INT-41
18.07.2023
Come ha fatto in precedenza Kim Jee-woon in The Age of Shadows (2016), il film sudcoreano Phantom ritorna all’epoca dell’occupazione giapponese della penisola. Si tratta di un whodunnit, adattato da The Message di Mai Jia, romanzo che ruota attorno a una serie di personaggi che cercano di identificare chi tra loro sia una spia della resistenza contro il regime degli invasori. Il libro era già stato precedentemente adattato per il cinema, ma in questo caso il regista Lee Hae-young trasforma la storia in un film d’azione esplosivo e pieno di colpi di scena. Con Phantom, il cineasta firma il suo quinto lungometraggio, che segue Like a virgin (2006), Foxy Festival (2010), The Silenced (2015), e Believer (2018), remake di Drug War (2012) di Johnnie To. Nel cast recitano molti volti noti: Park So-dam (Parasite), Lee Hanee, Park Hae-soo (Squid Game, La Casa di Carta), Sol Kyung-gu (Peppermint Candy) e Seo Hyun-woo (Decision to Leave).
Phantom ha avuto la sua anteprima italiana al 25esimo Far East Film Festival di Udine. Abbiamo avuto modo di parlare con Lee Hae-young, e di analizzare assieme il suo personale punto di vista.
Com’è nata l’idea di adattare Phantom, e cosa l’ha attratta al romanzo?
Ho iniziato a lavorare su Phantom cercando di discostarmi dal mio film precedente, Believer, che era una storia d’azione con personaggi maschili. Questa volta ho voluto inserire anche dei personaggi femminili. Il plot di Phantom si basa su un romanzo dello scrittore cinese Mai Jia, il genere è quello dello spionaggio, dove si cerca costantemente di capire chi sia l'infiltrato. Io ho ricreato la storia del fantasma facendo sapere chi è fin dall’inizio. Quando mi hanno proposto questo romanzo per la prima volta non ero molto interessato, mi sono rifiutato perché anche Believer aveva dinamiche simili, non avevo sufficienti stimoli. Poi mi sono reso conto che potevo raccontare la storia della spia al centro della vicenda, e includere dell’azione molto stilizzata.
I suoi primi film si discostano molto dall’action movie. Come mai ha compiuto questo cambio di rotta con Believer e Phantom?
Fare film di genere è sempre stato un mio sogno, una mia passione interiore. Diversamente da questa mia passione, i miei film precedenti, come Like a virgin o The silenced, hanno un taglio diverso. Arrivato a un certo punto ho sentito il bisogno di soddisfare questa mia passione, prima con Believer e poi con Phantom, per dedicarmi ai miei gusti più privati, alle mie preferenze. Dal punto di vista delle scene d’azione, mi sono concentrato di più sui characters e sul loro sviluppo emotivo, quindi anche l’approccio alle scene si orientava verso un design che rispecchiava ogni personaggio. Dopo due film action ho capito che le scene d’azione sono uno strumento per la rappresentazione del personaggio stesso.
Com’è avvenuta la procedura dell’adattamento del romanzo?
É stata la prima volta che mi sono dedicato ad un adattamento. Per scrivere la sceneggiatura non ho riportato simmetricamente le strutture del libro, mi sono fidato esclusivamente delle impressioni che ho avuto. Il film è basato più sulla mia reinterpretazione personale del testo scritto. Infatti è molto difficile vedere la forma originale del romanzo nel mio film. Ho fatto 2-3 letture prima di cominciare a girare, e poi ho seguito la mia strada. Ad oggi, dopo aver finito il film, non saprei neanche dire quanto mi sia distanziato dal romanzo. In Corea l’autore non è molto famoso, ed il libro non è nemmeno stato tradotto ufficialmente...l’ho letto con una traduzione non ufficiale. Ho acquistato legalmente i diritti però!
Dal romanzo di Mai Jia è stato adattato anche un altro film, The Message di Chen Kuo-Fu e Gao Qunshu. Come si è approcciato a questo precedente filmico?
L’ho visto, ma rispetto a quel film io mi sono concentrato esclusivamente sul riprodurre l’ambiente della storia. Ho cercato di vivere anatomicamente la trama e poi di ricomporla. Ho seguito lo stesso procedimento per Believer...volendo costruire la storia alla mia maniera.
In Phantom troviamo un cast davvero stellare, noto al pubblico internazionale. Come ha fatto a riunire questa ensemble?
Pregando. Gli attori hanno tutti i poteri possibili, quindi supplicando, supplicando sempre in ginocchio. È molto difficile fare un casting perché, negli ultimi tempi, c’è stato un boom sia per le serie che per i film, quindi gli attori hanno già tutte le programmazioni di quello che dovranno girare per i prossimi tre anni. Mi impegno a scrivere una bella sceneggiatura e poi prego Dio, perché credo che la buona riuscita di un casting dipenda anche da questo. A parte gli scherzi, la cosa più importante è la forza del progetto stesso, dell’opera cinematografica, se è forte, si riesce anche ad avere un buon cast.
In Phantom ci sono scene d’azione molto elaborate, come sono nate le “coreografie” di queste sequenze?
Quando ho progettato le scene d’azione mi sono concentrato molto sul sentimento di ogni personaggio, con quale tipo di determinazione andasse a fare una determinata mossa. Non abbiamo progettato prima il set e poi l’azione, è stato il contrario: abbiamo prima disegnato l’azione e poi il resto, ogni cosa derivava da quello, anche i colori o i materiali dell’ambientazione…è stato un lavoro fatto prima sulla sceneggiatura, poi con il coreografo e poi con il costumista e tutto il resto.
Oltre alle coreografie elaborate, ci sono anche dei set elaborati, tra cui quello del hotel. In alcune scene nella lobby, per via dei piani sequenza, si ha l’impressione che i set siano stati interamente costruiti. È così o avete usato tagli nascosti?
Il budget non era abbastanza, non è mai abbastanza, dovevamo trovare delle soluzioni. Avevamo set parziali, con greenscreen. Per esempio dell’esterno dell'hotel avevamo ricreato esclusivamente l’entrata della lobby interna. Abbiamo costruito solo due muri e c’erano solo il piano terra ed un unico piano rialzato. Per quella scena a cui ti riferisci, abbiamo fatto più riprese del passaggio da un piano all’altro e poi ricomposto tutto insieme per dare l’illusione che fosse una cosa sola. É stato difficile mettere ogni cosa in prospettiva correttamente, perché ci sono le colonne sui lati dell’inquadratura.
Qual è il futuro del cinema coreano secondo lei?
Sicuramente la pandemia ha lasciato il segno. Adesso il cinema coreano sta attraversando molti cambiamenti. Il film Parasite è stato prodotto poco prima della pandemia, in un’epoca in cui il settore del cinema coreano era molto ricco e fervente. Ora, dopo la pandemia, tutto si è un po’ congelato, i coreani si sono abituati a seguire le OTT globali, non vanno più al cinema. Molti registi di film ora scrivono anche per le serie, e molti del settore si chiedono cosa ci riserverà il futuro. Nel passato ci sono state molte montagne che sono state superate. Sono sicuro che se si continuerà a fare cinema con passione e amore arriverà anche un futuro più vivace.
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18.07.2023
Come ha fatto in precedenza Kim Jee-woon in The Age of Shadows (2016), il film sudcoreano Phantom ritorna all’epoca dell’occupazione giapponese della penisola. Si tratta di un whodunnit, adattato da The Message di Mai Jia, romanzo che ruota attorno a una serie di personaggi che cercano di identificare chi tra loro sia una spia della resistenza contro il regime degli invasori. Il libro era già stato precedentemente adattato per il cinema, ma in questo caso il regista Lee Hae-young trasforma la storia in un film d’azione esplosivo e pieno di colpi di scena. Con Phantom, il cineasta firma il suo quinto lungometraggio, che segue Like a virgin (2006), Foxy Festival (2010), The Silenced (2015), e Believer (2018), remake di Drug War (2012) di Johnnie To. Nel cast recitano molti volti noti: Park So-dam (Parasite), Lee Hanee, Park Hae-soo (Squid Game, La Casa di Carta), Sol Kyung-gu (Peppermint Candy) e Seo Hyun-woo (Decision to Leave).
Phantom ha avuto la sua anteprima italiana al 25esimo Far East Film Festival di Udine. Abbiamo avuto modo di parlare con Lee Hae-young, e di analizzare assieme il suo personale punto di vista.
Com’è nata l’idea di adattare Phantom, e cosa l’ha attratta al romanzo?
Ho iniziato a lavorare su Phantom cercando di discostarmi dal mio film precedente, Believer, che era una storia d’azione con personaggi maschili. Questa volta ho voluto inserire anche dei personaggi femminili. Il plot di Phantom si basa su un romanzo dello scrittore cinese Mai Jia, il genere è quello dello spionaggio, dove si cerca costantemente di capire chi sia l'infiltrato. Io ho ricreato la storia del fantasma facendo sapere chi è fin dall’inizio. Quando mi hanno proposto questo romanzo per la prima volta non ero molto interessato, mi sono rifiutato perché anche Believer aveva dinamiche simili, non avevo sufficienti stimoli. Poi mi sono reso conto che potevo raccontare la storia della spia al centro della vicenda, e includere dell’azione molto stilizzata.
I suoi primi film si discostano molto dall’action movie. Come mai ha compiuto questo cambio di rotta con Believer e Phantom?
Fare film di genere è sempre stato un mio sogno, una mia passione interiore. Diversamente da questa mia passione, i miei film precedenti, come Like a virgin o The silenced, hanno un taglio diverso. Arrivato a un certo punto ho sentito il bisogno di soddisfare questa mia passione, prima con Believer e poi con Phantom, per dedicarmi ai miei gusti più privati, alle mie preferenze. Dal punto di vista delle scene d’azione, mi sono concentrato di più sui characters e sul loro sviluppo emotivo, quindi anche l’approccio alle scene si orientava verso un design che rispecchiava ogni personaggio. Dopo due film action ho capito che le scene d’azione sono uno strumento per la rappresentazione del personaggio stesso.
Com’è avvenuta la procedura dell’adattamento del romanzo?
É stata la prima volta che mi sono dedicato ad un adattamento. Per scrivere la sceneggiatura non ho riportato simmetricamente le strutture del libro, mi sono fidato esclusivamente delle impressioni che ho avuto. Il film è basato più sulla mia reinterpretazione personale del testo scritto. Infatti è molto difficile vedere la forma originale del romanzo nel mio film. Ho fatto 2-3 letture prima di cominciare a girare, e poi ho seguito la mia strada. Ad oggi, dopo aver finito il film, non saprei neanche dire quanto mi sia distanziato dal romanzo. In Corea l’autore non è molto famoso, ed il libro non è nemmeno stato tradotto ufficialmente...l’ho letto con una traduzione non ufficiale. Ho acquistato legalmente i diritti però!
Dal romanzo di Mai Jia è stato adattato anche un altro film, The Message di Chen Kuo-Fu e Gao Qunshu. Come si è approcciato a questo precedente filmico?
L’ho visto, ma rispetto a quel film io mi sono concentrato esclusivamente sul riprodurre l’ambiente della storia. Ho cercato di vivere anatomicamente la trama e poi di ricomporla. Ho seguito lo stesso procedimento per Believer...volendo costruire la storia alla mia maniera.
In Phantom troviamo un cast davvero stellare, noto al pubblico internazionale. Come ha fatto a riunire questa ensemble?
Pregando. Gli attori hanno tutti i poteri possibili, quindi supplicando, supplicando sempre in ginocchio. È molto difficile fare un casting perché, negli ultimi tempi, c’è stato un boom sia per le serie che per i film, quindi gli attori hanno già tutte le programmazioni di quello che dovranno girare per i prossimi tre anni. Mi impegno a scrivere una bella sceneggiatura e poi prego Dio, perché credo che la buona riuscita di un casting dipenda anche da questo. A parte gli scherzi, la cosa più importante è la forza del progetto stesso, dell’opera cinematografica, se è forte, si riesce anche ad avere un buon cast.
In Phantom ci sono scene d’azione molto elaborate, come sono nate le “coreografie” di queste sequenze?
Quando ho progettato le scene d’azione mi sono concentrato molto sul sentimento di ogni personaggio, con quale tipo di determinazione andasse a fare una determinata mossa. Non abbiamo progettato prima il set e poi l’azione, è stato il contrario: abbiamo prima disegnato l’azione e poi il resto, ogni cosa derivava da quello, anche i colori o i materiali dell’ambientazione…è stato un lavoro fatto prima sulla sceneggiatura, poi con il coreografo e poi con il costumista e tutto il resto.
Oltre alle coreografie elaborate, ci sono anche dei set elaborati, tra cui quello del hotel. In alcune scene nella lobby, per via dei piani sequenza, si ha l’impressione che i set siano stati interamente costruiti. È così o avete usato tagli nascosti?
Il budget non era abbastanza, non è mai abbastanza, dovevamo trovare delle soluzioni. Avevamo set parziali, con greenscreen. Per esempio dell’esterno dell'hotel avevamo ricreato esclusivamente l’entrata della lobby interna. Abbiamo costruito solo due muri e c’erano solo il piano terra ed un unico piano rialzato. Per quella scena a cui ti riferisci, abbiamo fatto più riprese del passaggio da un piano all’altro e poi ricomposto tutto insieme per dare l’illusione che fosse una cosa sola. É stato difficile mettere ogni cosa in prospettiva correttamente, perché ci sono le colonne sui lati dell’inquadratura.
Qual è il futuro del cinema coreano secondo lei?
Sicuramente la pandemia ha lasciato il segno. Adesso il cinema coreano sta attraversando molti cambiamenti. Il film Parasite è stato prodotto poco prima della pandemia, in un’epoca in cui il settore del cinema coreano era molto ricco e fervente. Ora, dopo la pandemia, tutto si è un po’ congelato, i coreani si sono abituati a seguire le OTT globali, non vanno più al cinema. Molti registi di film ora scrivono anche per le serie, e molti del settore si chiedono cosa ci riserverà il futuro. Nel passato ci sono state molte montagne che sono state superate. Sono sicuro che se si continuerà a fare cinema con passione e amore arriverà anche un futuro più vivace.