Il sogno genera mostri,
recensione di Federico Mattioni
RV-38
16.11.2023
Lo scenario del sogno è Paul Matthews che si aggira guardingo per casa, su una strada di campagna, nelle aule dell’università dove insegna, nelle case dei sognatori. Paul è un professore di biologia dell’evoluzione e ha un sogno nel cassetto, quello di pubblicare un libro sui temi della sua dottrina che con dedizione ha studiato nel corso degli anni. Solo che non si decide mai a fare il passo giusto. Ha una posizione fin troppo remissiva nella casa in cui vive con moglie e figlie, almeno fino a che non comincia ad apparire nei sogni di tante, troppe persone. Compare, osserva passivamente, svolgendo la funzione di spettatore di uno spettacolo che rapidamente volge al pericolo o alla catastrofe, poi se ne va, senza esprimere alcuna emozione. Diventare un fenomeno social-televisivo a Paul fa scappare di tanto in tanto il sorriso, fino a che non lo contatta una società d’investimento pubblicitario. Il suo volto, la sua immagine sarebbero perfetti per pubblicizzare un marchio di ben note bevande ma a Paul interessa sfruttare tutto il rumore mediatico per portare finalmente a termine il suo libro, o meglio, cominciare a scriverlo. Non è così semplice, perché da spettatore passivo, Paul inizia a diventare attivo, a compiere efferatezze nei sogni altrui. Lo scenario muta dopo un curioso incontro con una ragazza che nel sogno ha un’interazione erotica con lui. Potrebbe essere l’occasione per osare e ribaltare uno dei tanti schemi mentali che attanagliano l’esistenza di Paul, prendersi dei rischi, ma non ci riesce. E la curiosa, effervescente fama, si trasforma in un incubo di portata collettiva. La coscienza collettiva decantata da Jung, in questo caso amplifica il pericolo basandosi su una distorsione della realtà e dei fatti.
Attraverso l’elemento del sogno e prendendo spunto da una vicenda che sembra essersi verificata realmente, lo sceneggiatore, regista e montatore norvegese Kristoffer Borgli, al suo secondo film dopo il promettente Sick of Myself, e al primo negli Stati Uniti, mira alla mania dei “correttisti” tipica della cosiddetta cancel culture. Coloro che sono rei di prendere un episodio trascurabile, nella ferma volontà di distorcerlo senza alcuna verifica. Scopo ultimo è quello di distruggere, diffondendo false testimonianze. Una mania perversa e pericolosa che ha messo e sta mettendo a repentaglio il lavoro, la stabilità psicologica e la vita sociale di noti artisti e personaggi dello spettacolo. E che in un futuro vicino potrebbe far azzardare l’ipotesi di un controllo persino dei sogni, l’unico spazio sacro, intoccabile, rimastoci.
Il raggio d’azione di Paul (interpretato dall’ennesimo Nicolas Cage nei panni di uomini stressati sull’orlo di una crisi di nervi) è limitato e si difende come può. Borgli, prodotto da Ari Aster, riesce a mescolare le carte di più generi (commedia dell’assurdo, horror, grottesco, dramma a sfondo sociale e culturale) offrendo un distillato ottimamente condensato del miglior Aster che si potesse immaginare. La scrittura in Aster non è stata propriamente il suo punto di forza, nonostante diversi spunti geniali presenti in tutti e tre i suoi film. Borgli, al contrario, riesce a rendere credibile l’assurdo percorso di cui è vittima Paul, costellandolo di amenità e concrezioni comportamentali, connaturate da una struttura portante che tiene in piedi la storia dal primo all’ultimo minuto, offrendo in coda anche un’ipotesi futuristica assolutamente non trascurabile. Dentro a questa struttura, nonostante la parte maggiormente critica e acidula della missiva fin troppo allungata contro la cancel culture che copre il cuore del racconto, Borgli piazza molto intelligentemente delle citazioni e degli impliciti omaggi a Nightmare e Inception. Nel voler parlare di personaggi reali che entrano nei sogni (o negli incubi) delle persone, dei riferimenti di senso cinefili appaiono del resto delle inevitabili filiazioni di contenuto. La resa visiva e sonora del film è conforme all’immaginario di Aster e il volto, il trucco di Cage non può non far pensare al Charlie Kaufman de Il ladro di orchidee. La stessa interpretazione ne ricalca in parte le peculiarità espressive. Secondo Borgli, in sostanza, viviamo una distorsione della realtà nella quale, per mezzo dei social, siamo sempre in scena, creando dei meme di noi stessi, delle nostre identità e finendo per vivere relazioni para-sociali, prive di reale contatto umano. Pericoli questi che generano rapidamente dei mostri.
Paul Matthews è l’icona vivente, evidentemente, del personaggio pubblico che ha superato la persona. La persona dov’è? La moglie la sta ancora cercando, poiché non riesce a inquadrare la sua vita sotto un’altra prospettiva. Cerca suo marito e non riesce più a trovarlo nemmeno in sogno. Spetterà a lui fare finalmente il grande passo. E Borgli, con un’intuizione degna di un regista che farà carriera, capisce che dopo tanta acredine, la maniera giusta per chiudere i conti e far quadrare i bilanci, è dare una zampata romantica, non priva di un “dream scenario” di simbolica circolarità. Lo scenario di un sogno da sempre appartenuto e non ancora manifestato.
Il sogno genera mostri,
recensione di Federico Mattioni
RV-38
16.11.2023
Lo scenario del sogno è Paul Matthews che si aggira guardingo per casa, su una strada di campagna, nelle aule dell’università dove insegna, nelle case dei sognatori. Paul è un professore di biologia dell’evoluzione e ha un sogno nel cassetto, quello di pubblicare un libro sui temi della sua dottrina che con dedizione ha studiato nel corso degli anni. Solo che non si decide mai a fare il passo giusto. Ha una posizione fin troppo remissiva nella casa in cui vive con moglie e figlie, almeno fino a che non comincia ad apparire nei sogni di tante, troppe persone. Compare, osserva passivamente, svolgendo la funzione di spettatore di uno spettacolo che rapidamente volge al pericolo o alla catastrofe, poi se ne va, senza esprimere alcuna emozione. Diventare un fenomeno social-televisivo a Paul fa scappare di tanto in tanto il sorriso, fino a che non lo contatta una società d’investimento pubblicitario. Il suo volto, la sua immagine sarebbero perfetti per pubblicizzare un marchio di ben note bevande ma a Paul interessa sfruttare tutto il rumore mediatico per portare finalmente a termine il suo libro, o meglio, cominciare a scriverlo. Non è così semplice, perché da spettatore passivo, Paul inizia a diventare attivo, a compiere efferatezze nei sogni altrui. Lo scenario muta dopo un curioso incontro con una ragazza che nel sogno ha un’interazione erotica con lui. Potrebbe essere l’occasione per osare e ribaltare uno dei tanti schemi mentali che attanagliano l’esistenza di Paul, prendersi dei rischi, ma non ci riesce. E la curiosa, effervescente fama, si trasforma in un incubo di portata collettiva. La coscienza collettiva decantata da Jung, in questo caso amplifica il pericolo basandosi su una distorsione della realtà e dei fatti.
Attraverso l’elemento del sogno e prendendo spunto da una vicenda che sembra essersi verificata realmente, lo sceneggiatore, regista e montatore norvegese Kristoffer Borgli, al suo secondo film dopo il promettente Sick of Myself, e al primo negli Stati Uniti, mira alla mania dei “correttisti” tipica della cosiddetta cancel culture. Coloro che sono rei di prendere un episodio trascurabile, nella ferma volontà di distorcerlo senza alcuna verifica. Scopo ultimo è quello di distruggere, diffondendo false testimonianze. Una mania perversa e pericolosa che ha messo e sta mettendo a repentaglio il lavoro, la stabilità psicologica e la vita sociale di noti artisti e personaggi dello spettacolo. E che in un futuro vicino potrebbe far azzardare l’ipotesi di un controllo persino dei sogni, l’unico spazio sacro, intoccabile, rimastoci.
Il raggio d’azione di Paul (interpretato dall’ennesimo Nicolas Cage nei panni di uomini stressati sull’orlo di una crisi di nervi) è limitato e si difende come può. Borgli, prodotto da Ari Aster, riesce a mescolare le carte di più generi (commedia dell’assurdo, horror, grottesco, dramma a sfondo sociale e culturale) offrendo un distillato ottimamente condensato del miglior Aster che si potesse immaginare. La scrittura in Aster non è stata propriamente il suo punto di forza, nonostante diversi spunti geniali presenti in tutti e tre i suoi film. Borgli, al contrario, riesce a rendere credibile l’assurdo percorso di cui è vittima Paul, costellandolo di amenità e concrezioni comportamentali, connaturate da una struttura portante che tiene in piedi la storia dal primo all’ultimo minuto, offrendo in coda anche un’ipotesi futuristica assolutamente non trascurabile. Dentro a questa struttura, nonostante la parte maggiormente critica e acidula della missiva fin troppo allungata contro la cancel culture che copre il cuore del racconto, Borgli piazza molto intelligentemente delle citazioni e degli impliciti omaggi a Nightmare e Inception. Nel voler parlare di personaggi reali che entrano nei sogni (o negli incubi) delle persone, dei riferimenti di senso cinefili appaiono del resto delle inevitabili filiazioni di contenuto. La resa visiva e sonora del film è conforme all’immaginario di Aster e il volto, il trucco di Cage non può non far pensare al Charlie Kaufman de Il ladro di orchidee. La stessa interpretazione ne ricalca in parte le peculiarità espressive. Secondo Borgli, in sostanza, viviamo una distorsione della realtà nella quale, per mezzo dei social, siamo sempre in scena, creando dei meme di noi stessi, delle nostre identità e finendo per vivere relazioni para-sociali, prive di reale contatto umano. Pericoli questi che generano rapidamente dei mostri.
Paul Matthews è l’icona vivente, evidentemente, del personaggio pubblico che ha superato la persona. La persona dov’è? La moglie la sta ancora cercando, poiché non riesce a inquadrare la sua vita sotto un’altra prospettiva. Cerca suo marito e non riesce più a trovarlo nemmeno in sogno. Spetterà a lui fare finalmente il grande passo. E Borgli, con un’intuizione degna di un regista che farà carriera, capisce che dopo tanta acredine, la maniera giusta per chiudere i conti e far quadrare i bilanci, è dare una zampata romantica, non priva di un “dream scenario” di simbolica circolarità. Lo scenario di un sogno da sempre appartenuto e non ancora manifestato.