INT-26
23.03.2023
Il Boemo, che ha avuto la sua anteprima nazionale lo scorso 24 Gennaio al Trieste Film Festival, è un'opera biografica di produzione ceca-italiana che ripercorre la vita di Josef Mysliveček, compositore ceco vissuto nel Settecento e, all’epoca, celebre in tutta Italia. Mysliveček, soprannominato “Il Grande Boemo”, apparteneva alla generazione precedente a Mozart, che lo considerava, in un certo qual modo, il proprio mentore.
Abbiamo intervistato Petr Vaclav, il regista del film, che dopo aver già lavorato su un documentario dedicato alla vita del musicista, ha scelto di trarne un film che fa dell’accuratezza storica il proprio mantra. La pellicola ha recentemente trionfato alla trentesima edizione dei Leoni Cechi, ottenendo il premio al miglior film e alla miglior regia.
Cosa l’ha ispirata a fare un film su Mysliveček?
Come posso sapere? Un desiderio che ti porta a fare un film è complesso da descrivere. Credo che volessi girare un film in Italia, ambientato nel Settecento, ma era un desiderio vago. Poi un giorno mi sono imbattuto nella figura di Mysliveček, aveva una storia molto interessante. C’erano poche registrazioni della sua musica. Mentre studiavo la sua vita ho pensato che lui non meritasse l’oblio, e che noi non meritassimo di non conoscerlo. Io adesso ascoltando Mysliveček, amo Mozart ancora di più. La gente è molto binaria, crede che se Mozart era un genio, non bisogna ascoltare altri. Questa logica non funziona. La musica di Mysliveček, e la sua capacità di dipingere i conflitti dei personaggi sul palcoscenico, è affascinante e potente, con tanta interiorità. Tutto questo lavoro di indagine sulla sua figura mi ha aperto un mondo, perchè io prima di dedicarmi al film non amavo l’opera lirica, non la conoscevo. Io credo che questo non sia un film dedicato solamente a chi è appassionato all’opera, perchè nemmeno io ci andavo, adesso amo ascoltare la musica di Mysliveček, credo sia una musica potente, accessibile, che può piacere a tutti.
Nel film vi è una particolare attenzione alla ricostruzione storica dell’esperienza del teatro dell’opera nel Settecento.
Questa moda di schiarire il palcoscenico e mettere il pubblico nell’ombra è un’invenzione di Wagner. Prima non era così, perché quando il re si presentava tutti dovevano vederlo. Ogni cosa veniva illuminata a giorno, tutti erano accecati dalla luce, lo scrive Rousseau. La gente andava ogni sera all’opera, e li si mangiava, si giocava e, alle volte, si scopava, era un mondo totalmente diverso dal nostro. Era un po’ come il mondo della tv oggi. Perciò all’epoca andavano a teatro per socializzare, svagarsi, non ascoltavano i recitativi, stavano a guardare solo se l’aria gli piaceva, e acclamavano il compositore, o il cantante, se era amato, a seconda delle tendenze, era un mondo molto vivace.
Nel film ci sono molti camei di celebri personaggi dell’epoca, tra cui Re Ferdinando Borbone e sua moglie Maria Carolina d’Asburgo.
Questi personaggi sono molto importanti perché a Napoli Mysliveček scrisse tante opere per il San Carlo, il rapporto con Ferdinando mi interessava molto. Anche quello con Maria Carolina, la regina, la cui famiglia aveva un rapporto speciale anche con Mozart, furono loro a rovinare la sua carriera in Italia.
Inoltre chi è appassionato di opera noterà ne Il Boemo la presenza di molti cantanti lirici importanti.
Mysliveček scriveva su misura per le più grandi voci del suo tempo, per i più grandi “castrati”, per la Gabrielli, dunque la sua è una musica difficile da eseguire. In questi tempi il cantante arrivava, il compositore vedeva la sua “tessitura”, ovvero le sue capacità canore, e componeva per lui, e questo lo si vede nel film. Dunque se Mysliveček creava su misura per i più grandi della sua epoca, anche oggi dobbiamo avere i cantanti più grandi della nostra per interpretare la sua musica, una musica che non è fatta per voci deboli. Quindi volevo avere un cast veramente potente, con cantanti splendidi.
Si può notare anche una correttezza musicale nelle performance degli attori, per esempio nella direzione musicale di Vojtech Dyk.
Ho preso Vojtech Dyk, che è anche frontman di una band, perché sapevo che lui era in grado di suonare il pianoforte e dirigere. Non volevo avere un attore che fingesse di essere un musicista. Anche Federica Vecchi, lei non è proprio un’attrice, ma ha un carattere ed un’ interiorità molto belli, e sa suonare, perché un attore potrà fingere di saper suonare un pianoforte ma mai uno strumento ad arco. Ho lavorato con la soprana Raffaella Milanesi, che è una cantante bravissima. Lei ha aiutato Barbara Ronchi - che ha il ruolo della cantante Caterina Gabrielli - a interpretare il playback molto bene. L’unico playback del film è infatti quello di Barbara Ronchi, tutto il resto è stato girato live perché volevo mostrare l’impegno canoro a livello fisico. Tutti i film girati in playback non possono avere questa stessa energia. Inoltre, il mondo dell’opera barocca del settecento non è abbastanza studiato, chi canta opere di quest’epoca non è conosciuto come chi canta Wagner, Bellini o Puccini.
Per quale motivo ha scelto un direttore della fotografia dal passato documentaristico? Quale era l’intento?
Volevo fare un film molto vicino alla realtà, e non un qualcosa di accademico. Quando fanno questi film storici sono sempre un po’ come delle caramelle. Io ero attirato dai bei costumi e dai luoghi magnifici, ma volevo girarlo come se fosse un film sociale, di oggi, con la cinepresa a spalla. A me l’accademismo non piace, soprattutto quando si parla di un film che tratta dell’opera, perché già l’opera di per se fa un po’ paura, sembra un qualcosa di snob, e dunque volevo osservare i personaggi con i loro conflitti, la loro passione e tristezza, e mischiare tutto insieme per avere molte sfumature.
É stato necessario operare molti tagli rispetto al lavoro finale,? Considerando quanto è stata piena la vita di Mysliveček.
In ogni film ci sono delle scene che non vedranno mai la sala. Ho tolto certe sequenze, ma non tante perché in un film così costoso non potevo girare troppo materiale che non avrei usato. Bisogna capire come mantenere il ritmo per rimanere all’essenziale. In Italia, chiaramente, ero assistito dai dialogue coach, che dovevano aiutare Voytech Dych con l’Italiano, ma che davano una mano anche a me per capire se le battute e gli accenti andassero bene. Chiaramente quando non è la tua lingua hai bisogno di questo aiuto. Abbiamo gestito bene il set, ma poi ho fatto un errore, perché io ho due montatori francesi con i quali abbiamo fatto parecchi film insieme. Sono andato a montare con loro e mi sono accorto che stavo facendo la cosa sbagliata, perchè nessuno di noi poteva fare un montaggio in italiano. Quindi sono andato a fare il montaggio in Italia, con Paolo Cottignola.
É inevitabile non pensare ad un altro film su un tema simile, fatto da un regista ceco, ovvero Amadeus di Miloš Forman. Come ha affrontato questo confronto?
Ovviamente sapevo che il mio film sarebbe stato paragonato ad Amadeus, però non è la stessa cosa. Sono passati quarant’anni e la nostra conoscenza della musica rispetto a quei tempi è diversa. Poi non si può paragonare un film americano girato con 14 milioni nella Cecoslovacchia comunista, dove tutto costava venti volte meno, con un film fatto con un’altro capitale nell’Italia di oggi. Per esempio se prendi la locandina di Amadeus c’è un pianoforte Steinway. Quando ero al liceo mi pareva normale. Oggi non si può fare, abbiamo la conoscenza della musica barocca, ci sono tante orchestre, come nel mio film, che suonano su strumenti d’epoca. Amadeus rimane un grande film degli anni‘80, e Il Boemo e un film degli anni venti di un altro secolo.
Secondo lei il film è riuscito a ristabilire la fama di Mysliveček?
Credo che Mysliveček non sarà più dimenticato, se riesco a permettere un certo risalto in Italia e se riesce bene in Francia, dove la distribuzione inizierà in Giugno. Il fatto che abbiamo registrato tanta musica ha permesso la pubblicazione di un CD dalla Warner a Maggio. Ci sono anche due libri in ceco ed inglese, disponibili adesso, magari li potremmo tradurre in francese. Credo di sì, stiamo facendo un lavoro che permetterà a questo artista dimenticato di ritrovare la fama. Il destino di un compositore non è mai garantito, ma, allo stesso tempo, il suo lavoro non è mai perso. Niente vale per l’eternità, e niente è perduto per l’eternità.
INT-26
23.03.2023
Il Boemo, che ha avuto la sua anteprima nazionale lo scorso 24 Gennaio al Trieste Film Festival, è un'opera biografica di produzione ceca-italiana che ripercorre la vita di Josef Mysliveček, compositore ceco vissuto nel Settecento e, all’epoca, celebre in tutta Italia. Mysliveček, soprannominato “Il Grande Boemo”, apparteneva alla generazione precedente a Mozart, che lo considerava, in un certo qual modo, il proprio mentore.
Abbiamo intervistato Petr Vaclav, il regista del film, che dopo aver già lavorato su un documentario dedicato alla vita del musicista, ha scelto di trarne un film che fa dell’accuratezza storica il proprio mantra. La pellicola ha recentemente trionfato alla trentesima edizione dei Leoni Cechi, ottenendo il premio al miglior film e alla miglior regia.
Cosa l’ha ispirata a fare un film su Mysliveček?
Come posso sapere? Un desiderio che ti porta a fare un film è complesso da descrivere. Credo che volessi girare un film in Italia, ambientato nel Settecento, ma era un desiderio vago. Poi un giorno mi sono imbattuto nella figura di Mysliveček, aveva una storia molto interessante. C’erano poche registrazioni della sua musica. Mentre studiavo la sua vita ho pensato che lui non meritasse l’oblio, e che noi non meritassimo di non conoscerlo. Io adesso ascoltando Mysliveček, amo Mozart ancora di più. La gente è molto binaria, crede che se Mozart era un genio, non bisogna ascoltare altri. Questa logica non funziona. La musica di Mysliveček, e la sua capacità di dipingere i conflitti dei personaggi sul palcoscenico, è affascinante e potente, con tanta interiorità. Tutto questo lavoro di indagine sulla sua figura mi ha aperto un mondo, perchè io prima di dedicarmi al film non amavo l’opera lirica, non la conoscevo. Io credo che questo non sia un film dedicato solamente a chi è appassionato all’opera, perchè nemmeno io ci andavo, adesso amo ascoltare la musica di Mysliveček, credo sia una musica potente, accessibile, che può piacere a tutti.
Nel film vi è una particolare attenzione alla ricostruzione storica dell’esperienza del teatro dell’opera nel Settecento.
Questa moda di schiarire il palcoscenico e mettere il pubblico nell’ombra è un’invenzione di Wagner. Prima non era così, perché quando il re si presentava tutti dovevano vederlo. Ogni cosa veniva illuminata a giorno, tutti erano accecati dalla luce, lo scrive Rousseau. La gente andava ogni sera all’opera, e li si mangiava, si giocava e, alle volte, si scopava, era un mondo totalmente diverso dal nostro. Era un po’ come il mondo della tv oggi. Perciò all’epoca andavano a teatro per socializzare, svagarsi, non ascoltavano i recitativi, stavano a guardare solo se l’aria gli piaceva, e acclamavano il compositore, o il cantante, se era amato, a seconda delle tendenze, era un mondo molto vivace.
Nel film ci sono molti camei di celebri personaggi dell’epoca, tra cui Re Ferdinando Borbone e sua moglie Maria Carolina d’Asburgo.
Questi personaggi sono molto importanti perché a Napoli Mysliveček scrisse tante opere per il San Carlo, il rapporto con Ferdinando mi interessava molto. Anche quello con Maria Carolina, la regina, la cui famiglia aveva un rapporto speciale anche con Mozart, furono loro a rovinare la sua carriera in Italia.
Inoltre chi è appassionato di opera noterà ne Il Boemo la presenza di molti cantanti lirici importanti.
Mysliveček scriveva su misura per le più grandi voci del suo tempo, per i più grandi “castrati”, per la Gabrielli, dunque la sua è una musica difficile da eseguire. In questi tempi il cantante arrivava, il compositore vedeva la sua “tessitura”, ovvero le sue capacità canore, e componeva per lui, e questo lo si vede nel film. Dunque se Mysliveček creava su misura per i più grandi della sua epoca, anche oggi dobbiamo avere i cantanti più grandi della nostra per interpretare la sua musica, una musica che non è fatta per voci deboli. Quindi volevo avere un cast veramente potente, con cantanti splendidi.
Si può notare anche una correttezza musicale nelle performance degli attori, per esempio nella direzione musicale di Vojtech Dyk.
Ho preso Vojtech Dyk, che è anche frontman di una band, perché sapevo che lui era in grado di suonare il pianoforte e dirigere. Non volevo avere un attore che fingesse di essere un musicista. Anche Federica Vecchi, lei non è proprio un’attrice, ma ha un carattere ed un’ interiorità molto belli, e sa suonare, perché un attore potrà fingere di saper suonare un pianoforte ma mai uno strumento ad arco. Ho lavorato con la soprana Raffaella Milanesi, che è una cantante bravissima. Lei ha aiutato Barbara Ronchi - che ha il ruolo della cantante Caterina Gabrielli - a interpretare il playback molto bene. L’unico playback del film è infatti quello di Barbara Ronchi, tutto il resto è stato girato live perché volevo mostrare l’impegno canoro a livello fisico. Tutti i film girati in playback non possono avere questa stessa energia. Inoltre, il mondo dell’opera barocca del settecento non è abbastanza studiato, chi canta opere di quest’epoca non è conosciuto come chi canta Wagner, Bellini o Puccini.
Per quale motivo ha scelto un direttore della fotografia dal passato documentaristico? Quale era l’intento?
Volevo fare un film molto vicino alla realtà, e non un qualcosa di accademico. Quando fanno questi film storici sono sempre un po’ come delle caramelle. Io ero attirato dai bei costumi e dai luoghi magnifici, ma volevo girarlo come se fosse un film sociale, di oggi, con la cinepresa a spalla. A me l’accademismo non piace, soprattutto quando si parla di un film che tratta dell’opera, perché già l’opera di per se fa un po’ paura, sembra un qualcosa di snob, e dunque volevo osservare i personaggi con i loro conflitti, la loro passione e tristezza, e mischiare tutto insieme per avere molte sfumature.
É stato necessario operare molti tagli rispetto al lavoro finale,? Considerando quanto è stata piena la vita di Mysliveček.
In ogni film ci sono delle scene che non vedranno mai la sala. Ho tolto certe sequenze, ma non tante perché in un film così costoso non potevo girare troppo materiale che non avrei usato. Bisogna capire come mantenere il ritmo per rimanere all’essenziale. In Italia, chiaramente, ero assistito dai dialogue coach, che dovevano aiutare Voytech Dych con l’Italiano, ma che davano una mano anche a me per capire se le battute e gli accenti andassero bene. Chiaramente quando non è la tua lingua hai bisogno di questo aiuto. Abbiamo gestito bene il set, ma poi ho fatto un errore, perché io ho due montatori francesi con i quali abbiamo fatto parecchi film insieme. Sono andato a montare con loro e mi sono accorto che stavo facendo la cosa sbagliata, perchè nessuno di noi poteva fare un montaggio in italiano. Quindi sono andato a fare il montaggio in Italia, con Paolo Cottignola.
É inevitabile non pensare ad un altro film su un tema simile, fatto da un regista ceco, ovvero Amadeus di Miloš Forman. Come ha affrontato questo confronto?
Ovviamente sapevo che il mio film sarebbe stato paragonato ad Amadeus, però non è la stessa cosa. Sono passati quarant’anni e la nostra conoscenza della musica rispetto a quei tempi è diversa. Poi non si può paragonare un film americano girato con 14 milioni nella Cecoslovacchia comunista, dove tutto costava venti volte meno, con un film fatto con un’altro capitale nell’Italia di oggi. Per esempio se prendi la locandina di Amadeus c’è un pianoforte Steinway. Quando ero al liceo mi pareva normale. Oggi non si può fare, abbiamo la conoscenza della musica barocca, ci sono tante orchestre, come nel mio film, che suonano su strumenti d’epoca. Amadeus rimane un grande film degli anni‘80, e Il Boemo e un film degli anni venti di un altro secolo.
Secondo lei il film è riuscito a ristabilire la fama di Mysliveček?
Credo che Mysliveček non sarà più dimenticato, se riesco a permettere un certo risalto in Italia e se riesce bene in Francia, dove la distribuzione inizierà in Giugno. Il fatto che abbiamo registrato tanta musica ha permesso la pubblicazione di un CD dalla Warner a Maggio. Ci sono anche due libri in ceco ed inglese, disponibili adesso, magari li potremmo tradurre in francese. Credo di sì, stiamo facendo un lavoro che permetterà a questo artista dimenticato di ritrovare la fama. Il destino di un compositore non è mai garantito, ma, allo stesso tempo, il suo lavoro non è mai perso. Niente vale per l’eternità, e niente è perduto per l’eternità.