TR-103
16.06.2024
Quest’anno, la 26ma edizione del Far East Film Festival ha incoronato Zhang Yimou con il premio alla carriera, un riconoscimento che omaggia l’innegabile maestria del cineasta e che, allo stesso tempo, ha rappresentato un momento unico per la manifestazione friulana, che ormai da alcuni anni proietta le opere di Yimou in anteprima. La presenza del regista cinese è stata accompagnata dall’anteprima mondiale del restauro in 4K di Lanterne Rosse (Da hong deng long gao gao gua, 1991) e Vivere! (Huozhe, 1994) e da una masterclass che ha fornito una serie di spunti di riflessione sul cinema di uno dei più importanti autori contemporanei.
Due anime
Zhang Yimou fa parte di quella categoria di registi la cui filmografia è talmente varia da renderne difficile una categorizzazione - non per incoerenza dell’autore, o per la mancanza di una visione registica distinta, ma perché la voce di Yimou è riuscita ad esprimersi attraverso pellicole molto diverse fra loro. È quindi possibile cercare di distinguere dei filoni principali, ma si tratterà sempre di una semplificazione, e resterebbero esuli dalla categorizzazione svariate opere. Prendendo però spunto dalle scelte per il restauro in 4K, Lanterne Rosse e Vivere!, si può ipotizzare una distinzione tra due “anime” del cinema di Yimou.
Lanterne Rosse, un film che oggi viene comunemente studiato nei testi accademici di cinema, è un perfetto esempio stilistico-tecnico. Ambientato negli anni Venti del novecento, il lungometraggio si focalizza sul matrimonio di una giovane (interpretata da Gong Li), quarta sposa di un aristocratico, per descrivere l’asfissiante, e totale, rivalità tra la ragazza e le altre mogli dell’uomo, che si contendono strenuamente i pochi momenti di attenzione del coniuge comune all’interno di un palazzo claustrofobico e dai cortili angusti. Il leitmotif visivo delle lanterne rosse, che indicano il favore dello sposo per l’una o l’altra moglie, l’illuminotecnica molto costruita, artificiale, l’elaborata composizione visiva e lo studio dei tempi, rendono Lanterne Rosse un capolavoro e, secondo molti, la migliore opera di Yimou.
Vivere!, invece, non presenta apparentemente una tecnica elaborata come quella di Lanterne Rosse, ma non per questo risulta meno interessante. La protagonista è di nuovo Gong Li, e la storia ha inizio in una dimensione aristocratica, ma che presto si sostituisce all’ascesa del regime Comunista. Il film, che racconta la storia della Rivoluzione Culturale attraverso la prospettiva di una famiglia e critica in modo disilluso vari aspetti del nuovo potere in carica, è stato bandito per oltre un decennio in Cina, fino a quando Yimou non ha riconquistato il “favore” delle autorità durante il periodo dell’allestimento della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi del 2008. All’artificiosità di Lanterne Rosse si sostituisce una diversa concezione spaziale, meno evidenziata, e una narrazione che si esprime in un montaggio più serrato. L’estetica spesso si basa su composizioni legate ad ambienti rurali.
Da un lato, un film in cui domina una costruzione stilistica - non senza la presenza di temi sociali - dall’altro, un’opera connotata principalmente dalla critica socio-politica. In qualche modo, questa parziale distinzione regge: a Lanterne Rosse si potrebbero affiancare tutte le opere di Yimou più stilizzate, come La Triade di Shanghai (Yáo a yáo, yáo dào wàipó qiáo, 1995), Hero (Ying xiong, 2001), Shadow (Ying, 2018), Full River Red (Man Jiang Hong, 2023), I fiori della guerra (Jin líng shí san chai, 2011) o il recente Under the light (Jian Ru Pan Shi, 2023); a Vivere!, invece, andrebbero abbinati film in cui domina una dimensione sociale o contenutistica, come La strada verso casa (Wo de fu qin mu qin,1999), Mille miglia… lontano (Qian li zou dan qi, 2005), Under the Hawthorn tree (Shan zha shu zhi lian, 2010), Lettere di uno sconosciuto (Gui lai, 2014) o One Second (Yi miao zhong, 2020).
Certo, questa distinzione non è esule da critiche che potrebbero essere mosse: la categoria dei film maggiormente “stilistici” comprende al suo interno opere diversissime fra loro - tanto che si deve sottolineare che tra esse emerge un vero e proprio filone interno, quello dei Wuxia e dei film storico-leggendari come La foresta dei pugnali volanti (Shi mian mai fu, 2004) o La città proibita (Man cheng jin dai huang jin jia, 2006) meritevoli di un discorso a parte. Inoltre, non si vuole suggerire che Lanterne Rosse sia un film meno profondo e Vivere! un film meno curato stilisticamente, ma piuttosto si intende sottolineare gli aspetti che maggiormente si fanno notare da uno spettatore.
Inoltre, il film di debutto di Zhang Yimou, Sorgo Rosso (Hong gao liang, 1987), in qualche modo si pone in mezzo a questa doppia distinzione. Il finale della pellicola, premiata con l’Orso d’Oro a Berlino, è un gioco di luci e composizioni elaborato, artificiale, irrealistico, ma indubbiamente gran parte della narrazione segue gli stilemi che l’autore adotterà in seguito per Vivere!: Sorgo Rosso è quindi un archetipo che racchiude in sé le radici di gran parte del cinema successivo di Yimou.
Un breve ragionamento va intrapreso invece per alcuni film che restano di difficile catalogazione, per la maggior parte lavori che potremmo descrivere come “opere minori” o meno legate ad un intento artistico indipendente, come per esempio il film Codename: Cougar (Daihao meizhoubao, 1989), un action su un dirottamento aereo, o Cliff Walkers (Xuányá zhī shàng, 2021), thriller di spionaggio ambientato durante l’occupazione giapponese. Come molti registi prolifici, anche Zhang Yimou ha film meno riusciti di altri (anche se Cliff Walkers, a livello di intrattenimento, regge), o periodi di minore indipendenza creativa.
Cercare di categorizzare e di distinguere tendenze all’interno dell’opera magna di un cineasta è un’operazione principalmente intellettuale, con il solo scopo di una semplificazione analitica. Nel caso della filmografia di Yimou è necessario sottolineare che, pur essendoci una varietà stilistico-contenutistica, quasi tutte le sue opere sono legate da una componente emotiva che si muove sulla stessa lunghezza d’onda, un aspetto importante per la comprensione della sua filmografia.
Il rigore di Zhang Yimou
Vedendo i suoi film, non stupisce venire a conoscenza che Yimou si sia formato nell’ambito della fotografia e non della regia. Nella masterclass del Far East, il cineasta ha raccontato di essere riuscito ad ottenere il suo primo lavoro di regia solo dopo aver accettato un ruolo attoriale, come “favore” ad un produttore, nel film The Old Well (1987) di Tian-Ming Wu, che tra l’altro gli valse un premio per la recitazione al Tokyo Film Festival. Fu così che arrivò a dirigere Sorgo Rosso.
Molte opere di Zhang Yimou si distinguono fin da subito per una composizione e un blocking molto studiato. Già in Sorgo Rosso, scene quasi ritualistiche, come quella della produzione del vino, o la sequenza finale del film, danno un’idea del rigore di Yimou, ma questo si esprime al massimo del suo potenziale in Lanterne Rosse, e successivamente in modo più ampio in Wuxia come Hero o Shadow. Soggetti collocati in uno spazio, tendenzialmente con una profondità di campo accentuata nei luoghi chiusi o recintati, come i cortili di Lanterne Rosse o la sala del trono in Hero.
Nei film che abbiamo equiparato a Vivere!, spesso i luoghi ricorrenti sono le strade tra i campi, ripetutamente mostrate attraverso un’immagine “schiacciata”, come ad esempio in Sorgo Rosso o La strada verso casa. Va sottolineato che, nonostante la formazione come direttore della fotografia, Zhang Yimou non ha mai firmato direttamente la fotografia dei suoi film, e si è avvalso di professionisti molto talentuosi e noti come Fei Zhao e Lun Yang (Lanterne Rosse), Christopher Doyle (Hero), o Xiaodin Zhao, con cui ha instaurato un vero e proprio sodalizio - a partire da La foresta dei pugnali volanti - per tutti quei film in cui domina una fotografia spettacolare.
Una Cina leggendaria
Il regista taiwanese Ang Lee presentò il suo film La tigre e il dragone (Wòhǔ Cánglóng, 2000) come “il sogno di una Cina che probabilmente non è mai esistita”. Una descrizione particolarmente azzeccata, che permette di inquadrare il genere Wuxia, presente da millenni nella letteratura cinese e approdato nel cinema orientale sin dalle sue origini. Con questo nome si indicano film e libri comunemente denominati “di arti marziali cinesi”. La Tigre e il Dragone ebbe l’importanza di far conoscere questo genere al pubblico occidentale e di rinnovarlo per i tempi moderni usando nuove tecnologie ed effetti speciali, ma Lee presto continuò la sua filmografia in direzioni completamente diverse. A diventare un vero maestro del Wuxia fu invece Zhang Yimou.
Hero, uscito solo due anni dopo La tigre e il dragone, rappresenta un’indubbia evoluzione del Wuxia in tutti i sensi. Se l’opera di Lee è frutto dell’adattamento di un romanzo Wuxia, Hero si lega direttamente a dei fatti storici - un tentativo di assassinio in uno dei regni precedenti all’unificazione dell’Impero cinese - e li rielabora costruendoci attorno una narrazione inedita. Già questo è un elemento importante e di novità per il Wuxia dei primi anni duemila, l’indipendenza dalla letteratura analoga e la connessione a fatti storici, ma questo non è tutto. Hero riprende il concetto di soggettività delle prospettive di Rashōmon (1950) di Akira Kurosawa, e lo impiega in un modo nuovo, per creare un gioco di indizi che porta alla grande rivelazione finale.
Il film procede per flashback in cui il protagonista rievoca gli eventi che lo hanno portato all’attentato o ricorda aneddoti su altri personaggi. Visivamente, Yimou usa colori vivaci e molto distinti fra loro per distinguere ogni flashback, creando così una struttura intricata di potenzialità e soggettività, in cui nulla è certo e niente è confermato, in cui quindi l’impossibile diventa possibile, come uno stupendo duello tra personaggi che quasi volano sopra l’acqua. Il super-naturale è un elemento proprio del Wuxia, ma se in Lee era parte integrante dell’universo del racconto, in Yimou diventa un punto di riflessione sull’artificio della narrazione filmica: così come nei vari flashback di Hero, dominati da una dimensione soggettiva in cui può accadere qualsiasi cosa, poiché nell’universo finzionale del cinema tutto è possibile. Un aneddoto storico può essere quindi trasformato a piacimento e l’accuratezza della realtà passa in secondo piano, poiché l’importante è che il film funzioni nella sua personale dimensione.
L’aneddoto che ispira Hero diventa quindi solo uno spunto per una riflessione più ampia che si consuma attraverso il genere del Wuxia, non più fine ma mezzo. Certo, va ricordato che il finale dell’opera ha una componente propagandistica importante e problematica a seguito dell’espansionismo cinese verso Hong Kong e Taiwan, ma resta comunque un capolavoro di meta-finzione, purtroppo oggi reperibile solo in versioni di pessima qualità disperatamente bisognose di restauro.
Se Hero dimostra che il genere storico può distaccarsi radicalmente dall’evento che lo ispira, con La Foresta dei pugnali volanti Yimou firma un’opera interamente originale e contestualizzata storicamente ma senza un aneddoto che gli faccia da spunto. La dimensione della potenzialità è qui suggerita da insidie e travestimenti, un elemento che ricorre anche ne La Città Proibita, non più propriamente un Wuxia per la presenza limitata di arti marziali, ma che comunque segue una dimensione storica leggendaria e risalente all’antichità, immaginando i complotti alla corte di un imperatore non ben identificato e posizionato in un contesto storico vago, che viene ulteriormente rafforzato dalla mancanza di indicazioni di date nella versione uscita in Cina.
Sarà solo con Shadow che Yimou tornerà a mettere in scena elaborate coreografie di arti marziali, ancora una volta inquadrate in cospirazioni di corte e calate in una dimensione irreale. Emblematici del film sono gli ombrelli con lame celate e l’arena nella grotta con il simbolo del Yin Yang che ne ricopre il pavimento, soluzioni strategiche completamente esuli da ogni aderenza storica ma visivamente accattivanti. Ormai, in Yimou, la storicità si mescola interamente ad un mondo mitologico-leggendario, una Cina sognata ed inesistente, come Lee aveva preannunciato. È di nuovo in questo contesto che si spiega quindi The Great Wall (2016), che reimmagina la grande muraglia cinese in chiave completamente fantastica, a protezione da mostri-alieni precipitati da un meteorite. Ormai tutto è permesso essendo pura finzione, anche se la narrazione all’inizio vuole suggerire una verità storica questa è in realtà subordinata alla dimensione immaginaria del film: la finzione inizia già dai titoli d’inizio, anche se insistono su fatti realmente accaduti.
Più recentemente, l’ultimo film di Yimou che si ricollega all’antichità cinese è Full River Red , che, come in Hero, rielabora un importante episodio storico eliminando, quasi totalmente, le arti marziali e mantenendo la dimensione degli intrighi di corte, semi-collante di gran parte delle opere dell’autore derivate dal suo avvicinamento al Wuxia. Con non poco coraggio si potrebbe azzardare l’inclusione di Under the light in questa corrente, pur essendo un film ambientato ai giorni nostri. Le ragioni sono molteplici: la predominanza dello stile, lo svolgimento di una storia ambientata in una città immaginaria della Cina, i tratti molto forti di genere e l’implicazione dell’epilogo in una dimensione storica di “lotta alla corruzione” che regge all’interno di un contesto di finzione. Tutti questi elementi del racconto rendono l’opera una sorta di “leggenda contemporanea”, certamente spuria rispetto alla periodizzazione del resto dei film attraverso i quali Yimou costruisce, nel corso dei vent’anni passati da Hero, una vera e propria storia leggendaria dell’antichità cinese puramente finzionale e in parte legata a messaggi propagandistici (soprattutto nei casi di Hero e Full River Red), ma non per questo meno affascinante.
I colori
I Wuxia e i film storico-leggendari di Yimou sono la più grande dimostrazione delle palette che è solito adoperare. Certo, Lanterne Rosse e Sorgo Rosso, con la loro enfasi sul colore rosso che domina spesso l’immagine - per esempio, nella portantina della scena iniziale di Sorgo Rosso, o nelle sale illuminate dalle lampade in Lanterne Rosse - mostrano già l’importanza data ai colori per esprimere i sentimenti e l’energia di certe scene, ma nei Wuxia questa stilizzazione raggiunge l’apice. In particolare, saranno due i film che vale la pena mettere a confronto: Hero e Shadow.
Come già anticipato, Hero spesso utilizza i colori per distinguere le soggettività dei vari flashback. Un esempio facilmente identificabile si esprime attraverso la stanza circolare in cui il personaggio senza nome di Jet Li incontra Spada Spezzata (Tony Leung) e Neve che Vola (Maggie Cheung), ripresa in colore rosso, blu, bianco, verde, a seconda della prospettiva dei partecipanti della scena che viene mostrata - uno dei pochi ambienti che ricorre in più flashback. La cornice narrativa di Hero invece presenta una palette desaturata, come anche la scena del duello tra il personaggio di Jet Li e quello di Donnie Yen, in contrasto con i colori vivaci dei flashback. Ricostruire le prospettive diventa uno degli aspetti più elaborati del film.
È interessante confrontare Hero con Shadow, un film che sceglie una palette quasi completamente desaturata. È quasi un’evoluzione della scena del duello tra Li e Yen di Hero, ma dimostra anche una cura nell’uso dei colori molto particolare: le tonalità ci sono, ma molto tenui. Non è un film in bianco e nero, ma la composizione sfrutta molto ombre, textures e scale di grigi, con una maestria comparabile a quella dimostrata con Hero. Coincidentalmente, un simile uso del colore, e della sua semi-assenza, si denota in Full River Red, ma in quest’ultimo la scelta è dettata dall’ora in cui si svolge la vicenda - ovvero poco prima dell’alba - per cui viene impiegata una palette da “blue hour”
I volti
Non a caso, la prima inquadratura di Sorgo Rosso è un primo piano di Gong Li, così come lo sono molte scene chiave in Lanterne Rosse. I volti hanno un ruolo fondamentale nel cinema di Yimou. Durante la masterclass del Far East, il regista ha spiegato la sua lunga procedura per i casting di attori non noti: “Spesso uso la macchina da presa per fare i test, per cui impiego circa sei mesi. Valuto se il volto di un attore è un volto da cinema”. Un’approfondita ricerca estetica, non tanto di bellezza in senso convenzionale ma di bellezza “cinematografica”. Quando Yimou intende che un volto da cinema dev’essere “bello”, intende un tipo di bellezza non legato a convenzioni estetiche da show business ma ad una forma di particolarità, di unicità estetica, da coniugare ad un talento recitativo, a cui il cineasta dona tanta attenzione quanto agli altri aspetti registici.
Spesso, la macchina da presa dei film di Yimou si sofferma su primi piani dei protagonisti a lungo. Un volto viene trattato con la stessa importanza di una composizione paesaggistica o spaziale, ma anche come strumento di coinvolgimento emotivo dello spettatore, che, ad esempio, difficilmente riesce a non commuoversi di fronte ai primi piani di Zhang Ziyi ne La Strada verso Casa.
È interessante sottolineare le collaborazioni di Zhang Yimou con alcuni attori hollywoodiani: Christian Bale in I fiori della guerra, Matt Damon, Willem Dafoe e Pedro Pascal in The Great Wall. Nella masterclass, il regista ha raccontato beffardo che, mentre con gli attori cinesi o di Hong Kong riusciva a discutere nel dettaglio le performance, non parlando l’inglese spesso dava agli attori statunitensi istruzioni vaghe, come ad esempio quella di “fare meglio”, nonostante lui stesso non fosse sicuro se la performance era giusta o meno a causa della barriera linguistica - ma del resto, va anche sottolineato che gli attori elencati hanno tutti una sensibilità recitativa tale da riuscire a costruire le loro performance anche con poche note di regia.
I sentimenti
Zhang Yimou non è un regista-sceneggiatore, o meglio, spesso co-firma sceneggiature in fase di produzione, ma precedentemente si trova a sceglierle e leggerle. Nella masterclass ha affermato: “quando cerco una sceneggiatura, non scelgo razionalmente; una storia, per essere bella, mi deve toccare. Se una sceneggiatura mi commuove due o tre volte, mi dico: devi fare il film”. Per Yimou, la cosa più importante resta l’aspetto sentimentale ed emotivo: “Non possiamo mai sostituire ciò che ci tocca il cuore”.
Effettivamente, se c’è un collante che lega tutte le sue migliori opere - Lanterne Rosse e Vivere!, ma anche Hero, La foresta dei pugnali volanti, Lettere da uno sconosciuto, La strada verso casa, Sorgo Rosso - è di certo l’investimento emotivo che provocano attraverso vicende completamente diverse ma con una simile “presenza sentimentale”. Il sacrificio di Neve che Vola e Spada Spezzata in Hero, la tragica sorte della protagonista di Lanterne Rosse, il devastante effetto della frase finale di Vivere! sono momenti di intensa emotività ma anche di puro cinema: Yimou riesce a trasmettere l’energia emotiva senza imposizioni, senza una manipolazione troppo morbosa. Questa caratteristica, insieme all’equilibrio perfetto di uno stile sempre curato, fa di lui uno dei cineasti più importanti a livello mondiale.
La censura, e Yimou oggi
Vivere!, come anticipato, fu bandito in Cina per un lungo periodo, ma non è l’unico film di Yimou ad aver subito la censura del governo. One Second, lungometraggio che racconta di un prigioniero di un campo di lavoro che evade per vedere la figlia in un cinegiornale di propaganda proiettato in un paesino di frontiera, fu sequestrato per svariati anni a causa di “problemi tecnici” (espressione usata spesso per mascherare altri tipi di problemi), e venne proiettato in sala due anni dopo il suo completamento, nel 2021 - tra l’altro arrivando in Italia attraverso Tucker, l’azienda di distribuzione legata ai film del Far East Film Festival. In seguito a One Second per Zhang Yimou è iniziato un periodo cinematografico di opere più “allineate”, certamente per necessità. Cliff Walkers, ad esempio, segue la storia di dei partigiani comunisti durante l’occupazione giapponese, o il finale di Full River Red esprime un sentimento estremamente patriottico, o ancora Under the light si pone come un film sulla lotta alla corruzione da parte del governo.
Tutti questi aspetti non rovinano necessariamente il cinema di Yimou, ma più che altro lo limitano: per esempio l’ultimo film citato - presentato quest’anno proprio al Far East Film Festival in anteprima europea - pur manifestando delle lacune sotto determinati aspetti, vanta una delle illuminotecniche al neon più notevoli degli ultimi anni, e, nonostante si percepisca una minore libertà autoriale e un solido patriottismo di fondo, resta un lavoro intrigante e con molti elementi più che positivi.
Un altro importante problema è la diffusione e la distribuzione dei lavori di Zhang Yimou. Ad oggi, è impossibile trovare una buona edizione di Hero, Sorgo Rosso, La foresta dei pugnali volanti o di molti altri grandi classici della filmografia del regista. Lanterne Rosse e Vivere! rappresentano gli unici restauri della sua filmografia commissionati dal Far East Film Festival in collaborazione con vari enti, inclusa la Criterion Collection. Non ci resta quindi che sperare in dei futuri interventi sulla sua opera, visti gli straordinari risultati dei restauri in 4K di questi due, inestimabili, pezzi di cinema.
TR-103
16.06.2024
Quest’anno, la 26ma edizione del Far East Film Festival ha incoronato Zhang Yimou con il premio alla carriera, un riconoscimento che omaggia l’innegabile maestria del cineasta e che, allo stesso tempo, ha rappresentato un momento unico per la manifestazione friulana, che ormai da alcuni anni proietta le opere di Yimou in anteprima. La presenza del regista cinese è stata accompagnata dall’anteprima mondiale del restauro in 4K di Lanterne Rosse (Da hong deng long gao gao gua, 1991) e Vivere! (Huozhe, 1994) e da una masterclass che ha fornito una serie di spunti di riflessione sul cinema di uno dei più importanti autori contemporanei.
Due anime
Zhang Yimou fa parte di quella categoria di registi la cui filmografia è talmente varia da renderne difficile una categorizzazione - non per incoerenza dell’autore, o per la mancanza di una visione registica distinta, ma perché la voce di Yimou è riuscita ad esprimersi attraverso pellicole molto diverse fra loro. È quindi possibile cercare di distinguere dei filoni principali, ma si tratterà sempre di una semplificazione, e resterebbero esuli dalla categorizzazione svariate opere. Prendendo però spunto dalle scelte per il restauro in 4K, Lanterne Rosse e Vivere!, si può ipotizzare una distinzione tra due “anime” del cinema di Yimou.
Lanterne Rosse, un film che oggi viene comunemente studiato nei testi accademici di cinema, è un perfetto esempio stilistico-tecnico. Ambientato negli anni Venti del novecento, il lungometraggio si focalizza sul matrimonio di una giovane (interpretata da Gong Li), quarta sposa di un aristocratico, per descrivere l’asfissiante, e totale, rivalità tra la ragazza e le altre mogli dell’uomo, che si contendono strenuamente i pochi momenti di attenzione del coniuge comune all’interno di un palazzo claustrofobico e dai cortili angusti. Il leitmotif visivo delle lanterne rosse, che indicano il favore dello sposo per l’una o l’altra moglie, l’illuminotecnica molto costruita, artificiale, l’elaborata composizione visiva e lo studio dei tempi, rendono Lanterne Rosse un capolavoro e, secondo molti, la migliore opera di Yimou.
Vivere!, invece, non presenta apparentemente una tecnica elaborata come quella di Lanterne Rosse, ma non per questo risulta meno interessante. La protagonista è di nuovo Gong Li, e la storia ha inizio in una dimensione aristocratica, ma che presto si sostituisce all’ascesa del regime Comunista. Il film, che racconta la storia della Rivoluzione Culturale attraverso la prospettiva di una famiglia e critica in modo disilluso vari aspetti del nuovo potere in carica, è stato bandito per oltre un decennio in Cina, fino a quando Yimou non ha riconquistato il “favore” delle autorità durante il periodo dell’allestimento della cerimonia d’apertura delle Olimpiadi del 2008. All’artificiosità di Lanterne Rosse si sostituisce una diversa concezione spaziale, meno evidenziata, e una narrazione che si esprime in un montaggio più serrato. L’estetica spesso si basa su composizioni legate ad ambienti rurali.
Da un lato, un film in cui domina una costruzione stilistica - non senza la presenza di temi sociali - dall’altro, un’opera connotata principalmente dalla critica socio-politica. In qualche modo, questa parziale distinzione regge: a Lanterne Rosse si potrebbero affiancare tutte le opere di Yimou più stilizzate, come La Triade di Shanghai (Yáo a yáo, yáo dào wàipó qiáo, 1995), Hero (Ying xiong, 2001), Shadow (Ying, 2018), Full River Red (Man Jiang Hong, 2023), I fiori della guerra (Jin líng shí san chai, 2011) o il recente Under the light (Jian Ru Pan Shi, 2023); a Vivere!, invece, andrebbero abbinati film in cui domina una dimensione sociale o contenutistica, come La strada verso casa (Wo de fu qin mu qin,1999), Mille miglia… lontano (Qian li zou dan qi, 2005), Under the Hawthorn tree (Shan zha shu zhi lian, 2010), Lettere di uno sconosciuto (Gui lai, 2014) o One Second (Yi miao zhong, 2020).
Certo, questa distinzione non è esule da critiche che potrebbero essere mosse: la categoria dei film maggiormente “stilistici” comprende al suo interno opere diversissime fra loro - tanto che si deve sottolineare che tra esse emerge un vero e proprio filone interno, quello dei Wuxia e dei film storico-leggendari come La foresta dei pugnali volanti (Shi mian mai fu, 2004) o La città proibita (Man cheng jin dai huang jin jia, 2006) meritevoli di un discorso a parte. Inoltre, non si vuole suggerire che Lanterne Rosse sia un film meno profondo e Vivere! un film meno curato stilisticamente, ma piuttosto si intende sottolineare gli aspetti che maggiormente si fanno notare da uno spettatore.
Inoltre, il film di debutto di Zhang Yimou, Sorgo Rosso (Hong gao liang, 1987), in qualche modo si pone in mezzo a questa doppia distinzione. Il finale della pellicola, premiata con l’Orso d’Oro a Berlino, è un gioco di luci e composizioni elaborato, artificiale, irrealistico, ma indubbiamente gran parte della narrazione segue gli stilemi che l’autore adotterà in seguito per Vivere!: Sorgo Rosso è quindi un archetipo che racchiude in sé le radici di gran parte del cinema successivo di Yimou.
Un breve ragionamento va intrapreso invece per alcuni film che restano di difficile catalogazione, per la maggior parte lavori che potremmo descrivere come “opere minori” o meno legate ad un intento artistico indipendente, come per esempio il film Codename: Cougar (Daihao meizhoubao, 1989), un action su un dirottamento aereo, o Cliff Walkers (Xuányá zhī shàng, 2021), thriller di spionaggio ambientato durante l’occupazione giapponese. Come molti registi prolifici, anche Zhang Yimou ha film meno riusciti di altri (anche se Cliff Walkers, a livello di intrattenimento, regge), o periodi di minore indipendenza creativa.
Cercare di categorizzare e di distinguere tendenze all’interno dell’opera magna di un cineasta è un’operazione principalmente intellettuale, con il solo scopo di una semplificazione analitica. Nel caso della filmografia di Yimou è necessario sottolineare che, pur essendoci una varietà stilistico-contenutistica, quasi tutte le sue opere sono legate da una componente emotiva che si muove sulla stessa lunghezza d’onda, un aspetto importante per la comprensione della sua filmografia.
Il rigore di Zhang Yimou
Vedendo i suoi film, non stupisce venire a conoscenza che Yimou si sia formato nell’ambito della fotografia e non della regia. Nella masterclass del Far East, il cineasta ha raccontato di essere riuscito ad ottenere il suo primo lavoro di regia solo dopo aver accettato un ruolo attoriale, come “favore” ad un produttore, nel film The Old Well (1987) di Tian-Ming Wu, che tra l’altro gli valse un premio per la recitazione al Tokyo Film Festival. Fu così che arrivò a dirigere Sorgo Rosso.
Molte opere di Zhang Yimou si distinguono fin da subito per una composizione e un blocking molto studiato. Già in Sorgo Rosso, scene quasi ritualistiche, come quella della produzione del vino, o la sequenza finale del film, danno un’idea del rigore di Yimou, ma questo si esprime al massimo del suo potenziale in Lanterne Rosse, e successivamente in modo più ampio in Wuxia come Hero o Shadow. Soggetti collocati in uno spazio, tendenzialmente con una profondità di campo accentuata nei luoghi chiusi o recintati, come i cortili di Lanterne Rosse o la sala del trono in Hero.
Nei film che abbiamo equiparato a Vivere!, spesso i luoghi ricorrenti sono le strade tra i campi, ripetutamente mostrate attraverso un’immagine “schiacciata”, come ad esempio in Sorgo Rosso o La strada verso casa. Va sottolineato che, nonostante la formazione come direttore della fotografia, Zhang Yimou non ha mai firmato direttamente la fotografia dei suoi film, e si è avvalso di professionisti molto talentuosi e noti come Fei Zhao e Lun Yang (Lanterne Rosse), Christopher Doyle (Hero), o Xiaodin Zhao, con cui ha instaurato un vero e proprio sodalizio - a partire da La foresta dei pugnali volanti - per tutti quei film in cui domina una fotografia spettacolare.
Una Cina leggendaria
Il regista taiwanese Ang Lee presentò il suo film La tigre e il dragone (Wòhǔ Cánglóng, 2000) come “il sogno di una Cina che probabilmente non è mai esistita”. Una descrizione particolarmente azzeccata, che permette di inquadrare il genere Wuxia, presente da millenni nella letteratura cinese e approdato nel cinema orientale sin dalle sue origini. Con questo nome si indicano film e libri comunemente denominati “di arti marziali cinesi”. La Tigre e il Dragone ebbe l’importanza di far conoscere questo genere al pubblico occidentale e di rinnovarlo per i tempi moderni usando nuove tecnologie ed effetti speciali, ma Lee presto continuò la sua filmografia in direzioni completamente diverse. A diventare un vero maestro del Wuxia fu invece Zhang Yimou.
Hero, uscito solo due anni dopo La tigre e il dragone, rappresenta un’indubbia evoluzione del Wuxia in tutti i sensi. Se l’opera di Lee è frutto dell’adattamento di un romanzo Wuxia, Hero si lega direttamente a dei fatti storici - un tentativo di assassinio in uno dei regni precedenti all’unificazione dell’Impero cinese - e li rielabora costruendoci attorno una narrazione inedita. Già questo è un elemento importante e di novità per il Wuxia dei primi anni duemila, l’indipendenza dalla letteratura analoga e la connessione a fatti storici, ma questo non è tutto. Hero riprende il concetto di soggettività delle prospettive di Rashōmon (1950) di Akira Kurosawa, e lo impiega in un modo nuovo, per creare un gioco di indizi che porta alla grande rivelazione finale.
Il film procede per flashback in cui il protagonista rievoca gli eventi che lo hanno portato all’attentato o ricorda aneddoti su altri personaggi. Visivamente, Yimou usa colori vivaci e molto distinti fra loro per distinguere ogni flashback, creando così una struttura intricata di potenzialità e soggettività, in cui nulla è certo e niente è confermato, in cui quindi l’impossibile diventa possibile, come uno stupendo duello tra personaggi che quasi volano sopra l’acqua. Il super-naturale è un elemento proprio del Wuxia, ma se in Lee era parte integrante dell’universo del racconto, in Yimou diventa un punto di riflessione sull’artificio della narrazione filmica: così come nei vari flashback di Hero, dominati da una dimensione soggettiva in cui può accadere qualsiasi cosa, poiché nell’universo finzionale del cinema tutto è possibile. Un aneddoto storico può essere quindi trasformato a piacimento e l’accuratezza della realtà passa in secondo piano, poiché l’importante è che il film funzioni nella sua personale dimensione.
L’aneddoto che ispira Hero diventa quindi solo uno spunto per una riflessione più ampia che si consuma attraverso il genere del Wuxia, non più fine ma mezzo. Certo, va ricordato che il finale dell’opera ha una componente propagandistica importante e problematica a seguito dell’espansionismo cinese verso Hong Kong e Taiwan, ma resta comunque un capolavoro di meta-finzione, purtroppo oggi reperibile solo in versioni di pessima qualità disperatamente bisognose di restauro.
Se Hero dimostra che il genere storico può distaccarsi radicalmente dall’evento che lo ispira, con La Foresta dei pugnali volanti Yimou firma un’opera interamente originale e contestualizzata storicamente ma senza un aneddoto che gli faccia da spunto. La dimensione della potenzialità è qui suggerita da insidie e travestimenti, un elemento che ricorre anche ne La Città Proibita, non più propriamente un Wuxia per la presenza limitata di arti marziali, ma che comunque segue una dimensione storica leggendaria e risalente all’antichità, immaginando i complotti alla corte di un imperatore non ben identificato e posizionato in un contesto storico vago, che viene ulteriormente rafforzato dalla mancanza di indicazioni di date nella versione uscita in Cina.
Sarà solo con Shadow che Yimou tornerà a mettere in scena elaborate coreografie di arti marziali, ancora una volta inquadrate in cospirazioni di corte e calate in una dimensione irreale. Emblematici del film sono gli ombrelli con lame celate e l’arena nella grotta con il simbolo del Yin Yang che ne ricopre il pavimento, soluzioni strategiche completamente esuli da ogni aderenza storica ma visivamente accattivanti. Ormai, in Yimou, la storicità si mescola interamente ad un mondo mitologico-leggendario, una Cina sognata ed inesistente, come Lee aveva preannunciato. È di nuovo in questo contesto che si spiega quindi The Great Wall (2016), che reimmagina la grande muraglia cinese in chiave completamente fantastica, a protezione da mostri-alieni precipitati da un meteorite. Ormai tutto è permesso essendo pura finzione, anche se la narrazione all’inizio vuole suggerire una verità storica questa è in realtà subordinata alla dimensione immaginaria del film: la finzione inizia già dai titoli d’inizio, anche se insistono su fatti realmente accaduti.
Più recentemente, l’ultimo film di Yimou che si ricollega all’antichità cinese è Full River Red , che, come in Hero, rielabora un importante episodio storico eliminando, quasi totalmente, le arti marziali e mantenendo la dimensione degli intrighi di corte, semi-collante di gran parte delle opere dell’autore derivate dal suo avvicinamento al Wuxia. Con non poco coraggio si potrebbe azzardare l’inclusione di Under the light in questa corrente, pur essendo un film ambientato ai giorni nostri. Le ragioni sono molteplici: la predominanza dello stile, lo svolgimento di una storia ambientata in una città immaginaria della Cina, i tratti molto forti di genere e l’implicazione dell’epilogo in una dimensione storica di “lotta alla corruzione” che regge all’interno di un contesto di finzione. Tutti questi elementi del racconto rendono l’opera una sorta di “leggenda contemporanea”, certamente spuria rispetto alla periodizzazione del resto dei film attraverso i quali Yimou costruisce, nel corso dei vent’anni passati da Hero, una vera e propria storia leggendaria dell’antichità cinese puramente finzionale e in parte legata a messaggi propagandistici (soprattutto nei casi di Hero e Full River Red), ma non per questo meno affascinante.
I colori
I Wuxia e i film storico-leggendari di Yimou sono la più grande dimostrazione delle palette che è solito adoperare. Certo, Lanterne Rosse e Sorgo Rosso, con la loro enfasi sul colore rosso che domina spesso l’immagine - per esempio, nella portantina della scena iniziale di Sorgo Rosso, o nelle sale illuminate dalle lampade in Lanterne Rosse - mostrano già l’importanza data ai colori per esprimere i sentimenti e l’energia di certe scene, ma nei Wuxia questa stilizzazione raggiunge l’apice. In particolare, saranno due i film che vale la pena mettere a confronto: Hero e Shadow.
Come già anticipato, Hero spesso utilizza i colori per distinguere le soggettività dei vari flashback. Un esempio facilmente identificabile si esprime attraverso la stanza circolare in cui il personaggio senza nome di Jet Li incontra Spada Spezzata (Tony Leung) e Neve che Vola (Maggie Cheung), ripresa in colore rosso, blu, bianco, verde, a seconda della prospettiva dei partecipanti della scena che viene mostrata - uno dei pochi ambienti che ricorre in più flashback. La cornice narrativa di Hero invece presenta una palette desaturata, come anche la scena del duello tra il personaggio di Jet Li e quello di Donnie Yen, in contrasto con i colori vivaci dei flashback. Ricostruire le prospettive diventa uno degli aspetti più elaborati del film.
È interessante confrontare Hero con Shadow, un film che sceglie una palette quasi completamente desaturata. È quasi un’evoluzione della scena del duello tra Li e Yen di Hero, ma dimostra anche una cura nell’uso dei colori molto particolare: le tonalità ci sono, ma molto tenui. Non è un film in bianco e nero, ma la composizione sfrutta molto ombre, textures e scale di grigi, con una maestria comparabile a quella dimostrata con Hero. Coincidentalmente, un simile uso del colore, e della sua semi-assenza, si denota in Full River Red, ma in quest’ultimo la scelta è dettata dall’ora in cui si svolge la vicenda - ovvero poco prima dell’alba - per cui viene impiegata una palette da “blue hour”
I volti
Non a caso, la prima inquadratura di Sorgo Rosso è un primo piano di Gong Li, così come lo sono molte scene chiave in Lanterne Rosse. I volti hanno un ruolo fondamentale nel cinema di Yimou. Durante la masterclass del Far East, il regista ha spiegato la sua lunga procedura per i casting di attori non noti: “Spesso uso la macchina da presa per fare i test, per cui impiego circa sei mesi. Valuto se il volto di un attore è un volto da cinema”. Un’approfondita ricerca estetica, non tanto di bellezza in senso convenzionale ma di bellezza “cinematografica”. Quando Yimou intende che un volto da cinema dev’essere “bello”, intende un tipo di bellezza non legato a convenzioni estetiche da show business ma ad una forma di particolarità, di unicità estetica, da coniugare ad un talento recitativo, a cui il cineasta dona tanta attenzione quanto agli altri aspetti registici.
Spesso, la macchina da presa dei film di Yimou si sofferma su primi piani dei protagonisti a lungo. Un volto viene trattato con la stessa importanza di una composizione paesaggistica o spaziale, ma anche come strumento di coinvolgimento emotivo dello spettatore, che, ad esempio, difficilmente riesce a non commuoversi di fronte ai primi piani di Zhang Ziyi ne La Strada verso Casa.
È interessante sottolineare le collaborazioni di Zhang Yimou con alcuni attori hollywoodiani: Christian Bale in I fiori della guerra, Matt Damon, Willem Dafoe e Pedro Pascal in The Great Wall. Nella masterclass, il regista ha raccontato beffardo che, mentre con gli attori cinesi o di Hong Kong riusciva a discutere nel dettaglio le performance, non parlando l’inglese spesso dava agli attori statunitensi istruzioni vaghe, come ad esempio quella di “fare meglio”, nonostante lui stesso non fosse sicuro se la performance era giusta o meno a causa della barriera linguistica - ma del resto, va anche sottolineato che gli attori elencati hanno tutti una sensibilità recitativa tale da riuscire a costruire le loro performance anche con poche note di regia.
I sentimenti
Zhang Yimou non è un regista-sceneggiatore, o meglio, spesso co-firma sceneggiature in fase di produzione, ma precedentemente si trova a sceglierle e leggerle. Nella masterclass ha affermato: “quando cerco una sceneggiatura, non scelgo razionalmente; una storia, per essere bella, mi deve toccare. Se una sceneggiatura mi commuove due o tre volte, mi dico: devi fare il film”. Per Yimou, la cosa più importante resta l’aspetto sentimentale ed emotivo: “Non possiamo mai sostituire ciò che ci tocca il cuore”.
Effettivamente, se c’è un collante che lega tutte le sue migliori opere - Lanterne Rosse e Vivere!, ma anche Hero, La foresta dei pugnali volanti, Lettere da uno sconosciuto, La strada verso casa, Sorgo Rosso - è di certo l’investimento emotivo che provocano attraverso vicende completamente diverse ma con una simile “presenza sentimentale”. Il sacrificio di Neve che Vola e Spada Spezzata in Hero, la tragica sorte della protagonista di Lanterne Rosse, il devastante effetto della frase finale di Vivere! sono momenti di intensa emotività ma anche di puro cinema: Yimou riesce a trasmettere l’energia emotiva senza imposizioni, senza una manipolazione troppo morbosa. Questa caratteristica, insieme all’equilibrio perfetto di uno stile sempre curato, fa di lui uno dei cineasti più importanti a livello mondiale.
La censura, e Yimou oggi
Vivere!, come anticipato, fu bandito in Cina per un lungo periodo, ma non è l’unico film di Yimou ad aver subito la censura del governo. One Second, lungometraggio che racconta di un prigioniero di un campo di lavoro che evade per vedere la figlia in un cinegiornale di propaganda proiettato in un paesino di frontiera, fu sequestrato per svariati anni a causa di “problemi tecnici” (espressione usata spesso per mascherare altri tipi di problemi), e venne proiettato in sala due anni dopo il suo completamento, nel 2021 - tra l’altro arrivando in Italia attraverso Tucker, l’azienda di distribuzione legata ai film del Far East Film Festival. In seguito a One Second per Zhang Yimou è iniziato un periodo cinematografico di opere più “allineate”, certamente per necessità. Cliff Walkers, ad esempio, segue la storia di dei partigiani comunisti durante l’occupazione giapponese, o il finale di Full River Red esprime un sentimento estremamente patriottico, o ancora Under the light si pone come un film sulla lotta alla corruzione da parte del governo.
Tutti questi aspetti non rovinano necessariamente il cinema di Yimou, ma più che altro lo limitano: per esempio l’ultimo film citato - presentato quest’anno proprio al Far East Film Festival in anteprima europea - pur manifestando delle lacune sotto determinati aspetti, vanta una delle illuminotecniche al neon più notevoli degli ultimi anni, e, nonostante si percepisca una minore libertà autoriale e un solido patriottismo di fondo, resta un lavoro intrigante e con molti elementi più che positivi.
Un altro importante problema è la diffusione e la distribuzione dei lavori di Zhang Yimou. Ad oggi, è impossibile trovare una buona edizione di Hero, Sorgo Rosso, La foresta dei pugnali volanti o di molti altri grandi classici della filmografia del regista. Lanterne Rosse e Vivere! rappresentano gli unici restauri della sua filmografia commissionati dal Far East Film Festival in collaborazione con vari enti, inclusa la Criterion Collection. Non ci resta quindi che sperare in dei futuri interventi sulla sua opera, visti gli straordinari risultati dei restauri in 4K di questi due, inestimabili, pezzi di cinema.