NC-260
13.12.2024
Nello scorso mese si è svolta la 44° edizione di Filmmaker, lo storico festival milanese dedicato al cinema del reale, dove è stata inaugurata una nuova sezione grazie alla collaborazione con il gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano AN-ICON e con Rai Cinema Channel VR. Filmmaker Expanded è un concorso parallelo dedicato ad opere in VR prodotte da autori italiani e rappresenta l’occasione perfetta per avere una panoramica sulla produzione di opere che sperimentano (nel nostro paese) questa tecnologia.
Il concorso ha visto competere sette lavori di registi italiani al fine di ottenere due premi: il primo, Gradi di Libertà, assegnato da una giuria di professionisti, mentre il secondo, assegnato da Rai Cinema, consisteva nell’acquisizione dei diritti web dell’opera e nella sua messa in streaming su raicinema.it e sull’app Rai Cinema Channel VR. Creazioni che utilizzano le potenzialità del dispositivo in diverse modalità e compongono un quadro policromo dell’attività italiana in questo campo.
In selezione sono quindi stati presenti film come 43° 43' 23.7972" / 7° 21' 32.3022" di Sara Tirelli, un lavoro più affine alla video-arte e alla contaminazione fra diverse tecnologie, che propone al fruitore un volo sull’immagine satellitare di Èze, località della Costa Azzurra nella quale Nietszche scrisse la terza parte di Così parlo Zarathustra. L’opera della Tirelli, realizzata nell’ambito di un progetto di residenza dell’Università della Costa Azzurra, affida a un suggestivo voice over dei brevi pensieri sul tema della simulazione e dell’illusione, richiamando espressamente alla speculazione nicciana. La particolarità del film è che la voce che ascoltiamo mentre volteggiamo su un paesaggio digitalmente riprodotto appartiene a un’intelligenza artificiale. Lo spettatore è chiamato quindi a fare esperienza di un paradosso e ad interrogarsi sul rapporto – mai limpido – che intessiamo con il digitale e con il virtuale.
Più affini a esperienze di video-arte sono anche Guasto Temporale di Emilia Gozzano, The Art of Change di Simone Fougnier e Vincent Rooijeers e Cos Endins di Gianluca Abbate. Le tre opere, fruibili a 360°, ci calano sia in mondi virtuali costruiti digitalmente sia in ambienti reali di cui, però, siamo chiamati a fare un’esperienza nuova.
Se Guasto Temporale immerge lo spettatore in un mondo animato alla Miyazaki, The Art of Change è un concerto di immagini e suoni che parte da ambienti domestici per trascinare il pubblico in un vortice audiovisivo che tende sempre di più verso l’astrazione delle forme e dei colori. Unica opera pensata per essere fruita a 6DoF, quella di Simone Fougnier e Vincent Rooijners è sicuramente l’esperienza immersiva che più si avvicina - almeno nell’estetica - all’universo ludico, ed è stata l’opera del concorso che ha performato meglio le possibilità immaginative e creative del dispositivo.
Cos Endins (2019), invece, propone al fruitore un’esperienza mistica, calandolo negli ambienti di Matera. Il film, intervallato da una voice over ipnotica, mostra lo stesso corpo ripetersi nello spazio. Ovunque si volti, lo spettatore vedrà sempre infinite processioni di uomini con la stessa sembianza. Sia Cos Endins sia Guasto Temporale soffrono dell’essere più interessanti nella loro teoresi che nella messa in atto. Il primo, infatti, pecca di una eccessiva durata rispetto all’esperienza e alle suggestioni che offre allo spettatore, mentre il secondo ha come difetto opposto la breve durata e la poca chiarezza delle textures del mondo digitale che riproduce.
Un capitolo a sé stante va dedicato a Wwwhispers, di Emanuele Dainotti e Roel Heremans. Prodotto di un programma di residenza artistica a Wuhan, il film pone lo spettatore in una condizione di estrema piccolezza, immergendolo dentro il punto di vista di un insetto che abita gli ambienti della nostra quotidianità. Tramite questo espediente, siamo posti nelle condizioni di percepire oppressione in spazi e luoghi che - teoricamente - non dovrebbero suscitare in noi questa sensazione.
Ad aggiungere un livello ulteriore di lettura all’opera è la componente audio. Alcune voci confuse, infatti, si rivolgono direttamente allo spettatore, sussurrando. Il film, come spiegano gli autori, prende spunto dal gioco Chinese Whispers - una sorta di telefono senza fili - per riflettere su come i giovani cinesi siano costretti a sussurrare per manifestare la propria autentica identità, lontano dagli occhi e dalle orecchie di una società che mira al controllo e alla perdita del sé in favore di avatar o immagini. Le tre “w” del titolo (forse) sono un riferimento a come internet possa favorire sia nuove forme di libertà sia nuove modalità di oppressione.
Più vicini a un’idea di narrazione cinematografica sono, infine, Grosse di Sara Brusco e Sweet End of the World di Stefano Conca Bonizzoni, due lavori che vedono coinvolte attivamente nella produzione realtà accademiche italiane come la Civica Scuola Luchino Visconti di Milano e le università di Pavia e di Torino. Se Grosse si configura come un documentario in VR in cui lo spettatore è chiamato a osservare il backstage e la vita privata di un gruppo di donne che hanno fatto del bodybuilding la propria ragione di vita, Sweet End of the World cala il fruitore in una simil-distopia in cui una voce narrante racconta - sotto forma di un mito - il destino catastrofico di un’umanità condannata dagli dei a consumare carne animale.
Il film di Sara Brusco sfrutta i 360° per immergerci in luoghi a cui siamo impossibilitati normalmente ad accedere, rendendoci spettatori interni della preparazione quotidiana delle atlete e utilizzando i voice-over delle donne intervistate per orientarci entro il mondo che stiamo osservando. La sensazione, terminata l’opera, è che la regista abbia utilizzato il mezzo migliore per farci vivere un’esperienza che, se fruita su altri dispositivi, avrebbe avuto un impatto totalmente diverso. La stessa fissità del nostro punto di ancoraggio non sembra un limite come invece accade nelle opere più sperimentali a 3DoF presentate in concorso.
Con Sweet End of the World, invece, Stefano Conca Bonizzoni sceglie deliberatamente di distinguere i due emisferi, utilizzando metà dei 360° come spazio in cui viene riprodotta l’immagine e di destinare ai restanti 180° un nero interrotto dalla sola presenza di una madre che allatta un bambino per l’intera durata dell’esperienza. Sweet End of the World è stato il lavoro dalla durata più lunga al Filmmaker Expanded ed è anche quello che più si avvicina, nella narrazione e nello stile, a un’opera cinematografica. Ciò lo ha reso sicuramente il prodotto più fruibile dell’intero concorso, ma non per questo il più banale. Infatti, il film di Conca Bonizzoni sembra essere quello che - assieme a Wwwhispers - utilizza al meglio le possibilità e i limiti della tecnologia VR a favore di una ricerca di simboli e metafore di cui lo stesso dispositivo è in grado di farsi carico.
Non è un caso che Sweet End of The World - l’opera del concorso più in equilibrio fra potenziale sfruttamento commerciale ed esigenza artistica - abbia ricevuto il premio Rai Cinema Channel VR e Whispers abbia invece ottenuto, anche per il suo valore politico, il premio della giuria Gradi di Libertà.
NC-260
13.12.2024
Nello scorso mese si è svolta la 44° edizione di Filmmaker, lo storico festival milanese dedicato al cinema del reale, dove è stata inaugurata una nuova sezione grazie alla collaborazione con il gruppo di ricerca dell’Università Statale di Milano AN-ICON e con Rai Cinema Channel VR. Filmmaker Expanded è un concorso parallelo dedicato ad opere in VR prodotte da autori italiani e rappresenta l’occasione perfetta per avere una panoramica sulla produzione di opere che sperimentano (nel nostro paese) questa tecnologia.
Il concorso ha visto competere sette lavori di registi italiani al fine di ottenere due premi: il primo, Gradi di Libertà, assegnato da una giuria di professionisti, mentre il secondo, assegnato da Rai Cinema, consisteva nell’acquisizione dei diritti web dell’opera e nella sua messa in streaming su raicinema.it e sull’app Rai Cinema Channel VR. Creazioni che utilizzano le potenzialità del dispositivo in diverse modalità e compongono un quadro policromo dell’attività italiana in questo campo.
In selezione sono quindi stati presenti film come 43° 43' 23.7972" / 7° 21' 32.3022" di Sara Tirelli, un lavoro più affine alla video-arte e alla contaminazione fra diverse tecnologie, che propone al fruitore un volo sull’immagine satellitare di Èze, località della Costa Azzurra nella quale Nietszche scrisse la terza parte di Così parlo Zarathustra. L’opera della Tirelli, realizzata nell’ambito di un progetto di residenza dell’Università della Costa Azzurra, affida a un suggestivo voice over dei brevi pensieri sul tema della simulazione e dell’illusione, richiamando espressamente alla speculazione nicciana. La particolarità del film è che la voce che ascoltiamo mentre volteggiamo su un paesaggio digitalmente riprodotto appartiene a un’intelligenza artificiale. Lo spettatore è chiamato quindi a fare esperienza di un paradosso e ad interrogarsi sul rapporto – mai limpido – che intessiamo con il digitale e con il virtuale.
Più affini a esperienze di video-arte sono anche Guasto Temporale di Emilia Gozzano, The Art of Change di Simone Fougnier e Vincent Rooijeers e Cos Endins di Gianluca Abbate. Le tre opere, fruibili a 360°, ci calano sia in mondi virtuali costruiti digitalmente sia in ambienti reali di cui, però, siamo chiamati a fare un’esperienza nuova.
Se Guasto Temporale immerge lo spettatore in un mondo animato alla Miyazaki, The Art of Change è un concerto di immagini e suoni che parte da ambienti domestici per trascinare il pubblico in un vortice audiovisivo che tende sempre di più verso l’astrazione delle forme e dei colori. Unica opera pensata per essere fruita a 6DoF, quella di Simone Fougnier e Vincent Rooijners è sicuramente l’esperienza immersiva che più si avvicina - almeno nell’estetica - all’universo ludico, ed è stata l’opera del concorso che ha performato meglio le possibilità immaginative e creative del dispositivo.
Cos Endins (2019), invece, propone al fruitore un’esperienza mistica, calandolo negli ambienti di Matera. Il film, intervallato da una voice over ipnotica, mostra lo stesso corpo ripetersi nello spazio. Ovunque si volti, lo spettatore vedrà sempre infinite processioni di uomini con la stessa sembianza. Sia Cos Endins sia Guasto Temporale soffrono dell’essere più interessanti nella loro teoresi che nella messa in atto. Il primo, infatti, pecca di una eccessiva durata rispetto all’esperienza e alle suggestioni che offre allo spettatore, mentre il secondo ha come difetto opposto la breve durata e la poca chiarezza delle textures del mondo digitale che riproduce.
Un capitolo a sé stante va dedicato a Wwwhispers, di Emanuele Dainotti e Roel Heremans. Prodotto di un programma di residenza artistica a Wuhan, il film pone lo spettatore in una condizione di estrema piccolezza, immergendolo dentro il punto di vista di un insetto che abita gli ambienti della nostra quotidianità. Tramite questo espediente, siamo posti nelle condizioni di percepire oppressione in spazi e luoghi che - teoricamente - non dovrebbero suscitare in noi questa sensazione.
Ad aggiungere un livello ulteriore di lettura all’opera è la componente audio. Alcune voci confuse, infatti, si rivolgono direttamente allo spettatore, sussurrando. Il film, come spiegano gli autori, prende spunto dal gioco Chinese Whispers - una sorta di telefono senza fili - per riflettere su come i giovani cinesi siano costretti a sussurrare per manifestare la propria autentica identità, lontano dagli occhi e dalle orecchie di una società che mira al controllo e alla perdita del sé in favore di avatar o immagini. Le tre “w” del titolo (forse) sono un riferimento a come internet possa favorire sia nuove forme di libertà sia nuove modalità di oppressione.
Più vicini a un’idea di narrazione cinematografica sono, infine, Grosse di Sara Brusco e Sweet End of the World di Stefano Conca Bonizzoni, due lavori che vedono coinvolte attivamente nella produzione realtà accademiche italiane come la Civica Scuola Luchino Visconti di Milano e le università di Pavia e di Torino. Se Grosse si configura come un documentario in VR in cui lo spettatore è chiamato a osservare il backstage e la vita privata di un gruppo di donne che hanno fatto del bodybuilding la propria ragione di vita, Sweet End of the World cala il fruitore in una simil-distopia in cui una voce narrante racconta - sotto forma di un mito - il destino catastrofico di un’umanità condannata dagli dei a consumare carne animale.
Il film di Sara Brusco sfrutta i 360° per immergerci in luoghi a cui siamo impossibilitati normalmente ad accedere, rendendoci spettatori interni della preparazione quotidiana delle atlete e utilizzando i voice-over delle donne intervistate per orientarci entro il mondo che stiamo osservando. La sensazione, terminata l’opera, è che la regista abbia utilizzato il mezzo migliore per farci vivere un’esperienza che, se fruita su altri dispositivi, avrebbe avuto un impatto totalmente diverso. La stessa fissità del nostro punto di ancoraggio non sembra un limite come invece accade nelle opere più sperimentali a 3DoF presentate in concorso.
Con Sweet End of the World, invece, Stefano Conca Bonizzoni sceglie deliberatamente di distinguere i due emisferi, utilizzando metà dei 360° come spazio in cui viene riprodotta l’immagine e di destinare ai restanti 180° un nero interrotto dalla sola presenza di una madre che allatta un bambino per l’intera durata dell’esperienza. Sweet End of the World è stato il lavoro dalla durata più lunga al Filmmaker Expanded ed è anche quello che più si avvicina, nella narrazione e nello stile, a un’opera cinematografica. Ciò lo ha reso sicuramente il prodotto più fruibile dell’intero concorso, ma non per questo il più banale. Infatti, il film di Conca Bonizzoni sembra essere quello che - assieme a Wwwhispers - utilizza al meglio le possibilità e i limiti della tecnologia VR a favore di una ricerca di simboli e metafore di cui lo stesso dispositivo è in grado di farsi carico.
Non è un caso che Sweet End of The World - l’opera del concorso più in equilibrio fra potenziale sfruttamento commerciale ed esigenza artistica - abbia ricevuto il premio Rai Cinema Channel VR e Whispers abbia invece ottenuto, anche per il suo valore politico, il premio della giuria Gradi di Libertà.