NC-35
26.10.2020
Ultimo grido di speranza alla luce del nuovo Dpcm in atto da oggi, a un solo giorno dalla conclusione della 15ª Festa del Cinema di Roma che ha chiuso ufficialmente i battenti ieri. La decisione, che inevitabilmente colpisce un settore già in evidente crisi, si scontra con l’ottimo risultato raggiunto da questa complicata edizione della Festa. Venezia era stato il primo Festival di Cinema Internazionale a svolgersi in presenza, ed ha per così dire aperto la strada alla manifestazione capitolina. Nonostante la sorprendente crescita della curva epidemiologica, l’evento è riuscito a svolgersi nella sua interezza, sempre supportato dal suo pubblico affezionato.
Non sono mancati imprevisti, come è facile immaginare vista la situazione. Diverse infatti sono state le cancellazioni nell’ambito degli Incontri ravvicinati, da sempre considerati la punta di diamante dell’intera manifestazione. Ma questo non ha fermato l’avanzare di questa Festa, che mai come quest’anno ha puntato sulla qualità dell’offerta in programma. Inutile girarci intorno, buona parte della riuscita del festival è merito di titoli che portano il marchio di Cannes 2020, presentati in prima italiana proprio a Roma, ma non solo. Certo, non sono mancate anteprime internazionali, ma si è trattato soprattutto di film italiani. A detta del direttore artistico della festa, Antonio Monda, questo non può essere considerato come un punto di demerito, perché l’importante è la qualità dei prodotti presentati.Comunque la si pensi, quest’anno a livello di qualità il pubblico non si è potuto lamentare.
Una grande apertura quella di questa 15esima edizione, inaugurata con Soul, il nuovo gioiello della Pixar, diretto da Pete Docter. Il film sarebbe dovuto approdare in sala tra circa un mese, ma la crescita esponenziale dei contagi ha spinto la Disney a spostare il lancio direttamente sulla piattaforma streaming Disney+, proprio il giorno di Natale.
Dopo Inside Out, Docter continua il suo percorso artistico nell’analisi della sfera umana, raffigurando una fantasiosa personificazione delle anime, seguendole dal luogo da cui provengono fino a quello in cui approdano. Soul è una delle perle più preziose regalateci dalla Pixar. Joe Gardner, protagonista della vicenda, insegna musica in una scuola media di New York, ma sogna di potersi esibire nei migliori locali della città. La vita di Joe è ad un bivio, deve accettare un posto fisso abbracciando tutti i benefici di questa condizione oppure inseguire il suo sogno di far parte di una band? Proprio nel momento di massima felicità Joe ha un brutto incidente e la sua anima viene trasportata all’Altro Mondo.
La determinazione di Joe nel portare a termine i suoi progetti è però più forte di qualsiasi altra cosa, persino della rassegnazione alla morte. Ed è così che Joe riesce a bucare la parete dimensionale e a finire nel pre-mondo. È proprio qui, in questo spazio di vita, che Joe dovrà scegliere chi vuole diventare realmente.
Soul è un film straordinario, in cui la complessità visiva e formale del concept si sposa perfettamente con una scrittura che riesce a toccare quesiti complessi. Si tratta di un prodotto sincero e potente, ma anchesemplice ed essenziale.
Un inizio in grande stile dunque, che ha aperto le porte ad un susseguirsi di titoli di tutto rispetto. Complice l’accordo con Cannes, come si diceva in precedenza, sono stati diversi i titoli interessanti presentati in questa edizione. Primo su tutti l’attesissimo Druk - Another Round del celebre regista danese Thomas Vinterberg. Folgorante è l’aggettivo più adeguato per un film che, a detta del regista stesso, ha l’obiettivo di celebrare la vita.
Secondo la teoria dello psicologo norvegese Finn Skårderud, l’essere umano nasce con un deficit alcolico pari allo 0,05%. Per migliorare le nostre vite sarebbe quindi auspicabile colmare questa lieve mancanza. Quattro amici ed insegnanti di un liceo sono stanchi e demotivati. Una sera si riuniscono a cena e decidono di attuare un esperimento: mantenere un livello di tasso alcolico costante per tutta la giornata, anche quando sono al lavoro. Queste premesse permettono a Vinterberg di lasciarsi andare in un film più colorato e meno concettuale rispetto ai suoi precedenti. Come facilmente intuibile, la situazione prenderà presto una piega preoccupante. Druk è un film festoso e profondo al tempo stesso, che riesce a muoversi negli aspetti più intimi e dolorosi della vita. Punta di diamante l’interpretazione sfolgorante di Mads Mikkelsen nei panni di Martin, in piena crisi di mezza età. Il volto di Mikkelsen, così come il corpo nella sua interezza, si muove in un percorso che passa dalla frustrazione alla leggerezza, dalla sofferenza alla spensieratezza. Ben presto però tutti i protagonisti saranno costretti a fare i conti con la realtà. L’alcool annebbia, sfuma i confini della vita, che poi è pronta a tornare con tutta la sua asprezza una volta che gli effetti svaniscono e subentrano i postumi. Un viaggio leggero ma al contempo profondo e trasversale che culmina con una danza liberatoria, una celebrazione della vita nella sua interezza.
Altro titolo di punta di questa 15esima Edizione della Festa, sempre con il marchio di Cannes 2020, annunciato ieri come vincitore del Premio del Pubblico BNL, è proprio Été 85, del celebre regista francese François Ozon.
Nonostante il giudizio positivo (e forse inaspettato) da parte del pubblico, buona parte della critica ha accolto il film piuttosto freddamente. Il progetto del film prende vita a partire dal romanzo dello scrittore Aidan Chambers Danza sulla mia tomba: lo stesso Ozon ha dichiarato in una recente intervista di aver letteralmente adorato il libro da ragazzo. Été 85 è una storia d’amore intensa e universale. Un film sui turbamenti dell’adolescenza, che arde come un fuoco vivo pronto a spegnersi tragicamente. Girato interamente in pellicola, è un teen dramedy estivo dal cuore pulsante, pur tingendosi sin dalla sequenza iniziale di venature cupe e proprie del noir. Alexis, sedicenne inquieto e con una grande passione per la scrittura, ci confessa (attraverso un voice over iniziale), la sua attrazione per la morte. Nonostante questo è pervaso dall’impellente bisogno di un amore estivo. I suoi desideri saranno appagati dall’incontro casuale avvenuto con David, diciottenne esperto nella navigazione e gestore insieme alla madre (interpretata da una splendida Valeria Bruni Tedeschi) di un negozio di nautica. I due giovani intrecciano una relazione intensa e appassionata. Amici, complici ed amanti, sono costretti ad essere separati, prima da una serie di menzogne e poi dall’improvvisa morte di David, che lacererà letteralmente il giovane Alexis. Il film di Ozon è colorato ed appassionante, l’esile trama è supportata dalle interpretazioni potenti dei suoi protagonisti.
Mettendo da parte, almeno per il momento, i grandi recuperi di Cannes 2020, numerosi sono stati i titoli original interessanti di questa Festa. Come non nominare l’attesissimo Palm Springs, rivelazione del Sundance e già film cult. Si tratta infatti di una commedia brillante che rilegge in una chiave totalmente innovativa l’espediente del loop temporale. Colorato, divertente e ben interpretato, è un film da recuperare assolutamente.
Presentati poi anche i primi due episodi della serie Sky Romulus, prodotta e diretta da Matteo Rovere, in onda su Sky e Now Tv a partire dal 6 novembre. Dal cinema (con Il primo re), il mito della nascita di Roma diventa una serie televisiva. L’incipit è molto interessante, pur richiamando quello del film. Un groviglio di schiavi, impauriti dalle autorità del villaggio di Velia per il rito di iniziazione con rischio mortale, dovranno affrontare sei mesi nel bosco degli spiriti e sopravvivere alla selvaggia Rumina. Ritmo avvincente e buone interpretazioni gettano le basi per una serie che, almeno da queste premesse, sembra molto interessante.
Restando sul territorio nazionale, alla Festa è stato presentato in anteprima assoluta il nuovo ed atteso film del regista Francesco Bruni, Cosa sarà. Il film, in parte autobiografico, segue la vicenda del protagonista, interpretato da Kim Rossi Stuart, nel percorso della scoperta della malattia, fino al complicato processo di cura nella speranza di una guarigione. Il film, delicato e sincero, si muove nella sfera più intima e personale del protagonista senza mai scadere nel pietismo o nella commozione forzata, ritraendolo delicatamente sia nei momenti condivisi con la famiglia che in quelli più difficili e complessi, fatti di solitudine e dolore. Una scrittura matura e una regia senza inutili virtuosismi fanno sì che il film arrivi dritto al cuore, intrattenendo, commuovendo e facendo riflettere. Una perla nel panorama del dramedy contemporaneo italiano.
Come ogni anno la sezione autonoma e parallela della Festa, quella di Alice nella Città, ha presentato un programma fresco, giovanile ed estremamente interessante. Al centro la riflessione sui rapporti umani e gli errori che vanno a minarli, il tema dell’indagine su sé stessi e su un corpo in trasformazione.
Forse il titolo più interessante è stato proprio Slalom, un esordio formidabile della regista Charlène Favier. Lyz è una sciatrice quindicenne, motivata da una fervente ambizione olimpica che la spinge oltre l’adolescenza e l’innocenza caratteristica di questo periodo. La giovanissima protagonista, attraverso il cambiamento del proprio corpo e la complicatissima relazione con il maestro che la reprime e la stimola, vive la dolorosa fase di transizione tra l’adolescenza e l’età adulta. La grandezza della Favier sta nell’indagare il corpo, riuscendo a non staccarsi mai dalla protagonista, invadendo il suo spazio per restituircelo spesso in silenzio, con fatica, passione, dolore, emotività e potenza. Una regia mai morbosa ma puntuale e implacabile. Un esordio sfavillante.
Un altro titolo interessante nella sezione di Alice è stato Gagarine, altro brillante (a dir poco) esordio a quattro mani, ad opera di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh. Il film prende vita tra le banlieue parigine, dove l’edificio residenziale Cité Gagarine sta per essere demolito. Circa 370 famiglie rimangono in attesa di essere assegnate ad altre abitazioni. Youri, sedicenne protagonista del racconto, è cresciuto lì e non ha intenzione di rassegnarsi. Il ragazzo, che porta il nome del primo uomo nello spazio, dotato di talento e di fantasia, metterà tutto il suo impegno per raggiungere il suo sogno. Si tratta di una favola urbana che rilegge il concetto di senso di appartenenza ad un luogo. Un approccio toccante, supportato da ottime interpretazioni.
Particolarmente interessante, sempre nella sezione di Alice, il secondo film da regista di Carlo Lavagna, Shadows. È un film che si muove nel genere thriller, macchiandosi di atmosfere e tinte horror, indagando il difficile rapporto tra madre e figlia. Si tratta di una co-produzione italo irlandese, recitata magistralmente dalle attrici anglosassoni Lola Petticrew e Mia Threapleton ma scritta e diretta da maestranze italiane. Muovendosi tra The Room e The Others, il film si rivela ottimo nella parte formale ed estetica, perdendosi invece nello scorrere della trama, chiudendosi in un finale forse non all’altezza delle premesse.
Ma veniamo ora al vincitore della sezione di Alice, lo splendido Kajillionaire della talentuosissima regista statunitense Miranda July. Si tratta di un coming of age in pieno stile Sundance. Al centro della vicenda una bizzarra famiglia che per certi versi e alcune sfumature ricorda la famiglia Kim di Parasite del regista Bong Joon-ho.
Evan Rachel Wood è una ragazza ventiseienne di nome Old Dolio, figlia di Robert (Richard Jenkins) e Theresa (Debra Winger). L’intera famiglia vive di espedienti e piccoli furti, in un microcosmo bizzarro e sopra le righe in cui Old Dolio è nata e cresciuta. Quando un piano permetterà loro di ottenere i 1500 dollari con cui pagare l’affitto, la famiglia al completo compirà un viaggio di andata e ritorno per New York. Sarà proprio in aereo che faranno la conoscenza di Melanie (Gina Rodriguez), che stravolgerà l’equilibrio familiare e sentimentale di Old Dolio.
L’idea è brillante, e la messa in scena, che rimanda moltissimo all’indie movie americano anni Novanta, è perfetta con i suoi personaggi bizzarri appartenenti ad un sottobosco urbano umano e profondo. Lo sguardo di Miranda July è fresco e ricco di grazia, la scrittura dei personaggi brillante ed intelligente. Dopo essersi lievemente bloccato nella parte centrale, il film torna a prendere vita in un finale dolce e avvolgente.
Si chiude dunque più tristemente degli anni scorsi, alla luce del nuovo Dpcm che prevede la chiusura totale di cinema e teatri, questa quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che nonostante imprevisti ed avversità ci ha ricordato ancora una volta quanto sia importante e profondamente necessaria l’esperienza di visione in sala, come momento di scoperta e soprattutto di condivisione collettiva.
NC-35
26.10.2020
Ultimo grido di speranza alla luce del nuovo Dpcm in atto da oggi, a un solo giorno dalla conclusione della 15ª Festa del Cinema di Roma che ha chiuso ufficialmente i battenti ieri. La decisione, che inevitabilmente colpisce un settore già in evidente crisi, si scontra con l’ottimo risultato raggiunto da questa complicata edizione della Festa. Venezia era stato il primo Festival di Cinema Internazionale a svolgersi in presenza, ed ha per così dire aperto la strada alla manifestazione capitolina. Nonostante la sorprendente crescita della curva epidemiologica, l’evento è riuscito a svolgersi nella sua interezza, sempre supportato dal suo pubblico affezionato.
Non sono mancati imprevisti, come è facile immaginare vista la situazione. Diverse infatti sono state le cancellazioni nell’ambito degli Incontri ravvicinati, da sempre considerati la punta di diamante dell’intera manifestazione. Ma questo non ha fermato l’avanzare di questa Festa, che mai come quest’anno ha puntato sulla qualità dell’offerta in programma. Inutile girarci intorno, buona parte della riuscita del festival è merito di titoli che portano il marchio di Cannes 2020, presentati in prima italiana proprio a Roma, ma non solo. Certo, non sono mancate anteprime internazionali, ma si è trattato soprattutto di film italiani. A detta del direttore artistico della festa, Antonio Monda, questo non può essere considerato come un punto di demerito, perché l’importante è la qualità dei prodotti presentati.Comunque la si pensi, quest’anno a livello di qualità il pubblico non si è potuto lamentare.
Una grande apertura quella di questa 15esima edizione, inaugurata con Soul, il nuovo gioiello della Pixar, diretto da Pete Docter. Il film sarebbe dovuto approdare in sala tra circa un mese, ma la crescita esponenziale dei contagi ha spinto la Disney a spostare il lancio direttamente sulla piattaforma streaming Disney+, proprio il giorno di Natale.
Dopo Inside Out, Docter continua il suo percorso artistico nell’analisi della sfera umana, raffigurando una fantasiosa personificazione delle anime, seguendole dal luogo da cui provengono fino a quello in cui approdano. Soul è una delle perle più preziose regalateci dalla Pixar. Joe Gardner, protagonista della vicenda, insegna musica in una scuola media di New York, ma sogna di potersi esibire nei migliori locali della città. La vita di Joe è ad un bivio, deve accettare un posto fisso abbracciando tutti i benefici di questa condizione oppure inseguire il suo sogno di far parte di una band? Proprio nel momento di massima felicità Joe ha un brutto incidente e la sua anima viene trasportata all’Altro Mondo.
La determinazione di Joe nel portare a termine i suoi progetti è però più forte di qualsiasi altra cosa, persino della rassegnazione alla morte. Ed è così che Joe riesce a bucare la parete dimensionale e a finire nel pre-mondo. È proprio qui, in questo spazio di vita, che Joe dovrà scegliere chi vuole diventare realmente.
Soul è un film straordinario, in cui la complessità visiva e formale del concept si sposa perfettamente con una scrittura che riesce a toccare quesiti complessi. Si tratta di un prodotto sincero e potente, ma anchesemplice ed essenziale.
Un inizio in grande stile dunque, che ha aperto le porte ad un susseguirsi di titoli di tutto rispetto. Complice l’accordo con Cannes, come si diceva in precedenza, sono stati diversi i titoli interessanti presentati in questa edizione. Primo su tutti l’attesissimo Druk - Another Round del celebre regista danese Thomas Vinterberg. Folgorante è l’aggettivo più adeguato per un film che, a detta del regista stesso, ha l’obiettivo di celebrare la vita.
Secondo la teoria dello psicologo norvegese Finn Skårderud, l’essere umano nasce con un deficit alcolico pari allo 0,05%. Per migliorare le nostre vite sarebbe quindi auspicabile colmare questa lieve mancanza. Quattro amici ed insegnanti di un liceo sono stanchi e demotivati. Una sera si riuniscono a cena e decidono di attuare un esperimento: mantenere un livello di tasso alcolico costante per tutta la giornata, anche quando sono al lavoro. Queste premesse permettono a Vinterberg di lasciarsi andare in un film più colorato e meno concettuale rispetto ai suoi precedenti. Come facilmente intuibile, la situazione prenderà presto una piega preoccupante. Druk è un film festoso e profondo al tempo stesso, che riesce a muoversi negli aspetti più intimi e dolorosi della vita. Punta di diamante l’interpretazione sfolgorante di Mads Mikkelsen nei panni di Martin, in piena crisi di mezza età. Il volto di Mikkelsen, così come il corpo nella sua interezza, si muove in un percorso che passa dalla frustrazione alla leggerezza, dalla sofferenza alla spensieratezza. Ben presto però tutti i protagonisti saranno costretti a fare i conti con la realtà. L’alcool annebbia, sfuma i confini della vita, che poi è pronta a tornare con tutta la sua asprezza una volta che gli effetti svaniscono e subentrano i postumi. Un viaggio leggero ma al contempo profondo e trasversale che culmina con una danza liberatoria, una celebrazione della vita nella sua interezza.
Altro titolo di punta di questa 15esima Edizione della Festa, sempre con il marchio di Cannes 2020, annunciato ieri come vincitore del Premio del Pubblico BNL, è proprio Été 85, del celebre regista francese François Ozon.
Nonostante il giudizio positivo (e forse inaspettato) da parte del pubblico, buona parte della critica ha accolto il film piuttosto freddamente. Il progetto del film prende vita a partire dal romanzo dello scrittore Aidan Chambers Danza sulla mia tomba: lo stesso Ozon ha dichiarato in una recente intervista di aver letteralmente adorato il libro da ragazzo. Été 85 è una storia d’amore intensa e universale. Un film sui turbamenti dell’adolescenza, che arde come un fuoco vivo pronto a spegnersi tragicamente. Girato interamente in pellicola, è un teen dramedy estivo dal cuore pulsante, pur tingendosi sin dalla sequenza iniziale di venature cupe e proprie del noir. Alexis, sedicenne inquieto e con una grande passione per la scrittura, ci confessa (attraverso un voice over iniziale), la sua attrazione per la morte. Nonostante questo è pervaso dall’impellente bisogno di un amore estivo. I suoi desideri saranno appagati dall’incontro casuale avvenuto con David, diciottenne esperto nella navigazione e gestore insieme alla madre (interpretata da una splendida Valeria Bruni Tedeschi) di un negozio di nautica. I due giovani intrecciano una relazione intensa e appassionata. Amici, complici ed amanti, sono costretti ad essere separati, prima da una serie di menzogne e poi dall’improvvisa morte di David, che lacererà letteralmente il giovane Alexis. Il film di Ozon è colorato ed appassionante, l’esile trama è supportata dalle interpretazioni potenti dei suoi protagonisti.
Mettendo da parte, almeno per il momento, i grandi recuperi di Cannes 2020, numerosi sono stati i titoli original interessanti di questa Festa. Come non nominare l’attesissimo Palm Springs, rivelazione del Sundance e già film cult. Si tratta infatti di una commedia brillante che rilegge in una chiave totalmente innovativa l’espediente del loop temporale. Colorato, divertente e ben interpretato, è un film da recuperare assolutamente.
Presentati poi anche i primi due episodi della serie Sky Romulus, prodotta e diretta da Matteo Rovere, in onda su Sky e Now Tv a partire dal 6 novembre. Dal cinema (con Il primo re), il mito della nascita di Roma diventa una serie televisiva. L’incipit è molto interessante, pur richiamando quello del film. Un groviglio di schiavi, impauriti dalle autorità del villaggio di Velia per il rito di iniziazione con rischio mortale, dovranno affrontare sei mesi nel bosco degli spiriti e sopravvivere alla selvaggia Rumina. Ritmo avvincente e buone interpretazioni gettano le basi per una serie che, almeno da queste premesse, sembra molto interessante.
Restando sul territorio nazionale, alla Festa è stato presentato in anteprima assoluta il nuovo ed atteso film del regista Francesco Bruni, Cosa sarà. Il film, in parte autobiografico, segue la vicenda del protagonista, interpretato da Kim Rossi Stuart, nel percorso della scoperta della malattia, fino al complicato processo di cura nella speranza di una guarigione. Il film, delicato e sincero, si muove nella sfera più intima e personale del protagonista senza mai scadere nel pietismo o nella commozione forzata, ritraendolo delicatamente sia nei momenti condivisi con la famiglia che in quelli più difficili e complessi, fatti di solitudine e dolore. Una scrittura matura e una regia senza inutili virtuosismi fanno sì che il film arrivi dritto al cuore, intrattenendo, commuovendo e facendo riflettere. Una perla nel panorama del dramedy contemporaneo italiano.
Come ogni anno la sezione autonoma e parallela della Festa, quella di Alice nella Città, ha presentato un programma fresco, giovanile ed estremamente interessante. Al centro la riflessione sui rapporti umani e gli errori che vanno a minarli, il tema dell’indagine su sé stessi e su un corpo in trasformazione.
Forse il titolo più interessante è stato proprio Slalom, un esordio formidabile della regista Charlène Favier. Lyz è una sciatrice quindicenne, motivata da una fervente ambizione olimpica che la spinge oltre l’adolescenza e l’innocenza caratteristica di questo periodo. La giovanissima protagonista, attraverso il cambiamento del proprio corpo e la complicatissima relazione con il maestro che la reprime e la stimola, vive la dolorosa fase di transizione tra l’adolescenza e l’età adulta. La grandezza della Favier sta nell’indagare il corpo, riuscendo a non staccarsi mai dalla protagonista, invadendo il suo spazio per restituircelo spesso in silenzio, con fatica, passione, dolore, emotività e potenza. Una regia mai morbosa ma puntuale e implacabile. Un esordio sfavillante.
Un altro titolo interessante nella sezione di Alice è stato Gagarine, altro brillante (a dir poco) esordio a quattro mani, ad opera di Fanny Liatard e Jérémy Trouilh. Il film prende vita tra le banlieue parigine, dove l’edificio residenziale Cité Gagarine sta per essere demolito. Circa 370 famiglie rimangono in attesa di essere assegnate ad altre abitazioni. Youri, sedicenne protagonista del racconto, è cresciuto lì e non ha intenzione di rassegnarsi. Il ragazzo, che porta il nome del primo uomo nello spazio, dotato di talento e di fantasia, metterà tutto il suo impegno per raggiungere il suo sogno. Si tratta di una favola urbana che rilegge il concetto di senso di appartenenza ad un luogo. Un approccio toccante, supportato da ottime interpretazioni.
Particolarmente interessante, sempre nella sezione di Alice, il secondo film da regista di Carlo Lavagna, Shadows. È un film che si muove nel genere thriller, macchiandosi di atmosfere e tinte horror, indagando il difficile rapporto tra madre e figlia. Si tratta di una co-produzione italo irlandese, recitata magistralmente dalle attrici anglosassoni Lola Petticrew e Mia Threapleton ma scritta e diretta da maestranze italiane. Muovendosi tra The Room e The Others, il film si rivela ottimo nella parte formale ed estetica, perdendosi invece nello scorrere della trama, chiudendosi in un finale forse non all’altezza delle premesse.
Ma veniamo ora al vincitore della sezione di Alice, lo splendido Kajillionaire della talentuosissima regista statunitense Miranda July. Si tratta di un coming of age in pieno stile Sundance. Al centro della vicenda una bizzarra famiglia che per certi versi e alcune sfumature ricorda la famiglia Kim di Parasite del regista Bong Joon-ho.
Evan Rachel Wood è una ragazza ventiseienne di nome Old Dolio, figlia di Robert (Richard Jenkins) e Theresa (Debra Winger). L’intera famiglia vive di espedienti e piccoli furti, in un microcosmo bizzarro e sopra le righe in cui Old Dolio è nata e cresciuta. Quando un piano permetterà loro di ottenere i 1500 dollari con cui pagare l’affitto, la famiglia al completo compirà un viaggio di andata e ritorno per New York. Sarà proprio in aereo che faranno la conoscenza di Melanie (Gina Rodriguez), che stravolgerà l’equilibrio familiare e sentimentale di Old Dolio.
L’idea è brillante, e la messa in scena, che rimanda moltissimo all’indie movie americano anni Novanta, è perfetta con i suoi personaggi bizzarri appartenenti ad un sottobosco urbano umano e profondo. Lo sguardo di Miranda July è fresco e ricco di grazia, la scrittura dei personaggi brillante ed intelligente. Dopo essersi lievemente bloccato nella parte centrale, il film torna a prendere vita in un finale dolce e avvolgente.
Si chiude dunque più tristemente degli anni scorsi, alla luce del nuovo Dpcm che prevede la chiusura totale di cinema e teatri, questa quindicesima edizione della Festa del Cinema di Roma, che nonostante imprevisti ed avversità ci ha ricordato ancora una volta quanto sia importante e profondamente necessaria l’esperienza di visione in sala, come momento di scoperta e soprattutto di condivisione collettiva.