INT-07
27.07.2022
Quando si parla del cinema iraniano, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Asghar Farhadi e Abbas Kiarostami, registi che sono stati fondamentali nel far conoscere il cinema di questo Paese alle persone di tutto il mondo. Ma ci sono giovani cineasti che stanno cercando di farsi conoscere a livello internazionale, uno di questi è Saeed Roustaee.
Le opere di questo cineasta cercano di racchiudere tematiche e difficoltà che accomunano le persone in Iran. Nei suoi primi due film, il regista ha raccontato il consumo e lo spaccio di droga seguendo vari punti di vista, quello di una povera famiglia in Life and a Day (2016) e quello di un poliziotto e di un capo malavitoso in Just 6.5 (2019). Quest’anno, al Festival di Cannes, Saeed Roustaee ha presentato la sua terza opera, Leila’s Brothers, un dramma intenso che segue una famiglia e le varie problematiche che devono affrontare a causa della crisi economica in Iran. Il film è un lungo (ben tre ore) e intenso dramma che ci ha affascinato molto per la complessa rappresentazione morale dei personaggi di questa famiglia; Leila è una donna forte ma costantemente ignorata dai suoi familiari. Vorrebbe creare un futuro stabile per i fratelli e convincerli ad utilizzare i risparmi che hanno per comprare e condurre un’attività. Ma questi non sono convinti dell’idea e vogliono dare l’oro che possiedono al padre, un uomo che è stato ignorato per anni dai parenti e che potrebbe essere “accettato” come capo famiglia in cambio di questa fortuna. I fratelli di Leila sono disposti a sacrificare il proprio futuro per rendere il padre felice e finalmente accettato dagli altri parenti.
La forte impostazione teatrale, il focus sui personaggi e le interpretazioni del cast ci hanno colpito molto e abbiamo avuto l’opportunità di parlare approfonditamente di questi aspetti con il regista Saeed Roustaee e tre membri del cast, Taraneh Alidoosti (Il Cliente, About Elly) che interpreta Leila, Peyman Moaadi (Una Separazione, The Night Of) e Navid Mohammadzaze (Just 6.5) che interpretano Manoucher e Alireza, due dei quattro fratelli della protagonista. Abbiamo approfittato della presenza del cast anche per discutere della professione degli attori in Iran. Il film di Roustaee uscirà nelle sale italiane il 6 di Aprile grazie a I Wonder Pictures e Unipol Biografilm.
Saeed, c’è sempre un elemento thriller nei tuoi film, in Just 6.5 c’era la “lotta” contro il tempo per trovare il capo criminale Nazed Khazad, mentre in Leila’s Brothers c’è quell’elemento di tensione tra fratelli che cercano di rivendere l’oro prima che questo venga svalutato. Consideri i tuoi film dei thriller?
In generale, non direi che i miei film sono dei thriller. Anche se c’è tensione, questa è risolta facilmente, si arriva subito al punto, alla risoluzione del problema. Quello che mi interessa di più sono i complicati rapporti umani dei miei personaggi e di questi nuclei famigliari che vedi sullo schermo, questo è il tipo di cinema che mi interessa e che faccio. In Just 6.5, l’aspetto thriller è però stato fondamentale nel rappresentare la figura assente di Nazed, è un modo conveniente per rappresentare un personaggio non ancora presente nella storia, e quando questo appare, puoi focalizzarti su altri aspetti
In una scena specifica, già citata nella domanda precedente, i fratelli cercano di vendere l’oro prima che questo venga svalutato e in una sequenza si vede la figura di Donald Trump alla televisione, perché hai deciso di mostrare l’ex presidente degli Stati Uniti? Quanto si discostano i fatti che vediamo nel film e i conseguenti problemi dovuti alla crisi economica internazionale rispetto alla realtà in cui vivi?
Una cosa evidente in Iran è la diretta ed ovvia correlazione tra la vita delle persone e la situazione politica internazionale. Queste figure sono presenti nelle conversazioni giornaliere delle persone. Sanzioni ed inflazione sono ovunque in Iran e hanno un forte impatto sulla popolazione e queste sono condizionate dalle decisioni e dai comportamenti di questi politici. Ovviamente ci sono anche reati dettati dal governo locale. Inserire Donald Trump secondo me era interessante perché è stato parte delle conversazioni giornaliere e volevo mostrare il danno e la crisi internazionale che le sue sanzioni hanno provocato. La gente normale, la classe operaia, sono loro i primi a subire le conseguenze di queste decisioni.
Leila è un personaggio forte, una donna progressista, che vuole solo il meglio per i propri fratelli anche se questi la ignorano, perché ci tiene così tanto alla sua famiglia? Perché non se ne va via per condurre una vita migliore?
Semplicemente perché vuole aiutare la sua famiglia, non vuole lasciarli indietro. In una scena del film vediamo Majid, l’ex marito di Leila, che prova a rivedere la donna per riappacificarsi, andare via e condurre una vita migliore, ma questa si rifiuta perché vuole rimettere a sesto la sua famiglia e fare qualcosa per aiutarli. Di solito nei miei film sono le decisioni, o meglio, le cattive decisioni, che i personaggi prendono ad avere delle conseguenze sul loro futuro, in Leila’s Brothers no, non importa che decisione prenderà Leila o uno dei suoi fratelli, queste non saranno in loro controllo e gli eventi esterni condizioneranno il loro futuro. Ad esempio, al giorno d’oggi, la crisi in Iran può triplicare da un giorno all’altro, e non puoi farci nulla, vieni inghiottito da questa situazione e devi pagare le conseguenze.
Le tragedie greche e Shakespeare sono state una fonte d’ispirazione per i tuoi film, mi chiedevo se ci fosse anche qualche regista iraniano o straniero che ti ha ispirato per Leila’s Brothers o durante la tua carriera.
Imparo a fare cinema dalla vita e imparo a vivere dai film. È sempre stato così, faccio film con quello che la vita mi dà. I dialoghi che senti o le situazioni che vedi sono quelle che trovi nella vita delle persone in Iran ed è questo che “alimenta” il mio cinema. Ma allo stesso tempo, quando mi sento triste o speranzoso, guardo un film. Grazie ai film ho imparato a perdere la fede e a ritrovarla, mi hanno dato una certa consapevolezza su cosa posso fare per migliorare la mia vita e l’ambiente che mi circonda. C’è questa forte e reciproca relazione tra la vita e il cinema e come dicevo prima, io faccio i film con il materiale che la vita mi concede.
Nei tuoi film, l’Iran ricopre sempre un ruolo fondamentale, come se fosse un “personaggio” aggiunto nelle tue storie. Cosa ne pensi di questo?
Nel film è rappresentata la storia di un piccolo nucleo famigliare, ma in verità stai guardando uno spaccato della società moderna iraniana. Nella scena iniziale mostro una rivolta nella fabbrica dove uno dei fratelli lavora e puoi vedere centinaia di persone nella stessa situazione. Ho deciso di focalizzarmi solo su una, ma l’esperienza che questa sta vivendo non è diversa da quelle degli altri.
In una storia con così tanti personaggi, è stato difficile trovare l’individualità di questi?
Ho cercato di rendere questi personaggi unici, più nello specifico, nel modo in cui si comportano, come agiscono, ma anche le battute che recitano. Ad esempio, una frase che dice Manouchehr non può essere ripetuta da Alireza o un’azione che compie Leila, non può essere fatta da Farhad. Questa è la prima regola da rispettare quando si scrive una sceneggiatura e spero di averlo fatto.
Perché i personaggi dei tuoi film urlano sempre?
Perché c’è tensione. Volevo girare il film in spazi ristretti perché volevo mostrare quanto questi personaggi fossero “vicini” e che non c’era privacy o un’opportunità per distanziarsi. Vedi sempre i personaggi vicini in ogni inquadratura e mai ripresi da lontano. Non hanno spazi privati o intimità e questo li mette in una situazione di tensione e difficoltà, quindi, urlano tra di loro per farsi capire e prevalere sull’altro. Questo sentimento di isteria nel nucleo famigliare rappresenta anche un sentimento comune all’interno delle società iraniana.
Nei tuoi film vediamo sempre interpretazioni straordinarie da parte degli attori coinvolti, come dirigi i tuoi cast?
Ho sempre in mente gli attori con cui voglio collaborare mentre scrivo i film e cerco sempre di collaborare con queste persone. Una volta che la sceneggiatura è terminata, la invio agli attori e comincia una lunga fase di prove prima di girare. Per Leila’s Brothers, questo periodo è durato due mesi, abbiamo fatto prove individuali, in coppia e poi con tutti gli attori. Voglio che il mio cast conosca bene la sceneggiatura prima di girare e di solito tendo a rimanere fedele alla mia storia, non aggiungo scene o permetto improvvisazioni da parte del cast.
Saeed prima ci ha spiegato il lungo processo di prove prima di girare il film, avete dato qualche contributo ai personaggi in questa fase o vi siete “limitati” a seguire le direzioni di Saeed?
Tre anni prima delle riprese, Saeed sapeva cosa voleva da noi, tutto era già pronto e abbiamo lavorato seguendo le sue precise istruzioni. Ma quando abbiamo iniziato le riprese è stato diverso, abbiamo dato una “vita” a questi personaggi, noi attori siamo diventati quei personaggi. (risponde Navid Mohammadzade, n.d.r.).
Leila’s Brothers è il terzo film che faccio con Navid e Saeed e pensavo dentro di me come questi personaggi che avevo interpretato fossero diversi. Come ha appena detto Navid, Saeed aveva in mente di fare questo film da molto tempo. Per prepararmi al ruolo di Manoucher, ho avuto tante conversazioni con Saeed, che è anche un mio grande amico, e abbiamo modificato anche alcuni aspetti del personaggio. (risponde Peyman Moaadi, n.d.r.)
Taraneh, credi che la famiglia di Leila fosse misogina nei suoi confronti? I fratelli non le danno mai retta anche se lei ha ragione e potrebbe aiutarli a creare un futuro stabile per le loro famiglie, ma allo stesso tempo c’è una morale complessa dietro il comportamento dei fratelli verso di lei e il padre. Cosa ne pensi?
Leila lo pensa di sicuro, c’è una scena nella prima metà del film dove la protagonista dice alla madre una frase del tipo “tu sei una persona che ama di più i figli maschi rispetto alla tua unica figlia femmina, tu odi ogni donna nel mondo”. Essendo una donna, Leila non ha avuto una vita facile, l’hanno privata di molte opportunità ed è sempre stata messa in disparte dalla sua famiglia. Lei è più giovane rispetto ai suoi fratelli, ma al tempo stesso si deve comportare come una madre per loro. Penso che, se Leila fosse stata un uomo, non avrebbe avuto questi problemi e tutto sarebbe più semplice, sarebbe un eroe, ma è una donna, quindi, deve combattere ogni giorno per farsi ascoltare, lei ama i suoi fratelli e vuole convincerli a fare la cosa giusta per il loro futuro.
Com'è essere un attore in Iran?
Essendo un attore iraniano, ci sono dei problemi che altre persone non devono affrontare. Ci sono così tante cose da prendere in considerazione e ostacoli che dobbiamo superare, soprattutto per le donne. Ho lavorato sia in Iran che in altri paesi senza difficoltà e sono grato per questo, per le attrici purtroppo è più complicato, non possono recitare senza l’hijab (il velo islamico, n.d.r.). Non è una cosa giusta, non sono per niente fiero di questo. (risponde Peyman Moaadi, n.d.r.).
Ci sono molte questioni che la popolazione in Iran deve affrontare ogni giorno, attori compresi e con questo film volevamo approfondire alcune di queste. Venire ad un Festival cinematografico internazionale come quello di Cannes, ma anche vedere come le altre persone percepiscono gli attori iraniani è interessante. Un altro aspetto particolare per un attore in Iran sono i soldi, sembrerà strano, ma a differenza delle grandi star hollywoodiane, non possiamo comprare ville mastodontiche o mostrare in modo esplicito la nostra notorietà. Siamo attori e non credo che siamo diversi da altri che fanno il nostro mestiere però ad esempio, qui al Festival di Cannes sono stati presentati dei progetti hollywoodiani fuori concorso (l’attore si sta riferendo a Elvis e Top Gun: Maverik, n.d.r.) e ogni media si è concentrato su quei film. Noi siamo iraniani e abbiamo un film in Competizione Ufficiale e non abbiamo la stessa considerazione o attenzione, siamo attori e non facciamo nulla di diverso artisticamente rispetto ad altri. Il punto è che spesso i media preferiscono concentrarsi su certe regioni del mondo e snobbare altre. Siamo stati anche a Venezia qualche anno fa (con il film Just 6.5, n.d.r.) ed eravamo circondati da grandi star ovunque, ma non abbiamo ricevuto molta attenzione. Il cinema è una forma d’arte e non dovrebbe avere “confini” o limitazioni, ma come puoi vedere i Paesi nel mondo hanno dei confini, delle barriere e così è per l’arte. Non sto dicendo che voglio lavorare ad Hollywood o avere la fama di altri attori, ad esempio, voglio continuare a fare film in Iran, voglio rimanere in questo Paese e fare film per queste persone e raccontare storie nelle quali si riconoscono. Di solito quando facciamo una conferenza stampa in Iran o comunque con dei media iraniani, non parliamo mai del film, ci chiedono sempre domande sullo stato politico ed economico attuale del nostro Paese, oppure dobbiamo giustificare certi comportamenti o situazioni private. Ad esempio, stamattina ho dovuto rispondere a certe domande perché ho dato un bacio a mia moglie sul red carpet. In Iran c’è una “guerra culturale” e noi siamo gli obbiettivi numero uno. Noi facciamo film per le persone, ma spesso sui social media ci rappresentano in una cattiva luce. Dobbiamo sempre stare attenti a cosa diciamo e il modo in cui esprimiamo le nostre opinioni. (risponde Navid Mohammadzade, n.d.r.).
Prima avete detto che fate cinema per le persone del vostro Paese e che volete una certa “connessione” con il vostro pubblico. I grandi registi del cinema tradizionale iraniano, come Abbas Kiarostami o Jafar Panahi, per creare questa intesa con il pubblico, hanno utilizzato per lo più attori non professionisti. Da attori professionisti, cosa ne pensate di questo aspetto?
Ritengo questo genere di cinema interessante e fondamentale. Ma non rappresento il futuro di esso, sono un professionista e cerco sempre di prepararmi al meglio per rendere i miei personaggi simili a persone che potresti conoscere nella vita di tutti i giorni. Parlando di Kiarostami, il regista diceva sempre che il suo casting ideale era avere attori professionisti che sapevano recitare come non professionisti. È tutta una questione di realismo e autenticità. Noi attori interpretiamo un ruolo o un personaggio e se tu, come spettatore, ritieni che stiamo rappresentando un personaggio simile alla realtà, vuol dire che stiamo facendo un buon lavoro. La recitazione è sempre in continua evoluzione, nessuno al giorno d’oggi recita come Humphrey Bogart ad esempio. Veneriamo e amiamo i suoi film, ma il cinema è cambiato e oggi possiamo vedere attraverso un attore, noi “copiamo” le persone che incontriamo tutti i giorni, in questo momento sto copiando il modo in cui sei seduto o come mi stai parlando. Non “copiamo” Bogart, dobbiamo trovare le persone giuste e “imparare” da loro. Questo lo dobbiamo ad Abbas Kiarostami e ad Asghar Farhadi per fare qualche nome. Questi registi non volevano fare solo cinema, ma creare una genuina rappresentazione della vita di tutti i giorni. (risponde Peyman Moaadi, n.d.r.)
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27.07.2022
Quando si parla del cinema iraniano, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Asghar Farhadi e Abbas Kiarostami, registi che sono stati fondamentali nel far conoscere il cinema di questo Paese alle persone di tutto il mondo. Ma ci sono giovani cineasti che stanno cercando di farsi conoscere a livello internazionale, uno di questi è Saeed Roustaee.
Le opere di questo cineasta cercano di racchiudere tematiche e difficoltà che accomunano le persone in Iran. Nei suoi primi due film, il regista ha raccontato il consumo e lo spaccio di droga seguendo vari punti di vista, quello di una povera famiglia in Life and a Day (2016) e quello di un poliziotto e di un capo malavitoso in Just 6.5 (2019). Quest’anno, al Festival di Cannes, Saeed Roustaee ha presentato la sua terza opera, Leila’s Brothers, un dramma intenso che segue una famiglia e le varie problematiche che devono affrontare a causa della crisi economica in Iran. Il film è un lungo (ben tre ore) e intenso dramma che ci ha affascinato molto per la complessa rappresentazione morale dei personaggi di questa famiglia; Leila è una donna forte ma costantemente ignorata dai suoi familiari. Vorrebbe creare un futuro stabile per i fratelli e convincerli ad utilizzare i risparmi che hanno per comprare e condurre un’attività. Ma questi non sono convinti dell’idea e vogliono dare l’oro che possiedono al padre, un uomo che è stato ignorato per anni dai parenti e che potrebbe essere “accettato” come capo famiglia in cambio di questa fortuna. I fratelli di Leila sono disposti a sacrificare il proprio futuro per rendere il padre felice e finalmente accettato dagli altri parenti.
La forte impostazione teatrale, il focus sui personaggi e le interpretazioni del cast ci hanno colpito molto e abbiamo avuto l’opportunità di parlare approfonditamente di questi aspetti con il regista Saeed Roustaee e tre membri del cast, Taraneh Alidoosti (Il Cliente, About Elly) che interpreta Leila, Peyman Moaadi (Una Separazione, The Night Of) e Navid Mohammadzaze (Just 6.5) che interpretano Manoucher e Alireza, due dei quattro fratelli della protagonista. Abbiamo approfittato della presenza del cast anche per discutere della professione degli attori in Iran. Il film di Roustaee uscirà nelle sale italiane il 6 di Aprile grazie a I Wonder Pictures e Unipol Biografilm.
Saeed, c’è sempre un elemento thriller nei tuoi film, in Just 6.5 c’era la “lotta” contro il tempo per trovare il capo criminale Nazed Khazad, mentre in Leila’s Brothers c’è quell’elemento di tensione tra fratelli che cercano di rivendere l’oro prima che questo venga svalutato. Consideri i tuoi film dei thriller?
In generale, non direi che i miei film sono dei thriller. Anche se c’è tensione, questa è risolta facilmente, si arriva subito al punto, alla risoluzione del problema. Quello che mi interessa di più sono i complicati rapporti umani dei miei personaggi e di questi nuclei famigliari che vedi sullo schermo, questo è il tipo di cinema che mi interessa e che faccio. In Just 6.5, l’aspetto thriller è però stato fondamentale nel rappresentare la figura assente di Nazed, è un modo conveniente per rappresentare un personaggio non ancora presente nella storia, e quando questo appare, puoi focalizzarti su altri aspetti
In una scena specifica, già citata nella domanda precedente, i fratelli cercano di vendere l’oro prima che questo venga svalutato e in una sequenza si vede la figura di Donald Trump alla televisione, perché hai deciso di mostrare l’ex presidente degli Stati Uniti? Quanto si discostano i fatti che vediamo nel film e i conseguenti problemi dovuti alla crisi economica internazionale rispetto alla realtà in cui vivi?
Una cosa evidente in Iran è la diretta ed ovvia correlazione tra la vita delle persone e la situazione politica internazionale. Queste figure sono presenti nelle conversazioni giornaliere delle persone. Sanzioni ed inflazione sono ovunque in Iran e hanno un forte impatto sulla popolazione e queste sono condizionate dalle decisioni e dai comportamenti di questi politici. Ovviamente ci sono anche reati dettati dal governo locale. Inserire Donald Trump secondo me era interessante perché è stato parte delle conversazioni giornaliere e volevo mostrare il danno e la crisi internazionale che le sue sanzioni hanno provocato. La gente normale, la classe operaia, sono loro i primi a subire le conseguenze di queste decisioni.
Leila è un personaggio forte, una donna progressista, che vuole solo il meglio per i propri fratelli anche se questi la ignorano, perché ci tiene così tanto alla sua famiglia? Perché non se ne va via per condurre una vita migliore?
Semplicemente perché vuole aiutare la sua famiglia, non vuole lasciarli indietro. In una scena del film vediamo Majid, l’ex marito di Leila, che prova a rivedere la donna per riappacificarsi, andare via e condurre una vita migliore, ma questa si rifiuta perché vuole rimettere a sesto la sua famiglia e fare qualcosa per aiutarli. Di solito nei miei film sono le decisioni, o meglio, le cattive decisioni, che i personaggi prendono ad avere delle conseguenze sul loro futuro, in Leila’s Brothers no, non importa che decisione prenderà Leila o uno dei suoi fratelli, queste non saranno in loro controllo e gli eventi esterni condizioneranno il loro futuro. Ad esempio, al giorno d’oggi, la crisi in Iran può triplicare da un giorno all’altro, e non puoi farci nulla, vieni inghiottito da questa situazione e devi pagare le conseguenze.
Le tragedie greche e Shakespeare sono state una fonte d’ispirazione per i tuoi film, mi chiedevo se ci fosse anche qualche regista iraniano o straniero che ti ha ispirato per Leila’s Brothers o durante la tua carriera.
Imparo a fare cinema dalla vita e imparo a vivere dai film. È sempre stato così, faccio film con quello che la vita mi dà. I dialoghi che senti o le situazioni che vedi sono quelle che trovi nella vita delle persone in Iran ed è questo che “alimenta” il mio cinema. Ma allo stesso tempo, quando mi sento triste o speranzoso, guardo un film. Grazie ai film ho imparato a perdere la fede e a ritrovarla, mi hanno dato una certa consapevolezza su cosa posso fare per migliorare la mia vita e l’ambiente che mi circonda. C’è questa forte e reciproca relazione tra la vita e il cinema e come dicevo prima, io faccio i film con il materiale che la vita mi concede.
Nei tuoi film, l’Iran ricopre sempre un ruolo fondamentale, come se fosse un “personaggio” aggiunto nelle tue storie. Cosa ne pensi di questo?
Nel film è rappresentata la storia di un piccolo nucleo famigliare, ma in verità stai guardando uno spaccato della società moderna iraniana. Nella scena iniziale mostro una rivolta nella fabbrica dove uno dei fratelli lavora e puoi vedere centinaia di persone nella stessa situazione. Ho deciso di focalizzarmi solo su una, ma l’esperienza che questa sta vivendo non è diversa da quelle degli altri.
In una storia con così tanti personaggi, è stato difficile trovare l’individualità di questi?
Ho cercato di rendere questi personaggi unici, più nello specifico, nel modo in cui si comportano, come agiscono, ma anche le battute che recitano. Ad esempio, una frase che dice Manouchehr non può essere ripetuta da Alireza o un’azione che compie Leila, non può essere fatta da Farhad. Questa è la prima regola da rispettare quando si scrive una sceneggiatura e spero di averlo fatto.
Perché i personaggi dei tuoi film urlano sempre?
Perché c’è tensione. Volevo girare il film in spazi ristretti perché volevo mostrare quanto questi personaggi fossero “vicini” e che non c’era privacy o un’opportunità per distanziarsi. Vedi sempre i personaggi vicini in ogni inquadratura e mai ripresi da lontano. Non hanno spazi privati o intimità e questo li mette in una situazione di tensione e difficoltà, quindi, urlano tra di loro per farsi capire e prevalere sull’altro. Questo sentimento di isteria nel nucleo famigliare rappresenta anche un sentimento comune all’interno delle società iraniana.
Nei tuoi film vediamo sempre interpretazioni straordinarie da parte degli attori coinvolti, come dirigi i tuoi cast?
Ho sempre in mente gli attori con cui voglio collaborare mentre scrivo i film e cerco sempre di collaborare con queste persone. Una volta che la sceneggiatura è terminata, la invio agli attori e comincia una lunga fase di prove prima di girare. Per Leila’s Brothers, questo periodo è durato due mesi, abbiamo fatto prove individuali, in coppia e poi con tutti gli attori. Voglio che il mio cast conosca bene la sceneggiatura prima di girare e di solito tendo a rimanere fedele alla mia storia, non aggiungo scene o permetto improvvisazioni da parte del cast.
Saeed prima ci ha spiegato il lungo processo di prove prima di girare il film, avete dato qualche contributo ai personaggi in questa fase o vi siete “limitati” a seguire le direzioni di Saeed?
Tre anni prima delle riprese, Saeed sapeva cosa voleva da noi, tutto era già pronto e abbiamo lavorato seguendo le sue precise istruzioni. Ma quando abbiamo iniziato le riprese è stato diverso, abbiamo dato una “vita” a questi personaggi, noi attori siamo diventati quei personaggi. (risponde Navid Mohammadzade, n.d.r.).
Leila’s Brothers è il terzo film che faccio con Navid e Saeed e pensavo dentro di me come questi personaggi che avevo interpretato fossero diversi. Come ha appena detto Navid, Saeed aveva in mente di fare questo film da molto tempo. Per prepararmi al ruolo di Manoucher, ho avuto tante conversazioni con Saeed, che è anche un mio grande amico, e abbiamo modificato anche alcuni aspetti del personaggio. (risponde Peyman Moaadi, n.d.r.)
Taraneh, credi che la famiglia di Leila fosse misogina nei suoi confronti? I fratelli non le danno mai retta anche se lei ha ragione e potrebbe aiutarli a creare un futuro stabile per le loro famiglie, ma allo stesso tempo c’è una morale complessa dietro il comportamento dei fratelli verso di lei e il padre. Cosa ne pensi?
Leila lo pensa di sicuro, c’è una scena nella prima metà del film dove la protagonista dice alla madre una frase del tipo “tu sei una persona che ama di più i figli maschi rispetto alla tua unica figlia femmina, tu odi ogni donna nel mondo”. Essendo una donna, Leila non ha avuto una vita facile, l’hanno privata di molte opportunità ed è sempre stata messa in disparte dalla sua famiglia. Lei è più giovane rispetto ai suoi fratelli, ma al tempo stesso si deve comportare come una madre per loro. Penso che, se Leila fosse stata un uomo, non avrebbe avuto questi problemi e tutto sarebbe più semplice, sarebbe un eroe, ma è una donna, quindi, deve combattere ogni giorno per farsi ascoltare, lei ama i suoi fratelli e vuole convincerli a fare la cosa giusta per il loro futuro.
Com'è essere un attore in Iran?
Essendo un attore iraniano, ci sono dei problemi che altre persone non devono affrontare. Ci sono così tante cose da prendere in considerazione e ostacoli che dobbiamo superare, soprattutto per le donne. Ho lavorato sia in Iran che in altri paesi senza difficoltà e sono grato per questo, per le attrici purtroppo è più complicato, non possono recitare senza l’hijab (il velo islamico, n.d.r.). Non è una cosa giusta, non sono per niente fiero di questo. (risponde Peyman Moaadi, n.d.r.).
Ci sono molte questioni che la popolazione in Iran deve affrontare ogni giorno, attori compresi e con questo film volevamo approfondire alcune di queste. Venire ad un Festival cinematografico internazionale come quello di Cannes, ma anche vedere come le altre persone percepiscono gli attori iraniani è interessante. Un altro aspetto particolare per un attore in Iran sono i soldi, sembrerà strano, ma a differenza delle grandi star hollywoodiane, non possiamo comprare ville mastodontiche o mostrare in modo esplicito la nostra notorietà. Siamo attori e non credo che siamo diversi da altri che fanno il nostro mestiere però ad esempio, qui al Festival di Cannes sono stati presentati dei progetti hollywoodiani fuori concorso (l’attore si sta riferendo a Elvis e Top Gun: Maverik, n.d.r.) e ogni media si è concentrato su quei film. Noi siamo iraniani e abbiamo un film in Competizione Ufficiale e non abbiamo la stessa considerazione o attenzione, siamo attori e non facciamo nulla di diverso artisticamente rispetto ad altri. Il punto è che spesso i media preferiscono concentrarsi su certe regioni del mondo e snobbare altre. Siamo stati anche a Venezia qualche anno fa (con il film Just 6.5, n.d.r.) ed eravamo circondati da grandi star ovunque, ma non abbiamo ricevuto molta attenzione. Il cinema è una forma d’arte e non dovrebbe avere “confini” o limitazioni, ma come puoi vedere i Paesi nel mondo hanno dei confini, delle barriere e così è per l’arte. Non sto dicendo che voglio lavorare ad Hollywood o avere la fama di altri attori, ad esempio, voglio continuare a fare film in Iran, voglio rimanere in questo Paese e fare film per queste persone e raccontare storie nelle quali si riconoscono. Di solito quando facciamo una conferenza stampa in Iran o comunque con dei media iraniani, non parliamo mai del film, ci chiedono sempre domande sullo stato politico ed economico attuale del nostro Paese, oppure dobbiamo giustificare certi comportamenti o situazioni private. Ad esempio, stamattina ho dovuto rispondere a certe domande perché ho dato un bacio a mia moglie sul red carpet. In Iran c’è una “guerra culturale” e noi siamo gli obbiettivi numero uno. Noi facciamo film per le persone, ma spesso sui social media ci rappresentano in una cattiva luce. Dobbiamo sempre stare attenti a cosa diciamo e il modo in cui esprimiamo le nostre opinioni. (risponde Navid Mohammadzade, n.d.r.).
Prima avete detto che fate cinema per le persone del vostro Paese e che volete una certa “connessione” con il vostro pubblico. I grandi registi del cinema tradizionale iraniano, come Abbas Kiarostami o Jafar Panahi, per creare questa intesa con il pubblico, hanno utilizzato per lo più attori non professionisti. Da attori professionisti, cosa ne pensate di questo aspetto?
Ritengo questo genere di cinema interessante e fondamentale. Ma non rappresento il futuro di esso, sono un professionista e cerco sempre di prepararmi al meglio per rendere i miei personaggi simili a persone che potresti conoscere nella vita di tutti i giorni. Parlando di Kiarostami, il regista diceva sempre che il suo casting ideale era avere attori professionisti che sapevano recitare come non professionisti. È tutta una questione di realismo e autenticità. Noi attori interpretiamo un ruolo o un personaggio e se tu, come spettatore, ritieni che stiamo rappresentando un personaggio simile alla realtà, vuol dire che stiamo facendo un buon lavoro. La recitazione è sempre in continua evoluzione, nessuno al giorno d’oggi recita come Humphrey Bogart ad esempio. Veneriamo e amiamo i suoi film, ma il cinema è cambiato e oggi possiamo vedere attraverso un attore, noi “copiamo” le persone che incontriamo tutti i giorni, in questo momento sto copiando il modo in cui sei seduto o come mi stai parlando. Non “copiamo” Bogart, dobbiamo trovare le persone giuste e “imparare” da loro. Questo lo dobbiamo ad Abbas Kiarostami e ad Asghar Farhadi per fare qualche nome. Questi registi non volevano fare solo cinema, ma creare una genuina rappresentazione della vita di tutti i giorni. (risponde Peyman Moaadi, n.d.r.)