TR-79
29.04.2023
Alla fermata Embankment della metropolitana di Londra si incrociano le linee Bakerloo, Circle, District, Northern e le due vite di Helen Quilley.
Helen è giovane e bella, elegante come solo le inglesi riescono a esserlo. Ha un buon lavoro nelle pubbliche relazioni e un fidanzato non così bello che si chiama Gerry. Una vita come tante: la mattina si sveglia già in ritardo su tutto, per la fretta rovescia del caffelatte su un libro che tiene sul comodino (un’edizione economica Penguin in quel punto di arancione che tutti riconoscono), bacia il fidanzato che si finge addormentato e altro non aspetta che la bella esca di casa per chiamare l’amante, prende la metro e raggiunge il lavoro. In montaggio alternato Helen prende una colazione al volo e recupera quattro bottiglie di vodka, Gerry si pulisce e si profuma per ciò che lo aspetta. Poi Helen arriva in ufficio, i colleghi, tutti maschi, sono già in sala riunione, le recriminano di aver finito le scorte di vodka così che loro non hanno avuto nulla da offrire ai clienti. Helen viene licenziata per quattro bottiglie di vodka, seguono alcune battute su peni che crescono alle donne quando stanno troppo tempo tra uomini e lesbiche. Mentre l’amante di Gerry arriva a casa loro, Helen lascia l’ufficio, in ascensore le cade un orecchino che un ragazzo si presta a raccogliere, poi va a riprendere la metropolitana: fermata Embankment. Nel minuto che segue, la forza di questa piccola e grande dramedy inglese di fine Novecento: il treno sta arrivando, Helen corre giù per le scale ma una bambina le si para davanti, la blocca ed Helen perde il treno; ma anche: il treno sta arrivando, Helen corre giù per le scale, la madre sposta la bambina che blocca la via a Helen e lei riesce a prendere la metropolitana.
Sliding doors sono le porte scorrevoli che separano le due vite di Helen. Due vite che da quel momento alla fermata Embankment della metropolitana di Londra sembrano scorrere parallele, come vuole la geometria euclidea: senza mai incontrarsi.
È il 1° maggio del 1998, nelle sale inglesi esce Sliding Doors, Helen Quilley ha il viso dolce e le gambe lunghe di Gwyneth Paltrow che arrivava da una comparsata breve ma importante in Seven di David Fincher, e un ruolo da protagonista nell’adattamento di Emma. Nello stesso anno sarà protagonista di Paradiso perduto, rilettura di Alfonso Cuaròn del classico dickensiano Grandi Speranze, recita nel remake di Il delitto perfetto di Hitchcock, vestendo i panni di quella che fu Grace Kelly, e poi si ritrova alla fermata Embankment, come capita a tutti.
Un passo indietro. Gwyneth Paltrow è figlia d’arte: suo padre è il regista Bruce Paltrow, la madre l’attrice Blythe Danner. Il fratello minore, Jake Paltrow, è anch’egli regista, la cugina, Katherine Moennig, anche lei attrice. Il suo padrino è Steven Spielberg. Nasce sotto il segno della Bilancia nel settembre del 1972. Nello stesso anno nascono Cameron Diaz e Ben Affleck, amici negli anni a venire della Paltrow, e il collega di diversi set Jude Law. È cresciuta in California, ha studiato a New York e in Spagna, e diciannovenne, nel 1991, esordisce prima in Shout, al fianco di John Travolta, poi in Hook – Capitan Uncino, nei panni della giovane Wendy Darling, diretta dal padrino.
Nel 1995 è sul set con Fincher, dove conosce il fidanzato del tempo Brad Pitt.
Nel 1996 ottiene il successo con il ruolo della wedding planner austeniana.
Poco prima del Natale del 1998 esce in anteprima americana Shakespeare in love sull’amore dello scrittore per la nobildonna Lady Viola, nato durante la preparazione di Romeo e Giulietta.
A fronte dei 25 milioni di dollari di budget, soltanto negli USA incassa oltre 100 milioni. In Italia si classificò al 2° posto tra i maggiori incassi della stagione. Arriverà a un guadagno totale di quasi 300 milioni, e si porterà a casa 3 BAFTA, 3 Golden Globe e 7 Oscar su 13 nomination.
Sono state considerate per il ruolo, prima di lei, Diane Lane, Robin Wright e Winona Ryder. Le malelingue vogliono che la forte amicizia che legava Ryder a Paltrow si sia incrinata proprio nel momento in cui è stata preferita la bionda per vestire i panni dell’amante shakespeariana. Le chiacchiere della provincia che è Hollywood parlano di una forte influenza da parte di Weinstein, produttore della pellicola, esercitata anche nei confronti dell’Academy nella stagione dei premi. La statuetta come migliore attrice protagonista finisce infatti tra le mani di Paltrow, e niente ne possono la favorita Cate Blanchett (in gara per l’Elisabetta I del dramma Elizabeth) e le altre candidate: Fernanda Montenegro, Emily Watson, e Meryl Streep.
Ad annunciare la vincitrice è Jack Nicholson, Paltrow veste un abito rosa Ralph Lauren che entrerà nella storia dei red carpet. Il discorso di ringraziamento dura tre minuti: ringrazia le colleghe candidate, Weinstein, il regista John Madden, il partner sul set Joseph Fiennes, tutta la troupe e l’amico Ben Affleck, poi la famiglia e su mamma e papà le si spezza la voce ma non le cade una lacrima.
Il treno è in stazione, Gwyneth Paltrow di rosa vestita, ci sale e prende posto.
1999. Protagonista, al fianco di Matt Damon e Jude Law, del thriller Il talento di Mr. Ripley.
2000. Viene diretta dal padre in Duets, film sulle competizioni di karaoke, dove si cimenta nella cover di Bette Davis Eyes.
2001. Veste i panni dell’iconica Margot Tenenbaum ne I Tenenbaum di Wes Anderson.
Una voce fuori campo avvisa i passeggeri di rallentamenti sulla linea.
“A causa di un deragliamento a Victoria, i treni della linea distrettuale subiscono forti ritardi”.
La Helen che ha perso il treno in Sliding Doors decide di prendere un taxi e mentre aspetta a bordo strada subisce uno scippo, lei che l’ha preso si trova seduta a fianco il ragazzo che poco prima, in ascensore, le aveva raccolto l’orecchino. Con lui chiacchiera riguardo alle poche chiacchiere che si fanno in metropolitana con gli sconosciuti, poi torna a casa e trova il marito con l’amante.
«Mi sentivo come, beh, ora chi dovrei essere? Tipo, cosa sono, quale direzione sto prendendo?» si chiede Gwyneth Paltrow, fresca d’Oscar.
Scendere dal treno in corsa, o aspettare la ripartenza. Recriminarsi di averlo preso, quando sarebbe stato forse meglio perderlo. Incolpare i presenti, gli assenti, incolparsi.
Negli anni che vengono, il successo va a diminuire: scelte sbagliate, pressioni crescenti. Recita in Amore a prima svista (2001), Austin Powers in Goldmember (2002), Una hostess tra le nuvole (2003), Sylvia (2003), Sky Captain and the World of Tomorrow (2004), Proof – La prova (2005), Amore e altri disastri (2006), Infamous (2006), Correndo con le forbici in mano (2006) e The good night (2007).
«Quando la mia carriera è decollata giravo dai tre ai cinque film all’anno. Sono arrivata al punto in cui anche le piccole cose, come stare seduti in camerino prima di andare sul set, farmi ritoccare il trucco e tutto il resto, non lo potevo sopportare», confida la Paltrow che inarrestabile passa comunque da un set all’altro.
Poi nel 2008 ritrova l’incanto nei tubini neri e i tacchi alti di Pepper Potts, segretaria prima e fidanzata poi del fu Tony Stark/Iron Man/Robert Downey Jr. Riprenderà il ruolo in altri cinque capitoli del Multiverso Marvel. E poi quasi nient’altro.
«È tutto così in movimento, sei sempre dappertutto. È difficile piantare radici. Io sono una pantofolaia. Mi piace stare con i miei vecchi amici e cucinare e abbracciare forte i miei figli. Io non voglio stare da sola, per esempio, in una stanza d’albergo a Budapest per sei settimane. Non è quello che sono».
Gwyneth Paltrow scende dal treno.
Il 2008 è l’anno della patata (per l’ONU) e del topo (per l’astrologia cinese). Il febbraio di quell’anno ha ventinove giorni e al sesto del mese cade il governo in Italia; da giugno a settembre si tiene l’Expo a Saragozza; in agosto viene trovata l’acqua su Marte e si svolgono le Olimpiadi a Pechino. Il 15 settembre fallisce la Lehman Brothers e nelle stesse settimane esce il primo numero della newsletter di Gwyneth Paltrow, Goop.
In poco meno di tre anni la newsletter diventa una società di e-commerce specializzata in benessere e lifestyle. Paltrow collabora con case di moda, apre pop-up shops, indice incontri di wellness, lancia una rivista cartacea, un podcast e una serie promozionale su Netflix. Negli anni ha messo in vendita una candela alla fragranza di vagina, uova vaginali capaci di curare l’infertilità, i dolori mestruali e l’incontinenza, un repellente per vampiri psichici, etichette adesive capaci di riequilibrare l’energia del corpo e clisteri al caffè.
Dimenticabilissima in Mortdecai (2015) al fianco di Johnny Depp, e divertita quando diretta da Ryan Murphy in Glee e The Politician (dove, in effetti, sembra incarnare la parte di se stessa), Paltrow abbandonerà a poco a poco ma sempre di più lo schermo per dedicarsi alla sua azienda.
Per molti resta l’ex moglie di Chris Martin, a cui il leader dei Coldplay ha dedicato Fix You dopo la morte del padre, e da cui ha avuto una figlia che ha chiamato Apple; per altri una delle attrici più antipatiche di Hollywood. Ora, l’unica capace di farci dimenticare il processo del tempo che ci meritiamo – e cioè Depp vs Heard, già diventato una serie tv – entrando in aula e vincendo su un settantaseienne che l’accusava di averlo travolto su una pista da sci nel 2016. La stampa concorda: questo è il suo ruolo migliore, per le faccette, il disimpegno, gli outfit che continuano a essere per noi altri, infelici molti, una lezione di stile e buon gusto.
In Sliding Doors, la fine peggiore spetta alla Helen che riesce a salire sulla metropolitana. Ma c’è una battuta, sul finale dell’altra Helen, quella che il treno l’aveva perso, che riguarda i Monty Python (come tutto, d’altronde, in Inghilterra) e fa capire che senza le disgrazie della prima non esisterebbe la fortuna della seconda, e che la vita è una soltanto e accade in quel punto dove la geometria non euclidea vuole si incontrino le due rette parallele che non dovevano incontrarsi mai. È il posto dove il severo convive con il clemente, la tristezza fa spazio all’allegria e la gravità ha una sua leggerezza. E quello è il posto di Gwyneth Paltrow.
TR-79
29.04.2023
Alla fermata Embankment della metropolitana di Londra si incrociano le linee Bakerloo, Circle, District, Northern e le due vite di Helen Quilley.
Helen è giovane e bella, elegante come solo le inglesi riescono a esserlo. Ha un buon lavoro nelle pubbliche relazioni e un fidanzato non così bello che si chiama Gerry. Una vita come tante: la mattina si sveglia già in ritardo su tutto, per la fretta rovescia del caffelatte su un libro che tiene sul comodino (un’edizione economica Penguin in quel punto di arancione che tutti riconoscono), bacia il fidanzato che si finge addormentato e altro non aspetta che la bella esca di casa per chiamare l’amante, prende la metro e raggiunge il lavoro. In montaggio alternato Helen prende una colazione al volo e recupera quattro bottiglie di vodka, Gerry si pulisce e si profuma per ciò che lo aspetta. Poi Helen arriva in ufficio, i colleghi, tutti maschi, sono già in sala riunione, le recriminano di aver finito le scorte di vodka così che loro non hanno avuto nulla da offrire ai clienti. Helen viene licenziata per quattro bottiglie di vodka, seguono alcune battute su peni che crescono alle donne quando stanno troppo tempo tra uomini e lesbiche. Mentre l’amante di Gerry arriva a casa loro, Helen lascia l’ufficio, in ascensore le cade un orecchino che un ragazzo si presta a raccogliere, poi va a riprendere la metropolitana: fermata Embankment. Nel minuto che segue, la forza di questa piccola e grande dramedy inglese di fine Novecento: il treno sta arrivando, Helen corre giù per le scale ma una bambina le si para davanti, la blocca ed Helen perde il treno; ma anche: il treno sta arrivando, Helen corre giù per le scale, la madre sposta la bambina che blocca la via a Helen e lei riesce a prendere la metropolitana.
Sliding doors sono le porte scorrevoli che separano le due vite di Helen. Due vite che da quel momento alla fermata Embankment della metropolitana di Londra sembrano scorrere parallele, come vuole la geometria euclidea: senza mai incontrarsi.
È il 1° maggio del 1998, nelle sale inglesi esce Sliding Doors, Helen Quilley ha il viso dolce e le gambe lunghe di Gwyneth Paltrow che arrivava da una comparsata breve ma importante in Seven di David Fincher, e un ruolo da protagonista nell’adattamento di Emma. Nello stesso anno sarà protagonista di Paradiso perduto, rilettura di Alfonso Cuaròn del classico dickensiano Grandi Speranze, recita nel remake di Il delitto perfetto di Hitchcock, vestendo i panni di quella che fu Grace Kelly, e poi si ritrova alla fermata Embankment, come capita a tutti.
Un passo indietro. Gwyneth Paltrow è figlia d’arte: suo padre è il regista Bruce Paltrow, la madre l’attrice Blythe Danner. Il fratello minore, Jake Paltrow, è anch’egli regista, la cugina, Katherine Moennig, anche lei attrice. Il suo padrino è Steven Spielberg. Nasce sotto il segno della Bilancia nel settembre del 1972. Nello stesso anno nascono Cameron Diaz e Ben Affleck, amici negli anni a venire della Paltrow, e il collega di diversi set Jude Law. È cresciuta in California, ha studiato a New York e in Spagna, e diciannovenne, nel 1991, esordisce prima in Shout, al fianco di John Travolta, poi in Hook – Capitan Uncino, nei panni della giovane Wendy Darling, diretta dal padrino.
Nel 1995 è sul set con Fincher, dove conosce il fidanzato del tempo Brad Pitt.
Nel 1996 ottiene il successo con il ruolo della wedding planner austeniana.
Poco prima del Natale del 1998 esce in anteprima americana Shakespeare in love sull’amore dello scrittore per la nobildonna Lady Viola, nato durante la preparazione di Romeo e Giulietta.
A fronte dei 25 milioni di dollari di budget, soltanto negli USA incassa oltre 100 milioni. In Italia si classificò al 2° posto tra i maggiori incassi della stagione. Arriverà a un guadagno totale di quasi 300 milioni, e si porterà a casa 3 BAFTA, 3 Golden Globe e 7 Oscar su 13 nomination.
Sono state considerate per il ruolo, prima di lei, Diane Lane, Robin Wright e Winona Ryder. Le malelingue vogliono che la forte amicizia che legava Ryder a Paltrow si sia incrinata proprio nel momento in cui è stata preferita la bionda per vestire i panni dell’amante shakespeariana. Le chiacchiere della provincia che è Hollywood parlano di una forte influenza da parte di Weinstein, produttore della pellicola, esercitata anche nei confronti dell’Academy nella stagione dei premi. La statuetta come migliore attrice protagonista finisce infatti tra le mani di Paltrow, e niente ne possono la favorita Cate Blanchett (in gara per l’Elisabetta I del dramma Elizabeth) e le altre candidate: Fernanda Montenegro, Emily Watson, e Meryl Streep.
Ad annunciare la vincitrice è Jack Nicholson, Paltrow veste un abito rosa Ralph Lauren che entrerà nella storia dei red carpet. Il discorso di ringraziamento dura tre minuti: ringrazia le colleghe candidate, Weinstein, il regista John Madden, il partner sul set Joseph Fiennes, tutta la troupe e l’amico Ben Affleck, poi la famiglia e su mamma e papà le si spezza la voce ma non le cade una lacrima.
Il treno è in stazione, Gwyneth Paltrow di rosa vestita, ci sale e prende posto.
1999. Protagonista, al fianco di Matt Damon e Jude Law, del thriller Il talento di Mr. Ripley.
2000. Viene diretta dal padre in Duets, film sulle competizioni di karaoke, dove si cimenta nella cover di Bette Davis Eyes.
2001. Veste i panni dell’iconica Margot Tenenbaum ne I Tenenbaum di Wes Anderson.
Una voce fuori campo avvisa i passeggeri di rallentamenti sulla linea.
“A causa di un deragliamento a Victoria, i treni della linea distrettuale subiscono forti ritardi”.
La Helen che ha perso il treno in Sliding Doors decide di prendere un taxi e mentre aspetta a bordo strada subisce uno scippo, lei che l’ha preso si trova seduta a fianco il ragazzo che poco prima, in ascensore, le aveva raccolto l’orecchino. Con lui chiacchiera riguardo alle poche chiacchiere che si fanno in metropolitana con gli sconosciuti, poi torna a casa e trova il marito con l’amante.
«Mi sentivo come, beh, ora chi dovrei essere? Tipo, cosa sono, quale direzione sto prendendo?» si chiede Gwyneth Paltrow, fresca d’Oscar.
Scendere dal treno in corsa, o aspettare la ripartenza. Recriminarsi di averlo preso, quando sarebbe stato forse meglio perderlo. Incolpare i presenti, gli assenti, incolparsi.
Negli anni che vengono, il successo va a diminuire: scelte sbagliate, pressioni crescenti. Recita in Amore a prima svista (2001), Austin Powers in Goldmember (2002), Una hostess tra le nuvole (2003), Sylvia (2003), Sky Captain and the World of Tomorrow (2004), Proof – La prova (2005), Amore e altri disastri (2006), Infamous (2006), Correndo con le forbici in mano (2006) e The good night (2007).
«Quando la mia carriera è decollata giravo dai tre ai cinque film all’anno. Sono arrivata al punto in cui anche le piccole cose, come stare seduti in camerino prima di andare sul set, farmi ritoccare il trucco e tutto il resto, non lo potevo sopportare», confida la Paltrow che inarrestabile passa comunque da un set all’altro.
Poi nel 2008 ritrova l’incanto nei tubini neri e i tacchi alti di Pepper Potts, segretaria prima e fidanzata poi del fu Tony Stark/Iron Man/Robert Downey Jr. Riprenderà il ruolo in altri cinque capitoli del Multiverso Marvel. E poi quasi nient’altro.
«È tutto così in movimento, sei sempre dappertutto. È difficile piantare radici. Io sono una pantofolaia. Mi piace stare con i miei vecchi amici e cucinare e abbracciare forte i miei figli. Io non voglio stare da sola, per esempio, in una stanza d’albergo a Budapest per sei settimane. Non è quello che sono».
Gwyneth Paltrow scende dal treno.
Il 2008 è l’anno della patata (per l’ONU) e del topo (per l’astrologia cinese). Il febbraio di quell’anno ha ventinove giorni e al sesto del mese cade il governo in Italia; da giugno a settembre si tiene l’Expo a Saragozza; in agosto viene trovata l’acqua su Marte e si svolgono le Olimpiadi a Pechino. Il 15 settembre fallisce la Lehman Brothers e nelle stesse settimane esce il primo numero della newsletter di Gwyneth Paltrow, Goop.
In poco meno di tre anni la newsletter diventa una società di e-commerce specializzata in benessere e lifestyle. Paltrow collabora con case di moda, apre pop-up shops, indice incontri di wellness, lancia una rivista cartacea, un podcast e una serie promozionale su Netflix. Negli anni ha messo in vendita una candela alla fragranza di vagina, uova vaginali capaci di curare l’infertilità, i dolori mestruali e l’incontinenza, un repellente per vampiri psichici, etichette adesive capaci di riequilibrare l’energia del corpo e clisteri al caffè.
Dimenticabilissima in Mortdecai (2015) al fianco di Johnny Depp, e divertita quando diretta da Ryan Murphy in Glee e The Politician (dove, in effetti, sembra incarnare la parte di se stessa), Paltrow abbandonerà a poco a poco ma sempre di più lo schermo per dedicarsi alla sua azienda.
Per molti resta l’ex moglie di Chris Martin, a cui il leader dei Coldplay ha dedicato Fix You dopo la morte del padre, e da cui ha avuto una figlia che ha chiamato Apple; per altri una delle attrici più antipatiche di Hollywood. Ora, l’unica capace di farci dimenticare il processo del tempo che ci meritiamo – e cioè Depp vs Heard, già diventato una serie tv – entrando in aula e vincendo su un settantaseienne che l’accusava di averlo travolto su una pista da sci nel 2016. La stampa concorda: questo è il suo ruolo migliore, per le faccette, il disimpegno, gli outfit che continuano a essere per noi altri, infelici molti, una lezione di stile e buon gusto.
In Sliding Doors, la fine peggiore spetta alla Helen che riesce a salire sulla metropolitana. Ma c’è una battuta, sul finale dell’altra Helen, quella che il treno l’aveva perso, che riguarda i Monty Python (come tutto, d’altronde, in Inghilterra) e fa capire che senza le disgrazie della prima non esisterebbe la fortuna della seconda, e che la vita è una soltanto e accade in quel punto dove la geometria non euclidea vuole si incontrino le due rette parallele che non dovevano incontrarsi mai. È il posto dove il severo convive con il clemente, la tristezza fa spazio all’allegria e la gravità ha una sua leggerezza. E quello è il posto di Gwyneth Paltrow.