NC-04
09.05.2020
Uno dei tanti eventi mediatici della quarantena è arrivato anche da Jean-Luc Godard. Figura mitologica del cinema, 89 anni, si è mostrato il 7 aprile per quasi due ore in diretta Instagram. L’iniziativa è stata dell’ECAL, una scuola svizzera di arte e design. Godard è stato intervistato dal direttore del dipartimento cinematografico, Lionel Baier. È possibile rivedere l’intervista, sottotitolata in inglese, a questo link.
Nell’intervista sono stati sollevati tanti temi. Il primo è stato quello del linguaggio, ormai centrale nelle sue ultime opere (il penultimo film si chiama Addio al linguaggio), ma presente da sempre nelle sue riflessioni. Godard ha raccontato che il primo libro di filosofia che gli capitò tra le mani, di Brice Parain, parlava del linguaggio; dopo averlo letto decise di non parlare “per uno o due anni”. Il filosofo comparve poi in Vivre sa vie.
Ovviamente si è discusso di virus, di impressionisti, della francesità del cantone di Vaud, di scienza. Quest’ultimo in particolare è un altro tema ricorrente: il cinema come antibiotico, le fake news spiegate con gli atomi, il padre medico che inventò una tecnica per mettere una videocamera nello stomaco, ma anche il suo amore per le storie d’investigazione, che portano nella narrazione lo spirito della ricerca scientifica.
Altro tema ricorrente: gli attori. Ormai non li usa più perché sono falsi. Non potrebbero interpretare altro che loro stessi. Ecco perché il protagonista di Addio al linguaggio era Roxy, il suo cane, o perché in Le livre d’image le prime scene mostrano dei personaggi che si accusano di mentire. Già nel 1990, a Cannes, Godard aveva parlato della possibilità che un cavallo avesse la stessa intensità di Alain Delon. Anche in quel caso usò la metafora dei cineasti come scienziati, dove le “stelle”, cioè gli attori, emanano una luce per la macchina da presa, che però la cattura sempre in ritardo.
Godard non è nuovo a questo tipo di eventi. L’anno scorso si presentò a Cannes via FaceTime, con il suo assistente-produttore-direttore della fotografia Fabrice Aragno che teneva il telefono e i giornalisti che andavano di fronte al piccolo schermo, uno a uno, come davanti a un oracolo. O come alla conferenza stampa del 2005, sempre a Cannes, quando rimase zitto per lasciare spazio ai sindacalisti dei tecnici e degli attori. Per non parlare di quando, nel 1968, contribuì all’interruzione prematura del festival.
Nell’intervista su Instagram, Godard ha parlato molto dei media della scrittura: dalla IBM alla lettura ad alta voce, dalla macchina da scrivere alla sceneggiatura del prossimo film che in quel momento stava stampando, come se fosse un momento decisivo del processo creativo. E come in effetti è: guardando il suo studio cosparso di ritagli, si scopre che la sceneggiatura è piuttosto un collage di immagini. Un’idea simile all’ultimo film, Le livre d’image appunto, disponibile su RaiPlay grazie a Fuori Orario che l’ha trasmesso e che l’ha portato in esclusiva sulla piattaforma, insieme a una serie di altri film festivalieri.
Nonostante questo, Godard si è detto completamente alieno rispetto ai social media. Non sa come vedere un film online, usa solo i DVD. I suoi film-saggio infatti riflettono piuttosto un’estetica da videoregistratore, con missaggi video e audio a più strati (dove tutto è una citazione) e scritte in sovrimpressione che ricordano la televisione degli anni Novanta. È vero, a un certo punto appare un glitch chiaramente digitale. Ma, ancora una volta, si tratta di una citazione, dall’artista/cineasta sperimentale Jacques Perconte.
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09.05.2020
Uno dei tanti eventi mediatici della quarantena è arrivato anche da Jean-Luc Godard. Figura mitologica del cinema, 89 anni, si è mostrato il 7 aprile per quasi due ore in diretta Instagram. L’iniziativa è stata dell’ECAL, una scuola svizzera di arte e design. Godard è stato intervistato dal direttore del dipartimento cinematografico, Lionel Baier. È possibile rivedere l’intervista, sottotitolata in inglese, a questo link.
Nell’intervista sono stati sollevati tanti temi. Il primo è stato quello del linguaggio, ormai centrale nelle sue ultime opere (il penultimo film si chiama Addio al linguaggio), ma presente da sempre nelle sue riflessioni. Godard ha raccontato che il primo libro di filosofia che gli capitò tra le mani, di Brice Parain, parlava del linguaggio; dopo averlo letto decise di non parlare “per uno o due anni”. Il filosofo comparve poi in Vivre sa vie.
Ovviamente si è discusso di virus, di impressionisti, della francesità del cantone di Vaud, di scienza. Quest’ultimo in particolare è un altro tema ricorrente: il cinema come antibiotico, le fake news spiegate con gli atomi, il padre medico che inventò una tecnica per mettere una videocamera nello stomaco, ma anche il suo amore per le storie d’investigazione, che portano nella narrazione lo spirito della ricerca scientifica.
Altro tema ricorrente: gli attori. Ormai non li usa più perché sono falsi. Non potrebbero interpretare altro che loro stessi. Ecco perché il protagonista di Addio al linguaggio era Roxy, il suo cane, o perché in Le livre d’image le prime scene mostrano dei personaggi che si accusano di mentire. Già nel 1990, a Cannes, Godard aveva parlato della possibilità che un cavallo avesse la stessa intensità di Alain Delon. Anche in quel caso usò la metafora dei cineasti come scienziati, dove le “stelle”, cioè gli attori, emanano una luce per la macchina da presa, che però la cattura sempre in ritardo.
Godard non è nuovo a questo tipo di eventi. L’anno scorso si presentò a Cannes via FaceTime, con il suo assistente-produttore-direttore della fotografia Fabrice Aragno che teneva il telefono e i giornalisti che andavano di fronte al piccolo schermo, uno a uno, come davanti a un oracolo. O come alla conferenza stampa del 2005, sempre a Cannes, quando rimase zitto per lasciare spazio ai sindacalisti dei tecnici e degli attori. Per non parlare di quando, nel 1968, contribuì all’interruzione prematura del festival.
Nell’intervista su Instagram, Godard ha parlato molto dei media della scrittura: dalla IBM alla lettura ad alta voce, dalla macchina da scrivere alla sceneggiatura del prossimo film che in quel momento stava stampando, come se fosse un momento decisivo del processo creativo. E come in effetti è: guardando il suo studio cosparso di ritagli, si scopre che la sceneggiatura è piuttosto un collage di immagini. Un’idea simile all’ultimo film, Le livre d’image appunto, disponibile su RaiPlay grazie a Fuori Orario che l’ha trasmesso e che l’ha portato in esclusiva sulla piattaforma, insieme a una serie di altri film festivalieri.
Nonostante questo, Godard si è detto completamente alieno rispetto ai social media. Non sa come vedere un film online, usa solo i DVD. I suoi film-saggio infatti riflettono piuttosto un’estetica da videoregistratore, con missaggi video e audio a più strati (dove tutto è una citazione) e scritte in sovrimpressione che ricordano la televisione degli anni Novanta. È vero, a un certo punto appare un glitch chiaramente digitale. Ma, ancora una volta, si tratta di una citazione, dall’artista/cineasta sperimentale Jacques Perconte.