estetica. Molti dei suoi film, a partire da Alien (1979), sono inoltre noti per i forti personaggi femminili: è questo uno dei segni distintivi del regista che ripropone nello spot della Apple. L’atleta inglese Anya Major rappresenta qui la salvezza e la libertà annunciando l’avvento del computer Macintosh, contrapponendosi radicalmente al conformismo - interpretato dal “Big Brother” - della IBM, azienda che all’epoca deteneva il monopolio del mercato informatico. Con un solo minuto di spot Ridley Scott e la Apple cambiarono così per sempre il modo di fare pubblicità.
Scritto da Vittoria Colangelo
Wes Anderson
American Express - 2006
Lo spot di Wes Anderson per American Express è l’8½ dell’advertising pubblicitario. Dopo un inizio concitato ed esilarante in pieno stile wesandersiano (simmetria inclusa), la camera effettua una pan e ci ritroviamo nel dietro le quinte dello spot che stiamo per vedere. Ed è proprio Wes Anderson che in prima persona ci descrive le bizzarie che avvengono dietro alla macchina da presa di un suo spot tanto complesso quanto stravagante. Assistenti che mangiano banane, geishe che si fanno truccare e attrezzisti che propongono armi dall’aspetto curioso si alternano a Wes Anderson che, guardando in camera, si/ci chiede come si racconta una storia per immagini. Infine lo vediamo salire su una gru per realizzare le riprese e, rompendo la quarta parete, ci dice che la sua vita è quella di raccontare storie, la sua carta è American Express.
Scritto da Eric Scabar
Federico Fellini
Barilla - 1985
Sergio Leone
Renault - 1981
Fare cinema in Italia negli anni ‘70 è ancora qualcosa basato sul sentire comune, sullo scambio reciproco tra arti e intellettuali, con grandi sodalizi e le sceneggiature scritte a più mani, tra editori che investono in film e letterati prestati allo schermo. Con l’arrivo degli anni ‘80 si attenuano le tensioni politiche e il paese ritrova timidamente quella spinta consumistica che aveva conosciuto già nel boom. Fellini e Leone già dagli anni ‘60 incarnavano perfettamente due anime del nostro cinema di maggior successo: quello d’autore e quello di genere. Negli anni’ 80 entrambi realizzeranno due spot pubblicitari per la televisione. Non lo avevano mai fatto nei vent’anni di carriera precedenti.
Leone realizza nel 1980 uno spot per la Renault: in un anfiteatro romano molto simile al Colosseo (l’anfiteatro di El Jem in Tunisia) una Renault 18 rossa fiammante è bloccata da enormi catene al centro dell’arena. Come un gladiatore incatenato nella fossa dei leoni, l’auto comincia a sgasare quasi fosse un cavallo imbizzarrito, e dopo diversi tentativi la fiera a quattro ruote riesce a spezzare le catene, liberarsi dal giogo e sfrecciare verso la libertà.
Fellini realizza nel 1985 uno spot per la Barilla: in un ristorante lussuoso e luccicante una coppia d’innamorati è intenta a ordinare uno dei piatti prelibati di cucina francese elencati dal garçon. Peccato che la bella fanciulla, dallo sguardo ammaliante e dal portamento altolocato, dopo l’ennesima pietanza d’oltralpe presentata dal cameriere, richieda un italianissimo piatto di rigatoni.
Entrambi gli spot mostrano quanto i due registi avessero piena coscienza della propria autorappresentazione. Nella pubblicità della Renault le atmosfere roventi, l’arena e la musica (perfino questa - di appena un minuto - composta dall’immancabile Morricone) richiamano in un istante l’immaginario Leoniano degli spaghetti western; così anche nello spot Barilla le inconfondibili melodie di Nino Rota ci immergono subito nel panorama de la “Dolce Vita” di cui il locale elegante e raffinato era prediletta ambientazione.
Fellini e Leone sono perfettamente consapevoli delle proprie cifre stilistiche e dell’universo visivo che stanno delineando con i loro film. Ma più di tutto - e questi spot ne sono la dimostrazione - entrambi conoscono perfettamente l’immagine stereotipata del proprio lavoro. Questi spot rappresentano un prezioso documento di “auto parodia” da parte di due autori tanto distanti nell’arte quanto simili nella coscienza di sé come autore in un mondo che cambia. Un mondo, quello degli anni ‘80, dove il dibattito comincia a perdersi a favore del citazionismo, del consumo, del posticcio. Ne rimarrà solo un “Marcello come here!” o qualche Poncho abusato.
Scritto da Lorenzo Vitrone
Spike Lee
Nike - 1991
Pochi autori nella storia del cinema hanno influenzato la cultura di massa come Spike Lee. E per capirne il motivo basta riguardare le pubblicità che il regista realizzò alla fine degli anni ‘80 per le sneakers più famose di sempre – le Air Jordan. Spike Lee è un grande appassionato di basket, tanto da farne una delle tematiche più ricorrenti nella sua filmografia, e anche prima di queste pubblicità le scarpe firmate Jordan erano un elemento essenziale della sua estetica. In una delle scene più emblematiche di Do The Right Thing, Lee riesce a racchiudere in una macchia su un paio di Jordan nuove di zecca l’intero dibattito sulla gentrificazione di Brooklyn; mentre in She’s Gotta Have It, il personaggio di Mars Blackmon (poi ripreso nelle pubblicità) non si leva le Jordan neanche quando va a letto con l’amore della sua vita. Non stupisce dunque che quando la Nike chiamò il regista per offrirgli di collaborare con His Airness, la sua prima reazione fu credere che un amico gli avesse fatto uno scherzo. Tra le varie iterazioni, It’s gotta be the shoes rimane forse la più rappresentativa per quanto riguarda l’approccio registico e l’umorismo del regista di Brooklyn, che grazie anche a questi spot giocò un ruolo fondamentale nell’espansione e nella commercializzazione dell’estetica nera negli Stati Uniti.
Scritto da Rodrigo Mella
Michel Gondry
Levis - 1994
Watch pocket created in 1873. Abused ever since. Questo il claim di Drugstore, lo spot girato nei primi anni ‘90 dal geniale regista francese Michel Gondry per la nota marca di jeans Levi’s. Intelligente ed ironico, Gondry reinventa l’utilizzo della piccola tasca anteriore dei jeans, inizialmente pensata per contenere un orologio da taschino. Lo spot, girato quasi completamente in soggettiva, è ambientato tra gli anni ‘20 e i ‘30 negli Stati Uniti d’America. Gondry è abilissimo nel giocare sul contrasto tra passato e modernità. L’intero spot è muto, e l’utilizzo di un bianco e nero sgranato si sposa perfettamente con la colonna sonora techno, forte di un montaggio attentissimo ai punti di sincronizzazione immagine-suono.
Drugstore è uno dei primi commercial girati da Michel Gondry, ma rimane tra i più noti. Premiatissimo in diversi festival dedicati all’advertising, si è aggiudicato anche il prestigioso Leone D’oro al Festival Internazionale della Pubblicità di Cannes.
Scritto da Diana Incorvaia
Sofia Coppola
Dior - 2008
Giovani protagoniste bionde e pallide dallo sguardo dolce e sensuale, colori tenui e delicati, musica pop, abiti haute couture, atmosfera da polaroid, pasticcini, fiori freschi e tanta luce: anche negli spot la poetica di Sofia Coppola è universo femminile. Per questo motivo Dior la sceglie nel 2008 per la campagna pubblicitaria del profumo Miss Dior Chérie. La modella Maryna Linchuk che gira per Parigi sulle note di “Moi, Je Joue” di Brigitte Bardot è la perfetta rappresentazione di tutte le eroine della regista: un po’ Maria Antonietta, un po’ Charlotte in Lost in Translation, un po’ Cleo in Somewhere e tutte le sorelle Lisbon ne Il giardino delle vergini suicide. Nel 2013 sempre per Dior avrà come protagonista Natalie Portman.
La stessa estetica è presente anche negli altri suoi spot realizzati per Gap, Marc Jacobs e Marni per H&M.
Scritto da Giulia Capogna
Spike Jonze
Apple - 2018
Spike Jonze
Kenzo - 2016
Spike Jonze è un regista che, nella sua filmografia, ha rotto diverse dimensioni. Quella ì logica con Essere John Malkovich, quella narrativa con Il ladro di orchidee, quella della rete con Her. Nella sua produzione pubblicitaria è un’altra la dimensione che viene continuamente distorta, plasmata, sfruttata: è quella dello spazio, di un luogo a servizio delle personalità che lo abitano, alla mercé di una regia che allarga gli spazi, li allunga e dona loro respiro. Nel farlo, in due esempi come il lavoro per Kenzo del 2016 e quello per Apple nel 2018, Jonze sceglie il corpo come elemento con cui colmare un perimetro che, nella pubblicità del profumo, viene percorso per intero, mentre per l’azienda di prodotti digitali finisce modellato per assumere una forma inedita grazie alla sua protagonista. Entrambe ballerine: Margaret Qualley nel suo abito verde per Kenzo e FKA twigs nel ritrovamento della propria gioia per Apple. Il ballo e la magia riempiono lo spazio della surrealtà sempre musicale del cineasta, sottolineando fantasiosamente le potenzialità che il prodotto sponsorizzato può offrire nelle sue caratteristiche più inaspettate, simili alle dimensioni dell’autore.
Scritto da Martina Barone
Quando il cinema incontra la pubblicità
il risultato può essere stupefacente
scritto da redazione ODG
TR-19
16.01.2021
Tra la metá degli anni 80 e l’inizio degli anni 2000, il mondo dell'advertising ha vissuto un’epoca d’oro. Il settore è stato sicuramente trainato dall’espansione delle attività commerciali delle grandi companies grazie al processo di globalizzazione che in quegli anni è esploso definitivamente, ma anche dai grandi investimenti che le società hanno indirizzato al marketing. Con questi grandi investimenti le agenzie pubblicitarie hanno attinto, come mai prima di allora, alla creatività che il cinema poteva offrire, affidandosi a grandi registi che potessero portare la propria dimensione poetica nel mondo della pubblicità. Abbiamo selezionato una serie di spot che sono entrati nell’immaginario comune e che rimarranno nella storia dell’advertising.
Ridley Scott
Apple - 1984
Il Super Bowl è conosciuto per le sue costose ed attesissime pubblicità, anche se solo una manciata di queste sono riuscite a rimanere impresse negli anni. Una delle più iconiche fu proprio 1984 diretta da Ridley Scott e ispirata all’omonimo romanzo distopico di George Orwell. Lo spot andò in onda unicamente durante il Super Bowl, generando più scalpore di qualunque altro mai fatto prima di allora: nessuno era preparato, e proprio per questo nessuno riuscì a dimenticarlo.
Scott, che cominciò la sua carriera proprio nella pubblicità riuscendo così a sperimentare con degli originali mini-film, è noto proprio per le sue incredibili atmosfere e la sua grande attenzione all’estetica. Molti dei suoi film, a partire da Alien (1979), sono inoltre noti per i forti personaggi femminili: è questo uno dei segni distintivi del regista che ripropone nello spot della Apple. L’atleta inglese Anya Major rappresenta qui la salvezza e la libertà annunciando l’avvento del computer Macintosh, contrapponendosi radicalmente al conformismo - interpretato dal “Big Brother” - della IBM, azienda che all’epoca deteneva il monopolio del mercato informatico. Con un solo minuto di spot Ridley Scott e la Apple cambiarono così per sempre il modo di fare pubblicità.
Scritto da Vittoria Colangelo
Wes Anderson
American Express - 2006
Lo spot di Wes Anderson per American Express è l’8½ dell’advertising pubblicitario. Dopo un inizio concitato ed esilarante in pieno stile wesandersiano (simmetria inclusa), la camera effettua una pan e ci ritroviamo nel dietro le quinte dello spot che stiamo per vedere. Ed è proprio Wes Anderson che in prima persona ci descrive le bizzarie che avvengono dietro alla macchina da presa di un suo spot tanto complesso quanto stravagante. Assistenti che mangiano banane, geishe che si fanno truccare e attrezzisti che propongono armi dall’aspetto curioso si alternano a Wes Anderson che, guardando in camera, si/ci chiede come si racconta una storia per immagini. Infine lo vediamo salire su una gru per realizzare le riprese e, rompendo la quarta parete, ci dice che la sua vita è quella di raccontare storie, la sua carta è American Express.
Scritto da Eric Scabar
Federico Fellini
Barilla - 1985
Sergio Leone
Renault - 1981
Fare cinema in Italia negli anni ‘70 è ancora qualcosa basato sul sentire comune, sullo scambio reciproco tra arti e intellettuali, con grandi sodalizi e le sceneggiature scritte a più mani, tra editori che investono in film e letterati prestati allo schermo. Con l’arrivo degli anni ‘80 si attenuano le tensioni politiche e il paese ritrova timidamente quella spinta consumistica che aveva conosciuto già nel boom. Fellini e Leone già dagli anni ‘60 incarnavano perfettamente due anime del nostro cinema di maggior successo: quello d’autore e quello di genere. Negli anni’ 80 entrambi realizzeranno due spot pubblicitari per la televisione. Non lo avevano mai fatto nei vent’anni di carriera precedenti.
Leone realizza nel 1980 uno spot per la Renault: in un anfiteatro romano molto simile al Colosseo (l’anfiteatro di El Jem in Tunisia) una Renault 18 rossa fiammante è bloccata da enormi catene al centro dell’arena. Come un gladiatore incatenato nella fossa dei leoni, l’auto comincia a sgasare quasi fosse un cavallo imbizzarrito, e dopo diversi tentativi la fiera a quattro ruote riesce a spezzare le catene, liberarsi dal giogo e sfrecciare verso la libertà.
Fellini realizza nel 1985 uno spot per la Barilla: in un ristorante lussuoso e luccicante una coppia d’innamorati è intenta a ordinare uno dei piatti prelibati di cucina francese elencati dal garçon. Peccato che la bella fanciulla, dallo sguardo ammaliante e dal portamento altolocato, dopo l’ennesima pietanza d’oltralpe presentata dal cameriere, richieda un italianissimo piatto di rigatoni.
Entrambi gli spot mostrano quanto i due registi avessero piena coscienza della propria autorappresentazione. Nella pubblicità della Renault le atmosfere roventi, l’arena e la musica (perfino questa - di appena un minuto - composta dall’immancabile Morricone) richiamano in un istante l’immaginario Leoniano degli spaghetti western; così anche nello spot Barilla le inconfondibili melodie di Nino Rota ci immergono subito nel panorama de la “Dolce Vita” di cui il locale elegante e raffinato era prediletta ambientazione.
Fellini e Leone sono perfettamente consapevoli delle proprie cifre stilistiche e dell’universo visivo che stanno delineando con i loro film. Ma più di tutto - e questi spot ne sono la dimostrazione - entrambi conoscono perfettamente l’immagine stereotipata del proprio lavoro. Questi spot rappresentano un prezioso documento di “auto parodia” da parte di due autori tanto distanti nell’arte quanto simili nella coscienza di sé come autore in un mondo che cambia. Un mondo, quello degli anni ‘80, dove il dibattito comincia a perdersi a favore del citazionismo, del consumo, del posticcio. Ne rimarrà solo un “Marcello come here!” o qualche Poncho abusato.
Scritto da Lorenzo Vitrone
Spike Lee
Nike - 1991
Pochi autori nella storia del cinema hanno influenzato la cultura di massa come Spike Lee. E per capirne il motivo basta riguardare le pubblicità che il regista realizzò alla fine degli anni ‘80 per le sneakers più famose di sempre – le Air Jordan. Spike Lee è un grande appassionato di basket, tanto da farne una delle tematiche più ricorrenti nella sua filmografia, e anche prima di queste pubblicità le scarpe firmate Jordan erano un elemento essenziale della sua estetica. In una delle scene più emblematiche di Do The Right Thing, Lee riesce a racchiudere in una macchia su un paio di Jordan nuove di zecca l’intero dibattito sulla gentrificazione di Brooklyn; mentre in She’s Gotta Have It, il personaggio di Mars Blackmon (poi ripreso nelle pubblicità) non si leva le Jordan neanche quando va a letto con l’amore della sua vita. Non stupisce dunque che quando la Nike chiamò il regista per offrirgli di collaborare con His Airness, la sua prima reazione fu credere che un amico gli avesse fatto uno scherzo. Tra le varie iterazioni, It’s gotta be the shoes rimane forse la più rappresentativa per quanto riguarda l’approccio registico e l’umorismo del regista di Brooklyn, che grazie anche a questi spot giocò un ruolo fondamentale nell’espansione e nella commercializzazione dell’estetica nera negli Stati Uniti.
Scritto da Rodrigo Mella
Michel Gondry
Levis - 1994
Watch pocket created in 1873. Abused ever since. Questo il claim di Drugstore, lo spot girato nei primi anni ‘90 dal geniale regista francese Michel Gondry per la nota marca di jeans Levi’s. Intelligente ed ironico, Gondry reinventa l’utilizzo della piccola tasca anteriore dei jeans, inizialmente pensata per contenere un orologio da taschino. Lo spot, girato quasi completamente in soggettiva, è ambientato tra gli anni ‘20 e i ‘30 negli Stati Uniti d’America. Gondry è abilissimo nel giocare sul contrasto tra passato e modernità. L’intero spot è muto, e l’utilizzo di un bianco e nero sgranato si sposa perfettamente con la colonna sonora techno, forte di un montaggio attentissimo ai punti di sincronizzazione immagine-suono.
Drugstore è uno dei primi commercial girati da Michel Gondry, ma rimane tra i più noti. Premiatissimo in diversi festival dedicati all’advertising, si è aggiudicato anche il prestigioso Leone D’oro al Festival Internazionale della Pubblicità di Cannes.
Scritto da Diana Incorvaia
Sofia Coppola
Dior - 2008
Giovani protagoniste bionde e pallide dallo sguardo dolce e sensuale, colori tenui e delicati, musica pop, abiti haute couture, atmosfera da polaroid, pasticcini, fiori freschi e tanta luce: anche negli spot la poetica di Sofia Coppola è universo femminile. Per questo motivo Dior la sceglie nel 2008 per la campagna pubblicitaria del profumo Miss Dior Chérie. La modella Maryna Linchuk che gira per Parigi sulle note di “Moi, Je Joue” di Brigitte Bardot è la perfetta rappresentazione di tutte le eroine della regista: un po’ Maria Antonietta, un po’ Charlotte in Lost in Translation, un po’ Cleo in Somewhere e tutte le sorelle Lisbon ne Il giardino delle vergini suicide. Nel 2013 sempre per Dior avrà come protagonista Natalie Portman.
La stessa estetica è presente anche negli altri suoi spot realizzati per Gap, Marc Jacobs e Marni per H&M.
Scritto da Giulia Capogna
Spike Jonze
Apple - 2018
Spike Jonze
Kenzo - 2016
Spike Jonze è un regista che, nella sua filmografia, ha rotto diverse dimensioni. Quella ì logica con Essere John Malkovich, quella narrativa con Il ladro di orchidee, quella della rete con Her. Nella sua produzione pubblicitaria è un’altra la dimensione che viene continuamente distorta, plasmata, sfruttata: è quella dello spazio, di un luogo a servizio delle personalità che lo abitano, alla mercé di una regia che allarga gli spazi, li allunga e dona loro respiro. Nel farlo, in due esempi come il lavoro per Kenzo del 2016 e quello per Apple nel 2018, Jonze sceglie il corpo come elemento con cui colmare un perimetro che, nella pubblicità del profumo, viene percorso per intero, mentre per l’azienda di prodotti digitali finisce modellato per assumere una forma inedita grazie alla sua protagonista. Entrambe ballerine: Margaret Qualley nel suo abito verde per Kenzo e FKA twigs nel ritrovamento della propria gioia per Apple. Il ballo e la magia riempiono lo spazio della surrealtà sempre musicale del cineasta, sottolineando fantasiosamente le potenzialità che il prodotto sponsorizzato può offrire nelle sue caratteristiche più inaspettate, simili alle dimensioni dell’autore.
Scritto da Martina Barone