INT-24
12.03.2023
Al festival di Berlino sono state presentate molte opere prime interessanti, e una di queste è stata Family Time di Tia Kouvo. Il film aveva colto la nostra attenzione sin dall’annuncio dei film a Berlino, soprattutto perché è stato prodotto da Aamu Film Company, casa di produzione che ha finanziato alcuni dei progetti più interessanti del cinema finlandese, come Compartment No. 6 e The Happiest Day in the Life of Olli Mäki di Juho Kuosmanen o il più recente The Woodcutter Story di Mikko Myllylhati. Family Time è un intimo elogio alla quotidianità di una famiglia, ritratta attraverso tre generazioni che si incontrano durante il periodo delle feste natalizie.
Al Festival di Berlino abbiamo avuto l’occasione di intervistare Tia Kouvo, che ci ha spiegato le motivazioni che l’hanno portata a girare un film che analizza le dinamiche familiari.
Nel 2018 hai diretto un cortometraggio con lo stesso titolo e cast, come hai esteso l’idea iniziale per arrivare al lungometraggio?
A dire il vero è il contrario. Sapevo di voler fare il mio primo lungometraggio su una famiglia che si ritrova per le festività natalizie. Quando ero a scuola di cinema e dovevo comporre il progetto di laurea, ho deciso di usare questa idea. Volevo già provare a lavorare con gli attori e cercare di trovare un mio stile di regia. Il cortometraggio era un tryout per questo film in poche parole.
E ci sono grandi differenze tra i due progetti?
Dal punto di vista stilistico no. La principale differenza è forse temporale, nel corto la famiglia si ritrova durante un weekend qualsiasi e non a Natale. Ci sono scene simili però, ad esempio la cena in famiglia girata con un’inquadratura fissa. Fare il cortometraggio mi ha aiutato molto perché ho capito come volevo lavorare sul set e ho visto che lo humor funzionava.
Il tuo film rispecchia un’esperienza universale, nel senso: noi stiamo guardando una famiglia finlandese, ma allo stesso tempo ci possiamo immedesimare in questi personaggi. E a essere onesti, le festività natalizie non sono sempre così felici come possono sembrare. E questo sentimento è espresso bene nel tuo film.
Era il mio obbiettivo sin dall’inizio, più che altro perché di solito ci si ritrova tutti insieme in poche occasioni durante l’anno. Ma quando ci si vede, a volte, l’atmosfera diventa “acida” (la regista ride, n.d.r.), volevo esplorare il perché di questa situazione. Ma soprattutto, volevo mostrare queste persone domandarsi «È un bene che ci comportiamo così? È una situazione problematica?», oppure «cambieremo mai il nostro atteggiamento?».
C’è una scena in particolare che mi ha colpito, la sequenza nel garage, dove Susanna e Risto iniziano discutere. Volevo chiederti se avessi avuto qualche difficoltà a girarla, soprattutto per la durata di dieci minuti e il grande range emotivo che i due personaggi dovevano mostrare.
Abbiamo provato questa scena a lungo, dovevamo trovare le luci giuste per la scena e soprattutto i due attori dovevano trovare il giusto ritmo e i sentimenti di questi personaggi. Abbiamo girato la scena in una giornata, ma non ero convinta del risultato, quindi l’abbiamo rifatta il giorno dopo. Per Ria (Kataja, n.d.r.), che interpreta Susanna, è stata una scena difficile, doveva piangere molto. Ma è stata davvero brava.
Verso la fine c’è una sequenza abbastanza d’impatto accompagnata dalla canzone Mamy Blue, come mai la scelta di questo brano?
La musica è molto importante per me e volevo avere delle determinate canzoni per il film. Ad esempio, Zombie (dei The Cranberries, n.d.r.) è sempre stata presente nella sceneggiatura. Con Mamy Blue, all’inizio avevo scelto un’altra versione, un po’ più “upbeat”, ma alla fine ho scelta la versione che hai sentito nel film e ha funzionato lo stesso. In quella sequenza comunque ho voluto inserire una canzone “vecchia”, che richiamasse la gioventù dei due personaggi. Aveva un buon ritmo e mi piaceva (la regista ride, n.d.r.)
Per quanto riguarda i dialoghi, hai permesso agli attori di improvvisare o erano già presenti nella sceneggiatura?
Erano già presenti per lo più, sarebbe stato un incubo altrimenti. Il cast è piuttosto numeroso e ci sarebbe stata un’atmosfera caotica. Ma in alcune scene, soprattutto quelle con i bambini, ho permesso a loro di improvvisare, gli spiegavo la situazione e quello che dovevano dire a grandi linee. Ma il 99% di quello che senti, era già presente nella sceneggiatura.
E a proposito dei bambini, questi assumono un ruolo sempre più importante man mano che il film prosegue. Come mai questa scelta?
Non penso che noi adulti, a volte, siamo così intelligenti e volevo mostrare anche questo nel film. Family Time è una storia multigenerazionale e in qualche modo le generazioni più piccole possono aiutare a portare un cambiamento all’interno di certi nuclei famigliari. Per esempio, la ragazza ha un ruolo importante perché è quella che dice «questo non va bene»e c’è qualcosa di simpatico nel fatto che lei voglia cambiare il “mondo” e soprattutto, suo nonno… ma questo non è possibile! Non possiamo cambiare il comportamento delle persone, siamo noi che dobbiamo cambiare la nostra percezione e capire come comportarci in determinate situazioni. Comunque, nel finale, sapevo già che volevo inserire la ragazza, perché volevo dare quel senso di speranza, di un futuro più luminoso, dove le nuove generazioni possono essere più felici delle generazioni passate.
Però alla fine, ogni bambino/ragazzino perde la propria innocenza…
Vero, gli adulti, però, spesso non sono in grado di vedere la situazione attorno a loro. Nella scena della cena, questi si comportano come dei “bambini”, litigano in maniera infantile, e solo i bambini riescono a vedere il disagio in questa situazione.
Quindi, le future generazioni devono cambiare la propria percezione rispetto a quelle passate?
Forse non i bambini, perché non dovrebbero occuparsi di certe cose. Nel film, ad esempio, sono le sorelle della generazione “di mezzo” che dovrebbero capire che devono mutare il proprio comportamento.
Ma le due sorelle invece hanno questo comportamento “infantile”, dove cercano di fare a gara su chi sia la migliore.
È qualcosa di universale tra fratelli e sorelle, c’è sempre questa “gara”.
Ho davvero apprezzato quella scena, più che altro perché ho questo ricordo di un Natale di qualche anno fa dove mio padre e mio zio hanno avuto una discussione simile. Ed è proprio questa universalità che mi ha permesso di creare una connessione con i tuoi personaggi.
Grazie, mi fa piacere sentire questo. Non che i tuoi parenti abbiamo litigato ovviamente (la regista ride, n.d.r.). Il mio obbiettivo era quello di creare un sentimento dove chiunque può immedesimarsi nella situazione di questa famiglia.
C’è qualche regista o film che ti hanno ispirato particolarmente per questo film?
Si ce ne sono alcuni. Tokyo Story di Yasujiro Ozu è uno. Poi Happiness di Todd Solonz nel modo in cui seguiamo diversi personaggi. Anche Roy Andersson dal punto di vista stilistico. Ma Tokyo Story rimane l’ispirazione principale, soprattutto per il modo in cui la telecamera rimane allo stesso “livello” dei personaggi, è “democratico”, in un certo modo. Nel senso, i personaggi non sono mai visti dal basso o dall’alto. La macchina da presa rimane sempre allo stesso livello.
Visto che Family Time è ambientato durante le festività natalizie, volevo chiederti se avessi qualche film preferito sull’argomento.
Fanny e Alexander di Ingmar Bergman. Amo quel film.
Il tuo film ha una struttura che si discosta dal classico film natalizio. Nel senso che di solito seguiamo i personaggi separatamente e in seguito abbiamo la grande cena o riunione con i vari membri della famiglia. Invece tu, hai scelto un approccio inverso. Come mai questa scelta?
Prima ho scritto la prima parte perché volevo analizzare il problema al centro della famiglia. Per la seconda parte, invece, non volevo “abbandonare” questi personaggi dopo la festività, non volevo solo mostrare il problema “familiare” ma ho provato ad analizzare le radici di tali diatribe, e soprattutto perché fosse così complicato andare d’accordo con gli altri membri della famiglia. Seguire questi personaggi è stato essenziale per me. Volevo mostrare le loro difficoltà personali, esplorare separatamente queste persone e conoscerli meglio. E attraverso queste scene, possiamo provare più empatia verso ognuno di loro e capire la situazione difficile dietro a tali comportamenti.
E c’è qualche connessione personale in questa storia? I personaggi sono ispirati alla tua famiglia o persone che conosci?
Certamente. Credo che qualsiasi cosa un regista faccia sia ispirata dalla realtà in cui viviamo. I personaggi che vedi sono piuttosto dettagliati, e non credo sarei riuscita a inventarli se non avessi visto determinate situazioni. Non c’è però una connessione diretta tra un personaggio e una persona che conosco.
Eri nervosa o preoccupata della possibile reazione del pubblico al tuo film?
Ero un po’ nervosa, ma sono stati giorni felici per me, io e il cast ci siamo divertiti molto qui alla Berlinale.
Stai già lavorando a qualche nuovo progetto o ti prenderai una pausa?
Prenderò una piccola pausa… forse un paio di settimane (la regista ride, n.d.r.) e poi mi rimetterò a scrivere il mio nuovo film.
Hai già in mente qualcosa?
Si. Forse è un po’ presto per condividere qualche dettaglio, ma posso dirti che continuerò ad esplorare le dinamiche di una famiglia. Il cast e lo stile saranno diversi però. Ho ancora molto da dire su questa tematica (la regista ride, n.d.r.).
INT-24
12.03.2023
Al festival di Berlino sono state presentate molte opere prime interessanti, e una di queste è stata Family Time di Tia Kouvo. Il film aveva colto la nostra attenzione sin dall’annuncio dei film a Berlino, soprattutto perché è stato prodotto da Aamu Film Company, casa di produzione che ha finanziato alcuni dei progetti più interessanti del cinema finlandese, come Compartment No. 6 e The Happiest Day in the Life of Olli Mäki di Juho Kuosmanen o il più recente The Woodcutter Story di Mikko Myllylhati. Family Time è un intimo elogio alla quotidianità di una famiglia, ritratta attraverso tre generazioni che si incontrano durante il periodo delle feste natalizie.
Al Festival di Berlino abbiamo avuto l’occasione di intervistare Tia Kouvo, che ci ha spiegato le motivazioni che l’hanno portata a girare un film che analizza le dinamiche familiari.
Nel 2018 hai diretto un cortometraggio con lo stesso titolo e cast, come hai esteso l’idea iniziale per arrivare al lungometraggio?
A dire il vero è il contrario. Sapevo di voler fare il mio primo lungometraggio su una famiglia che si ritrova per le festività natalizie. Quando ero a scuola di cinema e dovevo comporre il progetto di laurea, ho deciso di usare questa idea. Volevo già provare a lavorare con gli attori e cercare di trovare un mio stile di regia. Il cortometraggio era un tryout per questo film in poche parole.
E ci sono grandi differenze tra i due progetti?
Dal punto di vista stilistico no. La principale differenza è forse temporale, nel corto la famiglia si ritrova durante un weekend qualsiasi e non a Natale. Ci sono scene simili però, ad esempio la cena in famiglia girata con un’inquadratura fissa. Fare il cortometraggio mi ha aiutato molto perché ho capito come volevo lavorare sul set e ho visto che lo humor funzionava.
Il tuo film rispecchia un’esperienza universale, nel senso: noi stiamo guardando una famiglia finlandese, ma allo stesso tempo ci possiamo immedesimare in questi personaggi. E a essere onesti, le festività natalizie non sono sempre così felici come possono sembrare. E questo sentimento è espresso bene nel tuo film.
Era il mio obbiettivo sin dall’inizio, più che altro perché di solito ci si ritrova tutti insieme in poche occasioni durante l’anno. Ma quando ci si vede, a volte, l’atmosfera diventa “acida” (la regista ride, n.d.r.), volevo esplorare il perché di questa situazione. Ma soprattutto, volevo mostrare queste persone domandarsi «È un bene che ci comportiamo così? È una situazione problematica?», oppure «cambieremo mai il nostro atteggiamento?».
C’è una scena in particolare che mi ha colpito, la sequenza nel garage, dove Susanna e Risto iniziano discutere. Volevo chiederti se avessi avuto qualche difficoltà a girarla, soprattutto per la durata di dieci minuti e il grande range emotivo che i due personaggi dovevano mostrare.
Abbiamo provato questa scena a lungo, dovevamo trovare le luci giuste per la scena e soprattutto i due attori dovevano trovare il giusto ritmo e i sentimenti di questi personaggi. Abbiamo girato la scena in una giornata, ma non ero convinta del risultato, quindi l’abbiamo rifatta il giorno dopo. Per Ria (Kataja, n.d.r.), che interpreta Susanna, è stata una scena difficile, doveva piangere molto. Ma è stata davvero brava.
Verso la fine c’è una sequenza abbastanza d’impatto accompagnata dalla canzone Mamy Blue, come mai la scelta di questo brano?
La musica è molto importante per me e volevo avere delle determinate canzoni per il film. Ad esempio, Zombie (dei The Cranberries, n.d.r.) è sempre stata presente nella sceneggiatura. Con Mamy Blue, all’inizio avevo scelto un’altra versione, un po’ più “upbeat”, ma alla fine ho scelta la versione che hai sentito nel film e ha funzionato lo stesso. In quella sequenza comunque ho voluto inserire una canzone “vecchia”, che richiamasse la gioventù dei due personaggi. Aveva un buon ritmo e mi piaceva (la regista ride, n.d.r.)
Per quanto riguarda i dialoghi, hai permesso agli attori di improvvisare o erano già presenti nella sceneggiatura?
Erano già presenti per lo più, sarebbe stato un incubo altrimenti. Il cast è piuttosto numeroso e ci sarebbe stata un’atmosfera caotica. Ma in alcune scene, soprattutto quelle con i bambini, ho permesso a loro di improvvisare, gli spiegavo la situazione e quello che dovevano dire a grandi linee. Ma il 99% di quello che senti, era già presente nella sceneggiatura.
E a proposito dei bambini, questi assumono un ruolo sempre più importante man mano che il film prosegue. Come mai questa scelta?
Non penso che noi adulti, a volte, siamo così intelligenti e volevo mostrare anche questo nel film. Family Time è una storia multigenerazionale e in qualche modo le generazioni più piccole possono aiutare a portare un cambiamento all’interno di certi nuclei famigliari. Per esempio, la ragazza ha un ruolo importante perché è quella che dice «questo non va bene»e c’è qualcosa di simpatico nel fatto che lei voglia cambiare il “mondo” e soprattutto, suo nonno… ma questo non è possibile! Non possiamo cambiare il comportamento delle persone, siamo noi che dobbiamo cambiare la nostra percezione e capire come comportarci in determinate situazioni. Comunque, nel finale, sapevo già che volevo inserire la ragazza, perché volevo dare quel senso di speranza, di un futuro più luminoso, dove le nuove generazioni possono essere più felici delle generazioni passate.
Però alla fine, ogni bambino/ragazzino perde la propria innocenza…
Vero, gli adulti, però, spesso non sono in grado di vedere la situazione attorno a loro. Nella scena della cena, questi si comportano come dei “bambini”, litigano in maniera infantile, e solo i bambini riescono a vedere il disagio in questa situazione.
Quindi, le future generazioni devono cambiare la propria percezione rispetto a quelle passate?
Forse non i bambini, perché non dovrebbero occuparsi di certe cose. Nel film, ad esempio, sono le sorelle della generazione “di mezzo” che dovrebbero capire che devono mutare il proprio comportamento.
Ma le due sorelle invece hanno questo comportamento “infantile”, dove cercano di fare a gara su chi sia la migliore.
È qualcosa di universale tra fratelli e sorelle, c’è sempre questa “gara”.
Ho davvero apprezzato quella scena, più che altro perché ho questo ricordo di un Natale di qualche anno fa dove mio padre e mio zio hanno avuto una discussione simile. Ed è proprio questa universalità che mi ha permesso di creare una connessione con i tuoi personaggi.
Grazie, mi fa piacere sentire questo. Non che i tuoi parenti abbiamo litigato ovviamente (la regista ride, n.d.r.). Il mio obbiettivo era quello di creare un sentimento dove chiunque può immedesimarsi nella situazione di questa famiglia.
C’è qualche regista o film che ti hanno ispirato particolarmente per questo film?
Si ce ne sono alcuni. Tokyo Story di Yasujiro Ozu è uno. Poi Happiness di Todd Solonz nel modo in cui seguiamo diversi personaggi. Anche Roy Andersson dal punto di vista stilistico. Ma Tokyo Story rimane l’ispirazione principale, soprattutto per il modo in cui la telecamera rimane allo stesso “livello” dei personaggi, è “democratico”, in un certo modo. Nel senso, i personaggi non sono mai visti dal basso o dall’alto. La macchina da presa rimane sempre allo stesso livello.
Visto che Family Time è ambientato durante le festività natalizie, volevo chiederti se avessi qualche film preferito sull’argomento.
Fanny e Alexander di Ingmar Bergman. Amo quel film.
Il tuo film ha una struttura che si discosta dal classico film natalizio. Nel senso che di solito seguiamo i personaggi separatamente e in seguito abbiamo la grande cena o riunione con i vari membri della famiglia. Invece tu, hai scelto un approccio inverso. Come mai questa scelta?
Prima ho scritto la prima parte perché volevo analizzare il problema al centro della famiglia. Per la seconda parte, invece, non volevo “abbandonare” questi personaggi dopo la festività, non volevo solo mostrare il problema “familiare” ma ho provato ad analizzare le radici di tali diatribe, e soprattutto perché fosse così complicato andare d’accordo con gli altri membri della famiglia. Seguire questi personaggi è stato essenziale per me. Volevo mostrare le loro difficoltà personali, esplorare separatamente queste persone e conoscerli meglio. E attraverso queste scene, possiamo provare più empatia verso ognuno di loro e capire la situazione difficile dietro a tali comportamenti.
E c’è qualche connessione personale in questa storia? I personaggi sono ispirati alla tua famiglia o persone che conosci?
Certamente. Credo che qualsiasi cosa un regista faccia sia ispirata dalla realtà in cui viviamo. I personaggi che vedi sono piuttosto dettagliati, e non credo sarei riuscita a inventarli se non avessi visto determinate situazioni. Non c’è però una connessione diretta tra un personaggio e una persona che conosco.
Eri nervosa o preoccupata della possibile reazione del pubblico al tuo film?
Ero un po’ nervosa, ma sono stati giorni felici per me, io e il cast ci siamo divertiti molto qui alla Berlinale.
Stai già lavorando a qualche nuovo progetto o ti prenderai una pausa?
Prenderò una piccola pausa… forse un paio di settimane (la regista ride, n.d.r.) e poi mi rimetterò a scrivere il mio nuovo film.
Hai già in mente qualcosa?
Si. Forse è un po’ presto per condividere qualche dettaglio, ma posso dirti che continuerò ad esplorare le dinamiche di una famiglia. Il cast e lo stile saranno diversi però. Ho ancora molto da dire su questa tematica (la regista ride, n.d.r.).