Le dinamiche narrative di Saltburn e
Il talento di Mr. Ripley a confronto,
di Mattia Cirilli
TR-93
27.01.2024
Saltburn è l’ultimo, scalpitante lavoro dell’attrice, sceneggiatrice e regista britannica Emerald Fennell, già protagonista assoluta dietro la macchina da presa con il suo esordio, Promising Young Woman (Una donna promettente, 2020).
Il film, uscito in Italia direttamente sulla piattaforma Prime Video il 23 dicembre 2023, ha fatto altamente discutere di sé, diventando presto un trendsetter sui social non solo grazie a un cast fascinoso e ad un’ardita sceneggiatura (la cui apoteosi è tutta nel finale), ma anche per merito della sua fotografia, a metà tra vintage e glamour, e di una colonna sonora che tutt’ora impazza nelle fantasiose coreografie di tantissimi reels. Siamo perciò di fronte a un prodotto culturale che ha lasciato in brevissimo tempo una traccia profonda nelle nostre menti. E un adeguato approfondimento delle sue peculiarità gioverebbe alla comprensione di chiunque lo ha visto, specialmente alla luce del profondo sottotesto che si cela dietro a una trama apparentemente spicciola.
Tuttavia, nel presente articolo non si tratterà di recensire nuovamente Saltburn o di alimentare una discussione fine a se stessa, affatto. Ciò che riguarderà i prossimi paragrafi è la volontà di stabilire un forte parallelismo con un altro storico film, all’epoca non altrettanto discusso e ormai venticinquenne: The Talented Mr. Ripley (Il talento di Mr. Ripley, 1999) diretto da Anthony Minghella (cineasta, anch’esso, di origine britannica). L’opera di Minghella, vincitore del premio Oscar grazie a The English Patient (Il paziente inglese, 1996), ha moltissimi punti in comune con il lungometraggio della Fennell, ma anche altrettante divergenze. Queste potrebbero aiutarci a capire meglio la filosofia di Saltburn e a vedere cos’è cambiato lungo un quarto di secolo rispetto a quello che è ormai un vero e proprio topos narrativo, che ha sempre trovato ampio spazio nell’arte - si pensi anche solo a Teorema (1968) di Pasolini o alle molte opere drammaturgiche in cui figura un ospite inquietante e controverso.
Stabilire questo paragone non è affatto una questione di necessità (nulla vi impedirà di fruire e apprezzare entrambi i film separatamente), quanto più di curiosità e attrazione, così come i due protagonisti Oliver Quick e Tom Ripley sono attratti irrimediabilmente da una dimensione mondana che parrebbe essersi dimenticata completamente di loro. Ma noi di loro non ci siamo dimenticati affatto. Nei prossimi paragrafi analizzeremo sistematicamente alcuni degli aspetti stilistico-narrativi dei lavori succitati, isolandoli in opportuni capitoletti così da poter fare chiarezza ed evitare ogni possibile equivoco. Ma andiamo con ordine (spoiler alert!).
Le trame e le muse ispiratrici
Fin dal principio, Saltburn e The Talented Mr. Ripley presentano una trama molto simile. In tutti e due abbiamo un giovane protagonista maschile che si ritrova progressivamente avvolto da un vortice di mondanità sfrenata, che ne cattura senza rimedio la volontà e il destino. Entrambe le storie sono tratte da opere letterarie: nel caso del film di Minghella, la sceneggiatura è il quasi-fedele adattamento dell’omonimo romanzo di Patricia Highsmith (1955), mentre quella di Fennell è liberamente basata sulla novella del 1945 Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh (lo sappiamo proprio grazie a un discorso che Oliver e Felix faranno su tale autore poco dopo l’avvio della narrazione). I due libri, così come poi i film, mettono l’accento su questa dinamica intrusiva del personaggio, vero e proprio ospite impertinente di una famiglia benestante. Ma a questo punto subentra una grossa differenza: mentre il libro di Waugh è una saga familiare intrisa di Cristianesimo, di cui il protagonista si fa quasi mero spettatore, Saltburn si attiene invece al modello impostato da Minghella nel suo film: c’è dunque una chiara volontà di raccontare esclusivamente Oliver, la sua ossessione per quella voluttà estrema e la sua spietatezza nel cercare di ottenerla.
Argomentato ciò, focalizziamo ora l’attenzione sul racconto filmico: entrambe le narrazioni cominciano con delle premesse dirette del personaggio. Tom ci viene mostrato così come lo ritroveremo alla fine del film, con un fade-in a frammenti che disvelano l’immagine pezzo dopo pezzo. Lo vediamo assorto, mentre la luce ne oscura metà faccia. A questo punto si introduce in voice over, ponendo fin da subito l’accento sul fatto che tutta la sua assurda vicenda deriva dall’aver casualmente sostituito come pianista un amico infortunato, indossandone addirittura la giacca con il logo del college di Princeton, ad una festa privata. È proprio quella giacca il dettaglio che catturerà l’attenzione del ricchissimo industriale Herbert Greenleaf.
Anche Oliver si fa subito narratore delle sue peripezie: dopo essersi acceso una sigaretta, inizia a rivolgersi direttamente allo spettatore. È ben vestito e sicuro di sé. Subito la sua voce diventa over, mentre lo schermo dà inizio a un breve supercut che riassume tutto il film. Questa volta però non si tratta di una casualità: infatti, Oliver, ben più freddo e consapevole, subito preannuncia che al centro della sua vicenda c’è l’amore/odio per l’amico Felix. A parte queste differenze narrative, entrambi i film sono due flashback che cercano di ricostruire l’identità del personaggio partendo dal suo stesso racconto.
Una piccola nota, ma molto importante: anche il racconto per immagini di Oliver ha inizio da una vicenda universitaria; ma se per Tom si trattava di un equivoco (lui infatti non ha mai avuto l’opportunità, soprattutto economica, di frequentare Princeton), Oliver è invece studente di Oxford, la più prestigiosa università d’Inghilterra. Non solo: appena entrato nel chiostro del college, Oliver verrà deriso dal cugino di Felix proprio per la giacca che indossa.
L'oggetto del desiderio e il suo contesto
Arriviamo adesso a un aspetto essenziale di entrambi i film: l’oggetto del desiderio di Tom e Oliver. Per tutti e due la dimensione mondana e sfrenata viene incarnata da un attraente corpo maschile (quelli di Jude Law nei panni di Dickie Greenleaf e di Jacob Elordi nelle vesti di Felix Catton). Sia l’uno che l’altro costringono il protagonista a un forte spostamento fisico e socioculturale: Tom andrà in Italia, dipinta come un paese sensuale e selvaggio, ma allo stesso tempo ricolmo di una magnificenza artistica che racchiude in sé qualcosa di mortifero; Oliver trascorrerà l’estate a Saltburn (la sfarzosissima Drayton House, reggia del XVII secolo), un tempio di piaceri che si rivelerà anch’esso pieno di Storia e arte (Felix, durante il tour della dimora, indicherà uno scaffale dov’è tenuto il First Folio di Shakespeare).
Dickie ha studiato a Princeton, Felix è uno studente di Oxford. Entrambi sono i discendenti di famiglie ricche e potenti, ma che vivono la propria boriosa ascendenza con tedio, contestandone con forza i costumi. Sono capricciosi, svogliati e viziati: credono che Tom e Oliver possano tranquillamente assecondare ogni loro volontà, e infatti non ne tollerano per niente la metodicità e le prese di posizione (Dickie inizierà a staccarsi da Tom per colpa della sua meticolosità quasi genitoriale durante una gita a Roma, e sbotterà con lui mentre cerca di rimettere in ordine la casa di Mongibello poco dopo la morte di Silvana; Felix litigherà la prima volta con Oliver proprio mentre quest’ultimo gli rimprovera il disordine della camera da letto).
D’altro canto, Tom e Oliver sono persone diligenti, argute, che fin dall’inizio dimostrano di essere piene di interessi, talenti e ambizioni; mentre Dickie e Felix vorrebbero soltanto un giocattolo con cui passare il tempo. Per loro i due protagonisti sono rispettivamente un amico con cui condividere liberamente il proprio stile di vita e un ragazzo sfortunato la cui triste vicenda merita attenzione poichè allevia la noia (“Lui è simpatico, mi fa ridere.” dirà Dickie di Tom; “Sei una cazzo di ispirazione per me, sul serio. Sei troppo fico!” dirà invece Felix a Oliver).
È la necessità di alimentare il loro bisogno di attenzione su di sé, mentre odiano sentirsi in difetto o investiti di una benché minima responsabilità (e a dimostrazione di ciò ci pensa soprattutto il loro atteggiamento sconsiderato verso le donne). Avere al loro fianco una persona interessante ma “stilisticamente” inferiore è motivo di autocompiacimento, di vanità (Tom segue l’amico ovunque e ne assorbe le passioni; mentre Oliver, tra le altre cose, è costretto a interrompere il flirt con Venetia, sorella di Felix, perché quest’ultimo si sente messo da parte). L’oggetto del desiderio può mantenere il suo statuto solo se c’è qualcuno disposto a bramarlo avidamente, e questo può avvenire anche attraverso la provocazione (Dickie che esce completamente nudo dalla vasca da bagno davanti a Tom o Felix che succhia un ghiacciolo davanti a Oliver mentre legge un libro o si masturba con la porta socchiusa nella vasca da bagno).
Come viene vissuto questo rapporto quasi morboso dai due protagonisti? C’è anzitutto una cosa che caratterizza la relazione amorosa, omoerotica, con Dickie e Felix: la menzogna. Tom Ripley, pianista brillante, coglierà l’occasione della giacca di Princeton spacciandosi per un ex studente di quell’ateneo e accettando l’incarico assegnatogli dal magnate Herbert Greenleaf dietro una ricompensa in denaro. Oliver, studente brillante, fingerà di essere disastrato economicamente e con una famiglia disfunzionale.
L’amore li spinge dunque a una progressiva trasformazione identitaria: Tom studia tutto ciò che c’è da sapere su Dickie, impara a memoria le canzoni jazz, il suo genere preferito, lo segue in qualsiasi avventura, si fa insegnare a manovrare una barca e lo osserva di nascosto mentre si fa il bagno in mare con Marge, la fidanzata, (significativa è proprio questa sequenza, dove Tom, dizionario italiano alla mano, sta scrutando la coppietta americana con un binocolo: vediamo una soggettiva del protagonista puntata sul volto di Dickie, mentre la sua voce ripete in italiano “questa è la mia faccia”). Oliver buca la gomma della bicicletta di Felix per entrarci in contatto, finge di non avere abbastanza soldi per pagare un giro di shottini a tutti gli amici del pub così da intenerire l’amico, che infatti gli eviterà l’umiliazione con i compagni, gli mente sulla sua famiglia per impietosirlo e nasconde la verità su Venetia per evitare la sua gelosia e seminare il dubbio sull’onestà del cugino Farleigh. Entrare in contatto con la cosa amata significa dunque sacrificare una certa parte di sé e mettersi addosso una vera e propria maschera.
Della morte e dell'amore
Le storie di Tom e Oliver, come abbiamo ampiamente detto, sono storie d’amore. Ma il sentiero è impervio, e ciò che la loro strategia menzognera porta con sé è una scia di morte e sofferenza. C’è anzitutto da sottolineare che a rendere esclusivo il rapporto nelle due coppie è la morte di qualcuno: Dickie e Tom si riavvicinano dopo che viene ritrovato il corpo di Silvana, umile donna che tradiva il compagno con il ricco newyorkese, finché non è rimasta incinta di quest’ultimo. In Saltburn, invece, Oliver racconterà a Felix della presunta morte del padre, impietosendo l’amico dopo che avevano avuto uno screzio apparentemente insolvibile. Purtroppo, però, la tragedia è anche ciò che sfalda definitivamente queste relazioni: infatti, la decisione di uccidere Dickie e Felix viene presa solo dopo che questi hanno scoperto la menzogna di cui si nutre l’amore nei loro confronti (Dickie dirà a Tom: “E tu chi sei, eh? [...] Mi fai venire i brividi, tu mi fai venire i brividi!”; Felix dirà a Oliver: “Non so cosa sei, però ti ho capito. Oliver, tu mi fai gelare il sangue cazzo!”), escludendo ogni speranza di ricomporre l’idillio iniziale.
La morte, l’omicidio, diventa dunque quell’atto estremo che colma la distanza tra il protagonista è ciò che ama: Tom sperava di fare progetti a lungo a termine assieme a Dickie, ma, dopo essere stato ripudiato, lo uccide e ne abbraccia il cadavere prima di sbarazzarsene; Oliver voleva soltanto l’amicizia di Felix, e dopo averlo ucciso farà l’amore con il tumulo di terra in cui è sepolto. C’è chiaramente un’incompatibilità tra le due facce di quella che si spererebbe essere una medaglia. Finché entrambi i membri della coppia sono in vita, qualcosa li divide: non è solo una questione di sentimenti e tensioni erotiche, ma soprattutto di costume. Sia Tom che Oliver devono accettare un preciso ordine delle cose, un vero e proprio galateo per ricchi: il primo deve fare i conti con tutte quelle abitudini sfrenate a cui non pare essere affatto interessato (preferisce leggere un libro a un bagno in mare, di Roma lo incantano i fasti, preferisce spendere i soldi per un frigorifero invece che per una Cinquecento), il secondo deve imparare e rispettare tutti i rituali della vita nella fastosa magione (il dress code per le cene, il self service per la colazione, dialogare prima con la persona alla propria destra mentre si è a tavola...).
E tutto questo è essenziale, altrimenti si rischia di diventare noiosi e di essere messi da parte (Dickie sarà molto esplicito a riguardo, quando poco prima di morire dirà: “Tu puoi essere una piattola. Sai essere molto noioso: tu vuoi essere proprio noioso”; nel caso di Saltburn, è la triste vicenda di Pamela a colpire e ad ammonire Oliver). Insomma, amore e morte corrono assieme sullo stesso binario, sono un binomio inscindibile. E ciò è proprio dovuto all’attenersi a una logica che esclude la sincerità, o che la fa scivolare irrimediabilmente in secondo piano.
Ossessione e perversione
In tutto ciò, qual è la prospettiva, la visione che nutre questo amore? Prendiamo come esempio alcune scene rivelatrici. Nel film di Minghella: mentre Dickie e Marge discutono sulla breve permanenza di Tom presso la loro villa, il protagonista origlia la conversazione, poi apre una scatola di accessori di inestimabile valore e se li prova di nascosto davanti a uno specchio, ripetendo come un pappagallo quello che Dickie sta dicendo alla compagna. In un’altra scena, di poco successiva, vediamo una soggettiva di Tom che punta in dettaglio sull’anello indossato al mignolo da Dickie, e mentre il discorso verte su altro esclamerà: “Quell’anello è stupendo!”. C’è poi la sequenza della vasca da bagno: Tom e Dickie stanno giocando a scacchi; alcuni istanti dopo Tom chiederà a Dickie di poter entrare nella vasca. L’amico lo guarda sorpreso per una manciata di secondi, con sguardo quasi di sfida, e lo ammonisce con un “no”. Al che Tom subito risponde “non intendevo insieme a te” (anche se è innegabile che il protagonista sia attratto dall’amico, di cui poi ammirerà il corpo nudo attraverso uno specchietto). Ultima sequenza fondamentale è quella che segue il rientro dalla gita a Roma: Tom sta ballando e cantando in camera di Dickie con i suoi vestiti addosso. Appena scopre che l’amico lo sta fissando sconvolto, si nasconde mortificato dietro a uno specchio che simbolicamente fa coincidere il corpo del protagonista con quello di Dickie. Questo evento sarà la goccia che fa traboccare il vaso.
Passiamo adesso a Saltburn. Anche qui va evidenziata in particolare una scena che si svolge in una vasca da bagno: Felix si sta masturbando ma non si premura affatto di chiudere la porta che comunica con la camera di Oliver, geme per il piacere e con nonchalance svuota la vasca mentre il suo amico è lì a lavarsi i denti. Non appena torna nella sua stanza, Oliver entra nella vasca e inizia a leccare e succhiare l’acqua di scolo, dov’è rimasto presumibilmente lo sperma di Felix. In un’altra scena il protagonista fa del sesso orale con Venetia, “bevendone” il sangue mestruale (ci scherzerà su durante il flirt definendosi un vampiro). Subito dopo lo rivediamo immerso nell’acqua della vasca, con la bocca tutta rossa che ricrea un sorriso molto familiare (quello iconico del Joker). Poco dopo si concederà sessualmente anche a Farleigh, vera spina nel fianco che cerca sistematicamente di umiliarlo davanti a chiunque. Non dimentichiamoci, inoltre, la sequenza del rapporto amoroso che Oliver intratterrà con la tomba di Felix.
Da quanto appena argomentato, si evince una peculiarità inequivocabile: Tom Ripley, al di là dell’amore che prova per Dickie, non ha mai posseduto alcun tipo di ricchezza (fa più lavori per mantenersi e vive in uno squallido appartamento periferico a New York). Dunque, ciò che lo affascina è soprattutto il lusso materiale, la vita economicamente agiata e spensierata. Perciò il suo obiettivo è sostituirsi a Dickie solo per averne gli accessori, le case e lo stile di vita. Non vorrebbe affatto assumerne l’identità, come poi avviene per poter continuare a incassare gli assegni che arrivano dall’America.
Oliver invece è molto più perverso; lui vuole avere lo status, la popolarità di Felix e dei suoi parenti assorbendoli, divorandoli dall’interno: come poi scopriremo, non gli è mai mancato alcun agio materiale, e quello che fa è solo per poter essere parte di un eccesso, di un costume che più volte gli viene rinfacciato per umiliarlo. Lui ripudia la banalità, e dedica tutte le sue energie alla creazione pseudo-artistica di una performance che possa farlo sentire accettato da persone spavalde e annoiate, che odiano la bruttezza e non hanno sete di conoscenza (tenete bene a mente il discorso che Oliver farà a Felix nel labirinto). Non è il lusso di Saltburn ciò che lui vuole per davvero, ma la sua essenza, la sua sostanza (e questo ci viene preannunciato significativamente dal breve dibattito sulla forma e il contenuto di un saggio di cui lui e Farleigh discuteranno di fronte al loro tutore accademico). E a tal proposito, la metafora finale del film è alquanto spietata e chiara: l’iconico balletto di Oliver nudo dentro l’enorme castello ci fa capire che il suo abito non è lo stesso di Tom (l’avere addosso una giacca o una cravatta dell’amico), ma la casa stessa, con tutto il suo portamento storico e monumentale.
Presenze scomode
Questo percorso trasformativo passa anche per tutte quelle persone che circondano Dickie e Felix. I due film ci spiegano abbastanza chiaramente che Tom e Oliver non sono gli unici che puntano ai loro stessi obiettivi: Freddie e Farleigh ne sono il chiaro esempio. Non è casuale che il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffman entri in gioco proprio durante la gita a Roma, quando Tom finisce irrimediabilmente per annoiare tutti con le sue voglie e i suoi programmi. Freddie riesce a catturare l’attenzione perché meglio del protagonista incarna tutta quella vacuità a cui Dickie ambisce, viene dal suo stesso background, ne conosce e ne condivide i problemi e le velleità. E subito diventa una presenza ostile nei confronti di Tom, tant’è che riesce a farlo escludere dalla lista degli invitati a Cortina per il Natale. Farleigh è invece un consanguineo di Felix, e non tollera la presenza di Oliver non solo per il fatto di essere uno snob, ma anche perché si trova economicamente in cattive acque, e vedere un altro ragazzo che riesce ad allisciarsi Felix meglio di lui lo manda in bestia. Perché questi due personaggi sono determinanti nella narrazione? Sia Freddie che Farleigh cercano sempre di mettere in dubbio la presenza del protagonista, soprattutto attraverso quel meccanismo che fa precipitare irrimediabilmente la situazione: l’umiliazione. Due sequenze segnano l’apoteosi di questo processo, una per film.
Nel film di Minghella, dopo essere tornato da Roma, Tom viene sorpreso da Dickie con indosso i suoi vestiti. Sentendosi mortificato, Tom chiede esplicitamente all’amico di non dire a nessuno quanto ha visto; ma la mattina dopo, a colazione, Freddie, alla presenza degli altri, dirà a Tom: “Sai, vorrei farlo io questo tuo lavoro, Tommy. Vivi in Italia, e poi tu stai a casa di Dickie, mangi a casa sua, ti metti i suoi vestiti e il conto lo paga suo padre. Guarda, se vuoi il cambio, fammelo sapere. Lo faccio io!”. Questo momento segna una rottura profonda, che la successiva morte di Silvana risanerà solo parzialmente. E infatti lo stesso Dickie farà tesoro di questo dialogo quando, mentre sono a Sanremo, dirà a Tom: “Ti conoscevo a Princeton, Tom? Penso proprio di no, vero? Secondo me, tu non ci sei andato! Tu sei una persona di gran gusto. Tutti i bifolchi di Princeton hanno provato di tutto e non conoscono niente! Ed è vero che ti piace il jazz, o era solo a mio beneficio?”.
In Saltburn, a fare da contraltare c’è la scena del karaoke. È appena terminata la cena, con parecchi invitati, tutti amici di famiglia. Per proseguire la serata si organizza un karaoke. Farleigh, dopo aver scambiato qualche battuta con Oliver, che si era furbescamente proposto di aiutarlo a chiedere un aiuto economico a Felix, decide di fargli cantare contro la sua volontà una canzone alquanto significativa. Il brano in questione è Rent dei Pet Shop Boys. Il suo testo parla di una relazione amorosa basata esclusivamente sul bisogno finanziario, che rende l’uno schiavo dell’altro; e Oliver, ignaro del contenuto del brano, ne canterà davanti a tutti alcune strofe, per poi realizzare l’umiliazione subita (non a caso dirà amareggiato: “è anche la tua canzone, Farleigh. Vieni a finirla…”).
Questo meccanismo di azzeramento, quasi di annichilimento della persona è un vero e proprio trigger emotivo sia per Tom che per Oliver. Freddie e Farleigh sono depositari di quella verità che stenta ad essere rivelata, di quella bugia che in qualche modo si fatica ad accettare o a riconoscere per non disturbare la quiete. Anche questo, come già anticipato, è a suo modo un meccanismo nocivo, che non deriva dalle azioni dei protagonisti ma dall’ipocrisia stessa delle persone con cui entrano in contatto. E per tutta risposta questa dinamica si riversa contro chi la alimenta: il padre di Dickie accetterà la versione di Tom pur di non infangare il nome della propria famiglia, mentre Oliver diventerà il futuro padrone della reggia di Saltburn perché serve qualcuno che sia disposto a evitarne la decadenza.
Chi sono davvero Tom Ripley e Oliver Quick?
Non resta adesso che dedicarci alla parte più importante di tutta la nostra argomentazione: chi sono Tom e Oliver? Entrambi i film ci lasceranno con più dubbi di quanti ne avessimo all’inizio, e la risposta alla nostra domanda viene fuori solo se ci concentriamo su un’altra questione, esclusivamente morale.
Come si evince, oltretutto, dai titoli stessi dei due lavori, The Talented Mr. Ripley intraprende una riflessione su quanto sia giusto o sbagliato sacrificare se stessi per mera vanità, costruendo un personaggio che alla fine della storia sa ancora mettersi in dubbio e capire che quanto ha commesso è profondamente sbagliato, oltreché senza lieto fine (“Quante bugie su chi sono io veramente, su dove sono. E nessuno riuscirà mai a trovarmi. Ho sempre creduto molto meglio essere un falso qualcuno, che un’autentica nullità.”). Tom è una persona che si dà da fare, che sa cogliere le occasioni e che sa ottenere con astuzia i risultati; si reinventa sulla base delle sue necessità. Ma finisce per scambiare il suo vero obiettivo con qualcos’altro, con un oggetto che luccica soltanto finché si resta a guardarlo, opacizzandosi non appena viene toccato con le dita sporche. E questa sfocatura mentale causa una perdita di lucidità nei momenti di difficoltà, che vengono quindi risolti nel più atroce dei modi.
Saltburn invece è un programma ben preciso. Oliver è un genio del male, che premedita quasi ogni cosa e che è disposto a tutto pur di avere ciò che vuole. Alla fine della sua vicenda lui è fiero, felice di quello che ha fatto. E non c’è dilemma morale che possa toccarlo: in fondo, ha soltanto preso il posto di persone viscide e boriose (ma aveva il diritto di farlo?). Sprizza gioia da tutti i pori perché il suo piano è andato a buon fine, perché il suo metodo si è rivelato vincente. Mentre Tom diventa vittima del suo stesso gioco, Oliver è un ingordo che aspira al massimo , senza preoccuparsi di chi si frappone tra lui e il suo obiettivo finale. E infatti alla fine lui balla, si diverte e si compiace di se stesso (“Credi che si sia trattato davvero di disgrazia, Elspeth? Non lo so… Le disgrazie sono per le persone come te, ma per tutti quanti noi c’è il lavoro. E al contrario di te io so cosa vuol dire lavorare”). Oliver nasce dall’agio che Tom si è creato con le sue mani insanguinate, ma ciò non gli basta: vuole di più.
Ciò che accomuna Tom e Oliver è dunque un’etica del lavoro, per cui entrambi sanno cosa significa faticare per ottenere un risultato, pur provenendo da contesti diversi e dunque avendo anche obiettivi diversi. Credono che l’amore possa aiutarli a vivere, a colmare la distanza che sentono rispetto agli altri, ma poi vengono traditi, offesi e umiliati nonostante i loro sforzi. Quindi non resta che prendersi tutto a modo proprio, infrangendo le regole. Se c’è da trovare una continuità, un fil rouge che unisca queste due narrazioni, allora quella è la capacità di saper interrogare e giudicare adeguatamente le proprie azioni. In venticinque anni che sono intercorsi tra questi due capolavori sono successe fin troppe cose, e la moralità delle persone pare essersi dissolta progressivamente. Forse la Fennell ci sta dicendo che non siamo più capaci di porci certi problemi? Forse sta accusando quella cieca avidità che ci porta a scambiare per oro tutto quello che luccica? Le interpretazioni possono essere tante e diverse, ma sicuramente non si può fare a meno di notare questo abisso. Quali altre prospettive abbiamo? Non ci è dato rispondere a questa domanda, ma una cosa è certa: nessuno saprà mai chi sono Tom Ripley e Oliver Quick.
Le dinamiche narrative di Saltburn e
Il talento di Mr. Ripley a confronto,
di Mattia Cirilli
TR-93
27.01.2024
Saltburn è l’ultimo, scalpitante lavoro dell’attrice, sceneggiatrice e regista britannica Emerald Fennell, già protagonista assoluta dietro la macchina da presa con il suo esordio, Promising Young Woman (Una donna promettente, 2020).
Il film, uscito in Italia direttamente sulla piattaforma Prime Video il 23 dicembre 2023, ha fatto altamente discutere di sé, diventando presto un trendsetter sui social non solo grazie a un cast fascinoso e ad un’ardita sceneggiatura (la cui apoteosi è tutta nel finale), ma anche per merito della sua fotografia, a metà tra vintage e glamour, e di una colonna sonora che tutt’ora impazza nelle fantasiose coreografie di tantissimi reels. Siamo perciò di fronte a un prodotto culturale che ha lasciato in brevissimo tempo una traccia profonda nelle nostre menti. E un adeguato approfondimento delle sue peculiarità gioverebbe alla comprensione di chiunque lo ha visto, specialmente alla luce del profondo sottotesto che si cela dietro a una trama apparentemente spicciola.
Tuttavia, nel presente articolo non si tratterà di recensire nuovamente Saltburn o di alimentare una discussione fine a se stessa, affatto. Ciò che riguarderà i prossimi paragrafi è la volontà di stabilire un forte parallelismo con un altro storico film, all’epoca non altrettanto discusso e ormai venticinquenne: The Talented Mr. Ripley (Il talento di Mr. Ripley, 1999) diretto da Anthony Minghella (cineasta, anch’esso, di origine britannica). L’opera di Minghella, vincitore del premio Oscar grazie a The English Patient (Il paziente inglese, 1996), ha moltissimi punti in comune con il lungometraggio della Fennell, ma anche altrettante divergenze. Queste potrebbero aiutarci a capire meglio la filosofia di Saltburn e a vedere cos’è cambiato lungo un quarto di secolo rispetto a quello che è ormai un vero e proprio topos narrativo, che ha sempre trovato ampio spazio nell’arte - si pensi anche solo a Teorema (1968) di Pasolini o alle molte opere drammaturgiche in cui figura un ospite inquietante e controverso.
Stabilire questo paragone non è affatto una questione di necessità (nulla vi impedirà di fruire e apprezzare entrambi i film separatamente), quanto più di curiosità e attrazione, così come i due protagonisti Oliver Quick e Tom Ripley sono attratti irrimediabilmente da una dimensione mondana che parrebbe essersi dimenticata completamente di loro. Ma noi di loro non ci siamo dimenticati affatto. Nei prossimi paragrafi analizzeremo sistematicamente alcuni degli aspetti stilistico-narrativi dei lavori succitati, isolandoli in opportuni capitoletti così da poter fare chiarezza ed evitare ogni possibile equivoco. Ma andiamo con ordine (spoiler alert!).
Le trame e le muse ispiratrici
Fin dal principio, Saltburn e The Talented Mr. Ripley presentano una trama molto simile. In tutti e due abbiamo un giovane protagonista maschile che si ritrova progressivamente avvolto da un vortice di mondanità sfrenata, che ne cattura senza rimedio la volontà e il destino. Entrambe le storie sono tratte da opere letterarie: nel caso del film di Minghella, la sceneggiatura è il quasi-fedele adattamento dell’omonimo romanzo di Patricia Highsmith (1955), mentre quella di Fennell è liberamente basata sulla novella del 1945 Ritorno a Brideshead di Evelyn Waugh (lo sappiamo proprio grazie a un discorso che Oliver e Felix faranno su tale autore poco dopo l’avvio della narrazione). I due libri, così come poi i film, mettono l’accento su questa dinamica intrusiva del personaggio, vero e proprio ospite impertinente di una famiglia benestante. Ma a questo punto subentra una grossa differenza: mentre il libro di Waugh è una saga familiare intrisa di Cristianesimo, di cui il protagonista si fa quasi mero spettatore, Saltburn si attiene invece al modello impostato da Minghella nel suo film: c’è dunque una chiara volontà di raccontare esclusivamente Oliver, la sua ossessione per quella voluttà estrema e la sua spietatezza nel cercare di ottenerla.
Argomentato ciò, focalizziamo ora l’attenzione sul racconto filmico: entrambe le narrazioni cominciano con delle premesse dirette del personaggio. Tom ci viene mostrato così come lo ritroveremo alla fine del film, con un fade-in a frammenti che disvelano l’immagine pezzo dopo pezzo. Lo vediamo assorto, mentre la luce ne oscura metà faccia. A questo punto si introduce in voice over, ponendo fin da subito l’accento sul fatto che tutta la sua assurda vicenda deriva dall’aver casualmente sostituito come pianista un amico infortunato, indossandone addirittura la giacca con il logo del college di Princeton, ad una festa privata. È proprio quella giacca il dettaglio che catturerà l’attenzione del ricchissimo industriale Herbert Greenleaf.
Anche Oliver si fa subito narratore delle sue peripezie: dopo essersi acceso una sigaretta, inizia a rivolgersi direttamente allo spettatore. È ben vestito e sicuro di sé. Subito la sua voce diventa over, mentre lo schermo dà inizio a un breve supercut che riassume tutto il film. Questa volta però non si tratta di una casualità: infatti, Oliver, ben più freddo e consapevole, subito preannuncia che al centro della sua vicenda c’è l’amore/odio per l’amico Felix. A parte queste differenze narrative, entrambi i film sono due flashback che cercano di ricostruire l’identità del personaggio partendo dal suo stesso racconto.
Una piccola nota, ma molto importante: anche il racconto per immagini di Oliver ha inizio da una vicenda universitaria; ma se per Tom si trattava di un equivoco (lui infatti non ha mai avuto l’opportunità, soprattutto economica, di frequentare Princeton), Oliver è invece studente di Oxford, la più prestigiosa università d’Inghilterra. Non solo: appena entrato nel chiostro del college, Oliver verrà deriso dal cugino di Felix proprio per la giacca che indossa.
L'oggetto del desiderio e il suo contesto
Arriviamo adesso a un aspetto essenziale di entrambi i film: l’oggetto del desiderio di Tom e Oliver. Per tutti e due la dimensione mondana e sfrenata viene incarnata da un attraente corpo maschile (quelli di Jude Law nei panni di Dickie Greenleaf e di Jacob Elordi nelle vesti di Felix Catton). Sia l’uno che l’altro costringono il protagonista a un forte spostamento fisico e socioculturale: Tom andrà in Italia, dipinta come un paese sensuale e selvaggio, ma allo stesso tempo ricolmo di una magnificenza artistica che racchiude in sé qualcosa di mortifero; Oliver trascorrerà l’estate a Saltburn (la sfarzosissima Drayton House, reggia del XVII secolo), un tempio di piaceri che si rivelerà anch’esso pieno di Storia e arte (Felix, durante il tour della dimora, indicherà uno scaffale dov’è tenuto il First Folio di Shakespeare).
Dickie ha studiato a Princeton, Felix è uno studente di Oxford. Entrambi sono i discendenti di famiglie ricche e potenti, ma che vivono la propria boriosa ascendenza con tedio, contestandone con forza i costumi. Sono capricciosi, svogliati e viziati: credono che Tom e Oliver possano tranquillamente assecondare ogni loro volontà, e infatti non ne tollerano per niente la metodicità e le prese di posizione (Dickie inizierà a staccarsi da Tom per colpa della sua meticolosità quasi genitoriale durante una gita a Roma, e sbotterà con lui mentre cerca di rimettere in ordine la casa di Mongibello poco dopo la morte di Silvana; Felix litigherà la prima volta con Oliver proprio mentre quest’ultimo gli rimprovera il disordine della camera da letto).
D’altro canto, Tom e Oliver sono persone diligenti, argute, che fin dall’inizio dimostrano di essere piene di interessi, talenti e ambizioni; mentre Dickie e Felix vorrebbero soltanto un giocattolo con cui passare il tempo. Per loro i due protagonisti sono rispettivamente un amico con cui condividere liberamente il proprio stile di vita e un ragazzo sfortunato la cui triste vicenda merita attenzione poichè allevia la noia (“Lui è simpatico, mi fa ridere.” dirà Dickie di Tom; “Sei una cazzo di ispirazione per me, sul serio. Sei troppo fico!” dirà invece Felix a Oliver).
È la necessità di alimentare il loro bisogno di attenzione su di sé, mentre odiano sentirsi in difetto o investiti di una benché minima responsabilità (e a dimostrazione di ciò ci pensa soprattutto il loro atteggiamento sconsiderato verso le donne). Avere al loro fianco una persona interessante ma “stilisticamente” inferiore è motivo di autocompiacimento, di vanità (Tom segue l’amico ovunque e ne assorbe le passioni; mentre Oliver, tra le altre cose, è costretto a interrompere il flirt con Venetia, sorella di Felix, perché quest’ultimo si sente messo da parte). L’oggetto del desiderio può mantenere il suo statuto solo se c’è qualcuno disposto a bramarlo avidamente, e questo può avvenire anche attraverso la provocazione (Dickie che esce completamente nudo dalla vasca da bagno davanti a Tom o Felix che succhia un ghiacciolo davanti a Oliver mentre legge un libro o si masturba con la porta socchiusa nella vasca da bagno).
Come viene vissuto questo rapporto quasi morboso dai due protagonisti? C’è anzitutto una cosa che caratterizza la relazione amorosa, omoerotica, con Dickie e Felix: la menzogna. Tom Ripley, pianista brillante, coglierà l’occasione della giacca di Princeton spacciandosi per un ex studente di quell’ateneo e accettando l’incarico assegnatogli dal magnate Herbert Greenleaf dietro una ricompensa in denaro. Oliver, studente brillante, fingerà di essere disastrato economicamente e con una famiglia disfunzionale.
L’amore li spinge dunque a una progressiva trasformazione identitaria: Tom studia tutto ciò che c’è da sapere su Dickie, impara a memoria le canzoni jazz, il suo genere preferito, lo segue in qualsiasi avventura, si fa insegnare a manovrare una barca e lo osserva di nascosto mentre si fa il bagno in mare con Marge, la fidanzata, (significativa è proprio questa sequenza, dove Tom, dizionario italiano alla mano, sta scrutando la coppietta americana con un binocolo: vediamo una soggettiva del protagonista puntata sul volto di Dickie, mentre la sua voce ripete in italiano “questa è la mia faccia”). Oliver buca la gomma della bicicletta di Felix per entrarci in contatto, finge di non avere abbastanza soldi per pagare un giro di shottini a tutti gli amici del pub così da intenerire l’amico, che infatti gli eviterà l’umiliazione con i compagni, gli mente sulla sua famiglia per impietosirlo e nasconde la verità su Venetia per evitare la sua gelosia e seminare il dubbio sull’onestà del cugino Farleigh. Entrare in contatto con la cosa amata significa dunque sacrificare una certa parte di sé e mettersi addosso una vera e propria maschera.
Della morte e dell'amore
Le storie di Tom e Oliver, come abbiamo ampiamente detto, sono storie d’amore. Ma il sentiero è impervio, e ciò che la loro strategia menzognera porta con sé è una scia di morte e sofferenza. C’è anzitutto da sottolineare che a rendere esclusivo il rapporto nelle due coppie è la morte di qualcuno: Dickie e Tom si riavvicinano dopo che viene ritrovato il corpo di Silvana, umile donna che tradiva il compagno con il ricco newyorkese, finché non è rimasta incinta di quest’ultimo. In Saltburn, invece, Oliver racconterà a Felix della presunta morte del padre, impietosendo l’amico dopo che avevano avuto uno screzio apparentemente insolvibile. Purtroppo, però, la tragedia è anche ciò che sfalda definitivamente queste relazioni: infatti, la decisione di uccidere Dickie e Felix viene presa solo dopo che questi hanno scoperto la menzogna di cui si nutre l’amore nei loro confronti (Dickie dirà a Tom: “E tu chi sei, eh? [...] Mi fai venire i brividi, tu mi fai venire i brividi!”; Felix dirà a Oliver: “Non so cosa sei, però ti ho capito. Oliver, tu mi fai gelare il sangue cazzo!”), escludendo ogni speranza di ricomporre l’idillio iniziale.
La morte, l’omicidio, diventa dunque quell’atto estremo che colma la distanza tra il protagonista è ciò che ama: Tom sperava di fare progetti a lungo a termine assieme a Dickie, ma, dopo essere stato ripudiato, lo uccide e ne abbraccia il cadavere prima di sbarazzarsene; Oliver voleva soltanto l’amicizia di Felix, e dopo averlo ucciso farà l’amore con il tumulo di terra in cui è sepolto. C’è chiaramente un’incompatibilità tra le due facce di quella che si spererebbe essere una medaglia. Finché entrambi i membri della coppia sono in vita, qualcosa li divide: non è solo una questione di sentimenti e tensioni erotiche, ma soprattutto di costume. Sia Tom che Oliver devono accettare un preciso ordine delle cose, un vero e proprio galateo per ricchi: il primo deve fare i conti con tutte quelle abitudini sfrenate a cui non pare essere affatto interessato (preferisce leggere un libro a un bagno in mare, di Roma lo incantano i fasti, preferisce spendere i soldi per un frigorifero invece che per una Cinquecento), il secondo deve imparare e rispettare tutti i rituali della vita nella fastosa magione (il dress code per le cene, il self service per la colazione, dialogare prima con la persona alla propria destra mentre si è a tavola...).
E tutto questo è essenziale, altrimenti si rischia di diventare noiosi e di essere messi da parte (Dickie sarà molto esplicito a riguardo, quando poco prima di morire dirà: “Tu puoi essere una piattola. Sai essere molto noioso: tu vuoi essere proprio noioso”; nel caso di Saltburn, è la triste vicenda di Pamela a colpire e ad ammonire Oliver). Insomma, amore e morte corrono assieme sullo stesso binario, sono un binomio inscindibile. E ciò è proprio dovuto all’attenersi a una logica che esclude la sincerità, o che la fa scivolare irrimediabilmente in secondo piano.
Ossessione e perversione
In tutto ciò, qual è la prospettiva, la visione che nutre questo amore? Prendiamo come esempio alcune scene rivelatrici. Nel film di Minghella: mentre Dickie e Marge discutono sulla breve permanenza di Tom presso la loro villa, il protagonista origlia la conversazione, poi apre una scatola di accessori di inestimabile valore e se li prova di nascosto davanti a uno specchio, ripetendo come un pappagallo quello che Dickie sta dicendo alla compagna. In un’altra scena, di poco successiva, vediamo una soggettiva di Tom che punta in dettaglio sull’anello indossato al mignolo da Dickie, e mentre il discorso verte su altro esclamerà: “Quell’anello è stupendo!”. C’è poi la sequenza della vasca da bagno: Tom e Dickie stanno giocando a scacchi; alcuni istanti dopo Tom chiederà a Dickie di poter entrare nella vasca. L’amico lo guarda sorpreso per una manciata di secondi, con sguardo quasi di sfida, e lo ammonisce con un “no”. Al che Tom subito risponde “non intendevo insieme a te” (anche se è innegabile che il protagonista sia attratto dall’amico, di cui poi ammirerà il corpo nudo attraverso uno specchietto). Ultima sequenza fondamentale è quella che segue il rientro dalla gita a Roma: Tom sta ballando e cantando in camera di Dickie con i suoi vestiti addosso. Appena scopre che l’amico lo sta fissando sconvolto, si nasconde mortificato dietro a uno specchio che simbolicamente fa coincidere il corpo del protagonista con quello di Dickie. Questo evento sarà la goccia che fa traboccare il vaso.
Passiamo adesso a Saltburn. Anche qui va evidenziata in particolare una scena che si svolge in una vasca da bagno: Felix si sta masturbando ma non si premura affatto di chiudere la porta che comunica con la camera di Oliver, geme per il piacere e con nonchalance svuota la vasca mentre il suo amico è lì a lavarsi i denti. Non appena torna nella sua stanza, Oliver entra nella vasca e inizia a leccare e succhiare l’acqua di scolo, dov’è rimasto presumibilmente lo sperma di Felix. In un’altra scena il protagonista fa del sesso orale con Venetia, “bevendone” il sangue mestruale (ci scherzerà su durante il flirt definendosi un vampiro). Subito dopo lo rivediamo immerso nell’acqua della vasca, con la bocca tutta rossa che ricrea un sorriso molto familiare (quello iconico del Joker). Poco dopo si concederà sessualmente anche a Farleigh, vera spina nel fianco che cerca sistematicamente di umiliarlo davanti a chiunque. Non dimentichiamoci, inoltre, la sequenza del rapporto amoroso che Oliver intratterrà con la tomba di Felix.
Da quanto appena argomentato, si evince una peculiarità inequivocabile: Tom Ripley, al di là dell’amore che prova per Dickie, non ha mai posseduto alcun tipo di ricchezza (fa più lavori per mantenersi e vive in uno squallido appartamento periferico a New York). Dunque, ciò che lo affascina è soprattutto il lusso materiale, la vita economicamente agiata e spensierata. Perciò il suo obiettivo è sostituirsi a Dickie solo per averne gli accessori, le case e lo stile di vita. Non vorrebbe affatto assumerne l’identità, come poi avviene per poter continuare a incassare gli assegni che arrivano dall’America.
Oliver invece è molto più perverso; lui vuole avere lo status, la popolarità di Felix e dei suoi parenti assorbendoli, divorandoli dall’interno: come poi scopriremo, non gli è mai mancato alcun agio materiale, e quello che fa è solo per poter essere parte di un eccesso, di un costume che più volte gli viene rinfacciato per umiliarlo. Lui ripudia la banalità, e dedica tutte le sue energie alla creazione pseudo-artistica di una performance che possa farlo sentire accettato da persone spavalde e annoiate, che odiano la bruttezza e non hanno sete di conoscenza (tenete bene a mente il discorso che Oliver farà a Felix nel labirinto). Non è il lusso di Saltburn ciò che lui vuole per davvero, ma la sua essenza, la sua sostanza (e questo ci viene preannunciato significativamente dal breve dibattito sulla forma e il contenuto di un saggio di cui lui e Farleigh discuteranno di fronte al loro tutore accademico). E a tal proposito, la metafora finale del film è alquanto spietata e chiara: l’iconico balletto di Oliver nudo dentro l’enorme castello ci fa capire che il suo abito non è lo stesso di Tom (l’avere addosso una giacca o una cravatta dell’amico), ma la casa stessa, con tutto il suo portamento storico e monumentale.
Presenze scomode
Questo percorso trasformativo passa anche per tutte quelle persone che circondano Dickie e Felix. I due film ci spiegano abbastanza chiaramente che Tom e Oliver non sono gli unici che puntano ai loro stessi obiettivi: Freddie e Farleigh ne sono il chiaro esempio. Non è casuale che il personaggio interpretato da Philip Seymour Hoffman entri in gioco proprio durante la gita a Roma, quando Tom finisce irrimediabilmente per annoiare tutti con le sue voglie e i suoi programmi. Freddie riesce a catturare l’attenzione perché meglio del protagonista incarna tutta quella vacuità a cui Dickie ambisce, viene dal suo stesso background, ne conosce e ne condivide i problemi e le velleità. E subito diventa una presenza ostile nei confronti di Tom, tant’è che riesce a farlo escludere dalla lista degli invitati a Cortina per il Natale. Farleigh è invece un consanguineo di Felix, e non tollera la presenza di Oliver non solo per il fatto di essere uno snob, ma anche perché si trova economicamente in cattive acque, e vedere un altro ragazzo che riesce ad allisciarsi Felix meglio di lui lo manda in bestia. Perché questi due personaggi sono determinanti nella narrazione? Sia Freddie che Farleigh cercano sempre di mettere in dubbio la presenza del protagonista, soprattutto attraverso quel meccanismo che fa precipitare irrimediabilmente la situazione: l’umiliazione. Due sequenze segnano l’apoteosi di questo processo, una per film.
Nel film di Minghella, dopo essere tornato da Roma, Tom viene sorpreso da Dickie con indosso i suoi vestiti. Sentendosi mortificato, Tom chiede esplicitamente all’amico di non dire a nessuno quanto ha visto; ma la mattina dopo, a colazione, Freddie, alla presenza degli altri, dirà a Tom: “Sai, vorrei farlo io questo tuo lavoro, Tommy. Vivi in Italia, e poi tu stai a casa di Dickie, mangi a casa sua, ti metti i suoi vestiti e il conto lo paga suo padre. Guarda, se vuoi il cambio, fammelo sapere. Lo faccio io!”. Questo momento segna una rottura profonda, che la successiva morte di Silvana risanerà solo parzialmente. E infatti lo stesso Dickie farà tesoro di questo dialogo quando, mentre sono a Sanremo, dirà a Tom: “Ti conoscevo a Princeton, Tom? Penso proprio di no, vero? Secondo me, tu non ci sei andato! Tu sei una persona di gran gusto. Tutti i bifolchi di Princeton hanno provato di tutto e non conoscono niente! Ed è vero che ti piace il jazz, o era solo a mio beneficio?”.
In Saltburn, a fare da contraltare c’è la scena del karaoke. È appena terminata la cena, con parecchi invitati, tutti amici di famiglia. Per proseguire la serata si organizza un karaoke. Farleigh, dopo aver scambiato qualche battuta con Oliver, che si era furbescamente proposto di aiutarlo a chiedere un aiuto economico a Felix, decide di fargli cantare contro la sua volontà una canzone alquanto significativa. Il brano in questione è Rent dei Pet Shop Boys. Il suo testo parla di una relazione amorosa basata esclusivamente sul bisogno finanziario, che rende l’uno schiavo dell’altro; e Oliver, ignaro del contenuto del brano, ne canterà davanti a tutti alcune strofe, per poi realizzare l’umiliazione subita (non a caso dirà amareggiato: “è anche la tua canzone, Farleigh. Vieni a finirla…”).
Questo meccanismo di azzeramento, quasi di annichilimento della persona è un vero e proprio trigger emotivo sia per Tom che per Oliver. Freddie e Farleigh sono depositari di quella verità che stenta ad essere rivelata, di quella bugia che in qualche modo si fatica ad accettare o a riconoscere per non disturbare la quiete. Anche questo, come già anticipato, è a suo modo un meccanismo nocivo, che non deriva dalle azioni dei protagonisti ma dall’ipocrisia stessa delle persone con cui entrano in contatto. E per tutta risposta questa dinamica si riversa contro chi la alimenta: il padre di Dickie accetterà la versione di Tom pur di non infangare il nome della propria famiglia, mentre Oliver diventerà il futuro padrone della reggia di Saltburn perché serve qualcuno che sia disposto a evitarne la decadenza.
Chi sono davvero Tom Ripley e Oliver Quick?
Non resta adesso che dedicarci alla parte più importante di tutta la nostra argomentazione: chi sono Tom e Oliver? Entrambi i film ci lasceranno con più dubbi di quanti ne avessimo all’inizio, e la risposta alla nostra domanda viene fuori solo se ci concentriamo su un’altra questione, esclusivamente morale.
Come si evince, oltretutto, dai titoli stessi dei due lavori, The Talented Mr. Ripley intraprende una riflessione su quanto sia giusto o sbagliato sacrificare se stessi per mera vanità, costruendo un personaggio che alla fine della storia sa ancora mettersi in dubbio e capire che quanto ha commesso è profondamente sbagliato, oltreché senza lieto fine (“Quante bugie su chi sono io veramente, su dove sono. E nessuno riuscirà mai a trovarmi. Ho sempre creduto molto meglio essere un falso qualcuno, che un’autentica nullità.”). Tom è una persona che si dà da fare, che sa cogliere le occasioni e che sa ottenere con astuzia i risultati; si reinventa sulla base delle sue necessità. Ma finisce per scambiare il suo vero obiettivo con qualcos’altro, con un oggetto che luccica soltanto finché si resta a guardarlo, opacizzandosi non appena viene toccato con le dita sporche. E questa sfocatura mentale causa una perdita di lucidità nei momenti di difficoltà, che vengono quindi risolti nel più atroce dei modi.
Saltburn invece è un programma ben preciso. Oliver è un genio del male, che premedita quasi ogni cosa e che è disposto a tutto pur di avere ciò che vuole. Alla fine della sua vicenda lui è fiero, felice di quello che ha fatto. E non c’è dilemma morale che possa toccarlo: in fondo, ha soltanto preso il posto di persone viscide e boriose (ma aveva il diritto di farlo?). Sprizza gioia da tutti i pori perché il suo piano è andato a buon fine, perché il suo metodo si è rivelato vincente. Mentre Tom diventa vittima del suo stesso gioco, Oliver è un ingordo che aspira al massimo , senza preoccuparsi di chi si frappone tra lui e il suo obiettivo finale. E infatti alla fine lui balla, si diverte e si compiace di se stesso (“Credi che si sia trattato davvero di disgrazia, Elspeth? Non lo so… Le disgrazie sono per le persone come te, ma per tutti quanti noi c’è il lavoro. E al contrario di te io so cosa vuol dire lavorare”). Oliver nasce dall’agio che Tom si è creato con le sue mani insanguinate, ma ciò non gli basta: vuole di più.
Ciò che accomuna Tom e Oliver è dunque un’etica del lavoro, per cui entrambi sanno cosa significa faticare per ottenere un risultato, pur provenendo da contesti diversi e dunque avendo anche obiettivi diversi. Credono che l’amore possa aiutarli a vivere, a colmare la distanza che sentono rispetto agli altri, ma poi vengono traditi, offesi e umiliati nonostante i loro sforzi. Quindi non resta che prendersi tutto a modo proprio, infrangendo le regole. Se c’è da trovare una continuità, un fil rouge che unisca queste due narrazioni, allora quella è la capacità di saper interrogare e giudicare adeguatamente le proprie azioni. In venticinque anni che sono intercorsi tra questi due capolavori sono successe fin troppe cose, e la moralità delle persone pare essersi dissolta progressivamente. Forse la Fennell ci sta dicendo che non siamo più capaci di porci certi problemi? Forse sta accusando quella cieca avidità che ci porta a scambiare per oro tutto quello che luccica? Le interpretazioni possono essere tante e diverse, ma sicuramente non si può fare a meno di notare questo abisso. Quali altre prospettive abbiamo? Non ci è dato rispondere a questa domanda, ma una cosa è certa: nessuno saprà mai chi sono Tom Ripley e Oliver Quick.