di Pavel Belli Micati
NC-237
28.09.2024
E se il reale fosse la prigionia a cui il protagonista del tuo show preferito è forzato, e la malinconia un mostro mutaforme che devi sconfiggere per liberarlo? Per alcuni le serie televisive sono solo dei prodotti d’intrattenimento, ma per molti sono complessi di immagini vissute fino alla consunzione, narrazioni mitiche che, rompendo con la monotonia del reale, hanno riscattato tempi morti. I Saw the Tv Glow seconda opera di Jane Schoenbrun (dopo We’re All Going to the World’s Fair, 2021), uscito nelle sale statunitensi il maggio scorso, è la catarsi di una precisa epoca storica, la risposta generazionale a un fenomeno collettivo. Schoenbrun, newyorkese classe ’87, trasfigura la serialità televisiva degli anni Novanta in una mitologia postmoderna dove lo schermo televisivo condensa la memoria di un passato in un presente distorto dalla sua nostalgia.
“L’altra notte pioveva e non riuscivo a dormire, allora ho ricominciato la mia serie tv preferita”: la storia di Owen, adulto raccolto attorno al fuoco della giovinezza, è a posteriori, ma i fatti narrati ci riportano al 1996, in una imprecisata suburbia statunitense. Sono gli Usa di Clinton che riconferma il suo mandato e sottoscrive Don’t Ask Don’t Tell, la conclusione dell’emergenza AIDS annuncia nuove riformulazioni della filosofia queer. La digitalizzazione incombe, minaccia l’obsolescenza del mondo organico, ne condiziona il tempo di ricezione. Da finestra sul mondo esterno, il televisore si trasforma in uno specchio dove i giovani cercano se stessi, fuori dall’ennui domestica di un reale spento e dentro universi illuminati dallo scintillio dello schermo. Maddy ha quindici anni, Owen tredici. Lui la nota a scuola, seduta in disparte che legge la guida ufficiale alla sua serie televisiva preferita, The Pink Opaque.
Lo show in questione, un grottesco incrocio tra i temi demoniaci di Buffy l’Ammazzavampiri e i toni metafisici di Twin Peaks, narra le avventure di Isabel e Tara, due adolescenti unite nella battaglia contro Mr. Melancholy, un’entità malvagia che manipola tempo e realtà per imprigionarle nel suo Midnight Realm. L’avventura di Isabel e Tara ha però luogo su un piano puramente psichico, e nella realtà le due si incontrano solo all’inizio della storia. Il loro legame si costruisce attorno all’identificazione di una differenza comune, così come la differenza che unisce Maddy a Owen: sono spiriti visionari, anime malinconiche, due contenitori vuoti e affamati di immagini. Vinti dalla riproducibilità della loro esistenza periferica, Maddy e Owen riscattano le loro identità fuggendo in universi finzionali.
Il patrigno di Maddy è un uomo violento e il padre di Owen gli proibisce di vedere la televisione la sera. Vuole guardare anche lui The Pink Opaque in diretta, ma deve attendere la differita delle repliche. La ragazza lo spinge a mentire ai genitori, e sostenendo di andare a dormire da un amico, un sabato sera si reca a casa di Maddy e, insieme all’amica Amanda, guardano un nuovo episodio dello show. “Alle volte penso che The Pink Opaque sia più reale della realtà stessa”: a trasmissione terminata Maddy confessa a Owen l’amore per l’universo fittizio di cui sa tutto, un’ossessione quasi patologica per un immaginario dal quale trascende una mitologia più complessa del reale. E lo show, che entra così nella vita di Owen, inizia anche a confondere la sua realtà con la finzione dello schermo.
Passano due anni. Owen dice a Maddy che a casa sua vige ancora il coprifuoco, lei allora gli registra le nuove puntate in videocassetta. “Posso rimanere a guardare The Pink Opaque stasera?”, Owen chiede. “Non è mica quella serie da femmine?”, ecco la risposta del padre. Sua madre è terminale, ma la catatonia del figlio la preoccupa più della malattia: “Sembra come se vivessi altrove ultimamente”. Sugli spalti del campo d’atletica Owen ritrova Maddy e le domanda se ancora guarda The Pink Opaque insieme ad Amanda: “Non parlo con quella testa di cazzo da un anno”, Maddy nel frattempo ha fatto coming out ed è stata allontanata dall’amica. “E a te, ti piacciono le ragazze? I ragazzi?” chiede lei, “Non lo so. È come se qualcuno con una pala mi avesse scavato le interiora. So che non c’è nulla lì, ma sono troppo nervoso per guardarmi e controllare”, risponde lui. “Forse sei come Isabel, spaventato da ciò che hai dentro”.
Non trovando corrispettivi esterni, Owen e Maddy riempiono il loro vuoto con l’immaginario finzionale offerto dalla serie televisiva, una narrazione che romanza il reale e offre percorsi possibili alla trasformazione e all’affermazione identitaria. Senza repertori a disposizione, i due scongiurano l’asimbolia del proprio dolore in un paradigma che corrisponde al loro presente perché accompagna l’attesa di un futuro prossimo, così come la visione dello show partecipa dell’attesa settimanale che accompagna la sua fruizione. Dall’altra parte dello schermo, Isabel, le sue mani raccolte in quelle di Tara, si chiede perché conosce già il proprio destino, se non ha nemmeno la patente. Le ragazze si riconoscono nel disegno di un fantasma dietro al collo, la stessa lettera scarlatta che Maddy abbozza sulla nuca di Owen dopo avergli rivelato le sue reali intenzioni di fuga: “So che se rimango qui, muoio”.
La madre di Owen muore, nello stesso momento Maddy scompare e The Pink Opaque viene cancellato, lasciando in sospeso il destino di Tara e Isabel. Qui lutto reale, scomparsa dell’amica e fine dello show sono traslati su un piano di ricezione comune, e la nostalgia di Owen diventa la condanna definitiva a una vita di monotonia. Il senso originario della vita queer - ci ricorda Jack Halberstam nel suo In a Queer Time and Place (2005) - nasce in antitesi alla vita non queer e offre un paradigma dove riformulare la percezione del tempo. È un tempo sfigurato dall’AIDS, la ferita storica che la comunità queer ricuce alla fine del secolo scorso «ripensando l’enfasi convenzionalmente posta su longevità e futuro», un tempo che riproduce il desiderio/necessità di vivere una vita «non dettata dalle convenzioni familiari, ereditarie e genitoriali». Il tempo queer nasce dalla negazione di un passato. L’identità trans che si afferma in un paradigma possibile riscatta quel passato. Quando questa alternativa non è possibile, quando la fuga non è permessa, il palliativo comune è l’evasione in un paradigma ideale.
Un altro salto temporale di otto anni ci informa che Owen finisce a lavorare in un cinema – altra trasfigurazione tangibile di immaginari immateriali. Il ritorno di Maddy è anticipato dalle pagine della guida agli episodi che Owen recupera da una tempesta elettrica di cavi scoperti in mezzo alla strada. La sera successiva, mentre fa la spesa in un supermercato deserto, Maddy compare dal nulla: “Ti ricordi di me?”. È confusa, in stato di agitazione. Preoccupata chiede all’amico se si ricorda della serie tv che guardavano da piccoli: “È il mio show televisivo preferito!”, di certo Owen non lo dimentica, è lei che lo ha introdotto a The Pink Opaque. Maddy si incupisce e chiede all’amico ritrovato se abbia mai confuso la realtà con la storia dello show. “Cosa intendi? Ma dove sei stata tutto questo tempo?”. Maddy prova a spiegargli che durante tutto il tempo in cui è scomparsa ha vissuto proprio lì, in The Pink Opaque.
Maddy e Owen si rivelano la prigione dove le protagoniste di The Pink Opaque finiscono alla fine dell’ultima stagione. Mr. Melancholy ha catturato Tara e Isabel, le ha segregate nel suo Midnight Realm, che è il paradigma in cui vivono i loro spettatori. La vera Tara è riuscita a scappare ed è tornata per salvare Isabel. Con l’interruzione della serie tv anche la loro avventura si è interrotta e il paradigma è stato sospeso. Per riprenderlo e proseguire la storia Tara e Isabel devono seppellire Maddy e Owen. La gnosi postmoderna ribalta la ricezione del reale: la sospensione dello show dà luogo al paradigma che ha veicolato la sua trasmissione, e nel riguardare il primo episodio Owen si riconosce nel Midnight Realm di Isabel. Al momento del sacrificio però si tira indietro, scappa via da Maddy. Rinunciando a Isabel non si ricongiunge a Tara e la storia di The Pink Opaque rimane interrotta. Reprimendo la sua vera identità, e rifiutandosi di continuare la sua storia, Owen condanna la sua esistenza a un lutto perpetuo.
I Saw the Tv Glow asseconda le istanze auto-narrative di una generazione nutrita dall’immaginario televisivo e risponde alla necessità di riscrivere un tempo e uno spazio queer: entrambi i lati dello schermo vengono piegati a un’epica che trasforma la storia di un’identità negata in un sortilegio e il suo lutto in un mostro da sconfiggere. Quest’analisi conferma il parallelismo che la regista traccia tra la rinuncia di Owen a vivere la sua avventura e il rifiuto che informa l’identità trans nel percorso di accettazione della propria disforia di genere. “E se davvero fossi qualcun altro? Qualcuno di bellissimo e potente, qualcuno che sepolto vivo soffoca a morte? Molto lontano, dall’altra parte dello schermo della tv?”, si domanda un Owen adulto che, a vent’anni dagli eventi narrati, ha ormai seppellito il suo destino dentro di sé. Può solo che immaginarselo, così come il suo pubblico, perché il destino di Tara e Isabel rimane in sospeso.
di Pavel Belli Micati
NC-237
28.09.2024
E se il reale fosse la prigionia a cui il protagonista del tuo show preferito è forzato, e la malinconia un mostro mutaforme che devi sconfiggere per liberarlo? Per alcuni le serie televisive sono solo dei prodotti d’intrattenimento, ma per molti sono complessi di immagini vissute fino alla consunzione, narrazioni mitiche che, rompendo con la monotonia del reale, hanno riscattato tempi morti. I Saw the Tv Glow seconda opera di Jane Schoenbrun (dopo We’re All Going to the World’s Fair, 2021), uscito nelle sale statunitensi il maggio scorso, è la catarsi di una precisa epoca storica, la risposta generazionale a un fenomeno collettivo. Schoenbrun, newyorkese classe ’87, trasfigura la serialità televisiva degli anni Novanta in una mitologia postmoderna dove lo schermo televisivo condensa la memoria di un passato in un presente distorto dalla sua nostalgia.
“L’altra notte pioveva e non riuscivo a dormire, allora ho ricominciato la mia serie tv preferita”: la storia di Owen, adulto raccolto attorno al fuoco della giovinezza, è a posteriori, ma i fatti narrati ci riportano al 1996, in una imprecisata suburbia statunitense. Sono gli Usa di Clinton che riconferma il suo mandato e sottoscrive Don’t Ask Don’t Tell, la conclusione dell’emergenza AIDS annuncia nuove riformulazioni della filosofia queer. La digitalizzazione incombe, minaccia l’obsolescenza del mondo organico, ne condiziona il tempo di ricezione. Da finestra sul mondo esterno, il televisore si trasforma in uno specchio dove i giovani cercano se stessi, fuori dall’ennui domestica di un reale spento e dentro universi illuminati dallo scintillio dello schermo. Maddy ha quindici anni, Owen tredici. Lui la nota a scuola, seduta in disparte che legge la guida ufficiale alla sua serie televisiva preferita, The Pink Opaque.
Lo show in questione, un grottesco incrocio tra i temi demoniaci di Buffy l’Ammazzavampiri e i toni metafisici di Twin Peaks, narra le avventure di Isabel e Tara, due adolescenti unite nella battaglia contro Mr. Melancholy, un’entità malvagia che manipola tempo e realtà per imprigionarle nel suo Midnight Realm. L’avventura di Isabel e Tara ha però luogo su un piano puramente psichico, e nella realtà le due si incontrano solo all’inizio della storia. Il loro legame si costruisce attorno all’identificazione di una differenza comune, così come la differenza che unisce Maddy a Owen: sono spiriti visionari, anime malinconiche, due contenitori vuoti e affamati di immagini. Vinti dalla riproducibilità della loro esistenza periferica, Maddy e Owen riscattano le loro identità fuggendo in universi finzionali.
Il patrigno di Maddy è un uomo violento e il padre di Owen gli proibisce di vedere la televisione la sera. Vuole guardare anche lui The Pink Opaque in diretta, ma deve attendere la differita delle repliche. La ragazza lo spinge a mentire ai genitori, e sostenendo di andare a dormire da un amico, un sabato sera si reca a casa di Maddy e, insieme all’amica Amanda, guardano un nuovo episodio dello show. “Alle volte penso che The Pink Opaque sia più reale della realtà stessa”: a trasmissione terminata Maddy confessa a Owen l’amore per l’universo fittizio di cui sa tutto, un’ossessione quasi patologica per un immaginario dal quale trascende una mitologia più complessa del reale. E lo show, che entra così nella vita di Owen, inizia anche a confondere la sua realtà con la finzione dello schermo.
Passano due anni. Owen dice a Maddy che a casa sua vige ancora il coprifuoco, lei allora gli registra le nuove puntate in videocassetta. “Posso rimanere a guardare The Pink Opaque stasera?”, Owen chiede. “Non è mica quella serie da femmine?”, ecco la risposta del padre. Sua madre è terminale, ma la catatonia del figlio la preoccupa più della malattia: “Sembra come se vivessi altrove ultimamente”. Sugli spalti del campo d’atletica Owen ritrova Maddy e le domanda se ancora guarda The Pink Opaque insieme ad Amanda: “Non parlo con quella testa di cazzo da un anno”, Maddy nel frattempo ha fatto coming out ed è stata allontanata dall’amica. “E a te, ti piacciono le ragazze? I ragazzi?” chiede lei, “Non lo so. È come se qualcuno con una pala mi avesse scavato le interiora. So che non c’è nulla lì, ma sono troppo nervoso per guardarmi e controllare”, risponde lui. “Forse sei come Isabel, spaventato da ciò che hai dentro”.
Non trovando corrispettivi esterni, Owen e Maddy riempiono il loro vuoto con l’immaginario finzionale offerto dalla serie televisiva, una narrazione che romanza il reale e offre percorsi possibili alla trasformazione e all’affermazione identitaria. Senza repertori a disposizione, i due scongiurano l’asimbolia del proprio dolore in un paradigma che corrisponde al loro presente perché accompagna l’attesa di un futuro prossimo, così come la visione dello show partecipa dell’attesa settimanale che accompagna la sua fruizione. Dall’altra parte dello schermo, Isabel, le sue mani raccolte in quelle di Tara, si chiede perché conosce già il proprio destino, se non ha nemmeno la patente. Le ragazze si riconoscono nel disegno di un fantasma dietro al collo, la stessa lettera scarlatta che Maddy abbozza sulla nuca di Owen dopo avergli rivelato le sue reali intenzioni di fuga: “So che se rimango qui, muoio”.
La madre di Owen muore, nello stesso momento Maddy scompare e The Pink Opaque viene cancellato, lasciando in sospeso il destino di Tara e Isabel. Qui lutto reale, scomparsa dell’amica e fine dello show sono traslati su un piano di ricezione comune, e la nostalgia di Owen diventa la condanna definitiva a una vita di monotonia. Il senso originario della vita queer - ci ricorda Jack Halberstam nel suo In a Queer Time and Place (2005) - nasce in antitesi alla vita non queer e offre un paradigma dove riformulare la percezione del tempo. È un tempo sfigurato dall’AIDS, la ferita storica che la comunità queer ricuce alla fine del secolo scorso «ripensando l’enfasi convenzionalmente posta su longevità e futuro», un tempo che riproduce il desiderio/necessità di vivere una vita «non dettata dalle convenzioni familiari, ereditarie e genitoriali». Il tempo queer nasce dalla negazione di un passato. L’identità trans che si afferma in un paradigma possibile riscatta quel passato. Quando questa alternativa non è possibile, quando la fuga non è permessa, il palliativo comune è l’evasione in un paradigma ideale.
Un altro salto temporale di otto anni ci informa che Owen finisce a lavorare in un cinema – altra trasfigurazione tangibile di immaginari immateriali. Il ritorno di Maddy è anticipato dalle pagine della guida agli episodi che Owen recupera da una tempesta elettrica di cavi scoperti in mezzo alla strada. La sera successiva, mentre fa la spesa in un supermercato deserto, Maddy compare dal nulla: “Ti ricordi di me?”. È confusa, in stato di agitazione. Preoccupata chiede all’amico se si ricorda della serie tv che guardavano da piccoli: “È il mio show televisivo preferito!”, di certo Owen non lo dimentica, è lei che lo ha introdotto a The Pink Opaque. Maddy si incupisce e chiede all’amico ritrovato se abbia mai confuso la realtà con la storia dello show. “Cosa intendi? Ma dove sei stata tutto questo tempo?”. Maddy prova a spiegargli che durante tutto il tempo in cui è scomparsa ha vissuto proprio lì, in The Pink Opaque.
Maddy e Owen si rivelano la prigione dove le protagoniste di The Pink Opaque finiscono alla fine dell’ultima stagione. Mr. Melancholy ha catturato Tara e Isabel, le ha segregate nel suo Midnight Realm, che è il paradigma in cui vivono i loro spettatori. La vera Tara è riuscita a scappare ed è tornata per salvare Isabel. Con l’interruzione della serie tv anche la loro avventura si è interrotta e il paradigma è stato sospeso. Per riprenderlo e proseguire la storia Tara e Isabel devono seppellire Maddy e Owen. La gnosi postmoderna ribalta la ricezione del reale: la sospensione dello show dà luogo al paradigma che ha veicolato la sua trasmissione, e nel riguardare il primo episodio Owen si riconosce nel Midnight Realm di Isabel. Al momento del sacrificio però si tira indietro, scappa via da Maddy. Rinunciando a Isabel non si ricongiunge a Tara e la storia di The Pink Opaque rimane interrotta. Reprimendo la sua vera identità, e rifiutandosi di continuare la sua storia, Owen condanna la sua esistenza a un lutto perpetuo.
I Saw the Tv Glow asseconda le istanze auto-narrative di una generazione nutrita dall’immaginario televisivo e risponde alla necessità di riscrivere un tempo e uno spazio queer: entrambi i lati dello schermo vengono piegati a un’epica che trasforma la storia di un’identità negata in un sortilegio e il suo lutto in un mostro da sconfiggere. Quest’analisi conferma il parallelismo che la regista traccia tra la rinuncia di Owen a vivere la sua avventura e il rifiuto che informa l’identità trans nel percorso di accettazione della propria disforia di genere. “E se davvero fossi qualcun altro? Qualcuno di bellissimo e potente, qualcuno che sepolto vivo soffoca a morte? Molto lontano, dall’altra parte dello schermo della tv?”, si domanda un Owen adulto che, a vent’anni dagli eventi narrati, ha ormai seppellito il suo destino dentro di sé. Può solo che immaginarselo, così come il suo pubblico, perché il destino di Tara e Isabel rimane in sospeso.