NC-183
16.01.2024
Questo articolo è il frutto di un approfondito brainstorming, nato dopo la visione dell'ultimo film del Maestro Hayao Miyazaki. L’opera, che in questo momento sta passando nei nostri cinema, ha raccolto consensi pressoché unanimi, ma molti spettatori hanno notato, e per tanto lamentato, una complessità notevole nell'intreccio. Il ragazzo e l'airone è un film che si presta a molteplici interpretazioni, ed è sicuramente tra i lavori più travisabili dell’autore giapponese. L'idea è quella di approcciare alla materia "miyazakiana" mediante il meccanismo della conversazione, per sviscerare man mano tutti i temi contenuti nell’opera e fantasticare anche sui possibili scenari futuri non solo dello Studio Ghibli, ma dell’animazione giapponese in generale.
Cecilia: Ciao Antonio, grazie di essere qui. Oggi facciamo un po’ stile podcast ma scritto.
Antonio: Ciao Cecilia, grazie a te.
Cecilia: Partiamo subito con l’argomento scottante che sta interessando tutto l’ambiente cinematografico, non solo giapponese ma mondiale. A dieci anni dal suo ultimo film Si alza il vento (2013), il Maestro Hayao Miyazaki, dopo aver smentito per la terza volta un suo ritiro dalle scene, è tornato al cinema con Il ragazzo e l’airone. Vuoi iniziare tu a dire qualcosa su questo film?
Antonio: Certo. Il nostro amato Miyazaki è finalmente riapparso con un’opera molto particolare, per certi versi anche anti-tetica rispetto a quanto mostrato in Si alza il vento. Il Ragazzo e l’airone si presenta come un film decisamente più auto-biografico, in cui, in qualche modo, Miyazaki stesso si focalizza, anche e soprattutto all’alba dei suoi 83 anni, su due interrogativi: quale potrebbe essere il suo lascito e che tipo di futuro potrebbe avere il cinema d’animazione giapponese e, in particolare, lo Studio Ghibli.
Cecilia: Infatti ricordiamo che il nome originale del film sarebbe 君たちはどう生きるか (Kimi-tachi wa dō ikiru ka), tradotto “E voi come vivrete?”. Qui Antonio ne sai più di me del perché di questo titolo.
Antonio: Certo. Il titolo originale è un riferimento all’omonimo libro di Genzaburō Yoshino, un romanzo che lo stesso Miyazaki ci mostra anche all’interno del film, poichè entrambi i lavori trattano di un tema praticamente identico: vale a dire la crescita dell’individuo all’interno della propria vita. E questo percorso di crescita è lo stesso che Mahito, il protagonista, intraprende all’interno della torre. Naturalmente questo porta, di per sé, a paragonare Il ragazzo e l’airone ad altri due film del Maestro. Parlo de La città incantata (2001) e di Si alza il vento. Cecilia, hai notato anche tu questa notevole “assonanza” tra i tre film?
Cecilia: Beh, possiamo dire che Miyazaki in Il ragazzo e l’airone ripercorre quasi tutta la sua cinematografia, e non solo. Sicuramente i riferimenti che saltano maggiormente all’occhio sono quelli a La città incantata e Si alza il vento, ma ad esempio c’è anche molto de Il castello errante di Howl (2004), soprattutto per lo stile d’animazione molto più dinamico e veloce in alcuni passaggi. Per quanto riguarda i lungometraggi che hai citato, forse quello che gli si avvicina maggiormente attraverso una delle tematiche “principali” - perché questo film ne presenta molte e alcune davvero complesse - è la Città incantata.
Antonio: Come hai giustamente detto, Il ragazzo e l’airone è una raccolta di tutti i punti cardine della filmografia di Miyazaki. In particolare, si può parlare de La città incantata come riferimento per vari motivi. In primis, per l’assonanza tra i due protagonisti, Mahito e Chihiro, entrambi “costretti” a confrontarsi con nuovi mondi a cui non appartengono per far fronte alla propria crescita individuale, una sorta di passaggio all’età adulta. Rispetto a La città incantata, però, in cui Miyazaki si avvale di una timbrica e di un modo di raccontare molto più “carrolliano” (prendendo in esame la letteratura), a me sembra che Il ragazzo e l’airone sia molto più aulico. A tratti il film assomiglia ad una trasposizione dantesca, soprattutto per il modo in cui lega vita e morte in modo indissolubile. E, rispetto a La città incantata, lo fa in prima persona, portando Mahito ad affrontare l’Oscura Signora a tu per tu, e non in modo indiretto come succedeva con Chihiro. In più, come ne La città incantata, Il Ragazzo e l’airone è un film popolato da “figure di soglia”, traghettatori (come l’airone del titolo) che vivono a cavallo tra due mondi ricoprendo il ruolo di “guardiani” e ponendosi come degli “ostacoli” nei confronti di Mahito. Per cui, a mio avviso, è un film che si ricollega a La città incantata, salvo poi distaccarsene. A te non sembra?
Cecilia: Sono pienamente d’accordo, soprattutto con il riferimento al mondo dantesco che il regista stesso cita all’interno del film inserendo l’incisione “facemi la divina potestate” all’ingresso della torre, creando così un parallelismo con il mondo di Dante (infatti è la frase che il poeta legge all’ingresso degli Inferi). Probabilmente è proprio questo continuo riferimento alla morte che distacca molto Il ragazzo e l’airone dal suo precedente film. Se ci pensiamo in origine anche Si alza il vento era stato annunciato come l’ultimo film del Maestro, il suo testamento cinematografico, ma, come ben sappiamo, Miyazaki non mantiene mai la sua promessa di ritirarsi. Così facendo ci ha fatto dono di due “manifesti” molto diversi ma per un certo tratto, anche se minuscolo, simili. In Si alza il vento, il regista si racconta attraverso la vita dell’ingegnere Jirō Horikoshi. Tramite il confronto tra Jirō e l’ingegnere italiano Giovanni Battista Caproni, che si incontravano nel mondo del sub-cosciente, Miyazaki crea la metafora degli aerei come sogni. Caproni, infatti, ricorda al protagonista che loro non costruiscono macchine da guerra o per il commercio, ma creano sogni, quello che Miyazaki ha cercato di fare con la propria arte. Se da una parte Si alza il vento lasciava gli spettatori con un mix di speranza e tristezza per quella che sembrava la fine di un’epoca, in Il ragazzo e l’airone permane maggiormente un senso di smarrimento e inquietudine. Miyazaki non nasconde il suo disappunto nei confronti di un mondo che tende ad andare sempre più alla deriva e si interroga anche sul proprio lavoro, ma nel finale riesce lo stesso a lasciarci con una puntina di speranza, ma non vogliamo spoilerare, giusto?
Antonio: Certo, assolutamente, Miyazaki abbraccia toni tetri e realistici (mai così tanto esposti come in questo caso) proprio per riflettere da un lato sull’atto finale della vita e dall’altro su che cosa verrà successivamente. Ed ecco che il titolo del romanzo assume anche una sua precisa collocazione simbolica. Inoltre Il ragazzo e l’airone riflette molto sulla stessa vita di Miyazaki, oltre ad essere un richiamo a tutti i prodotti principali dello Studio Ghibli. L’incipit è di fatto un omaggio al suo storico amico/collega Isao Takahata e al suo Una tomba per le lucciole (1988), così come nel prosieguo del film, lui sembra fare i conti con passato, presente e futuro. Sono tanti i personaggi, ne Il ragazzo e l’airone, che richiamano personalità reali della vita di Miyazaki, dallo stesso airone al prozio, fino ad arrivare addirittura a Mahito e Himi. Non trovi anche tu che ci sia una corrispondenza tra vita “filmica” e vita reale?
Cecilia: Assolutamente, non bisogna dimenticarsi che per Miyazaki non è una novità inserire persone reali nei suoi film, ad esempio in Ponyo sulla scogliera (2008) il personaggio del padre era ispirato a un suo collaboratore. In quest’ultimo film però l’assonanza tra personaggi fittizi e reali assume un significato molto più profondo. Partiamo dall’airone, che oltre a comparire nel titolo, assume un ruolo principale nella storia, passando da “nemico” ad alleato del protagonista e che ricorda molto il suo storico collega e amico Takahata, che fin dalle origini ha sempre collaborato col regista giapponese. In tanti, e noi con loro, concordiamo che il prozio e Mahito siano entrambi lo stesso Miyazaki. Da una parte un Miyazaki anziano, stanco e che si interroga se il mondo che ha costruito sia servito a qualcosa, dall’altra invece Mahito che rappresenta la sua versione giovane, che ha ancora la speranza e la forza di costruire un proprio mondo. Infine, la teoria più avventata, ma che per noi funziona, è che Himi sia un omaggio al suo pupillo Yoshifumi Kondō, nel quale Miyazaki vedeva un papabile erede ma che purtroppo venne a mancare giovanissimo nel 1998. Concordi Antonio?
Antonio: Concordo decisamente sulla tua interpretazione. E proprio per questo motivo, sembra anche che lo stesso Miyazaki, in qualche modo, sia portato ad immettere ne Il ragazzo e l’airone tutta la storia dello Studio Ghibli attraverso vari elementi, oltre ai personaggi che hai giustamente menzionato. A parte il già citato omaggio a Una tomba per le lucciole dell’amico Takahata e al legame con La città incantata, alcuni personaggi alludono proprio alla mancanza di una possibile eredità dello stesso Studio, sottolineando in modo anche feroce la possibilità che quest’ultimo possa essere “cannibalizzato” (come, del resto, fanno anche i parrocchetti protagonisti nel film) da qualche fattore esterno che ne brutalizzi la filosofia e la distorca completamente. Questa, almeno stando a ciò che abbiamo visto sullo schermo, è una delle più grandi paure di Miyazaki: l’impossibilità di trovare un successore. Anche lo stesso Goro Miyazaki, figlio del Maestro, ha trovato la propria strada e si è distaccato dal padre, e la possibilità che vada a sostituirlo dopo la sua dipartita è molto dubbia, se non improbabile. Dunque c’è una dichiarazione ufficiale da parte dello stesso Miyazaki, che spinge tutti i “giovani” animatori a trovare la propria strada e il proprio mondo. Ma, se dovessimo ipotizzare un futuro per il Ghibli, chi sarebbe, per te, il miglior “testimone” per Miyazaki? Chi sarebbe l’erede?
Cecilia: Questo è il grande quesito del film. Anche se va notato che Miyazaki è molto ambiguo su questo tema. Da una parte, attraverso il personaggio del prozio, si interroga su chi possa essere il suo erede, ma dall’altra lascia trapelare degli indizi sul fatto che forse lui non vuole nemmeno avere un discepolo diretto. Basti pensare al cancello dorato davanti alla tomba che Mahito vede appena giunge nell’aldilà che riporta un detto giapponese che tradotto dice: “Chi cerca conoscenza di me, morirà” che sembra quasi escludere chi lo emula. Inoltre, senza rivelare troppo del finale, si può dire che il Maestro cerchi quasi di farci capire che lui stesso è l’unico erede. Quindi quello che davvero ci possiamo chiedere è, come andrà avanti l’animazione giapponese una volta che non ci sarà più Miyazaki e lo Studio Ghibli? Ovviamente la domanda è retorica perché già ora l’ambiente dell’animazione prolifera di grandi registi.
Antonio: Io penso che, in realtà, proprio quest’ultima “soglia” (ovvero la tomba) ci nega di fatto qualsiasi tipologia di risposta alla domanda. O quantomeno, in qualche modo certifica a tutti gli effetti quelli che sono gli intenti di Miyazaki nei confronti del film e del Ghibli: quelli di non riuscire a comprendere minimamente se ci sia la possibilità di una sopravvivenza dello Studio, anche per via di una tipologia di animazione molto difficile e criptica rispetto a quella occidentale, e quindi meno fruibile, paradossalmente, dal pubblico al giorno d’oggi. Dunque anche il tentativo di trovare un erede è davvero ostico. A questo punto, l’unica speranza che il Ghibli ha di sopravvivere è quella di reinventarsi, sotto l’egida di un nuovo maestro. Da questo punto di vista, i nomi che si potrebbero fare sono tanti. Si potrebbe partire con il popolarissimo Makoto Shinkai, che però è molto lontano dalla timbrica tradizionale dello Studio Ghibli, e dunque dovrebbe in qualche modo adattarvisi. Un’altra possibilità concreta è rappresentata da Naoko Yamada, che porterebbe in dote al Ghibli uno spirito “d’osservazione psicanalitica” a dir poco invidiabile. Altro nome, secondo me molto più attinente alla poetica di Miyazaki, potrebbe essere quello di Mamoru Hosoda. Ricordiamo che all’epoca Hosoda doveva dirigere Il castello errante di Howl (2004), ma poi il progetto fu affidato a Miyazaki. Da un certo punto di vista, dunque, i due stili potrebbero collimare e Hosoda potrebbe essere un buon nome, soprattutto per come tratta spazi dimensionali diversi e per come piega le esigenze del racconto di formazione alla fantasia e al surreale. Probabilmente, ora come ora, potrebbe essere un’ottima scelta. Tu cosa ne pensi?
Cecilia: Probabilmente come dice lo stesso Miyazaki Sensei all’interno del film nessuno di loro sarà il suo erede, perché ognuno deve costruirsi il proprio mondo. I registi che hai citato sono al momento tra i migliori in circolazione, insieme anche allo stralunato ma geniale Maasaki Yuasa e al giovane Hiroyasu Ishida, e ognuno di loro si è fatto conoscere per le proprie caratteristiche stilistiche e poetiche. Quindi, riprendendo il titolo originale del film e la domanda che ci pone il Maestro,“E voi come vivrete?” mi vien da rispondere che quando Miyazaki ci lascerà sarà, ovviamente, un’enorme perdita, ma grazie al suo lavoro che ha ispirato tantissimi creativi e animatori, vivremo in tanti, nuovi, universi, anche se ci mancherà sempre un po’ lo Studio Ghibli. Ovviamente fosse per noi continueremo a parlarne (scriverne) per ore e questo più che un articolo diventerebbe un saggio, che dici chiudiamo?
Antonio: Sono assolutamente d’accordo con te, si potrebbe parlare davvero per ore ed ore, una discussione del genere merita un approfondimento immenso. Ma è giusto lasciare ai posteri l’ardua sentenza. Quindi certo, chiudiamo!
NC-183
16.01.2024
Questo articolo è il frutto di un approfondito brainstorming, nato dopo la visione dell'ultimo film del Maestro Hayao Miyazaki. L’opera, che in questo momento sta passando nei nostri cinema, ha raccolto consensi pressoché unanimi, ma molti spettatori hanno notato, e per tanto lamentato, una complessità notevole nell'intreccio. Il ragazzo e l'airone è un film che si presta a molteplici interpretazioni, ed è sicuramente tra i lavori più travisabili dell’autore giapponese. L'idea è quella di approcciare alla materia "miyazakiana" mediante il meccanismo della conversazione, per sviscerare man mano tutti i temi contenuti nell’opera e fantasticare anche sui possibili scenari futuri non solo dello Studio Ghibli, ma dell’animazione giapponese in generale.
Cecilia: Ciao Antonio, grazie di essere qui. Oggi facciamo un po’ stile podcast ma scritto.
Antonio: Ciao Cecilia, grazie a te.
Cecilia: Partiamo subito con l’argomento scottante che sta interessando tutto l’ambiente cinematografico, non solo giapponese ma mondiale. A dieci anni dal suo ultimo film Si alza il vento (2013), il Maestro Hayao Miyazaki, dopo aver smentito per la terza volta un suo ritiro dalle scene, è tornato al cinema con Il ragazzo e l’airone. Vuoi iniziare tu a dire qualcosa su questo film?
Antonio: Certo. Il nostro amato Miyazaki è finalmente riapparso con un’opera molto particolare, per certi versi anche anti-tetica rispetto a quanto mostrato in Si alza il vento. Il Ragazzo e l’airone si presenta come un film decisamente più auto-biografico, in cui, in qualche modo, Miyazaki stesso si focalizza, anche e soprattutto all’alba dei suoi 83 anni, su due interrogativi: quale potrebbe essere il suo lascito e che tipo di futuro potrebbe avere il cinema d’animazione giapponese e, in particolare, lo Studio Ghibli.
Cecilia: Infatti ricordiamo che il nome originale del film sarebbe 君たちはどう生きるか (Kimi-tachi wa dō ikiru ka), tradotto “E voi come vivrete?”. Qui Antonio ne sai più di me del perché di questo titolo.
Antonio: Certo. Il titolo originale è un riferimento all’omonimo libro di Genzaburō Yoshino, un romanzo che lo stesso Miyazaki ci mostra anche all’interno del film, poichè entrambi i lavori trattano di un tema praticamente identico: vale a dire la crescita dell’individuo all’interno della propria vita. E questo percorso di crescita è lo stesso che Mahito, il protagonista, intraprende all’interno della torre. Naturalmente questo porta, di per sé, a paragonare Il ragazzo e l’airone ad altri due film del Maestro. Parlo de La città incantata (2001) e di Si alza il vento. Cecilia, hai notato anche tu questa notevole “assonanza” tra i tre film?
Cecilia: Beh, possiamo dire che Miyazaki in Il ragazzo e l’airone ripercorre quasi tutta la sua cinematografia, e non solo. Sicuramente i riferimenti che saltano maggiormente all’occhio sono quelli a La città incantata e Si alza il vento, ma ad esempio c’è anche molto de Il castello errante di Howl (2004), soprattutto per lo stile d’animazione molto più dinamico e veloce in alcuni passaggi. Per quanto riguarda i lungometraggi che hai citato, forse quello che gli si avvicina maggiormente attraverso una delle tematiche “principali” - perché questo film ne presenta molte e alcune davvero complesse - è la Città incantata.
Antonio: Come hai giustamente detto, Il ragazzo e l’airone è una raccolta di tutti i punti cardine della filmografia di Miyazaki. In particolare, si può parlare de La città incantata come riferimento per vari motivi. In primis, per l’assonanza tra i due protagonisti, Mahito e Chihiro, entrambi “costretti” a confrontarsi con nuovi mondi a cui non appartengono per far fronte alla propria crescita individuale, una sorta di passaggio all’età adulta. Rispetto a La città incantata, però, in cui Miyazaki si avvale di una timbrica e di un modo di raccontare molto più “carrolliano” (prendendo in esame la letteratura), a me sembra che Il ragazzo e l’airone sia molto più aulico. A tratti il film assomiglia ad una trasposizione dantesca, soprattutto per il modo in cui lega vita e morte in modo indissolubile. E, rispetto a La città incantata, lo fa in prima persona, portando Mahito ad affrontare l’Oscura Signora a tu per tu, e non in modo indiretto come succedeva con Chihiro. In più, come ne La città incantata, Il Ragazzo e l’airone è un film popolato da “figure di soglia”, traghettatori (come l’airone del titolo) che vivono a cavallo tra due mondi ricoprendo il ruolo di “guardiani” e ponendosi come degli “ostacoli” nei confronti di Mahito. Per cui, a mio avviso, è un film che si ricollega a La città incantata, salvo poi distaccarsene. A te non sembra?
Cecilia: Sono pienamente d’accordo, soprattutto con il riferimento al mondo dantesco che il regista stesso cita all’interno del film inserendo l’incisione “facemi la divina potestate” all’ingresso della torre, creando così un parallelismo con il mondo di Dante (infatti è la frase che il poeta legge all’ingresso degli Inferi). Probabilmente è proprio questo continuo riferimento alla morte che distacca molto Il ragazzo e l’airone dal suo precedente film. Se ci pensiamo in origine anche Si alza il vento era stato annunciato come l’ultimo film del Maestro, il suo testamento cinematografico, ma, come ben sappiamo, Miyazaki non mantiene mai la sua promessa di ritirarsi. Così facendo ci ha fatto dono di due “manifesti” molto diversi ma per un certo tratto, anche se minuscolo, simili. In Si alza il vento, il regista si racconta attraverso la vita dell’ingegnere Jirō Horikoshi. Tramite il confronto tra Jirō e l’ingegnere italiano Giovanni Battista Caproni, che si incontravano nel mondo del sub-cosciente, Miyazaki crea la metafora degli aerei come sogni. Caproni, infatti, ricorda al protagonista che loro non costruiscono macchine da guerra o per il commercio, ma creano sogni, quello che Miyazaki ha cercato di fare con la propria arte. Se da una parte Si alza il vento lasciava gli spettatori con un mix di speranza e tristezza per quella che sembrava la fine di un’epoca, in Il ragazzo e l’airone permane maggiormente un senso di smarrimento e inquietudine. Miyazaki non nasconde il suo disappunto nei confronti di un mondo che tende ad andare sempre più alla deriva e si interroga anche sul proprio lavoro, ma nel finale riesce lo stesso a lasciarci con una puntina di speranza, ma non vogliamo spoilerare, giusto?
Antonio: Certo, assolutamente, Miyazaki abbraccia toni tetri e realistici (mai così tanto esposti come in questo caso) proprio per riflettere da un lato sull’atto finale della vita e dall’altro su che cosa verrà successivamente. Ed ecco che il titolo del romanzo assume anche una sua precisa collocazione simbolica. Inoltre Il ragazzo e l’airone riflette molto sulla stessa vita di Miyazaki, oltre ad essere un richiamo a tutti i prodotti principali dello Studio Ghibli. L’incipit è di fatto un omaggio al suo storico amico/collega Isao Takahata e al suo Una tomba per le lucciole (1988), così come nel prosieguo del film, lui sembra fare i conti con passato, presente e futuro. Sono tanti i personaggi, ne Il ragazzo e l’airone, che richiamano personalità reali della vita di Miyazaki, dallo stesso airone al prozio, fino ad arrivare addirittura a Mahito e Himi. Non trovi anche tu che ci sia una corrispondenza tra vita “filmica” e vita reale?
Cecilia: Assolutamente, non bisogna dimenticarsi che per Miyazaki non è una novità inserire persone reali nei suoi film, ad esempio in Ponyo sulla scogliera (2008) il personaggio del padre era ispirato a un suo collaboratore. In quest’ultimo film però l’assonanza tra personaggi fittizi e reali assume un significato molto più profondo. Partiamo dall’airone, che oltre a comparire nel titolo, assume un ruolo principale nella storia, passando da “nemico” ad alleato del protagonista e che ricorda molto il suo storico collega e amico Takahata, che fin dalle origini ha sempre collaborato col regista giapponese. In tanti, e noi con loro, concordiamo che il prozio e Mahito siano entrambi lo stesso Miyazaki. Da una parte un Miyazaki anziano, stanco e che si interroga se il mondo che ha costruito sia servito a qualcosa, dall’altra invece Mahito che rappresenta la sua versione giovane, che ha ancora la speranza e la forza di costruire un proprio mondo. Infine, la teoria più avventata, ma che per noi funziona, è che Himi sia un omaggio al suo pupillo Yoshifumi Kondō, nel quale Miyazaki vedeva un papabile erede ma che purtroppo venne a mancare giovanissimo nel 1998. Concordi Antonio?
Antonio: Concordo decisamente sulla tua interpretazione. E proprio per questo motivo, sembra anche che lo stesso Miyazaki, in qualche modo, sia portato ad immettere ne Il ragazzo e l’airone tutta la storia dello Studio Ghibli attraverso vari elementi, oltre ai personaggi che hai giustamente menzionato. A parte il già citato omaggio a Una tomba per le lucciole dell’amico Takahata e al legame con La città incantata, alcuni personaggi alludono proprio alla mancanza di una possibile eredità dello stesso Studio, sottolineando in modo anche feroce la possibilità che quest’ultimo possa essere “cannibalizzato” (come, del resto, fanno anche i parrocchetti protagonisti nel film) da qualche fattore esterno che ne brutalizzi la filosofia e la distorca completamente. Questa, almeno stando a ciò che abbiamo visto sullo schermo, è una delle più grandi paure di Miyazaki: l’impossibilità di trovare un successore. Anche lo stesso Goro Miyazaki, figlio del Maestro, ha trovato la propria strada e si è distaccato dal padre, e la possibilità che vada a sostituirlo dopo la sua dipartita è molto dubbia, se non improbabile. Dunque c’è una dichiarazione ufficiale da parte dello stesso Miyazaki, che spinge tutti i “giovani” animatori a trovare la propria strada e il proprio mondo. Ma, se dovessimo ipotizzare un futuro per il Ghibli, chi sarebbe, per te, il miglior “testimone” per Miyazaki? Chi sarebbe l’erede?
Cecilia: Questo è il grande quesito del film. Anche se va notato che Miyazaki è molto ambiguo su questo tema. Da una parte, attraverso il personaggio del prozio, si interroga su chi possa essere il suo erede, ma dall’altra lascia trapelare degli indizi sul fatto che forse lui non vuole nemmeno avere un discepolo diretto. Basti pensare al cancello dorato davanti alla tomba che Mahito vede appena giunge nell’aldilà che riporta un detto giapponese che tradotto dice: “Chi cerca conoscenza di me, morirà” che sembra quasi escludere chi lo emula. Inoltre, senza rivelare troppo del finale, si può dire che il Maestro cerchi quasi di farci capire che lui stesso è l’unico erede. Quindi quello che davvero ci possiamo chiedere è, come andrà avanti l’animazione giapponese una volta che non ci sarà più Miyazaki e lo Studio Ghibli? Ovviamente la domanda è retorica perché già ora l’ambiente dell’animazione prolifera di grandi registi.
Antonio: Io penso che, in realtà, proprio quest’ultima “soglia” (ovvero la tomba) ci nega di fatto qualsiasi tipologia di risposta alla domanda. O quantomeno, in qualche modo certifica a tutti gli effetti quelli che sono gli intenti di Miyazaki nei confronti del film e del Ghibli: quelli di non riuscire a comprendere minimamente se ci sia la possibilità di una sopravvivenza dello Studio, anche per via di una tipologia di animazione molto difficile e criptica rispetto a quella occidentale, e quindi meno fruibile, paradossalmente, dal pubblico al giorno d’oggi. Dunque anche il tentativo di trovare un erede è davvero ostico. A questo punto, l’unica speranza che il Ghibli ha di sopravvivere è quella di reinventarsi, sotto l’egida di un nuovo maestro. Da questo punto di vista, i nomi che si potrebbero fare sono tanti. Si potrebbe partire con il popolarissimo Makoto Shinkai, che però è molto lontano dalla timbrica tradizionale dello Studio Ghibli, e dunque dovrebbe in qualche modo adattarvisi. Un’altra possibilità concreta è rappresentata da Naoko Yamada, che porterebbe in dote al Ghibli uno spirito “d’osservazione psicanalitica” a dir poco invidiabile. Altro nome, secondo me molto più attinente alla poetica di Miyazaki, potrebbe essere quello di Mamoru Hosoda. Ricordiamo che all’epoca Hosoda doveva dirigere Il castello errante di Howl (2004), ma poi il progetto fu affidato a Miyazaki. Da un certo punto di vista, dunque, i due stili potrebbero collimare e Hosoda potrebbe essere un buon nome, soprattutto per come tratta spazi dimensionali diversi e per come piega le esigenze del racconto di formazione alla fantasia e al surreale. Probabilmente, ora come ora, potrebbe essere un’ottima scelta. Tu cosa ne pensi?
Cecilia: Probabilmente come dice lo stesso Miyazaki Sensei all’interno del film nessuno di loro sarà il suo erede, perché ognuno deve costruirsi il proprio mondo. I registi che hai citato sono al momento tra i migliori in circolazione, insieme anche allo stralunato ma geniale Maasaki Yuasa e al giovane Hiroyasu Ishida, e ognuno di loro si è fatto conoscere per le proprie caratteristiche stilistiche e poetiche. Quindi, riprendendo il titolo originale del film e la domanda che ci pone il Maestro,“E voi come vivrete?” mi vien da rispondere che quando Miyazaki ci lascerà sarà, ovviamente, un’enorme perdita, ma grazie al suo lavoro che ha ispirato tantissimi creativi e animatori, vivremo in tanti, nuovi, universi, anche se ci mancherà sempre un po’ lo Studio Ghibli. Ovviamente fosse per noi continueremo a parlarne (scriverne) per ore e questo più che un articolo diventerebbe un saggio, che dici chiudiamo?
Antonio: Sono assolutamente d’accordo con te, si potrebbe parlare davvero per ore ed ore, una discussione del genere merita un approfondimento immenso. Ma è giusto lasciare ai posteri l’ardua sentenza. Quindi certo, chiudiamo!