di Omar Franini
NC-95
23.02.2022
Dopo avervi raccontato la nostra esperienza festivaliera, oggi vorremmo illustrarvi i film che abbiamo visto alla Berlinale. La qualità generale di questi è stata più che buona e anche le opere che non ci hanno convinto del tutto presentavano lo stesso degli elementi interessanti. La vittoria dell'Orso d'oro di Carla Simón per il suo Alcarràs conferma il crescente interesse di critica e pubblico per narrazioni diverse dagli sguardi inclusivi e innovativi.
Partendo con ordine, dalla sezione Berlinale Special, abbiamo avuto l’occasione di vedere il film tedesco The Forger di Maggie Peren, opera basata sulla storia vera di Cioma Schönhaus, giovane ragazzo ebreo che, per scappare dalla deportazione e aiutare altri a far lo stesso, inizia a falsificare documenti d’identità. Una storia che sulla carta è interessante, ma le cui potenzialità non vengono sfruttate appieno dalla Peren, che dirige e scrive il film in maniera troppo semplice. La storia d’amore tra Cioma e una giovane tedesca risulta essere poco avvincente e il finale non ha l’impatto che tanto desiderava. Anche se la sceneggiatura non riesce ad esplorare la complessità di Cioma, Louis Hoffman è in grado di interpretare questo personaggio in modo abbastanza convincente e risulta essere la parte migliore del film. Dalla sezione Generation segnaliamo invece il coming of age finlandese Girl Picture, film di Alli Haapalaso incentrato su tre teenager che stanno cercando di trovare il loro posto nel mondo. La storia risulta prevedibile in alcuni punti ma le buone performance delle tre protagoniste, le scelte musicali e la visione registica della Haapalaso rendono il film una piacevole esperienza che permette al pubblico di empatizzare per le tre giovani ragazze.
Dalla sezione Forum abbiamo visto tre film che ci hanno colpito in modo particolare. Une fleur à la bouche, diretto dal regista francese Eric Baudelaire, è un’opera affascinante divisa in due atti che a primo impatto sembrerebbero slegati tra di loro ma che hanno un senso di coesione attraverso alcuni dettagli. Il primo atto ha un approccio documentaristico e osserva il mercato più grande di fiori al mondo mentre il secondo è un adattamento di L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, che ha come protagonista un uomo con un tumore a forma di fiore sul labbro. Con la durata di solo un’ora, Baudelaire cerca di far comprendere e ricordare allo spettatore di apprezzare i piccoli momenti della vita che ci condizionano, quali una conversazione in un bar o la creazione di un bouquet di fiori. The Kegelsatt Trio della regista portoghese Rita Avezedo Gomes, adattamento di una pièce teatrale di Eric Rohmer, ruota attorno alla relazione tra Paul e Adèle, coppia di amici con un passato romantico. L’opera ha una struttura teatrale prominente e Gomes cerca entro i limiti di ricreare un’atmosfera simile a quella dei film del cineasta francese tramite l’uso delle luci e la direzione degli attori. Al film però manca quella spensieratezza, quella naturalezza che contraddistingue il cinema di Rohmer e i dialoghi risultano abbastanza alienanti per lo spettatore.
Dry Ground Burning invece è stata una delle visioni più interessanti dell’intero festival. Il film del duo Adirley Queiròs e Joana Pimenta porta lo spettatore dentro la quotidianità delle donne che vivono in una favela brasiliana mostrando come queste, per la loro sopravvivenza e per il bene della comunità, devono compiere ogni giorno attività rischiose ed illegali. Dry Ground Burning non solo ridefinisce il ruolo della donna all’interno della società rurale brasiliana ma mostra anche una nazione in piena evoluzione industriale e politica. L’aspetto più affascinante però è il realismo di certe situazioni, sul limite di oltrepassare la sottile linea tra finzione e realtà, soprattutto grazie al casting di non professionisti che interpretano praticamente loro stessi e alle varie sequenze dove questi parlano dritti in camera, dando un sapore più autentico e straniante a sequenze specifiche.
Nella sezione Panorama è stato invece presentato il film coreano The Apartment with Two Women, la straordinaria opera prima della giovane regista Kim Se-in. La storia ruota attorno al rapporto disfunzionale tra una madre e la propria figlia. Il loro legame peggiora quando inavvertitamente (o no) la madre investe la figlia e questo segnerà un cambiamento notevole nella vita delle due donne. Nonostante sia il suo primo film, Kim Se-in mostra un enorme potenziale e una tale confidenza dietro la camera, che ci ha ricordato vagamente le opere del rinomato cineasta Lee Chang-dong. Ogni scelta stilistica è funzionale alla storia e la direzione delle due attrici è davvero notevole, soprattutto in una delle sequenze più importanti del film, nella quale la madre cerca di raccontare l’astio che ha verso la figlia.
Nella sezione Incontri abbiamo avuto l’occasione di partecipare alla premiere di Flux Gourmet, la nuova opera grottesca del regista britannico Peter Strickland. Ambientato in un istituto dedicato a “performance culinarie”, dove i soggetti si dedicano alle arti recitative tramite l’utilizzo inusuale di pietanze, il film segue il percorso di tre istitutori sotto il punto di vista di Stones, fotografo greco, che soffre di un problema intestinale, incaricato di documentare la loro quotidianità. Il film ci ha intrattenuto molto grazie alla sua originalità e alla sua stranezza, ma dobbiamo riconoscere anche che Flux Gourmet non delizierà i palati di tutti gli spettatori. The Death of My Mother invece non è stata una visione facile; il secondo film della regista tedesca Jessica Krummacher narra di Juliane, una donna che ogni giorno è costretta a vedere la madre soffrire per la malattia che la sta affliggendo da tempo e di come stia cercando di aiutarla a morire tramite eutanasia. Le tematiche affrontate sono molto rilevanti e la Krummacher riesce a dirigere un’opera davvero impressionante nella quale seguiamo le difficoltà emotive che sta vivendo Juliane. La composizione di ogni frame è notevole e l’interpretazione di Birte Schnöink è molto struggente e fa sì che lo spettatore riesca ad immedesimarsi nella sua difficile situazione. Un altro film interessante che abbiamo visto è Sonne di Kurdwin Ayub. La storia ruota attorno a Yesmin, una giovane ragazza musulmana che vive a Vienna ormai da anni con la sua famiglia. Tutto sembra cambiare quando viene caricato su Youtube un video dove lei e due sue amiche cantano il brano dei R.E.M. Loosing My Religion, da quel momento le ragazze diventeranno popolari nella comunità musulmana, ma questa notorietà avrà anche brutte conseguenze per Yesmin. Kurdwin Ayub cerca di discostarsi dal tipico coming of age mostrandoci la crisi d’identità culturale della giovane protagonista in maniera realistica e la percezione che avranno su di lei gli altri attraverso l’uso efficace dei social network, TikTok e Instagram su tutti. Sonne è un film più che solido e siamo soddisfatti che abbia vinto il premio per la miglior opera prima. Unrest, film svizzero vincitore del premio per miglior regia, è un film affascinante quanto frustrante. Ambientato alla fine del ‘900 in una cittadina svizzera dedita alla orologeria, il film narra di Josephine, una giovane lavoratrice che viene coinvolta nel movimento anarchico locale. Qui incontrerà e si innamorerà del geografo russo Pyotr Kropotkin che verrà coinvolto anch’esso nel movimento rivoluzionario. Il regista Cyril Schaublin confeziona un’opera precisa e dettagliata, in cui è più interessato a mostrare uno sguardo peculiare sulle interazioni umane e i meccanismi sociali di questo luogo piuttosto che seguire una trama precisa. È un approccio interessante ma che non sempre funziona e a fine visione ci siamo ritrovati con la sensazione di volere di più da questa storia.
Il film che ci ha stupito maggiormente di questa sezione è senz’altro Coma, la nuova opera dell’acclamato cineasta Bertrand Bonello e forse la più sperimentale e personale della sua carriera. Al centro della storia c’è una giovane ragazza (interpretata da Louise Labèque, protagonista di Zombi Child dello stesso Bonello) reclusa nella sua camera per via del lockdown. Bonello ci mostra le paranoie, le visioni e gli incubi della ragazza alternando sequenze animate dove due bambole prendono vita e una terrificante rappresentazione dell’aldilà, una foresta ostile che ricorda molto l’atmosfera di Inland Empire di David Lynch o anche i film di Philippe Grandieux. La ragazza inoltre sembra essere ossessionata dalla visione dei video del canale YouTube di Patricia Coma, una figura macabra che mostra una percezione del mondo “migliore” tramite i suoi video e i suoi gadget. Coma è un film che Bonello dedica alla figlia con un messaggio di speranza, promettendo tempi migliori e di avere perseveranza, discorso che assume un valore universale per chiunque abbia avuto le stesse difficoltà della giovane protagonista.
Passiamo ora alle opere della Competizione Ufficiale. Peter Von Kant di Francois Ozon ha aperto il concorso, film che segue la struttura della pellicola del regista tedesco Fassbinder a cui si ispira (Le Lacrime Amare di Petra Von Kant) e pone la vita del regista stesso all’interno dell’opera. Ozon dirige il cast in maniera egregia, Denis Ménochet e Isabelle Adjani sono notevoli ma è Stephane Krapon a rubare l’occhio ogni volta che è in scena grazie alle sue esilaranti espressioni. Anche se il film risulta piacevole, la rappresentazione satirica e macchiettista del grande autore tedesco non ci ha entusiasmato molto. Avevamo alte aspettative su La Ligne di Ursula Meier, ma anche queste non sono state rispettate. Il film narra di Margaret, una donna di 35 anni con un passato di violenza: quando questa ritorna a vivere con la madre (Valeria Bruni Tedeschi), la situazione peggiora e durante una lite la madre viene colpita duramente. Dopo la straordinaria sequenza iniziale sulle note di Vivaldi appena descritta e la prima mezz’ora nella quale la regista ci mostra le gravi conseguenze delle azioni di Margaret, il film prende un approccio più melodrammatico ampliando il punto di vista della storia anche alla sorella più piccola e alla madre. Quello che risulta è un film prevedibile che non riesce a mantenere gli standard alti della prima parte.
Avec Amour et Acharnement di Claire Denis, vincitrice del premio per la miglior regia, è stato senz’altro uno dei film più belli del festival. Sara e Jean sono sposati da anni, ma la loro relazione subisce un cambiamento quando nelle loro vite torna Francois, ex ragazzo di Sara, che proporrà al vecchio amico Jean di aprire una società di scouting di rugby. Da una premessa semplice, Claire Denis dirige un’opera incentrata sull’amore, la gelosia, l’ossessione e quegli stimoli che spingono a comportarci in maniera differente, ignorando le conseguenze, anche a discapito di chi ci stia accanto. Juliette Binoche e Vincent Lindon interpretano magistralmente i due protagonisti, soprattutto la prima riesce a trasportare sullo schermo un ritratto complesso ed efficace di una donna che sta vivendo una situazione tormentata.
Quando sentiamo la parola Rimini ci vengono in mente le spiagge affollate, i bambini che giocano e la movida notturna, elementi che non sono presenti nella fredda rappresentazione del nuovo film di Ulrich Seidl. Il regista austriaco ha presentato in Concorso la prima parte di un progetto che segue la vita di due fratelli dopo che questi si incontrano per il funerale della madre. Il primo film, Rimini, segue Richie Maso, una vecchia popstar di successo che ora si ritrova a fare concerti negli hotel deserti della località balneare a turisti di mezza età e a prostituirsi per mantenere agiato il suo livello di vita. Tutto cambia per Richie quando incontrerà sua figlia, che gli chiederà un risarcimento in denaro per l’assenza nella sua vita. Seidl dirige un’opera meno brutale per i suoi standard, ma che non si nasconde dal mostrare gli innumerevoli lati sgradevoli di una persona che sta facendo di tutto, nel bene e nel male, per ricostruire il rapporto con la figlia.
Nana di Kamila Andini è stata una piacevole sorpresa con la regista indonesiana che si conferma come uno dei nomi da tener d’occhio nel futuro. Ambientato negli anni ’60 in Indonesia, Il film racconta la storia di Nana (una bravissima Happy Salma), una giovane donna che, dopo la morte del padre e la sparizione del marito, si trova costretta a sposare un leader ribelle sundanese. Nana si ritrova a vivere una vita nelle comodità di una dimora in una foresta, ma anche a condividere il marito con una nuova amante, Ino (Laura Busaki, vincitrice del premio per miglior interpretazione non protagonista). La ricerca dell’amore perduto e la voglia di indipendenza porteranno Nana a cercare una via d’uscita da questa vita. Esteticamente il film è sensazionale, la fotografia onirica di Batara Goempar, l’uso intelligente di sequenze a rallentatore e il consistente utilizzo della colonna sonora richiamano molto il cinema di Wong Kar-wai e la raffinatezza di Ann Hui.
Il prolifico autore coreano Hong Sang-soo ha poi presentato il suo nuovo progetto, The Novelist’s Film, vincitore del Gran Premio della Giuria. Al centro della storia c’è la scrittrice Jun-hee (Lee Hye-young, alla seconda collaborazione con Hong dopo In Front of Your Face), che un giorno decide di andare a trovare una vecchia amica che lavora in una libreria. Dopo questo incontro se ne susseguono altri, tra cui quello con l’attrice Gil-su (Kim Min-hee), ragazza che sta faticando a trovare lavoro. È sempre impressionante l’abilità con cui Hong Sang-soo riesce a reinventarsi e a mostrare le proprie storie nonostante queste possano avere alcune affinità. In The Novelist’s Film, Hong confeziona un’opera originale e personale, un omaggio alla sua musa Kim Min-hee e alla quotidianità della vita. Troviamo abbastanza difficile entrare nel dettaglio su quanto abbiamo gioito nel vedere certe sequenze senza rovinare questi momenti allo spettatore.
Chiudiamo questa lunga lista con quello che è per noi il film migliore di questo festival; stiamo parlando di Manto de Gemas, l’opera prima di Natalia López Gallardo e vincitrice del Premio della Giuria. Questo nome potrebbe sembrare nuovo per molti, ma la regista ha lavorato come montatrice per alcuni noti cineasti, tra cui il messicano Carlos Reygadas (produttore del film) e l’argentino Lisandro Alonso. Tornando al film, Manto de Gemas segue le vite di quattro personaggi in un paesino rurale in campagna e i loro problemi legati al Cartello messicano. Ad una donna è scomparsa la sorella e, nonostante le innumerevoli ricerche, sa benissimo che fine ha fatto. Una poliziotta corrotta invece cerca di fare del bene per la propria comunità e per il figlio, giovane che è già coinvolto negli affari del Cartello. E infine c’è una donna che sta vivendo le brutte conseguenze di un divorzio, le quali la porteranno a compiere gesti pericolosi che metteranno a repentaglio la propria incolumità. Manto de Gemas non segue una trama lineare e lascia questioni irrisolte, ma la regista dà al pubblico il necessario per capire cosa sia successo e per appassionarsi alla trama. Con un eccellente uso del piano sequenza e un ritmo pacato, ma non privo di sequenze scioccanti, Natalia López Gallardo racconta una storia di scontri di classe e corruzione, dove nessuno è al sicuro e chiunque può essere vittima del Cartello da un momento all’altro.
di Omar Franini
NC-95
23.02.2022
Dopo avervi raccontato la nostra esperienza festivaliera, oggi vorremmo illustrarvi i film che abbiamo visto alla Berlinale. La qualità generale di questi è stata più che buona e anche le opere che non ci hanno convinto del tutto presentavano lo stesso degli elementi interessanti. La vittoria dell'Orso d'oro di Carla Simón per il suo Alcarràs conferma il crescente interesse di critica e pubblico per narrazioni diverse dagli sguardi inclusivi e innovativi.
Partendo con ordine, dalla sezione Berlinale Special, abbiamo avuto l’occasione di vedere il film tedesco The Forger di Maggie Peren, opera basata sulla storia vera di Cioma Schönhaus, giovane ragazzo ebreo che, per scappare dalla deportazione e aiutare altri a far lo stesso, inizia a falsificare documenti d’identità. Una storia che sulla carta è interessante, ma le cui potenzialità non vengono sfruttate appieno dalla Peren, che dirige e scrive il film in maniera troppo semplice. La storia d’amore tra Cioma e una giovane tedesca risulta essere poco avvincente e il finale non ha l’impatto che tanto desiderava. Anche se la sceneggiatura non riesce ad esplorare la complessità di Cioma, Louis Hoffman è in grado di interpretare questo personaggio in modo abbastanza convincente e risulta essere la parte migliore del film. Dalla sezione Generation segnaliamo invece il coming of age finlandese Girl Picture, film di Alli Haapalaso incentrato su tre teenager che stanno cercando di trovare il loro posto nel mondo. La storia risulta prevedibile in alcuni punti ma le buone performance delle tre protagoniste, le scelte musicali e la visione registica della Haapalaso rendono il film una piacevole esperienza che permette al pubblico di empatizzare per le tre giovani ragazze.
Dalla sezione Forum abbiamo visto tre film che ci hanno colpito in modo particolare. Une fleur à la bouche, diretto dal regista francese Eric Baudelaire, è un’opera affascinante divisa in due atti che a primo impatto sembrerebbero slegati tra di loro ma che hanno un senso di coesione attraverso alcuni dettagli. Il primo atto ha un approccio documentaristico e osserva il mercato più grande di fiori al mondo mentre il secondo è un adattamento di L’uomo dal fiore in bocca di Pirandello, che ha come protagonista un uomo con un tumore a forma di fiore sul labbro. Con la durata di solo un’ora, Baudelaire cerca di far comprendere e ricordare allo spettatore di apprezzare i piccoli momenti della vita che ci condizionano, quali una conversazione in un bar o la creazione di un bouquet di fiori. The Kegelsatt Trio della regista portoghese Rita Avezedo Gomes, adattamento di una pièce teatrale di Eric Rohmer, ruota attorno alla relazione tra Paul e Adèle, coppia di amici con un passato romantico. L’opera ha una struttura teatrale prominente e Gomes cerca entro i limiti di ricreare un’atmosfera simile a quella dei film del cineasta francese tramite l’uso delle luci e la direzione degli attori. Al film però manca quella spensieratezza, quella naturalezza che contraddistingue il cinema di Rohmer e i dialoghi risultano abbastanza alienanti per lo spettatore.
Dry Ground Burning invece è stata una delle visioni più interessanti dell’intero festival. Il film del duo Adirley Queiròs e Joana Pimenta porta lo spettatore dentro la quotidianità delle donne che vivono in una favela brasiliana mostrando come queste, per la loro sopravvivenza e per il bene della comunità, devono compiere ogni giorno attività rischiose ed illegali. Dry Ground Burning non solo ridefinisce il ruolo della donna all’interno della società rurale brasiliana ma mostra anche una nazione in piena evoluzione industriale e politica. L’aspetto più affascinante però è il realismo di certe situazioni, sul limite di oltrepassare la sottile linea tra finzione e realtà, soprattutto grazie al casting di non professionisti che interpretano praticamente loro stessi e alle varie sequenze dove questi parlano dritti in camera, dando un sapore più autentico e straniante a sequenze specifiche.
Nella sezione Panorama è stato invece presentato il film coreano The Apartment with Two Women, la straordinaria opera prima della giovane regista Kim Se-in. La storia ruota attorno al rapporto disfunzionale tra una madre e la propria figlia. Il loro legame peggiora quando inavvertitamente (o no) la madre investe la figlia e questo segnerà un cambiamento notevole nella vita delle due donne. Nonostante sia il suo primo film, Kim Se-in mostra un enorme potenziale e una tale confidenza dietro la camera, che ci ha ricordato vagamente le opere del rinomato cineasta Lee Chang-dong. Ogni scelta stilistica è funzionale alla storia e la direzione delle due attrici è davvero notevole, soprattutto in una delle sequenze più importanti del film, nella quale la madre cerca di raccontare l’astio che ha verso la figlia.
Nella sezione Incontri abbiamo avuto l’occasione di partecipare alla premiere di Flux Gourmet, la nuova opera grottesca del regista britannico Peter Strickland. Ambientato in un istituto dedicato a “performance culinarie”, dove i soggetti si dedicano alle arti recitative tramite l’utilizzo inusuale di pietanze, il film segue il percorso di tre istitutori sotto il punto di vista di Stones, fotografo greco, che soffre di un problema intestinale, incaricato di documentare la loro quotidianità. Il film ci ha intrattenuto molto grazie alla sua originalità e alla sua stranezza, ma dobbiamo riconoscere anche che Flux Gourmet non delizierà i palati di tutti gli spettatori. The Death of My Mother invece non è stata una visione facile; il secondo film della regista tedesca Jessica Krummacher narra di Juliane, una donna che ogni giorno è costretta a vedere la madre soffrire per la malattia che la sta affliggendo da tempo e di come stia cercando di aiutarla a morire tramite eutanasia. Le tematiche affrontate sono molto rilevanti e la Krummacher riesce a dirigere un’opera davvero impressionante nella quale seguiamo le difficoltà emotive che sta vivendo Juliane. La composizione di ogni frame è notevole e l’interpretazione di Birte Schnöink è molto struggente e fa sì che lo spettatore riesca ad immedesimarsi nella sua difficile situazione. Un altro film interessante che abbiamo visto è Sonne di Kurdwin Ayub. La storia ruota attorno a Yesmin, una giovane ragazza musulmana che vive a Vienna ormai da anni con la sua famiglia. Tutto sembra cambiare quando viene caricato su Youtube un video dove lei e due sue amiche cantano il brano dei R.E.M. Loosing My Religion, da quel momento le ragazze diventeranno popolari nella comunità musulmana, ma questa notorietà avrà anche brutte conseguenze per Yesmin. Kurdwin Ayub cerca di discostarsi dal tipico coming of age mostrandoci la crisi d’identità culturale della giovane protagonista in maniera realistica e la percezione che avranno su di lei gli altri attraverso l’uso efficace dei social network, TikTok e Instagram su tutti. Sonne è un film più che solido e siamo soddisfatti che abbia vinto il premio per la miglior opera prima. Unrest, film svizzero vincitore del premio per miglior regia, è un film affascinante quanto frustrante. Ambientato alla fine del ‘900 in una cittadina svizzera dedita alla orologeria, il film narra di Josephine, una giovane lavoratrice che viene coinvolta nel movimento anarchico locale. Qui incontrerà e si innamorerà del geografo russo Pyotr Kropotkin che verrà coinvolto anch’esso nel movimento rivoluzionario. Il regista Cyril Schaublin confeziona un’opera precisa e dettagliata, in cui è più interessato a mostrare uno sguardo peculiare sulle interazioni umane e i meccanismi sociali di questo luogo piuttosto che seguire una trama precisa. È un approccio interessante ma che non sempre funziona e a fine visione ci siamo ritrovati con la sensazione di volere di più da questa storia.
Il film che ci ha stupito maggiormente di questa sezione è senz’altro Coma, la nuova opera dell’acclamato cineasta Bertrand Bonello e forse la più sperimentale e personale della sua carriera. Al centro della storia c’è una giovane ragazza (interpretata da Louise Labèque, protagonista di Zombi Child dello stesso Bonello) reclusa nella sua camera per via del lockdown. Bonello ci mostra le paranoie, le visioni e gli incubi della ragazza alternando sequenze animate dove due bambole prendono vita e una terrificante rappresentazione dell’aldilà, una foresta ostile che ricorda molto l’atmosfera di Inland Empire di David Lynch o anche i film di Philippe Grandieux. La ragazza inoltre sembra essere ossessionata dalla visione dei video del canale YouTube di Patricia Coma, una figura macabra che mostra una percezione del mondo “migliore” tramite i suoi video e i suoi gadget. Coma è un film che Bonello dedica alla figlia con un messaggio di speranza, promettendo tempi migliori e di avere perseveranza, discorso che assume un valore universale per chiunque abbia avuto le stesse difficoltà della giovane protagonista.
Passiamo ora alle opere della Competizione Ufficiale. Peter Von Kant di Francois Ozon ha aperto il concorso, film che segue la struttura della pellicola del regista tedesco Fassbinder a cui si ispira (Le Lacrime Amare di Petra Von Kant) e pone la vita del regista stesso all’interno dell’opera. Ozon dirige il cast in maniera egregia, Denis Ménochet e Isabelle Adjani sono notevoli ma è Stephane Krapon a rubare l’occhio ogni volta che è in scena grazie alle sue esilaranti espressioni. Anche se il film risulta piacevole, la rappresentazione satirica e macchiettista del grande autore tedesco non ci ha entusiasmato molto. Avevamo alte aspettative su La Ligne di Ursula Meier, ma anche queste non sono state rispettate. Il film narra di Margaret, una donna di 35 anni con un passato di violenza: quando questa ritorna a vivere con la madre (Valeria Bruni Tedeschi), la situazione peggiora e durante una lite la madre viene colpita duramente. Dopo la straordinaria sequenza iniziale sulle note di Vivaldi appena descritta e la prima mezz’ora nella quale la regista ci mostra le gravi conseguenze delle azioni di Margaret, il film prende un approccio più melodrammatico ampliando il punto di vista della storia anche alla sorella più piccola e alla madre. Quello che risulta è un film prevedibile che non riesce a mantenere gli standard alti della prima parte.
Avec Amour et Acharnement di Claire Denis, vincitrice del premio per la miglior regia, è stato senz’altro uno dei film più belli del festival. Sara e Jean sono sposati da anni, ma la loro relazione subisce un cambiamento quando nelle loro vite torna Francois, ex ragazzo di Sara, che proporrà al vecchio amico Jean di aprire una società di scouting di rugby. Da una premessa semplice, Claire Denis dirige un’opera incentrata sull’amore, la gelosia, l’ossessione e quegli stimoli che spingono a comportarci in maniera differente, ignorando le conseguenze, anche a discapito di chi ci stia accanto. Juliette Binoche e Vincent Lindon interpretano magistralmente i due protagonisti, soprattutto la prima riesce a trasportare sullo schermo un ritratto complesso ed efficace di una donna che sta vivendo una situazione tormentata.
Quando sentiamo la parola Rimini ci vengono in mente le spiagge affollate, i bambini che giocano e la movida notturna, elementi che non sono presenti nella fredda rappresentazione del nuovo film di Ulrich Seidl. Il regista austriaco ha presentato in Concorso la prima parte di un progetto che segue la vita di due fratelli dopo che questi si incontrano per il funerale della madre. Il primo film, Rimini, segue Richie Maso, una vecchia popstar di successo che ora si ritrova a fare concerti negli hotel deserti della località balneare a turisti di mezza età e a prostituirsi per mantenere agiato il suo livello di vita. Tutto cambia per Richie quando incontrerà sua figlia, che gli chiederà un risarcimento in denaro per l’assenza nella sua vita. Seidl dirige un’opera meno brutale per i suoi standard, ma che non si nasconde dal mostrare gli innumerevoli lati sgradevoli di una persona che sta facendo di tutto, nel bene e nel male, per ricostruire il rapporto con la figlia.
Nana di Kamila Andini è stata una piacevole sorpresa con la regista indonesiana che si conferma come uno dei nomi da tener d’occhio nel futuro. Ambientato negli anni ’60 in Indonesia, Il film racconta la storia di Nana (una bravissima Happy Salma), una giovane donna che, dopo la morte del padre e la sparizione del marito, si trova costretta a sposare un leader ribelle sundanese. Nana si ritrova a vivere una vita nelle comodità di una dimora in una foresta, ma anche a condividere il marito con una nuova amante, Ino (Laura Busaki, vincitrice del premio per miglior interpretazione non protagonista). La ricerca dell’amore perduto e la voglia di indipendenza porteranno Nana a cercare una via d’uscita da questa vita. Esteticamente il film è sensazionale, la fotografia onirica di Batara Goempar, l’uso intelligente di sequenze a rallentatore e il consistente utilizzo della colonna sonora richiamano molto il cinema di Wong Kar-wai e la raffinatezza di Ann Hui.
Il prolifico autore coreano Hong Sang-soo ha poi presentato il suo nuovo progetto, The Novelist’s Film, vincitore del Gran Premio della Giuria. Al centro della storia c’è la scrittrice Jun-hee (Lee Hye-young, alla seconda collaborazione con Hong dopo In Front of Your Face), che un giorno decide di andare a trovare una vecchia amica che lavora in una libreria. Dopo questo incontro se ne susseguono altri, tra cui quello con l’attrice Gil-su (Kim Min-hee), ragazza che sta faticando a trovare lavoro. È sempre impressionante l’abilità con cui Hong Sang-soo riesce a reinventarsi e a mostrare le proprie storie nonostante queste possano avere alcune affinità. In The Novelist’s Film, Hong confeziona un’opera originale e personale, un omaggio alla sua musa Kim Min-hee e alla quotidianità della vita. Troviamo abbastanza difficile entrare nel dettaglio su quanto abbiamo gioito nel vedere certe sequenze senza rovinare questi momenti allo spettatore.
Chiudiamo questa lunga lista con quello che è per noi il film migliore di questo festival; stiamo parlando di Manto de Gemas, l’opera prima di Natalia López Gallardo e vincitrice del Premio della Giuria. Questo nome potrebbe sembrare nuovo per molti, ma la regista ha lavorato come montatrice per alcuni noti cineasti, tra cui il messicano Carlos Reygadas (produttore del film) e l’argentino Lisandro Alonso. Tornando al film, Manto de Gemas segue le vite di quattro personaggi in un paesino rurale in campagna e i loro problemi legati al Cartello messicano. Ad una donna è scomparsa la sorella e, nonostante le innumerevoli ricerche, sa benissimo che fine ha fatto. Una poliziotta corrotta invece cerca di fare del bene per la propria comunità e per il figlio, giovane che è già coinvolto negli affari del Cartello. E infine c’è una donna che sta vivendo le brutte conseguenze di un divorzio, le quali la porteranno a compiere gesti pericolosi che metteranno a repentaglio la propria incolumità. Manto de Gemas non segue una trama lineare e lascia questioni irrisolte, ma la regista dà al pubblico il necessario per capire cosa sia successo e per appassionarsi alla trama. Con un eccellente uso del piano sequenza e un ritmo pacato, ma non privo di sequenze scioccanti, Natalia López Gallardo racconta una storia di scontri di classe e corruzione, dove nessuno è al sicuro e chiunque può essere vittima del Cartello da un momento all’altro.