INT-83
04.01.2025
Quando si dice che nella vita basta solo una possibilità, un’occasione per mostrare al mondo il grande potenziale che si possiede, che sia in ambito artistico, economico o sociale, a volte bisogna crederci. Ed è proprio quello che è successo ad una giovane attrice norvegese, che prima dell’estate del 2021 non conosceva quasi nessuno. Stiamo parlando di Renate Reinsve ovviamente, che è passata dalla scena indipendente nordica a calcare i “palcoscenici cinematografici” più rinomati a livello internazionale.
Tutto è partito proprio nel luglio del 2021, quando The Worst Person in the World di Joachim Trier fu presentato al Festival di Cannes. Sin da subito, il film conquistò il consenso unanime di critica e pubblico grazie alla storia della sua protagonista: Julie. L’interpretazione straordinaria di Renate Reinsve, che le valse il Prix d’interprétation féminine al festival, è stato il trampolino di lancio della sua carriera. Difatti, nel corso degli ultimi tre anni, l’attrice ha partecipato a una moltitudine di progetti internazionali. Tra questi spiccano la produzione italiana Another End di Piero Messina, il lungometraggio statunitense A Different Man di Aaron Schimberg, ed infine le due opere norvegesi Handling the Undead di Thea Hvistendahl e Armand di Halfdan Ullmann Tøndel. Tutti questi progetti sono stati presentati nel corso del 2024 e, grazie ad Armand, la Reinsve ha ricevuto una nomination agli European Film Awards nella categoria di miglior attrice.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Renate Reinsve, che ci ha raccontato dell’impatto di The Worst Person in the World sulla sua carriera, del suo legame con il teatro ed infine della sua intensa interpretazione in Armand, film che è stato distribuito da Movies Inspired nelle nostre sale a partire dall’1 Gennaio.
Armand. A Different Man. Another End. Handling the Undead. Il 2024 è stato un anno piuttosto ricco per te e mi sembra il caso di iniziare questa conversazione proprio da questo. Cosa mi puoi dire su questa annata prolifica?
Beh, adesso che sento tutti questi progetti elencati penso “è davvero tanto” (l’attrice ride, n.d.r.). Dopo The Worst Person in the World ho ricevuto molte offerte per progetti interessanti ed è stato difficile dire di no. Farò molto meno l’anno prossimo, questo è sicuro, ma sono estremamente fiera del lavoro svolto. Inoltre, ho avuto l’occasione di girare in diverse parti del mondo e con attori che stimo tanto, come Gael Garcia Bernal e Jake Gyllenhaal. È stata un’annata fantastica e siccome ho dovuto fare così tanto, non ho nemmeno avuto il tempo per essere nervosa o agitata per qualche progetto. Ora però sono meno occupata e posso rilassarmi un pochino.
È anche una grande annata per il cinema norvegese.
Esattamente, è una situazione surreale e sono davvero felice per questo.
A cosa credi sia dovuto?
Questa è una buona domanda perché per anni la Norvegia è stata sotto il dominio della Danimarca e della Svezia. Il Paese ha solo un centinaio di anni di storia e durante questo periodo c’è stata questa sorta di conformazione artistica, culturale e soprattutto cinematografica, dove per anni si è cercato di replicare il modello hollywoodiano ma con un budget ridotto. Questo periodo è stato caratterizzato dal timore, dalla paura di osare e di raccontare storie che ci riguardano. Credo che le “fondamenta” del cinema norvegese le abbia messe Joachim (Trier, n.d.r.). Sta lavorando da vent’anni in questa industria e ha raccontato le sue storie, non copie di altri tipi di cinema. Poi c’è stata Skam, una serie che ha avuto molto successo a livello internazionale. Quindi, la gente ha iniziato a incuriosirsi un po’ alla nostra cultura, e ora arrivano più fondi nell’industria cinematografica per creare storie originali. Negli ultimi cinque anni c’è stato un grande cambiamento, sono felice di farne parte e non vedo l’ora di vedere cosa ci riserva il futuro. Ci sono voluti anni per finanziare Armand, ma alla fine Halfdan (Ullmann Tøndel, n.d.r.) è rimasto impuntato sulla sua visione audace, una che si discosta dal cinema tradizionale norvegese. È stato piuttosto coraggioso in certe scelte narrative.
Cosa mi puoi dire del personaggio che interpreti in Armand, ovvero quello di Elizabeth? Hai detto in un’intervista che è stato il ruolo più difficile della tua carriera. Cosa hai trovato di così “estenuante” nel film?
Quando ero più giovane facevo nuoto a livello agonistico, non mi definirei un atleta, ma so cosa significa spingersi oltre i propri limiti per voler migliorare e con Armand ho trovato la giusta sfida. Per questo sono sempre emozionata ed ispirata quando devo lavorare con Halfdan. Sul set abbiamo questa chimica dove proviamo continuamente a sperimentare, e trovo tutto ciò esilarante perché ogni volta le persone intorno a noi devono interromperci e ricordarci che dobbiamo rispettare certi tempi e finire la sequenza. Mi sento ispirata da grandi attrici come Isabelle Huppert, Charlotte Gainsbourg e Nicole Kidman, proprio per la loro versatilità e il modo in cui si mettono sempre alla prova. Questa mentalità che avevo da ragazza con il nuoto mi ha aiutato in questa transizione nel mondo del cinema, mi ha insegnato a spingermi oltre i limiti in ruoli sempre più difficili. Avevo detto ad Halfdan che non ce l’avrei mai fatta a ridere per sette minuti di seguito, ma che avrei provato e dato il mio meglio.
A tal proposito, cosa puoi dirmi di quella scena così intensa?
Ho avuto un background nel mondo del teatro e quando ho iniziato, circa a nove anni, avevo questa insegnante severa che mi ha illustrato come costruire un personaggio tramite un approccio analitico nel quale bisogna creare una sorta di fantasia dove il tuo corpo non è più in grado di distinguere quale sia la tua realtà e quella del personaggio, perché ormai ti sei immedesimato appieno in esso e più curi questo aspetto nel dettaglio, più la tua interpretazione sarà sincera. Ho conosciuto Halfdan otto anni fa e dal primo momento ho capito quanto volessi lavorare con lui perché avevamo la stessa concezione del cinema. Ho avuto l’occasione di costruire questo ruolo per sette anni, in attesa dei finanziamenti, e ho avuto il tempo necessario per entrare nella psicologia del personaggio, e quindi riuscire a ridere in maniera incontrollata con la sincerità di Elizabeth. Arrivi ad un punto in cui il personaggio è così disperato e ha questa grande crisi nervosa, dove l’unica cosa che riesce a fare è questa risata isterica. Questo momento inoltre è così specifico per me è Halfdan perché ci è capitato di andare ad un funerale dei nostri parenti e scoppiare a ridere a caso. Era stato un episodio vergognoso, ero al funerale di mia zia e sono scoppiata a ridere durante la cerimonia e poi ancora una volta durante la sepoltura. Inconsciamente sapevo come replicare quella risata isterica e renderla conforme al personaggio di Elizabeth. Avevo bisogno solo di un piccolo aiuto esterno, quindi sono andata da Helge, il ragazzo che si occupa del suono, un tipo molto simpatico, e gli ho chiesto di raccontarmi una battuta per incitare il riso, ma era stata una battuta pessima… (l’attrice ride, n.d.r.).
Tipo?
È difficile da tradurre dal norvegese e poi non è così divertente a dire il vero… comunque, in Norvegia usiamo queste giacche enormi, chiamate bubble jacket e lui aveva detto in modo sardonico di immaginare una bubble jacket con solo una bolla (l’attrice ride, n.d.r.). In seguito a questo siparietto, ho continuato a prepararmi per la scena con il solito approccio analitico che citavo prima e, una volta arrivata sul set e vista la serietà degli altri interpreti, ho iniziato a sentirmi nervosa perché continuavo a pensare che non ce l’avrei mai fatta. È stato davvero estenuante perché abbiamo lavorato dieci ore di fila su quella scena, sapevamo quanto era importante all’interno del film e non potevamo sbagliarla.
Come è cambiata la tua vita dopo The Worst Person in the World?
La mia vita professionale è cambiata ovviamente, ma anche emotivamente direi, il personaggio di Julie è simile a me ed è stato interessante anche rispetto al mio background teatrale, dove di solito si cercano personaggi che si discostano dalla tua persona. Qui è successo l’opposto ed essere così “vicina” ad un personaggio è stato innaturale e spaventoso ad un primo impatto. Ma il film si è rivelato un grande successo, le persone hanno amato Julie e si sentono vicine a lei. Inoltre, sono stata in analisi per molto tempo e lavorare in questo film è forse stata la terapia migliore, ha rappresentato un boost nella mia autostima (l’attrice ride, n.d.r.). Sarò per sempre riconoscente nei confronti di Joachim per aver creato questo ruolo apposta per me è avermi concesso molta libertà sul set. Si è fidato ciecamente di me, sapeva come avrei interpretato Julie. Inoltre, molte persone che ho incontrato durante il tour promozionale mi hanno raccontato cosa gli è successo dopo aver visto il film; alcuni hanno lasciato i propri fidanzati, mentre altri si sono sposati o hanno vissuto le stesse difficoltà sentimentali di Julie. Recitare in The Worst Person in the World mi ha cambiato la vita, quel film è stato davvero speciale.
Lavorerai con Joachim anche nel suo prossimo film, giusto?
Si, abbiamo finito le riprese qualche settimana fa.
Puoi dirmi qualcosa a riguardo?
Sarà leggermente più dark rispetto al film precedente e il personaggio che interpreto è diverso da Julie; lei stava cercando di capire il suo posto nel mondo e con chi stare, era un personaggio piuttosto malinconico, mentre Nora sa già chi è, ha una vita lavorativa e sentimentale, deve solo cercare di capire come affrontare certe situazioni inaspettate. Sentimental Value sarà per lo più incentrato sul rapporto tra Nora e il padre Gustav (che sarà interpretato da Stellan Skarsgard, n.d.r.) e la loro incapacità di creare un legame stabile fra di loro. Il film esplorerà proprio l’importanza della comunicazione all’interno delle relazioni familiari e sentimentali, oltre ad approfondire il trauma generazionale legato al passato delle figure genitoriali e come questo ha una un forte impatto sulla vita dei figli.
Dobbiamo aspettarci un’atmosfera simile a The Worst Person in the World?
Si, ho visto alcune clip e c’è lo stesso tipo di humor. Poi sul film sta lavorando lo stesso montatore di The Worst Person in the World ed è stato scritto da Joachim ed Eskil Vogt (stretto collaboratore di Trier, n.d.r.). Credo che loro due abbiamo trovato il loro stile definitivo grazie all’opera precedente, la loro carriera è stata infatti caratterizzata da alcuni esperimenti cinematografici, come Louder Than Bombs (2015) e Thelma (2017), non hanno mai avuto paura di addentrarsi in generi o atmosfere che non avevano mai utilizzato. Tutto ciò gli ha permesso di trovare il loro stile definitivo con i loro marchi di fabbrica, e in questa evoluzione, si può anche notare come il cinema di Joachim sia diventato più onesto, sempre più vicino alla nostra realtà quotidiana.
Hai detto che il film sarà più dark e sto cercando di capire come, forse qualcosa legato alla depressione, soprattutto perché diverse tematiche affrontate in film norvegesi sono piuttosto estranee al contesto cinematografico hollywoodiano o europeo, basta citare lo zombie movie Handling the Undead che è stato presentato ad inizio anno.
Esatto. So che la Norvegia, insieme a paesi come la Corea del Sud e l’Arabia Saudita, è una delle Nazioni che ha le restrizioni sociali più severe al mondo. Vivendo la maggior parte della mia vita in Norvegia, non mi sono mai resa conto di questa cosa, ma quando ho iniziato a lavorare in altri paesi ho percepito questa differenza. Ho lavorato in Italia e ho avuto questa sensazione di libertà, ma ovviamente, avete anche voi certe “restrizioni”, e lo stesso in Germania. Questo clima sociale in Norvegia genera ansia, malinconia e di conseguenza, la gente inizia a soffrire di depressione. Ma allo stesso tempo, credo che la nostra popolazione sia tra le più felici al mondo. Tutte queste contraddizioni hanno ispirato gli artisti nella creazione di queste nuove storie. Poi abbiamo un lunghissimo inverno… (l’attrice ride, n.d.r.) e tutti diventano depressi. Non c’è via di fuga ed è impossibile girare in quel periodo, fa troppo freddo ed è buio. In questo momento ci sono solo due ore di luce al giorno. Di solito le riprese sono in primavera o in autunno, i periodi dove tutti sono più felici, ma questa malinconia persiste.
Recentemente hai lavorato in produzioni in lingua inglese come Presumed Innocent e A Different Man. È sempre più difficile per attrici europee non anglosassoni trovare ruoli del genere, cosa puoi dirmi a riguardo? Hai intenzione di continuare a lavorare stabilmente in queste produzioni o a Hollywood?
Ci sono poche storie originali e personali ad Hollywood. Presumed Innocent e A Different Man rappresentano due lati diversi dell’industria cinematografica statunitense; da una parte una grande produzione con uno studio come Apple alle spalle, dall’altra un progetto indipendente che racconta una storia personale legata al regista. È davvero raro trovare film come A Different Man, soprattutto trovare i finanziamenti per un progetto del genere. All’inizio ero preoccupata di non sapermi adattare allo stile di recitazione americano. Ho questa teoria dove secondo me nel cinema europeo gli attori sono più focalizzati ad aiutare il regista nella sua visione, mentre negli Stati Uniti è l’opposto. Gli attori hanno più peso nelle produzioni e spesso si modella il film sulla loro figura. In Europa, lo stile di recitazione in qualche modo è più grezzo, e a volte non è necessario conoscere una scena prima di girarla, anche perché devi trovare l’emozione del personaggio sul momento. In America è tutto più impostato, l’arco emotivo del personaggio si conosce già, ci sono molte più rehearsal e fasi di preparazione, quindi manca di fatto quella libertà che si ha in Europa. Con Presumed Innocent è stata un’eccezione perché il primo episodio è stato diretto da un cineasta norvegese, quindi ho avuto un po’ più di libertà. Tutta questa preparazione e impostazione dei ruoli non fa per me, non riuscirei a fare un buon lavoro con questo metodo. Preferisco approcciare il personaggio in modo analitico e poi perdere il controllo di me stessa sul set per vivere la persona che devo interpretare. Per questo non credo farò mai un film d’azione o altro (la regista ride, n.d.r.).
Quindi non ti prepareresti fisicamente per mesi per un ruolo?
Mi piacerebbe fare un film dove recito in maniera più “fisica”, sarebbe interessante se dovessi interpretare una nuotatrice o un atleta, l’importante è che sia un personaggio silenzioso, senza battute (l’attrice ride, n.d.r.).
Immagino che questa “teoria” venga applicata anche ai diversi modelli di produzione.
La differenza principale è nelle piccole cose, nella cura dei dettagli, e credo che questo sia davvero importante. In Europa c’è la possibilità di sbagliare e riprovare più volte, è un processo più incasinato rispetto al modello statunitense. L’aspetto economico è un fattore da non sottovalutare, in America i fondi non vengono spesso dal governo ma da investitori privati e quindi c’è questa mentalità dove si ha timore di osare o sperimentare perché non si vuole sprecare denaro inutilmente oppure perché si pensa che il film non riuscirà a guadagnare il budget di partenza al botteghino. Quando hai a che fare con i fondi dello Stato, come appunto in Norvegia o in Europa più in generale, hai l’occasione di essere più libero e non devi sottostare a determinate “richieste” degli investitori.
Vorrei ritornare sulle tue origini teatrali, visto che hai avuto un paio d’anni piuttosto occupati per via del cinema, volevo chiederti se avessi in programma di ritornare sul palcoscenico.
Nel film di Joachim devo interpretare un’attrice teatrale, e salire su quel palco per la prima dopo tanti anni mi ha fatto un certo effetto. Poco tempo fa ho incontrato un regista teatrale norvegese e abbiamo iniziato a parlare di una possibile collaborazione per l’anno prossimo. Mi manca molto quell’ambiente. È uno stile di recitazione differente, ma credo fortemente che complementi lo stile cinematografico, e viceversa. Per dimostrare questo posso farti l’esempio di Sandra Hüller, la rispetto molto e spero di avere l’occasione di andare a vederla a teatro l’anno prossimo nel ruolo di Amleto. A teatro, impari a costruire il personaggio diversamente, sei più focalizzato su te stesso, mentre nel cinema ci sono altri fattori a cui devi pensare perché devi lavorare in maniera maggiormente collettiva.
Hai parlato a lungo di come cerchi di dissociare te stessa dal personaggio che interpreti, puoi approfondire meglio questo aspetto? Rimani sempre nel personaggio anche fuori dal set?
Questa è una domanda piuttosto filosofica (l’attrice ride, n.d.r.). Credo che ogni essere umano tiri fuori il peggio di sé quando viene posto in una situazione disperata. Questo è ciò che ci accomuna. È difficile e spaventoso raggiungere quel punto in un personaggio che devi interpretare, perché come dicevo prima, devi cercare l’onestà nella persona che interpreti. Prendo come esempio Elizabeth in Armand. Le frasi che dice o le azioni che compiono sono reali ed è stato spaventoso entrare nella sua psiche. È stato un processo talmente estenuante che due settimane prima delle riprese non sapevo più chi ero. Era una situazione psicotica, ma necessaria per raggiungere la verità di Elisabeth. Ma amo mettermi in queste situazioni, è una spinta di adrenalina, come se fossi sotto effetto di qualche sostanza. Poi Halfdan rispecchia appieno la mia visione e ci siamo scatenati durante le riprese. Spero di collaborare ancora con lui, è in grado di tirare fuori i miei lati più estremi.
INT-83
04.01.2025
Quando si dice che nella vita basta solo una possibilità, un’occasione per mostrare al mondo il grande potenziale che si possiede, che sia in ambito artistico, economico o sociale, a volte bisogna crederci. Ed è proprio quello che è successo ad una giovane attrice norvegese, che prima dell’estate del 2021 non conosceva quasi nessuno. Stiamo parlando di Renate Reinsve ovviamente, che è passata dalla scena indipendente nordica a calcare i “palcoscenici cinematografici” più rinomati a livello internazionale.
Tutto è partito proprio nel luglio del 2021, quando The Worst Person in the World di Joachim Trier fu presentato al Festival di Cannes. Sin da subito, il film conquistò il consenso unanime di critica e pubblico grazie alla storia della sua protagonista: Julie. L’interpretazione straordinaria di Renate Reinsve, che le valse il Prix d’interprétation féminine al festival, è stato il trampolino di lancio della sua carriera. Difatti, nel corso degli ultimi tre anni, l’attrice ha partecipato a una moltitudine di progetti internazionali. Tra questi spiccano la produzione italiana Another End di Piero Messina, il lungometraggio statunitense A Different Man di Aaron Schimberg, ed infine le due opere norvegesi Handling the Undead di Thea Hvistendahl e Armand di Halfdan Ullmann Tøndel. Tutti questi progetti sono stati presentati nel corso del 2024 e, grazie ad Armand, la Reinsve ha ricevuto una nomination agli European Film Awards nella categoria di miglior attrice.
Abbiamo avuto il piacere di incontrare Renate Reinsve, che ci ha raccontato dell’impatto di The Worst Person in the World sulla sua carriera, del suo legame con il teatro ed infine della sua intensa interpretazione in Armand, film che è stato distribuito da Movies Inspired nelle nostre sale a partire dall’1 Gennaio.
Armand. A Different Man. Another End. Handling the Undead. Il 2024 è stato un anno piuttosto ricco per te e mi sembra il caso di iniziare questa conversazione proprio da questo. Cosa mi puoi dire su questa annata prolifica?
Beh, adesso che sento tutti questi progetti elencati penso “è davvero tanto” (l’attrice ride, n.d.r.). Dopo The Worst Person in the World ho ricevuto molte offerte per progetti interessanti ed è stato difficile dire di no. Farò molto meno l’anno prossimo, questo è sicuro, ma sono estremamente fiera di quello che ho fatto. Inoltre, ho avuto l’occasione di lavorare in diverse parti del mondo e con attori che stimo tanto, come Gael Garcia Bernal e Jake Gyllenhaal. È stata un’annata fantastica e siccome ho dovuto fare così tanto, non ho nemmeno avuto il tempo per essere nervosa o agitata per qualche progetto. Ora però sono meno occupata e posso rilassarmi un pochino.
È anche una grande annata per il cinema norvegese.
Esattamente, è una situazione surreale e sono davvero felice per questo.
A cosa credi sia dovuto?
Abbiamo creato questo sito (sauvage-lefilm.com) con cinque organizzazioni allo scopo di informare la gente sull’impatto naturale della produzione dell’olio di palma, la sua massiccia produzione sta danneggiando gravemente l’ambiente circostante. Siccome si può produrre facilmente e in grandi quantità, le industrie agroalimentari abbattono molte foreste per costruire le piantagioni. È una grossa problematica per l’ambiente e per le persone che vivono in queste foreste. I contadini europei sono svantaggiati allo stesso modo poiché non sono in grado di competere con le industrie e i loro metodi. Stiamo conducendo questa campagna con diverse associazioni, sia ambientaliste che per la proiezione degli orangotango, oltre ad alcune tribù indigene del Borneo. Sul sito si possono trovare diversi documenti che illustrano bene la situazione sulla deforestazione, l’intento è quello di informare il pubblico il più possibile. Con il film invece, volevo solamente introdurre certe tematiche e svilupparle senza spiegare troppo nel dettaglio. Altrimenti sarebbe stato complicato. Sauvages è per lo più incentrato sul rapporto che hanno le persone con queste foreste e spero davvero che qualcuno si unisca alla causa proprio grazie al film.
A tal proposito, cosa puoi dirmi di quella scena così intensa?
Ho avuto un background nel mondo del teatro e quando ho iniziato, circa a nove anni, avevo questa insegnante severa che mi ha insegnato come costruire un personaggio tramite un approccio analitico nel quale bisognava creare una sorta di fantasia dove il tuo corpo non è più in grado di distinguere quale sia la tua realtà e quella del personaggio, perché ormai ti sei immedesimato appieno in esso e più curi questo aspetto nel dettaglio, più la tua interpretazione sarà sincera. Ho conosciuto Halfdan otto anni fa e dal primo momento ho capito quanto volessi lavorare con lui perché avevamo la stessa concezione del cinema. Ho avuto l’occasione di costruire questo ruolo per sette anni, in attesa dei finanziamenti, e ho avuto il tempo necessario per entrare nella psicologia del personaggio, e quindi riuscire a ridere in maniera incontrollata con la sincerità di Elizabeth. Arrivi ad un punto in cui il personaggio è così disperato e ha questa grande crisi nervosa, dove l’unica cosa che riesce a fare è questa risata isterica. Questo momento inoltre è così specifico per me è Halfdan perché ci è capitato di andare ad un funerale dei nostri parenti e scoppiare a ridere a caso. Era stato un episodio vergognoso, ero al funerale di mia zia e sono scoppiata a ridere durante la cerimonia e poi ancora una volta durante la sepoltura. Inconsciamente sapevo come replicare quella risata isterica e renderla conforme al personaggio di Elizabeth. Avevo bisogno solo di un piccolo aiuto esterno, quindi sono andata da Helge, il ragazzo che si occupa del suono, un tipo molto simpatico, e gli ho chiesto di raccontarmi una battuta per incitare il riso, ma era stata una battuta pessima… (l’attrice ride, n.d.r.).
Tipo?
È difficile da tradurre dal norvegese e poi non è così divertente a dire il vero… comunque, in Norvegia usiamo queste giacche enormi, chiamate bubble jacket e lui aveva detto in modo sardonico di immaginare una bubble jacket con solo una bolla (l’attrice ride, n.d.r.). In seguito a questo siparietto, ho continuato a prepararmi per la scena con il solito approccio analitico che citavo prima e, una volta arrivata sul set e vista la serietà degli altri interpreti, ho iniziato a sentirmi nervosa perché continuavo a pensare che non ce l’avrei mai fatta. È stato davvero estenuante perché abbiamo lavorato dieci ore di fila su quella scena, sapevamo quanto era importante all’interno del film e non potevamo sbagliarla.
Come è cambiata la tua vita dopo The Worst Person in the World?
La mia vita professionale è cambiata ovviamente, ma anche emotivamente direi, il personaggio di Julie è simile a me ed è stato interessante anche rispetto al mio background teatrale, dove di solito si cercano personaggi che si discostano dalla tua persona. Qui è successo l’opposto ed essere così “vicina” ad un personaggio è stato innaturale e spaventoso ad un primo impatto. Ma il film si è rivelato un grande successo, le persone hanno amato Julie e si sentono vicine a lei. Inoltre, sono stata in terapia per molto tempo e lavorare in questo film è forse stata la terapia migliore, ha rappresentato un boost nella mia autostima (l’attrice ride, n.d.r.). Sarò per sempre riconoscente nei confronti di Joachim per aver creato questo ruolo apposta per me è avermi concesso molta libertà sul set. Si è fidato ciecamente di me, sapeva come avrei interpretato Julie. Inoltre, molte persone che ho incontrato durante il tour promozionale mi hanno raccontato cosa gli è successo dopo aver visto il film; alcuni hanno lasciato i propri fidanzati, mentre altri si sono sposati o hanno vissuto le stesse difficoltà sentimentali di Julie. Recitare in The Worst Person in the World mi ha cambiato la vita, quel film è stato davvero speciale.
Lavorerai con Joachim anche nel suo prossimo film, giusto?
Si, abbiamo finito le riprese qualche settimana fa.
Puoi dirmi qualcosa a riguardo?
Sarà leggermente più dark rispetto al film precedente e il personaggio che interpreto è diverso da Julie; lei stava cercando di capire il suo posto nel mondo e con chi stare, era un personaggio piuttosto malinconico, mentre Nora sa già chi è, ha una vita lavorativa e sentimentale, deve solo cercare di capire come affrontare certe situazioni inaspettate. Sentimental Value sarà per lo più incentrato sul rapporto tra Nora e il padre Gustav (che sarà interpretato da Stellan Skarsgard, n.d.r.) e la loro incapacità di creare un legame stabile fra di loro. Il film esplorerà proprio l’importanza della comunicazione all’interno delle relazioni familiari e sentimentali, oltre ad approfondire il trauma generazionale legato al passato delle figure genitoriali e come questo ha una un forte impatto sulla vita dei figli.
Dobbiamo aspettarci un’atmosfera simile a The Worst Person in the World?
Si, ho visto alcune clip e c’è lo stesso tipo di humor. Poi sul film sta lavorando lo stesso montatore di The Worst Person in the World ed è stato scritto da Joachim ed Eskil Vogt (stretto collaboratore di Trier, n.d.r.). Credo che loro due abbiamo trovato il loro stile definitivo grazie all’opera precedente, la loro carriera è stata infatti caratterizzata da alcuni esperimenti cinematografici, come Louder Than Bombs (2015) e Thelma (2017), non hanno mai avuto paura di addentrarsi in generi o atmosfere che non avevano mai utilizzato. Tutto ciò gli ha permesso di trovare il loro stile definitivo con i loro marchi di fabbrica, e in questa evoluzione, si può anche notare come il cinema di Joachim sia diventato più onesto, sempre più vicino alla nostra realtà quotidiana.
Hai detto che il film sarà più dark e sto cercando di capire come, forse qualcosa legato alla depressione, soprattutto perché diverse tematiche affrontate in film norvegesi sono piuttosto estranee al contesto cinematografico hollywoodiano o europeo, basta citare lo zombie movie Handling the Undead che è stato presentato ad inizio anno.
Esatto. So che la Norvegia, insieme a paesi come la Corea del Sud e l’Arabia Saudita, è una delle Nazioni che ha le restrizioni sociali più severe al mondo. Vivendo la maggior parte della mia vita in Norvegia, non mi sono mai resa conto di questa cosa, ma quando ho iniziato a lavorare in altri paesi ho percepito questa differenza. Ho lavorato in Italia e ho avuto questa sensazione di libertà, ma ovviamente, avete anche voi certe “restrizioni”, e lo stesso in Germania. Questo clima sociale in Norvegia genera ansia, malinconia e di conseguenza, la gente inizia a soffrire di depressione. Ma allo stesso tempo, credo che la nostra popolazione sia tra le più felici al mondo. Tutte queste contraddizioni hanno ispirato gli artisti nella creazione di queste nuove storie. Poi abbiamo un lunghissimo inverno… (l’attrice ride, n.d.r.) e tutti diventano depressi. Non c’è via di fuga ed è impossibile girare in quel periodo, fa troppo freddo ed è buio. In questo momento ci sono solo due ore di luce al giorno. Di solito le riprese sono in primavera o in autunno, i periodi dove tutti sono più felici, ma questa malinconia persiste.
Recentemente hai lavorato in produzioni in lingua inglese come Presumed Innocent e A Different Man. È sempre più difficile per attrici europee non anglosassoni trovare ruoli del genere, cosa puoi dirmi a riguardo? Hai intenzione di continuare a lavorare stabilmente in queste produzioni o a Hollywood?
Ci sono poche storie originali e personali ad Hollywood. Presumed Innocent e A Different Man rappresentano due lati diversi dell’industria cinematografica statunitense; da una parte una grande produzione con uno studio come Apple alle spalle, dall’altra un progetto indipendente che racconta una storia personale legata al regista. È davvero raro trovare film come A Different Man, soprattutto trovare i finanziamenti per un progetto del genere. All’inizio ero preoccupata di non sapermi adattare allo stile di recitazione americano. Ho questa teoria dove secondo me nel cinema europeo gli attori sono più focalizzati ad aiutare il regista nella sua visione, mentre negli Stati Uniti è l’opposto. Gli attori hanno più peso nelle produzioni e spesso si modella il film sulla loro figura. In Europa, lo stile di recitazione in qualche modo è più grezzo, e a volte non è necessario conoscere una scena prima di girarla, anche perché devi trovare l’emozione del personaggio sul momento. In America è tutto più impostato, l’arco emotivo del personaggio si conosce già, ci sono molte più rehearsal e fasi di preparazione, quindi manca di fatto quella libertà che si ha in Europa. Con Presumed Innocent è stata un’eccezione perché il primo episodio è stato diretto da un cineasta norvegese, quindi ho avuto un po’ più di libertà. Tutta questa preparazione e impostazione dei ruoli non fa per me, non riuscirei a fare un buon lavoro con questo metodo. Preferisco approcciare il personaggio in modo analitico e poi perdere il controllo di me stessa sul set per vivere la persona che devo interpretare. Per questo non credo farò mai un film d’azione o altro (la regista ride, n.d.r.).
Quindi non ti prepareresti fisicamente per mesi per un ruolo?
Mi piacerebbe fare un film dove recito in maniera più “fisica”, sarebbe interessante se dovessi interpretare una nuotatrice o un atleta, l’importante è che sia un personaggio silenzioso senza battute (l’attrice ride, n.d.r.).
Immagino che questa “teoria” venga applicata anche ai diversi modelli di produzione.
La differenza principale è nelle piccole cose, nella cura dei dettagli, e credo che questo sia davvero importante. In Europa c’è la possibilità di sbagliare e riprovare più volte, è un processo più incasinato rispetto al modello statunitense. L’aspetto economico è un fattore da non sottovalutare, in America i fondi non vengono spesso dal governo ma da investitori privati e quindi c’è questa mentalità dove si ha timore di osare o sperimentare perché non si vuole sprecare denaro inutilmente oppure perché si pensa che il film non riuscirà a guadagnare il budget di partenza al botteghino. Quando hai a che fare con i fondi dello Stato, come appunto in Norvegia o in Europa più in generale, hai l’occasione di essere più libero e non devi sottostare a determinate “richieste” degli investitori.
Vorrei ritornare sulle tue origini teatrali, visto che hai avuto un paio d’anni piuttosto occupati per via del cinema, volevo chiederti se avessi in programma di ritornare sul palcoscenico.
Nel film di Joachim devo interpretare un’attrice teatrale, e salire su quel palco per la prima dopo tanti anni mi ha fatto un certo effetto. Poco tempo fa ho incontrato un regista teatrale norvegese e abbiamo iniziato a parlare di una possibile collaborazione per l’anno prossimo. Mi manca molto quell’ambiente. È uno stile di recitazione differente, ma credo fortemente che complementi lo stile cinematografico, e viceversa. Per dimostrare questo posso farti l’esempio di Sandra Hüller, la rispetto molto e spero di avere l’occasione di andare a vederla a teatro l’anno prossimo nel ruolo di Amleto. A teatro, impari a costruire il personaggio diversamente, sei più focalizzato su te stesso, mentre nel cinema ci sono altri fattori a cui devi pensare perché devi lavorare in maniera maggiormente collettiva.
Hai parlato a lungo di come cerchi di dissociare te stessa dal personaggio che interpreti, puoi approfondire meglio questo aspetto? Rimani sempre nel personaggio anche fuori dal set?
Questa è una domanda piuttosto filosofica (l’attrice ride, n.d.r.). Credo che ogni essere umano tiri fuori il peggio di sé quando viene posto in una situazione disperata. Questo è ciò che ci accomuna. È difficile e spaventoso raggiungere quel punto in un personaggio che devi interpretare, perché come dicevo prima, devi cercare l’onestà nella persona che interpreti. Prendo come esempio Elizabeth in Armand. Le frasi che dice o le azioni che compiono sono reali ed è stato spaventoso entrare nella sua psiche. È stato un processo talmente estenuante che due settimane prima delle riprese non sapevo più chi ero. Era una situazione psicotica, ma necessaria per raggiungere la verità di Elisabeth. Ma amo mettermi in queste situazioni, è una spinta di adrenalina, come se fossi sotto effetto di qualche sostanza. Poi Halfdan rispecchia appieno la mia visione e ci siamo scatenati durante le riprese. Spero di collaborare ancora con lui, è in grado di tirare fuori i miei lati più estremi.