INT-78
12.11.2024
Stranger Eyes di Yeo Siew Hua è stato uno dei “grandi snobbati" nel palmarès del Festival di Venezia. Il nuovo lungometraggio del cineasta singaporiano è un thriller psicologico che vede protagonista una giovane coppia, formata da Junyang (Wu Chien-Ho) e Peiying (Anicca Panna), che dopo la misteriosa scomparsa della figlia di un anno inizia a ricevere strani DVD che contengono filmati della loro vita quotidiana: dalla spesa al supermercato ai momenti più intimi, tutto è nell’occhio della telecamera. Un voyeur li sta osservando da vicino da molto tempo, e potrebbe essere coinvolto nel rapimento della bambina. Per catturarlo, la polizia istituisce un sistema di sorveglianza intorno all’appartamento, ma la famiglia comincia a sgretolarsi quando i video iniziano a mostrare i suoi segreti più nascosti.
Dopo la presentazione al Lido di Venezia, Stranger Eyes arriverà nelle sale italiane il 14 novembre grazie ad Europictures. Abbiamo avuto il piacere di incontrare Yeo Siew Hua, che ci ha raccontato di alcune delle tematiche principali dell’opera, di come ha utilizzato la concezione di tempo all’interno di essa e del casting di Lee Kang-sheng e Vera Chen.
Vorrei cominciare questa conversazione chiedendoti come sia andata la presentazione del film al Festival di Venezia.
È stato un grande onore, soprattutto perché credo che sia stata la prima volta che un film singaporese veniva selezionato per competere per il Leone d’Oro. È stato speciale far parte di questo storico avvenimento. Mi è sembrato surreale essere selezionato insieme ad alcuni cineasti che ritengo dei veri maestri.
Qual’è stato l’incipit del film? Cosa ti ha spinto a raccontare una storia dove la tematica chiave è la vita sotto una costante sorveglianza?
A dire il vero la motivazione è piuttosto semplice, osservo quello che mi circonda e provo a trarre ispirazione dall’ambiente in cui vivo. Singapore è una città con un’alta densità di popolazione e, come puoi vedere nel film, la gente vive per lo più in questi enormi condomini dove non si può non osservare chi ti sta attorno. Ad esempio: se guardo fuori dalla finestra del mio appartamento, posso vedere i miei vicini e loro possono contraccambiare questi sguardi. Ormai fa parte della nostra routine quotidiana. Inoltre, la quantità di telecamere che sorvegliano la zona è piuttosto alta, non puoi camminare per quindici minuti senza incrociare almeno tre di questi dispositivi. Quindi, io mi ritrovo a spiare i miei vicini, ma allo stesso tempo c’è qualcuno che spia me mentre guardo gli altri (il regista ride, n.d.r.). Questa dicotomia formata dall’osservare e dall’essere osservato, è diventata il punto di partenza per Stranger Eyes.
Un aspetto che mi ha colpito del lungometraggio è l’utilizzo di una narrativa non lineare, come mai hai optato per questa scelta?
Sono sempre stato interessato ai concetti di tempo e temporalità all’interno di un film. Quest’ultimo non lo vedo solo come un cambio temporale vero e proprio, ma più come una materia che si può ripiegare su se stessa per creare una certa sovrapposizione, un nuovo significato a quello che stai guardando. Prendi ad esempio i due protagonisti, Junyang e Lao Wu, ad un primo istante sembra che non abbiamo nulla in comune e iniziano a scambiarsi questi sguardi, mentre alla fine del film sembra quasi che siano diventati la medesima persona. Attraverso questo approccio posso utilizzare la concezione di tempo per sperimentare con le aspettative che lo spettatore ha sui personaggi e come spesso ci siano più livelli narrativi dietro a questi.
Ritornando sul discorso delle telecamere, c’è una sequenza che mi ha affascinato molto nella prima parte della pellicola, ovvero quando la madre di Junyang si trova con il detective a spiare questa ragazza che sta danzando nel suo appartamento nel palazzo di fronte. Cosa simboleggia questa ragazza? Una versione più giovane della madre del protagonista?
Tramite la mise en scène ho cercato di non dare una risposta definitiva a questo quesito, ci possono essere varie interpretazioni. Quello che hai detto tu rispecchia la mia visione, ma alcuni miei collaboratori mi hanno dato un’altra chiave di lettura piuttosto affascinante. Secondo alcuni di loro, la ragazza rappresenta una proiezione della nipote scomparsa negli anni dell’adolescenza. Per lo più, questa scena che hai citato risulta fondamentale perché avviene poco prima del cambio temporale principale, ed è come se rappresentasse un preambolo per l’inizio vero e proprio dell’espediente temporale all’interno del film.
Con questo cambio iniziamo a seguire il punto di vista del personaggio di Lao Wu e più passa il tempo, più notiamo dei parallelismi con Junyang, sia nelle azioni che compie sia nel modo in cui osserva ciò che lo circonda, ma anche per il rapporto quasi morboso che intrattiene con sua madre. Puoi approfondire meglio questo aspetto?
Tutto fa parte del discorso che accennavo prima sulla “sovrapposizione”. Ho preso le vite di queste due persone e ho creato una connessione. Sembrano non avere nulla in comune, ma una volta che inizi a vedere entrambe insieme, noti delle somiglianze e ti viene da chiederti se quello che stai vedendo sono le versioni passate e future del medesimo individuo che si incrociano e si osservano a vicenda. Per questo ho cercato di creare questi legami metafisici tra i due personaggi. Inoltre, c’è un altro aspetto del film su cui ho molto insistito: quando osservi una persona intensamente e per lungo tempo, inizi a perdere te stesso e a diventare la persona che stai spiando. Come ad esempio Junyang, che comincia a imitare i movimenti di Lao Wu. Le similitudini tra i due provengono anche da questo, forse Junyang diventerà come Lao Wu in futuro, questo non lo so. Con Stranger Eyes volevo esplorare l’idea di imitazione tramite l’atto di osservare. Poichè l’osservazione non è un gesto passivo, ma proprio il contrario e può portare ad una trasformazione.
Un’altra tematica presente in Stranger Eyes è la rappresentazione della figura del genitore; come ho citato prima, i due protagonisti hanno un rapporto peculiare con la madre, e lo stesso Junyang inizia a ragionare sulla propria figura di padre. Cosa puoi dirmi a riguardo?
Sono arrivato ad una certa età dove l’idea di avere una famiglia e l’essere genitore è sempre più nei miei pensieri. A volte mi viene da pensare al passato e a riflettere se sarei potuto essere un buon padre, probabilmente avrei combinato dei guai. Per questo ho deciso di focalizzarmi su una giovane coppia. In Asia c’è una certa pressione che spinge i giovani a creare un nucleo familiare il prima possibile. Non so se ne sarei stato capace alla loro età e tutti questi pensieri e preoccupazioni continuavano a venirmi in mente durante la fase iniziale di scrittura…quindi non ho potuto che approfondire meglio l’argomento.
Il casting di Lee Kang-sheng è stato uno degli aspetti che ha incuriosito di più del film, mi ha fatto piacere vedere il celebre attore del cinema di Tsai Ming-liang districarsi in un ruolo piuttosto diverso dai suoi standard. Com'è stato lavorare con lui?
Lee Kang-sheng è un attore leggendario. Anche se il suo ruolo sembra diverso da quello dei film di Tsai (in Stranger Eyes interpreta una persona piuttosto taciturna), mentre pensavo al casting mi sono reso conto di aver bisogno di un attore in grado di trasmettere la complessità di questo voyeur tramite il suo silenzio. Lee Kang-sheng era la persona perfetta e se conosci la sua filmografia, anche all’infuori del cinema di Tsai, ti rendi conto che questo tipo di personaggi silenziosi sono sempre presenti. Il suo body language è impressionante e ha uno sguardo piuttosto intenso. Ho insistito molto per averlo nel film e lui ha accettato senza problemi, aveva letto la sceneggiatura e trovato affascinante il personaggio di Lao Wu. Inoltre è una persona meravigliosa, sempre disponibile e calma. Di solito si dice che quando incontriamo i nostri eroi, rimaniamo delusi perché scopriamo che in realtà sono persone differenti da come ce le eravamo immaginate, ma in questo caso è stato il contrario, è stato un grande onore lavorare insieme. La prima scena che ho girato con lui mi ha impressionato molto, già dalla prima inquadratura aveva capito come esprimere il lato umano di questo voyeur, il tutto tramite il suo sguardo e non era neanche richiesto nella sceneggiatura. È come se mi fossi innamorato di questo personaggio (il regista ride, n.d.r.). Questa è la maestria di Lee Kang-sheng.
Devo ammettere però che tra i quattro interpreti principali, ho preferito Vera Chen. Ha saputo aggiungere una certa complessità ed ambiguità al ruolo della madre di Junyang, come ad esempio nella conversazione finale. Cosa puoi dirmi di lei?
Per quanto riguarda Vera, abbiamo collaborato insieme per la prima volta durante la pandemia per le riprese della miniserie Deep End (2023) dove ha il ruolo di una poliziotta, mentre nel mio film interpreta questa complessa figura materna. È un’attrice versatile, in grado di districarsi in ruoli diversi. La difficoltà principale del ruolo è che il personaggio non ha qualcuno con cui interagire o con cui controbattere, questo è dovuto al fatto che sia il figlio che la nuora l’hanno esclusa completamente dalla vicenda, è presente certo, ma non ha voce in capitolo nella situazione. Come hai detto, lei è riuscita ad infondere un qualcosa di enigmatico nel ruolo e verso la fine, lei dice frasi del tipo “I still see you, I’m your mother”, e quelle parole mi commuovono molto soprattutto perché il suo personaggio deve mostrare questa forza e nascondere le sue emozioni per rassicurare il figlio e chi le sta attorno. Il resto della famiglia si sta lasciando andare per via del trauma e lei, in qualche modo, sta cercando di gestire la situazione e unire il nucleo famigliare il più possibile. È una persona forte, ma al tempo stesso fragile.
Vorrei concludere questa conversazione chiedendoti delle principali fonti d’ispirazione cinematografiche di Stranger Eyes. Mentre guardavo il film ho notato varie similitudini con Caché (Niente da nascondere, 2005) di Michael Haneke, c’è qualche connessione specifica con quel lungometraggio?
Quando ho scritto la sceneggiatura non avevo delle reference specifiche. Ho notato però che, quando ho presentato il progetto a diversi finanziatori, questi continuavano a citare film come Rear Window (La finestra sul cortile,1954) di Alfred Hitchcock, Lost Highway (Strade Perdute, 1997) di David Lynch, Caché e anche Das Leben der Anderen (Le vite degli altri, 2006) di Florian Henckel von Donnersmarck… mi sono reso conto che il mondo del cinema è sempre stato interessato ad analizzare la figura del voyeur, forse anche perché lo spettatore stesso assume questo ruolo quando guarda un film. Quindi, con Stranger Eyes non ho realizzato nulla di nuovo, ma ho continuato questa “tradizione cinematografica” sulla sorveglianza. Non ci sono citazioni dirette con l’opera di Haneke, ma allo stesso tempo so che i film citati si trovano all’interno di Stranger Eyes inconsciamente.
INT-78
12.11.2024
Stranger Eyes di Yeo Siew Hua è stato uno dei “grandi snobbati" nel palmarès del Festival di Venezia. Il nuovo lungometraggio del cineasta singaporiano è un thriller psicologico che vede protagonista una giovane coppia, formata da Junyang (Wu Chien-Ho) e Peiying (Anicca Panna), che dopo la misteriosa scomparsa della figlia di un anno inizia a ricevere strani DVD che contengono filmati della loro vita quotidiana: dalla spesa al supermercato ai momenti più intimi, tutto è nell’occhio della telecamera. Un voyeur li sta osservando da vicino da molto tempo, e potrebbe essere coinvolto nel rapimento della bambina. Per catturarlo, la polizia istituisce un sistema di sorveglianza intorno all’appartamento, ma la famiglia comincia a sgretolarsi quando i video iniziano a mostrare i suoi segreti più nascosti.
Dopo la presentazione al Lido di Venezia, Stranger Eyes arriverà nelle sale italiane il 14 novembre grazie ad Europictures. Abbiamo avuto il piacere di incontrare Yeo Siew Hua, che ci ha raccontato di alcune delle tematiche principali dell’opera, di come ha utilizzato la concezione di tempo all’interno di essa e del casting di Lee Kang-sheng e Vera Chen.
Vorrei cominciare questa conversazione chiedendoti come sia andata la presentazione del film al Festival di Venezia.
È stato un grande onore, soprattutto perché credo che sia stata la prima volta che un film singaporese veniva selezionato per competere per il Leone d’Oro. È stato speciale far parte di questo storico avvenimento. Mi è sembrato surreale essere selezionato insieme ad alcuni cineasti che ritengo dei veri maestri.
Qual’è stato l’incipit del film? Cosa ti ha spinto a raccontare una storia dove la tematica chiave è la vita sotto una costante sorveglianza?
A dire il vero la motivazione è piuttosto semplice, osservo quello che mi circonda e provo a trarre ispirazione dall’ambiente in cui vivo. Singapore è una città con un’alta densità di popolazione e, come puoi vedere nel film, la gente vive per lo più in questi enormi condomini dove non si può non osservare chi ti sta attorno. Ad esempio: se guardo fuori dalla finestra del mio appartamento, posso vedere i miei vicini e loro possono contraccambiare questi sguardi. Ormai fa parte della nostra routine quotidiana. Inoltre, la quantità di telecamere che sorvegliano la zona è piuttosto alta, non puoi camminare per quindici minuti senza incrociare almeno tre di questi dispositivi. Quindi, io mi ritrovo a spiare i miei vicini, ma allo stesso tempo c’è qualcuno che spia me mentre guardo gli altri (il regista ride, n.d.r.). Questa dicotomia formata dall’osservare e dall’essere osservato, è diventata il punto di partenza per Stranger Eyes.
Un aspetto che mi ha colpito del lungometraggio è l’utilizzo di una narrativa non lineare, come mai hai optato per questa scelta?
Sono sempre stato interessato ai concetti di tempo e temporalità all’interno di un film. Quest’ultimo non lo vedo solo come un cambio temporale vero e proprio, ma più come una materia che si può ripiegare su se stessa per creare una certa sovrapposizione, un nuovo significato a quello che stai guardando. Prendi ad esempio i due protagonisti, Junyang e Lao Wu, ad un primo istante sembra che non abbiamo nulla in comune e iniziano a scambiarsi questi sguardi, mentre alla fine del film sembra quasi che siano diventati la medesima persona. Attraverso questo approccio posso utilizzare la concezione di tempo per sperimentare con le aspettative che lo spettatore ha sui personaggi e come spesso ci siano più livelli narrativi dietro a questi.
Ritornando sul discorso delle telecamere, c’è una sequenza che mi ha affascinato molto nella prima parte della pellicola, ovvero quando la madre di Junyang si trova con il detective a spiare questa ragazza che sta danzando nel suo appartamento nel palazzo di fronte. Cosa simboleggia questa ragazza? Una versione più giovane della madre del protagonista?
Tramite la mise en scène ho cercato di non dare una risposta definitiva a questo quesito, ci possono essere varie interpretazioni. Quello che hai detto tu rispecchia la mia visione, ma alcuni miei collaboratori mi hanno dato un’altra chiave di lettura piuttosto affascinante. Secondo alcuni di loro, la ragazza rappresenta una proiezione della nipote scomparsa negli anni dell’adolescenza. Per lo più, questa scena che hai citato risulta fondamentale perché avviene poco prima del cambio temporale principale, ed è come se rappresentasse un preambolo per l’inizio vero e proprio dell’espediente temporale all’interno del film.
Con questo cambio iniziamo a seguire il punto di vista del personaggio di Lao Wu e più passa il tempo, più notiamo dei parallelismi con Junyang, sia nelle azioni che compie sia nel modo in cui osserva ciò che lo circonda, ma anche per il rapporto quasi morboso che intrattiene con sua madre. Puoi approfondire meglio questo aspetto?
Tutto fa parte del discorso che accennavo prima sulla “sovrapposizione”. Ho preso le vite di queste due persone e ho creato una connessione. Sembrano non avere nulla in comune, ma una volta che inizi a vedere entrambe insieme, noti delle somiglianze e ti viene da chiederti se quello che stai vedendo sono le versioni passate e future del medesimo individuo che si incrociano e si osservano a vicenda. Per questo ho cercato di creare questi legami metafisici tra i due personaggi. Inoltre, c’è un altro aspetto del film su cui ho molto insistito: quando osservi una persona intensamente e per lungo tempo, inizi a perdere te stesso e a diventare la persona che stai spiando. Come ad esempio Junyang, che comincia a imitare i movimenti di Lao Wu. Le similitudini tra i due provengono anche da questo, forse Junyang diventerà come Lao Wu in futuro, questo non lo so. Con Stranger Eyes volevo esplorare l’idea di imitazione tramite l’atto di osservare. Poichè l’osservazione non è un gesto passivo, ma proprio il contrario e può portare ad una trasformazione.
Un’altra tematica presente in Stranger Eyes è la rappresentazione della figura del genitore; come ho citato prima, i due protagonisti hanno un rapporto peculiare con la madre, e lo stesso Junyang inizia a ragionare sulla propria figura di padre. Cosa puoi dirmi a riguardo?
Sono arrivato ad una certa età dove l’idea di avere una famiglia e l’essere genitore è sempre più nei miei pensieri. A volte mi viene da pensare al passato e a riflettere se sarei potuto essere un buon padre, probabilmente avrei combinato dei guai. Per questo ho deciso di focalizzarmi su una giovane coppia. In Asia c’è una certa pressione che spinge i giovani a creare un nucleo familiare il prima possibile. Non so se ne sarei stato capace alla loro età e tutti questi pensieri e preoccupazioni continuavano a venirmi in mente durante la fase iniziale di scrittura…quindi non ho potuto che approfondire meglio l’argomento.
Il casting di Lee Kang-sheng è stato uno degli aspetti che ha incuriosito di più del film, mi ha fatto piacere vedere il celebre attore del cinema di Tsai Ming-liang districarsi in un ruolo piuttosto diverso dai suoi standard. Com'è stato lavorare con lui?
Lee Kang-sheng è un attore leggendario. Anche se il suo ruolo sembra diverso da quello dei film di Tsai (in Stranger Eyes interpreta una persona piuttosto taciturna), mentre pensavo al casting mi sono reso conto di aver bisogno di un attore in grado di trasmettere la complessità di questo voyeur tramite il suo silenzio. Lee Kang-sheng era la persona perfetta e se conosci la sua filmografia, anche all’infuori del cinema di Tsai, ti rendi conto che questo tipo di personaggi silenziosi sono sempre presenti. Il suo body language è impressionante e ha uno sguardo piuttosto intenso. Ho insistito molto per averlo nel film e lui ha accettato senza problemi, aveva letto la sceneggiatura e trovato affascinante il personaggio di Lao Wu. Inoltre è una persona meravigliosa, sempre disponibile e calma. Di solito si dice che quando incontriamo i nostri eroi, rimaniamo delusi perché scopriamo che in realtà sono persone differenti da come ce le eravamo immaginate, ma in questo caso è stato il contrario, è stato un grande onore lavorare insieme. La prima scena che ho girato con lui mi ha impressionato molto, già dalla prima inquadratura aveva capito come esprimere il lato umano di questo voyeur, il tutto tramite il suo sguardo e non era neanche richiesto nella sceneggiatura. È come se mi fossi innamorato di questo personaggio (il regista ride, n.d.r.). Questa è la maestria di Lee Kang-sheng.
Devo ammettere però che tra i quattro interpreti principali, ho preferito Vera Chen. Ha saputo aggiungere una certa complessità ed ambiguità al ruolo della madre di Junyang, come ad esempio nella conversazione finale. Cosa puoi dirmi di lei?
Per quanto riguarda Vera, abbiamo collaborato insieme per la prima volta durante la pandemia per le riprese della miniserie Deep End (2023) dove ha il ruolo di una poliziotta, mentre nel mio film interpreta questa complessa figura materna. È un’attrice versatile, in grado di districarsi in ruoli diversi. La difficoltà principale del ruolo è che il personaggio non ha qualcuno con cui interagire o con cui controbattere, questo è dovuto al fatto che sia il figlio che la nuora l’hanno esclusa completamente dalla vicenda, è presente certo, ma non ha voce in capitolo nella situazione. Come hai detto, lei è riuscita ad infondere un qualcosa di enigmatico nel ruolo e verso la fine, lei dice frasi del tipo “I still see you, I’m your mother”, e quelle parole mi commuovono molto soprattutto perché il suo personaggio deve mostrare questa forza e nascondere le sue emozioni per rassicurare il figlio e chi le sta attorno. Il resto della famiglia si sta lasciando andare per via del trauma e lei, in qualche modo, sta cercando di gestire la situazione e unire il nucleo famigliare il più possibile. È una persona forte, ma al tempo stesso fragile.
Vorrei concludere questa conversazione chiedendoti delle principali fonti d’ispirazione cinematografiche di Stranger Eyes. Mentre guardavo il film ho notato varie similitudini con Caché (Niente da nascondere, 2005) di Michael Haneke, c’è qualche connessione specifica con quel lungometraggio?
Quando ho scritto la sceneggiatura non avevo delle reference specifiche. Ho notato però che, quando ho presentato il progetto a diversi finanziatori, questi continuavano a citare film come Rear Window (La finestra sul cortile,1954) di Alfred Hitchcock, Lost Highway (Strade Perdute, 1997) di David Lynch, Caché e anche Das Leben der Anderen (Le vite degli altri, 2006) di Florian Henckel von Donnersmarck… mi sono reso conto che il mondo del cinema è sempre stato interessato ad analizzare la figura del voyeur, forse anche perché lo spettatore stesso assume questo ruolo quando guarda un film. Quindi, con Stranger Eyes non ho realizzato nulla di nuovo, ma ho continuato questa “tradizione cinematografica” sulla sorveglianza. Non ci sono citazioni dirette con l’opera di Haneke, ma allo stesso tempo so che i film citati si trovano all’interno di Stranger Eyes inconsciamente.